8
comunitarismo e dall’altra l’individualismo. Come si vede due estremi cui la desinenza
-ismo conferisce il carattere di radicale.
L’analisi del sociologo polacco appare lucida e precisa, anche se forse macchiata
da un pessimismo di fondo. È, infatti, vero che la società oggi assomiglia di più a una
giustapposizione di individui che a una comunità, ma è anche vero che è difficile ridurre
in modo così schematico una realtà evidentemente complessa. Giddens da parte sua
propone una fenomenologia della modernità basata sulla dialettica, ritenendo per
l’appunto semplicistico ricondurre la modernità a un processo prevalentemente
disgregante.
Oggi, per esempio, viviamo l’esperienza della dis-locazione, in quanto siamo
inseriti in ambienti culturali e informativi globalizzati. Tuttavia i meccanismi di
disgregazione che questo produce possono portare anche a una ri-aggregazione, come
per esempio la possibilità - tramite i mezzi di trasporto - di sciogliere i vincoli tra
distanza e parentela, offrendo la possibilità di visitare parenti prossimi che vivono
lontano3.
Sono sintomatici, a tal proposito, alcuni fenomeni in atto anche in Italia: da un
lato la disgregazione della famiglia - con un crescente numero di separazione e divorzi,
e l’aumento dell’emarginazione delle fasce deboli, immigrati, anziani e malati -,
dall’altro la diffusione del Terzo Settore, sia con la crescita in termini quantitativi e
qualitativi delle organizzazioni nonprofit, sia attraverso il progressivo riconoscimento
istituzionale e legislativo del proprio ruolo. Il riconoscimento del Terzo Settore, in
particolare, non sembra configurarsi come un tentativo di strumentalizzazione, piuttosto
come processo di crescita del concetto di cura dell’interesse generale.
Nel nostro Paese, infatti, è in atto da alcuni anni un dibattito politico e scientifico
in tema di riforme istituzionali, che vede tra i suoi punti nodali la revisione
dell’ordinamento repubblicano in senso federale. In tale processo è presente il tentativo
di passare dalla formula del Welfare State di tipo assistenzialista a un modello di
Welfare Community, o municipale. In sostanza, è posta la questione della distribuzione
delle competenze e delle funzioni pubbliche, e il rapporto di queste ultime con i principi
fondamentali dello Stato. Fino a oggi, per diverse ragioni, si è infatti mancato
3
cfr. GIDDENS A., Le conseguenze della modernità, Il Mulino, Bologna 1994, pp. 138-140
9
l’obiettivo costituzionale di emancipazione democratica (Dogliani), il quale avrebbe
consentito la partecipazione dei singoli e il coinvolgimento delle autonomie sociali e
istituzionali alla realizzazione del bene comune. Nell’attuale stagione sociale si è reso
necessario un ritorno alle radici etiche e politiche dei Costituzionalisti, laddove essi
videro nell’ispirazione personalista l’espressione più elevata del concetto stesso di
sovranità popolare. Giuseppe Dossetti nel 1946 affermò che «il nuovo Statuto dell’Italia
democratica» avrebbe dovuto riconoscere «la precedenza sostanziale della persona
umana […] rispetto allo Stato e la destinazione di questo al servizio di quella».
In questa fase evolutiva, dunque, nodi cruciali da affrontare sono rappresentati
proprio dalla riscoperta del principio di solidarietà e dall’attuazione di quello di
sussidiarietà.
Per quel che riguarda il primo, si constata come esso, pur essendo stato inserito
in modo esplicito nella Carta del ’48 all’art. 2 insieme a libertà e uguaglianza, è di fatto
rimasto incompleto sino agli anni Novanta, quando il Legislatore emanò leggi ad hoc, a
partire dalla n. 266/1991 (Legge quadro del Volontariato), fino alla n. 328/2000
(Sistema integrato dei Servizi sociosanitari).
