1
INTRODUZIONE
Prima di arrivare al nocciolo della questione, una premessa è doverosa farla. Non è
un caso se il seguente elaborato vuole approfondire il tema del lavoro, poiché esso nasce
da una vicenda lavorativa personale che mi ha spinto, con trasporto emotivo, ad
interessarmi a tale questione. Così, ha preso forma una narrazione talvolta pungente per
sottolineare come l’impresa post-fordista si prenda gioco dei lavoratori. Essi, difatti,
vivono oramai in uno stato permanente di assoggettamento ai “ricatti” per così dire
velati dell’impresa, che alimenta in questi il terrore della perdita di lavoro e, dunque, la
paura di vedersi rimpiazzati facilmente (indicativo d’altronde di come la valorizzazione
delle persone sia accuratamente livellata). Tuttavia, seppur la difficoltà nel cercare di
non piegarsi ai voleri fraudolenti e vessatori di cui troppo spesso l’organizzazione si
nutre, è chiaro dedurre quali possano essere i risvolti di tale scelta, più semplicemente
riassumibile con l’espressione gettonata del “o ti conformi o quella è la porta”. Ebbene,
io ho scelto la porta, ma quella delle istituzioni preposte a perseguire le suddette
anomalie, affinché tali imprese pongano fine a condotte illecite, a comportamenti che
denigrano e calpestano la dignità di chi, soprattutto, il coraggio non ha di fare
altrettanto, perché è palese che si perda il lavoro, ed io ne sono l’esempio. Certamente
conforta pensare che, dalla mia scelta, mi sono potuta sottrarre da quello che oggi
l’organizzazione richiede: dopo la mano e la testa, ha messo le mani anche sul cuore.
Un cuore che non ho voluto lasciare tra le mani strette di chi voleva vedermi piegata.
Un cuore che ho messo sì a disposizione, ma per battermi in questa causa, quel cuore
che, spero, possa non ledere e svilire dignità altre.
Pertanto, l’obiettivo della tesi non può che andare in direzione di una preservazione
dell’anima del soggetto lavorativo, tutelando la promozione della sua identità e
integrità, andando a soddisfare determinati bisogni, primo fra tutti quello di
autodeterminazione. In ciò sta la possibilità di convincersi che il lavoro può essere
considerato spazio di educabilità, assumendo per la persona la portata di un educatore
implicito, di un organizzatore della propria identità adulta e del proprio tempo, nella
consapevolezza che dare qualità al tempo lavorativo è dare qualità alla vita. L’obiettivo,
2
in definitiva, è quello di trovare nell’esperienza lavorativa l’occasione per poter
manifestare il proprio potenziale, per far pratica della tensione creativa e della libertà,
per rafforzare il soggettivo desiderio di costruire e innovare, per conseguire la
dimensione della realizzazione personale e professionale.
Nel primo capitolo, viene presentata una panoramica del mondo del lavoro che ha
subito negli ultimi decenni profonde trasformazioni: basti pensare all’avvento delle
tecnologie, alle diverse tipologie di relazioni contrattuali e alla continua richiesta di
adattamento del lavoratore alla mutevolezza e instabilità del mercato. Oltre a ciò, stiamo
assistendo ad una progressiva fine della società del lavoro, per passare alla società dei
lavori, caratterizzata dalla moltiplicazione di luoghi e tempi di lavoro. Tali transizioni
lavorative, tuttavia, si costituiscono come vere e proprie transizioni biografiche che
cambiano inevitabilmente il ritratto che il soggetto ha di sé e della propria
professionalità. Il lavoratore infatti, diviene una figura scarsamente definita perché
soggetto a continue riformulazioni di ruolo. Verso di lui assumono centralità i temi della
crisi dell’identità, della difficoltà di proiettarsi verso il futuro e progettarlo in modo
consapevole e responsabile.
