5bambini di scuola elementare il rispetto verso l’ “altro”, verso lo straniero.
Era giusto intervenire così precocemente sul comportamento relazionale
infantile? La questione divenne per me ancora più interessante quando
compresi che nella stessa Germania nella quale la scuola primaria impartiva
l’educazione alla non violenza, episodi di antisemitismo ad opera di
neonazisti e di radicali formazioni xenofobe, in realtà, continuavano a
verificarsi. Dopo una riflessione più attenta, ritenni di poter interpretare
questo “semplice” provvedimento educativo come la risultante di una
elaborata presa di coscienza, da parte dello Stato tedesco, di quello che era
stato il crimine più terribile del XX secolo: la Shoah. Da straniera qual’ero,
insomma, mi sembrava di poter leggere nella lotta quotidiana alla violenza
contro il “diverso” la preoccupazione per il futuro e la ferma volontà di
intervenire affinchè la xenofobia fosse arginata e la storia non potesse più
ripetersi. Come stroncare il Male sul nascere? Come riconoscere il volto del
“mostruoso” ed evitare il suo reiterarsi? Occorreva, forse, dissotterrare
quelle radici che dopo il crollo del sistema terroristico di Hitler non erano
ancora morte? Fu proprio allora che mi tornò alla mente come a questi
stessi interrogativi avesse cercato di rispondere una famosa filosofa ebrea
sottrattasi alla persecuzione nazista: Hannah Arendt.
6La mia ricerca iniziò così ad indagare su che cosa fosse propriamente il
Male morale per la Arendt, a chiedersi: perchè gli uomini preferiscono il
Male al bene?
E che cosa si intende esattamente quando si parla, dal punto di vista morale,
di azioni malvage? I veri criminali sono realmente consapevoli di
commettere ingiustizia o ritengono invece di agire bene?
Questo studio si propone, allora, di sondare una possibile o alcune possibili
risposte a questi interrogativi. Esso indirizzerà lo sguardo sul lato più
oscuro dell’umanità, ovvero la capacità dell’uomo di esercitare la crudeltà
estrema nei confronti dei propri simili. Perchè, dunque, dietro al volto
rassicurante degli uomini “comuni” si cela spesso un lato sinistro e oscuro?
Per rendere più agevole il confronto fra le due concezioni del Male sopra
menzionate (Male radicale e Male banale), questo lavoro è diviso in due
parti. La prima è volta a mostrare la concezione arendtiana di Male radicale
attraverso i diversi volti che esso assume nel regime totalitario: il Male
come attrazione, il Male come onnipotenza, e il Male come crimine. Nella
seconda parte, verrà introdotto il pensiero arendtiano sul Male posteriore al
1961, anno del processo ad Adolf Eichmann, e si cercherà di dimostrare
come il volto di quel burocrate nazista dipinto dall’inviata del “New
7Yorker” sia profondamente diverso dal “ crimine mostruoso” che lei stessa
ritraeva qualche anno prima nelle Origini del Totalitarismo.
Queste posizioni opposte osservano il Male da una prospettiva nettamente
diversa: se con il Male radicale la Arendt si sofferma sulla natura della
sofferenza del Male indiscriminatamente “subito”dagli uomini attraverso
l’esercizio del terrore e l’attuazione del potere totale, con il Male banale,
invece, la filosofa indirizza il proprio sguardo sul Male “commesso”,
riflettendo così sull’autentica capacità dell’uomo di commettere ingiustizia
e riconducendo l’origine del Male ad un soggetto moralmente responsabile.
In secondo luogo, va osservato che mentre la radicalità del Male
corrisponde a ciò che nella nostra coscienza è divenuto il canone del Male
per eccellenza: Auschwitz, la banalità del Male esprime un audace
accostamento allo stesso identico problema. Ora, Hannah Arendt, dopo
l’incontro con il funzionario del III Reich Adolf Eichmann, riprende nel XX
secolo, alla luce della catastrofe europea del totalitarismi, la categoria
aristotelica dell’ignoranza del bene negli agenti del Male, attirando su di sè
non poche critiche: alla vista raccapricciante di quello che l’uomo era stato
in grado di fare all’uomo durante il regime nazista, il Male morale assunse
agli occhi della nota studiosa la fisionomia di “un volto banale”. Eichmann,
8insomma, dirigendo quotidianamente i trasporti di milioni di uomini verso i
campi di sterminio, non solo non credeva di commettere un Male di così
impensabili e sconfinate proporzioni, ma non credeva neppure di
commettere il Male.