Per quanto attiene invece il principio di sussidiarietà, esso è entrato a pieno titolo
nella Costituzione Italiana solo nel 2001, mediante la riforma del Titolo V. Fino ad
allora, infatti, esso era sostenuto nel nostro Paese soprattutto in riflessioni come la
Dottrina sociale della Chiesa, il pensiero liberale e quello federalista. I papi, per
esempio, videro nella sussidiarietà l’elemento d’equilibrio nel rapporto tra persona e
Stato: nella Quadragesimo anno Pio XII scrisse che «non è lecito togliere agli individui
ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla
comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle
minori e inferiori comunità si può fare»4.
La vera svolta costituzionale si ha tuttavia con la modifica all’art. 118, ultimo
comma, dove si legge che «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni
favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di
attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Una simile
modifica, all’interno del nostro ordinamento, ha significato rivoluzionare il rapporto tra
4Pio XII, Quadragesimo anno. Lettera enciclica. Roma 1931
10
soggetti privati e pubblici: il monopolio statuale della cura del bene comune cessa,
lasciando posto a una modalità condivisa di partecipazione alla cosa pubblica. Politica,
amministrazione e cittadini sono dunque chiamati a collaborare, al fine di promuovere
congiuntamente l’interesse generale con pari dignità e valore. Questo passaggio non
toglie responsabilità allo Stato, al quale rimane il compito di garantire i diritti, né in esso
si dichiara l’accettazione di qualsiasi tipo di iniziativa dei cittadini. Si può sostenere,
quindi, che l’art. 118 u.c. legittima il processo di sviluppo della cittadinanza attiva in
corso da decenni nel nostro Paese. Il senso della sussidiarietà orizzontale (o circolare,
secondo altre definizioni) che la Costituzione porta in seno, implica la condivisione
della responsabilità per l’interesse comune: una sorta di principio di partnership tra
soggetti privati e non statali e le pubbliche amministrazioni.
Il tentativo da parte della politica di fornire uno spazio di espressione per la
persona/cittadino e per la comunità, per quanto ancora caratterizzato prevalentemente
dall’astrattezza, sembra particolarmente interessante. Questo mette in luce un doppio
binario: da un lato una base che si muove vivacemente e sollecita i rappresentanti
politici a ideare politiche di sostegno e compatibilità con il mondo dell’impegno civico,
dall’altro il riconoscimento del legislatore che potenzia ulteriormente la presenza del
nonprofit nel nostro Paese. Riscontrata infatti la «capacità dei cittadini di organizzarsi
autonomamente, di mobilitare risorse, di esercitare poteri, agendo nell’ambito delle
politiche pubbliche, per la tutela dei diritti, la cura di beni comuni, l’empowerment dei
cittadini»5, da parte del legislatore diventa particolarmente interessante e produttivo
coinvolgere i cittadini attivi in termini sia di efficacia, sia di costruzione del capitale
sociale.
Da questo punto di vista, si può considerare il volontariato la più interessante tra
le varie espressioni di azione civica. In esso «la persona è chiamata ad agire non per
calcolo utilitaristico o per imposizione di un'autorità, ma per libera e spontanea
espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa»6. Il vero valore
aggiunto del volontariato, secondo Stefano Zamagni, sta nel dono. Esso è inteso come
reciprocità e, in quanto tale, non è una virtù che l’uomo porta con sé dalla nascita, ma
una dimensione verso la quale educarlo.
5
cfr Atti convegno “Il volontariato come costruttore di cittadinanza”, Verona 10 giugno 2005
6
Sentenza Corte Costituzionale n. 75/1992
11
L’educazione al dono si può considerare il compito principale del volontariato7,
la sua mission, la sua funzione più importante. Esso è il luogo privilegiato per imparare
la pratica del dono come reciprocità, da distinguere dunque dal concetto della mera
gratuità.
Come si configura il volontariato oggi, quali siano le sfide che lo attendono e i
suoi possibili paradigmi di riferimento, sono le questioni analizzate nella prima parte di
questo lavoro.
Nella seconda, si intende invece individuare il risvolto formativo più adeguato,
per rendere maggiormente consapevoli i volontari della propria funzione sociale e
politica e per individuare i metodi atti a diffondere una cultura della solidarietà.