Nel secondo capitolo, verrà affrontato come l’esito di queste modificazioni sia un
mondo del lavoro nuovo, che frequentemente pare essere contraddistinto da una forte
spinta verso l’utile e l’efficienza aziendale, guidato in prevalenza dalla logica del
profitto, animato spesso da uno stile strumentale e impersonale. In questo modo, lo
scopo dell’esistenza del soggetto lavorativo viene troppo spesso ridotto al solo fare
efficace e tecnico-produttivo, non trovando, così, significato nel suo agire. Tutt’al più,
tale scopo finisce con l’identificarsi nel lavorare e nello spendere, nel perseguire
obiettivi monetari per acquistare sempre più beni posizionali, che vanno a compensare il
forte disagio professionale e la scarsa gratificazione dovuta alla mancanza di solide
dinamiche interpersonali, alimentate da contratti di lavoro che fanno sentire le persone
temporanee. È qui che prende corpo l’oggetto centrale della tesi, ovverosia il contributo
che la pedagogia può offrire nel generare mutamenti di mentalità, proponendo un nuovo
modo di essere e di agire nell’ambito lavorativo, creando una nuova cultura del lavoro,
che metta al centro dell’agire non il prodotto o il servizio erogato, ma l’uomo
3
lavoratore, prendendo le distanze da un’impostazione del lavoro esclusivamente
economica. In questione, dunque, è il passaggio dalla concezione del lavoro come
mezzo per la sopravvivenza materiale alla sua concezione come esperienza valorizzante
e arricchente, attraverso cui la persona si forma e si rende protagonista di un’operosità
dotata di senso, la quale va oltre il mero ed esclusivo risultato profittuale per estendersi
al bisogno di compiere quel difficile tragitto interiore che porta alla realizzazione
personale. Pertanto, viene messa in luce l’esigenza di realizzare una neocultura
organizzativa più attenta e interessata al soggetto lavorativo, riconosciuto e trattato in
quanto persona e non strumento da adoperare in senso mercantile.
Nel terzo ed ultimo capitolo, vengono a delinearsi nuove prospettive organizzative, le
quali sollecitano anzitutto l’imprenditore a gettare uno sguardo alla globale visione
pedagogica e ad allinearsi con essa per le persone, coniugando le ragioni
dell’organizzazione umanistica con le ragioni del business aziendale. Alle
organizzazioni, dunque, spetta l’arduo compito di ripensare, in termini di valori e fini
ultimi, l’idea di persona, di lavoro, di vita, affinché vi sia occasione di sovvertire
l’egemonia della finalizzazione economicista a beneficio del soggetto lavorativo, dove il
senso del lavoro diviene prospettiva del vivere-lavorando-per-ben-vivere. Ciò in ragione
del fatto che il lavoro, essendo opera d’uomo, debba essere inteso come attività
antropologicamente significativa e in quanto tale creativo.
Pertanto, l’elaborato induce a ritenere che culture e prassi capaci di avere cura
dell’unicità e della totalità del soggetto lavorativo, di sostenere e potenziare le capacità
creative e propositive di ognuno, si dimostrano in grado di generare cambiamento,
innovazione, qualità. In questo senso, l’idea di creatività può essere progettualmente e
risolutivamente apprezzabile, anche in direzione della vita lavorativa, in quanto è
attraverso l’agire che la persona prende iniziativa rivelando la propria unicità identitaria.
Tuttavia, sono rilevanti i cambiamenti dei modelli di gestione e di governance del
lavoro e, pertanto, un differente ruolo dell’imprenditore e della direzione del personale,
alla cui base non può che stare l’assunto secondo il quale è la personalità e la
soggettività dei lavoratori che devono essere organizzate, gestite e il lavoro richiede di
essere ri-organizzato attorno alla sua immaterialità.
4
CAPITOLO I
IL LAVORO CHE CAMBIA: DALL’“ORA ET LABORA”
ALL’“ORA AD OPERANDUM”
I.1 Background storico: fordismo vs. post-fordismo
È un’epoca, la nostra, che assiste progressivamente alla fine del rapporto di lavoro a
lungo termine, che vede il passaggio dalla società del lavoro alla società dei lavori, «dal
lavoro ‘solido’, a vita, nella stessa organizzazione, nella stessa funzione, con la stessa
competenza, al lavoro ‘fluido’, periodico, flessibile, molteplice, svolto in differenti
organizzazioni e occupazioni»
1
.