Assistendo al processo Eichmann e lavorando al suo reportage, la Arendt
intravide nel Male che l’uomo è in grado di commettere nè l’amore per il
Male in sè, nè una comune debolezza della volontà: nel funzionario nazista
il Male mostrava un volto insolito, banale, ma non per questo meno
inquietante. Commettere il Male in un regime in cui il crimine era
perfettamente “legalizzato” significava, insomma, peccare di una sorta di
“analfabetismo morale ed etico”, di una “mancanza di pensiero” che aveva
condotto la mente dell’imputato al più indistinto annebbiamento dei valori.
Il Male è banale perchè non ha radici profonde, ma si rivela un fenomeno di
superficie che dilaga ovunque gli uomini si dimostrano incapaci di pensare
da soli. Adolf Eichmann, infatti, contribuì indubbiamente ad un Male di
“sataniche” proporzioni ma lo fece, scrive la Arendt, con una piatta
superficialità, ossia inconsapevolmente, ignorando totalmente il valore etico
che quelle azioni rivestivano. L’ultima parte di questo studio, infine, si
sofferma sulle polemiche suscitate dalla filosofa in merito al suo personale
9giudizio sulla figura di Eichmann e al ruolo avuto nella “soluzione finale”
dai Judenräte, i Consigli ebraici d’Europa. Nonostante le feroci critiche
rivoltele, Hannah Arendt fu in grado di dimostrare come un Male tanto
assurdo, la Shoah, non fosse poi in realtà affatto incomprensibile: analizzare
il Male estremo, infatti, è possibile perchè si annida tra gli uomini
“comuni”, perchè ha il volto del Male banale.
10
PARTE I
La concezione del Male in Hannah Arendt:
dal Male radicale al Male banale
11
CAPITOLO 1
I volti del Male radicale
Trattare il problema del Male radicale nell’opera di Hannah Arendt è come
guardare il lato più oscuro dell’umanità, ovvero la capacità dell’uomo di
esercitare la crudeltà nei confronti dei propri simili.
Il contesto in cui nasce la riflessione arendtiana sull’ Absolute Evil è
strettamente legato all’ ascesa dei regimi totalitari, in particolar modo, all’
ascesa del nazional-socialismo in Germania.
Nelle Origini del Totalitarismo la Arendt scrive:
“E’ la comparsa del male radicale, precedentemente sconosciuto. Qui non ci
sono criteri politici, storici o semplicemente morali, ma tutt’al più la
constatazione che nella politica moderna è in gioco qualcosa che non
dovrebbe mai rientrare nella politica, come noi usiamo intenderla, che essa
è al bivio tra tutto e niente: tutto, un’indeterminata infinità di forme di
convivenza umana, o niente, la distruzione dell’ uomo in seguito alla
vittoria del sistema dei campi di concentramento”.
1
Il Male di cui parla la Arendt si caratterizza dunque come “apolitico”: esso
è la negazione dell’azione e della pluralità degli uomini, è l’acme di quel
1
HANNAH ARENDT, Le origini del totalitarismo, tr. it. Ed. di Comunità, Torino, 1999, p. 607.
12
non-pensiero proprio dell’uomo-massa che ha eliminato ogni possibilità di
senso comune e spazio politico.
Le conseguenze che derivano dalla perdita di uno spazio pubblico, politico,
plurale, condiviso e condivisibile da tutti, sono devastanti: alla perdita del
mondo comune fa eco la perdita dell’identità del singolo, dell’io.
Questo spazio vuoto viene così riempito dalla dominazione sulla persona
umana e, conseguentemente, dalla forma più alta di degradazione della sua
natura fisica: le cosiddette Todesfabriken, le fabbriche della morte.
Confrontando il passo precedente con la lettera del 4 marzo 1951 indirizzata
a Jaspers, torna in Arendt il problema del Male “radicale” in stretto
riferimento dialettico alla politica;
“Che cosa sia realmente oggi il male nella sua dimensione radicale, non lo
so, ma mi sembra che esso in certo modo abbia a che fare con i seguenti
fenomeni: la riduzione di uomini in quanto uomini ad esseri assolutamente
superflui. Tutto ciò a sua volta è in stretta connessione con la folle illusione
di un’ onnipotenza dell’uomo”.