Nella terza si presenta l’esperienza pratica, attuata durante il periodo di tirocinio,
dello Circolo di Studio per lo sviluppo della cittadinanza attiva, a cui hanno partecipato
alcuni volontari della Caritas Diocesana Veronese.
Ringrazio innanzitutto la mia famiglia per avermi sostenuta sempre nelle mie
scelte e in particolar modo in questo percorso universitario.
Ringrazio il prof. Alberto Agosti e il prof. Giancarlo Cursi per aver creduto in
questo progetto e avermi appoggiata nella sua “lunga” elaborazione.
Un ringraziamento particolare va anche a coloro con cui ho collaborato in questi
anni nella Caritas Diocesana Veronese, nella Delegazione delle Caritas del Triveneto e
in Caritas Italiana, insegnandomi che si può scommettere sempre sulle persone. Grazie
soprattutto a chi, tra questi, mi ha sempre incoraggiata, mostrandomi stima e fiducia.
Grazie all’equipe della Fondazione ERILL, che mi hanno introdotta
all’avventura dei circoli di studio, e ai funzionari della Regione Toscana che mi hanno
dedicato tempo per le interviste e la fornitura dei materiali sull’esperienza toscana.
Da ultimo, ma non per importanza, un grazie agli amici, che con modalità
diverse mi sono stati vicini. In particolar modo Desi, Leonardo D.P., Barbara B. e
Leonardo B., Barbara S. e Francesco, Daniela,Monica, Stefania, Carlo.
7
cfr ZAMAGNI S., Il gratuito non abita più qui, in A dieci anni dalla legge sul volontariato. Verifiche e
proposte, Atti di un seminario, Arti Grafiche Artale, Torino, 2002
12
Parte I. Il volontariato costruisce cittadinanza
perché produce capitale sociale
Premessa
Volontariato, cittadinanza e capitale sociale sono concetti che sempre più si
intrecciano e si completano. Negli ultimi anni, non solo si sono moltiplicati gli studi e le
pubblicazioni per ciascun argomento, ma si registra la necessità di farli convergere. Non
si può far a meno di prendere atto che vi è una connessione marcata tra l’essere
cittadino, esprimere la propria partecipazione alla cosa pubblica con attività concrete di
tipo volontaristico, e la costruzione del capitale sociale. Nella prima parte di questa tesi
si vuole capire come questo rapporto si è instaurato, saldato e quali sono le possibili
strade per uno sviluppo efficace.
Viviamo un’epoca complessa che manifesta da un lato la rapida obsolescenza
dei sistemi di rappresentanza tradizionali, dall’altra la necessità di strutturare risposte di
ampio respiro e multifattoriali. Se fino ad oggi la massima espressione di partecipazione
dei cittadini alla res publica era scegliere i propri rappresentanti mediante il voto, oggi,
nonostante l’individualismo crescete, viene palesata l’esigenza dei singoli di essere
tenuti maggiormente in considerazione dai propri eletti, a cui Beppe Grillo affida
l’appellativo di dipendenti8, e al contempo è in continuo sviluppo l’associazionismo di
base, specie quello di advocacy. Si possono individuare diversi motivi di un simile
processo. Nell’economia del presente lavoro ne prenderò in considerazione tre:
a. il processo di maturazione della democrazia in Italia e in Europa che negli
ultimi decenni ha portato alla luce l’insufficienza del government, inteso come
centralizzazione delle decisione politiche, limitate ai rappresentanti. Questo è stato colto
8
cfr. www.beppegrillo.it, blog allestito dal comico genovese, che conta una media di 150.000 contatti
giornalieri. Questo spazio web è uno dei tanti nati con l’intento di fornire una informazione alternativa
ai media tradizionali. Si cita ad emblema innanzitutto della volontà di molti cittadini di approfondire
temi importanti come la politica, l’economia, l’ecologia, il traffico e così via, utilizzando mezzi
diversi. Inoltre è possibile guardare ad internet come ad uno dei possibili strumenti di democrazia per
il futuro, che ancora non ha espresso a fondo le sue potenzialità.