Oggi, se, da un lato, le imprese si trovano ad operare in una realtà caratterizzata da
profonde rivoluzioni tecnologiche, da una crescente flessibilità, da profondi mutamenti
nelle professioni che hanno visto affermarsi l'importanza delle competenze, delle
conoscenze, delle capacità cognitive e dell'apprendimento continuo, dall’altro, i soggetti
lavorativi, si rendono conto che la complessità e l’incertezza abitano il contesto del
lavoro postindustriale e stanno caratterizzando anche marcatamente l’attività
professionale, con esplicite ricadute sulla totalità della loro esistenza.
Tali profonde trasformazioni, segnano quel processo di transizione che va dal
sistema taylor-fordista, entrato in crisi con gli anni settanta, verso un modello chiamato
per convenzione post-fordista.
Si tratta di un passaggio difficilmente definibile in maniera univoca, e numerosi ed
accesi sono i dibattiti tra chi considera il post-fordismo un modello del tutto nuovo, che
nasce da una frattura netta con il passato e, chi invece, lo interpreta nel segno della
continuità e della evoluzione del precedente paradigma fordista.
Tuttavia, per comprendere meglio l’attuale mercato del lavoro e le relative
problematiche, è anzitutto doveroso andare ad inquadrare quegli elementi oggettivi che
1
B. ROSSI, L’organizzazione educativa. La formazione nei luoghi di lavoro, Carocci editore, Roma,
2011, p. 25.
5
connotano il post-fordismo, a partire dalle trasformazioni che investono il sistema
produttivo e le diverse forme di lavoro che in tale contesto, si sviluppano e si
trasformano
2
. Per far questo però, non si può non fare riferimento anche al modello
fordista.
Dalla mass production ovvero dalla realizzazione di grandi quantità di prodotti
standardizzati tipica del modello fordista, si passa alla lean production, cioè a
produzioni “snelle”, in cui prevale la logica del just in time (Jit), vale a dire di una
produzione in tempo reale influenzata dalle richieste del mercato esterno, che coinvolge
i lavoratori da monte a valle e che consente, quindi, aggiustamenti continui alle
fluttuazioni della domanda che tira la produzione. Viene dunque sovvertito il principio
basilare che ha caratterizzato il taylor-fordismo: ora la produzione è trainata dalla
domanda. Nello specifico, l’applicazione del just in time è finalizzata alla riduzione,
nonché all’eliminazione, di tutte le forme di spreco che si realizzano all’interno della
fabbrica e nei rapporti di fornitura (annullamento dei magazzini di stoccaggio, dei tempi
morti di attesa ecc.). Come ha raccontato T. Ohno, il “padre” del modello Toyota: «il
problema principale fu quello di produrre esattamente la quantità di beni richiesta, né
più né meno»
3
. Le aziende, quindi, si ridimensionano per avere meno diseconomie e più
maneggevolezza attraverso un processo di de-concentrazione e de-massificazione
cercano di essere meno “grasse” o “più magre”
4
.
Contrariamente alla fabbrica fordista, dove l’estrema parcellizzazione rappresentava
un dato inevitabile, con il post-fordismo cambia la natura stessa della prestazione, che
da mansione diviene ruolo «che si interfaccia con aspettative di intraprendenza,
flessibilità e relazionalità e, in aggiunta, esige un’ integrazione di più compiti in seno ad
una persona ed entro un gruppo»
5
.
Un altro aspetto riguarda l’estendersi dello spazio di reciprocità lavorativa e
collaborativa, per effetto del sorgere delle imprese-reti e dell’esternalizzazione di
2
Cfr. A. ACCORNERO, L’individualismo di mercato e il lavoro post-fordista, «Quaderni di rassegna
sindacale», 1, gennaio-marzo 2004 e, dello stesso autore, Dal fordismo al post-fordismo: il lavoro e i
lavori, «Quaderni di rassegna sindacale», 1, gennaio-aprile 2001.
3
A. ACCORNERO, Era il secolo del lavoro, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 105.
4
Ivi, p. 102.
5
F. D’ANIELLO, Le mani sul cuore. Pedagogia e biopolitiche del lavoro, Aras edizioni, Fano, 2015, p.
17.