2
2
HANNAH ARENDT/ K. JASPERS, Carteggio, tr. it. Feltrinelli, Milano, 1989, p. 104.
13
Agli occhi della Arendt un’unica cosa sembra certa: il Male radicale
compare all’interno di un sistema in cui “ the omnipotence of man is bought
at the price of the superfluity of men”.
3
Annientato nella sfera pubblica e privata, l’ individuo diventa facilmente
manipolabile dall’ ideologia totalitaria e quindi, complice del delirio di
onnipotenza di un’ unico uomo.
1.1 Un mezzo di attrazione sulla mentalità delle masse
Fatte queste considerazioni introduttive, pare evidente che, per analizzare le
caratteristiche peculiari del Male radicale, sia in primo luogo necessario
soffermarsi su uno degli aspetti che maggiormente lo contraddistinguono: la
sua forte capacità sulle masse.
Jerome Kohn, direttore del Centro” Hannah Arendt” della New School
University, individua fra gli elementi che favorirono l’ascesa dei
movimenti totalitari “The widespread existence of masses and mass
3
“L’onnipotenza dell’uomo è acquistata al prezzo della superfluità degli uomini” (“Ideology and Propaganda”,
Hannah Arendt’s Papers, Manuscript Division, Library of Congress, on line catalog, unpublished). Tr. mia.
14
societies, alienated from the world and attracted not only to ideologies but
to isms of any kind as answers to their sense of homelessness”.
4
La Arendt avrebbe sicuramente concordato con questa affermazione, poiché
anch’ella ravvisa nella società di massa una condizione certo necessaria, ma
non sufficiente, per l’ instaurazione di un regime totalitario.
Nelle Origini del Totalitarismo la filosofa ripercorre gli avvenimenti storici
tedeschi che vanno dalla crisi economica del 1929 all’ avvento al potere di
Hitler, per delineare l’affermarsi della mentalità dell’uomo di massa. La
Arendt osserva come molti tedeschi avevano perso la fiducia in uno stato
che, dopo aver perso la prima guerra mondiale, aveva gettato tutta la
popolazione nella miseria e nella disperazione più grande.
Fu in questa atmosfera che si verificò il crollo del sistema classista,
“uno dei più drammatici eventi della recente storia tedesca”
5
e
conseguentemente, anche il crollo del sistema dei partiti, venendo meno gli
stessi interessi che ognuno di questi era chiamato a tutelare.
4
“La diffusa esistenza di masse e società di massa, alienate dal mondo ed attratte non solo dalle ideologie, ma anche da
teorie di ogni genere come risposta alla loro sensazione di senza tetto”(“Evil:The Crime against Humanity”. On line
essay unpublished, by Jerome Kohn, director, Hannah Arendt Center, New School University, Philosophy
Department, New York).Tr.mia.
5
HANNAH ARENDT, Le Origini del Totalitarismo, cit., p.433.
15
Il crollo del sistema classista operò un livellamento della popolazione, una
sua massificazione, caratterizzata dalla totale mancanza di senso della
realtà, dall’isolamento e dall’individualizzazione della moderna società di
massa, dall’atomizzazione del corpo sociale.
Ridurre l’individuo ad una impotente solitudine era dunque la prima
manifestazione dell’atomizzazione e dell’artificio totalitario.
L’isolamento e la perdita del “senso di appartenenza” ad una determinata
classe sociale, aumentarono notevolmente i rischi di un’attrazione a dir
poco naturale e spontanea verso sistemi dispotici e autoritari da parte di
individui completamente deresponsabilizzati e “superflui”, provenienti
peraltro da tutte le classi sociali.
“Il termine ‘massa’ si riferisce soltanto a gruppi che, per l’entità numerica o
per indifferenza verso gli affari pubblici o per entrambe le ragioni, non
possono inserirsi in un’organizzazione basata sulla comunanza di interessi,
in un partito politico, in un’amministrazione locale, in un’associazione
professionale o in un sindacato. Potenzialmente essa esiste in ogni paese e
forma la maggioranza della folta schiera di persone politicamente neutrali
che non aderiscono mai ad un partito e fanno fatica a recarsi alle urne”.
6
6
HANNAH ARENDT, op. cit., p.431.