13
anche a livello normativo, con il fiorire negli ultimi anni di numerose leggi che pongono
i presupposti istituzionali per la partecipazione dei cittadini, non da ultima
l’introduzione del principio di sussidiarietà all’interno della Carta Costituzionale9. Tale
orientamento, promosso anche dall’attivismo civico, sta incoraggiando sempre più a
livello locale interessanti esperienze di governance, intesa come modalità innovativa di
realizzare il policy making. Questo nuovo modo di intendere la partecipazione politica
in ambito sociale sta portando alla lenta trasformazione del Welfare da State a
community o mix, come lo definiscono alcuni.
b. l’inevitabile modificazione del concetto di cittadinanza e dello status di
cittadini legato all’appartenenza ad una nazione. Questo viene posto in crisi dalla
considerevole presenza di immigrati e dall’allargamento dei confini con l’Unione
Europea. La domanda più insistente è come garantire i diritti civili e sociali a persone a
cui non è riconosciuto tale status. Sempre più spesso si parla di cittadinanza
amministrativa, o di dimezzare i tempi di rilascio della cittadinanza per immigrati e
riconoscere lo ius solis per i figli nati in Italia, tali posizioni tuttavia sono
particolarmente osteggiate.
c. dal dopoguerra in poi vi è stato un crescente movimento della società civile.
Negli ultimi quarant’anni si è assistito alla nascita, al consolidamento e alla
ridefinizione del volontariato moderno, delle comunità di accoglienza, delle cooperative
e tutte quelle espressioni di attivismo sociale e civico che ha caratterizzato la storia
recente del nostro Paese. Tale partecipazione all’interesse generale ha accresciuto il
capitale sociale attraverso la diffusione di una cultura della solidarietà, la valorizzazione
della persona, la fiducia per il futuro, la produzione di beni relazionali e quant’altro.
Nella prima parte di questo lavoro quindi vi è la volontà di cogliere come il
volontariato in Italia si è andato definendo negli ultimi decenni, qual è il suo ruolo
all’interno della società, quali sono i suoi valori fondanti. Da qui cogliere come
interviene sul capitale sociale e di conseguenza sul concetto di cittadinanza.
Non si ha la pretesa di essere esaustivi né di possedere a pieno la materia che ha
sempre più i tratti di un mare magnum. Tuttavia si vuole proporre un percorso che metta
9
Costituzione, Titolo V, art. 118 ultimo comma
14
a tema alcuni aspetti nodali della materia, utili all’elaborazione di teorie pedagogiche e
proposte formative efficaci.
15
Capitolo 1. Il volontariato in Italia: lo stato dell’arte e i
nodi problematici sotto il profilo della
cittadinanza
1.1. Introduzione
Il volontariato è un fenomeno complesso perché estremamente eterogeneo nella
sua espressione e in continua evoluzione, soprattutto in questi ultimi decenni. Questo
ingenera una certa confusione intorno alla realtà in oggetto, ecco perché ritengo
importante iniziare questo lavoro chiarendo i significati che sottostanno al volontariato,
facendo riferimento in particolar modo alla sua storia, alle leggi e alla letteratura di
settore.
L’uso improprio di questo termine non colpisce solo l’uomo della strada, ma ad
esempio anche il giornalista e talvolta anche il politico. L’equivoco più diffuso consiste
nel considerare sinonimi volontariato e Terzo Settore, usando il primo per nominare
tutto ciò che sta nel secondo. Questo, però, non tiene conto che all’interno del nonprofit
esistono realtà organizzate come vere e proprie imprese, con tanto di personale
professionale stipendiato. Altre volte si confonde il volontariato con la beneficenza, è il
caso delle innumerevoli raccolte fondi promosse alla televisione, fuori delle porte delle
chiese o nelle piazze principali delle città, o con la semplice filantropia senza una
progettualità specifica. A questo di aggiunga che parte dei politici e degli amministratori
commettono l’errore di guardare al volontariato come supplente a basso costo da
inserire nelle falle del sistema previdenziale.
Le cause di queste imprecisioni sono molteplici: innanzitutto l’eterogeneità della
realtà e delle sue componenti che rende particolarmente complesso individuare una
definizione esaustiva del fenomeno, non a caso Luciano Tavazza10, in uno dei suoi
10
Luciano Tavazza (1926-2000) è stato uno dei massimi esperti del volontariato in Italia. La sua
competenza e passione lo hanno portato negli anni ad essere segretario generale e presidente della
Fondazione Italiana per il Volontariato (F.I.Vol.), fondatore del Movimento di Volontariato Italiano
(Mo.V.I.), vice presidente del Centro Nazionale per il Volontariato di Lucca, fondatore e presidente
della Conferenza nazionale dei Presidenti nazionali del volontariato (CON.VOL.).
16
ultimi scritti, paragonò il volontariato ad una galassia11.
Un altro elemento fonte di inesattezze è l’informazione parziale, se non
inesistente, sull’esperienza del volontariato. Questo in parte è imputabile all’assenza di
giornalisti specializzati in materia che sappiano veicolare una corretta informazione
sulla solidarietà. Spesso infatti dai mass media traspare una rappresentazione emotiva di
questa realtà: alcuni esempi tra tanti sono il fenomeno mediatico che si è ingenerato con
lo Tsunami del 26 dicembre 2004, oppure le trasmissioni televisive di sensibilizzazione
e raccolta fondi come Telethon. Si tratta in sostanza di una spettacolarizzazione del
fenomeno che produce un movimento prevalentemente economico, tipico della
beneficenza, ma che poco ha a che fare con il volontariato vero e proprio. L’obiettivo
dovrebbe essere la promozione di una presentazione del fenomeno il più possibile
vicino al reale, legata al suo quotidiano e al suo ruolo politico12 di rimozione degli
ostacoli che impediscono la piena realizzazione della persona umana. Tuttavia non è
possibile imputare tutte le colpe a giornalisti e autori televisivi. In questo scenario è
utile riconoscere la scarsa familiarità di buona parte delle organizzazioni di volontariato
con gli strumenti di comunicazione di massa, rendendo così difficile la trasmissione di
informazioni corrette su identità, mission, azioni e motivazioni che compongono questo
universo.
A incrementare l’ambiguità interviene anche la scarsa coscienza da parte degli
stessi volontari sull’importanza sociale e politica delle loro azioni. Molto spesso queste
persone non sono consapevoli delle potenzialità che il loro ruolo porta in seno. In parte
ciò è imputabile alla vocazione al fare13 del volontariato italiano. Si assiste così ad un
ripiegamento sui servizi e le prestazioni, tradendo la funzione di pungolo per le
coscienze di interi gruppi sociali. In tal modo viene depotenziato il ruolo di critica e
denuncia che appartiene peculiarmente al mondo del volontariato, a causa anche di una
assenza di riflessione nel corso dell’azione, che consentirebbe di chiarire all’interno
delle stesse organizzazioni qual è la propria identità, come si sta evolvendo e se le
azioni le corrispondono.
11
cfr. TAVAZZA L., Il volontariato nella transizione. Le prospettive e le sfide fondamentali, FIVOL,
Roma 1997, p. 15
12
cfr.TAVAZZA L., Senza il volontariato il Terzo Settore sarebbe senz’anima, in Viaggio nel Terzo
Settore (a cura di Bobba L., Nanni A), Edizioni Sonda, Torino 1997, p. 162
13
FRISANCO R., Il volto del volontariato oggi, FIVOL, Roma 2004, p. 5
17
Per uscire da questa empasse e chiarire l’identità del volontariato italiano può
essere utile e interessante ripercorrere il suo sviluppo storico, mediante un excursus che
metta in luce gli snodi fondamentali che hanno condotto alla definizione attuale del
fenomeno.
Le prime forme di volontariato organizzato, come lo conosciamo oggi, si sono
manifestate nell’immediato dopoguerra, si trattava per lo più di realtà di assistenza
legate al difficile processo di ricostruzione materiale, sociale e culturale del nostro
Paese. L’idea che sottendeva questi interventi era quella del soccorso, del dono, del
fornire ciò che mancava per riprendere una vita dignitosa. Nella seconda parte degli
anni sessanta, diminuita l’emergenza, ci si rese conto che il dono e la pura assistenza
materiale non erano risolutivi dei problemi: affiorava la necessità di introdurre la
dimensione della condivisione con la persona nel disagio, mettendo in circolo quel bene
relazionale divenuto nel tempo peculiare dell’agire volontario. Tuttavia si era ancora di
fronte ad un atteggiamento puramente filantropico e assistenziale, che, pur rientrando
nella categoria degli atteggiamenti etici positivi, erano lontani dal principio
costituzionale di solidarietà che rivendica la necessità di «rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale»14.
La prima vera svolta in questo senso si ha alla fine degli anni sessanta e i primi
anni settanta, quando il volontariato comincia a assumere i connotati moderni. È il
periodo del Concilio Vaticano II, dell’istituzione della Caritas ad opera di papa Paolo
VI, del primo Convegno Nazionale del Volontariato a Napoli convocato, su impulso di
quest’ultima, nel 1975, delle contestazioni in piazza, delle critiche della sinistra al ruolo
di ammortizzatore dei conflitti di classe dell’assistenzialismo. In questa temperie nacque
l’esigenza di porre innanzi a tutto la promozione della persona e la rimozione degli
ostacoli e delle cause delle povertà e dell’emarginazione. Il volontariato fu posto nella
condizione di rivedere i propri obiettivi, nella prospettiva che non si può dare per carità
ciò che spetta per giustizia. Venne così rifiutata la figura del volontario che non
adempie ai doveri legati alla coscienza civica e alla sua cittadinanza, rifugiandosi nel
14
Costituzione Italiana, art. 3
18
sociale come terra dei buoni, dei non politici: mons. Giovanni Nervo ribadisce il
concetto affermando che se «essere un cittadino volontario è una libera scelta, essere un
cittadino solidale è un inderogabile dovere»15.
L’ultimo decennio del secolo scorso ha visto l’affermazione di questo processo
grazie anche al riconoscimento del ruolo del volontariato da parte del Legislatore
attraverso l’emanazione, tra le altre, di una legge quadro in materia, la n. 266 del 1991,
che al primo articolo dichiara che:
la Repubblica italiana riconosce il valore sociale e la funzione dell’attività di
volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne
promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto
originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale
individuato dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano
e dagli enti locali.
Il volontariato quindi «non è un altro mondo che si sovrappone, o
autonomamente vive, rispetto all’unico mondo in cui tutti stiamo»16, ma è espressione
della cittadinanza solidale, che in modo libero e autonomo si organizza e, ispirandosi al
valore della giustizia, si adopera per la tutela dei diritti fondamentali di ogni persona
attraverso la lotta alle cause delle disuguaglianze economiche, culturali, sociali e
politiche17. Questo processo di maturazione, che ha avuto il suo sviluppo negli ultimi
decenni, sta conducendo il volontariato in una fase di transizione. Al volontariato oggi
si chiede un salto di qualità, simile a quello avvenuto negli anni Settanta: se allora ai
volontari veniva chiesto di mettersi insieme e creare organizzazioni, ora le istituzioni
sollecitano queste organizzazioni di volontariato a mettersi insieme per esprimere
rappresentanze. Emerge il valore politico del volontariato che consiste nel partecipare,
con l’intero Terzo Settore, alla rifondazione dello stato sociale, rappresentando «istanze
e gruppi sociali marginali o perdenti – esclusi - nella logica di sviluppo della società
attuale, e al tempo stesso di esprimere e di promuovere i processi collettivi di
15
NERVO G., Dalla doverosità del gratuito alla gratuità del doveroso, in Per un nuovo volontariato
quale modello di cittadinanza, Atti del Convegno nazionale FIVOL, Roma 1-2 ottobre 2004
16
CURSI G., GRAZIANI C., Il volontariato sociale italiano. Rapporto di ricerca, FIVOL, Roma 1995,
p. 6
17
cfr. TALLONE G., Parole chiave del volontariato, in Animazione sociale (aprile 2001), p. 23
19
partecipazione al bene comune»18.
Il volontario, all’interno di questa cornice, è l’attore principale, egli può essere
descritto come
la persona che, adempiuti i doveri di ogni cittadino, mette a disposizione il proprio
tempo e le proprie capacità per gli altri, per la comunità di appartenenza o per
l’umanità intera. Egli opera in modo libero e gratuito promuovendo risposte creative
ed efficaci ai bisogni dei destinatari della propria azione o contribuendo alla
realizzazione dei beni comuni19.
Individui dunque che si mobilitano con diverse motivazioni, competenze e
convinzioni politiche, culturali, ideologiche e religiose al fine di migliorare la
condizione di vita di altre persone e in generale della propria società, della propria
comunità di residenza, di quelle realtà nelle quali ripongono il proprio interesse.
Il volontario può agire sia a titolo personale che all’interno di organismi pubblici
o privati, con particolare attenzione a quelli di Terzo Settore, come cooperative sociali e
organizzazioni di volontariato. Queste ultime meritano una particolare attenzione. Esse
fondano la loro struttura e le loro attività sulla prevalenza di volontari e per essere
definite tali devono rispondere a particolari requisiti. Innanzitutto vi è l’assenza di lucro,
caratteristica che appartiene a tutto il Terzo Settore e non solo al volontariato. Altri
elementi riconosciuti fondamentali ed espressi nell’ultima rilevazione condotta dalla
Fondazione Italiana per il Volontariato (FIVOL) sono il tipo di governo che si danno i
volontari che la compongono, l’autonomia operativa; la prevalenza del lavoro gratuito
dei volontari rispetto a quello del personale remunerato sia da un punto di vista
qualitativo che quantitativo; la fornitura gratuita di prestazioni ai beneficiari e, infine,
l’esercizio di attività a vantaggio di terzi (anche in modo non esclusivo) per produrre
beni pubblici, valorizzarli o ampliarne la fruizione della comunità, ovvero mettendo a
disposizione di tutti beni altrimenti non reperibili o da acquistare20.
Da un breve excursus si iniziano ad intravedere alcuni tratti peculiari del
volontariato: la gratuità, la costruzione di capitale sociale, la diffusione del bene
18
FRISANCO R., RANCI C. (a cura di), La dimensione della solidarietà. Secondo rapporto sul
volontariato sociale italiano, FIVOL, Roma 1999, p. 10
19
FIVOL, Carta dei valori del volontariato, Roma 2002, n. 1
20
FRISANCO R., Il volto del volontariato oggi, op. cit., pp. 1-2
20
relazionale, la ricerca della giustizia, la responsabilità civile e politica, per citarne solo
alcuni. Nel proseguo del lavoro si analizzeranno questi tratti attraverso una definizione
quantitativa e qualitativa del fenomeno.
1.2. Le dimensioni del fenomeno
Le ultime indagini disponibili su scala nazionale sul volontariato risalgono al
2001. Queste sono state condotte dall’ISTAT sulle organizzazioni di volontariato
iscritte nei registri regionali - previsti dalla legge n. 266/1991 - al 31.12.2001 e dalla
FIVOL per l’aggiornamento della propria banca dati. L’Istituto di Statistica ha bastato
la propria rilevazione sulle 18.296 organizzazioni di base e di secondo livello
riconosciute. La Fondazione Italiana per il Volontariato invece ha condotto la propria
ricerca regione per regione in collaborazione con i Centri Servizio per il Volontariato,
censendo anche le organizzazioni di volontariato (OdV) non iscritte agli appositi
registri, raggiungendo un totale di 26.437 OdV. Di queste il Settore Studi, Ricerche e
Documentazione della Fondazione ne ha studiate 13.089, attraverso un apposito
questionario per la rilevazione dei dati.
Entrambe le indagini evidenziano la dinamicità del volontariato in Italia per
l’incremento del numero delle organizzazioni e delle persone mobilitate. Si può inoltre
rilevare una certa vivacità anche di tipo qualitativo oltre che quantitativo in questo
ambito. È significativo rilevare che all’inizio del decennio ben l’otto per cento degli
italiani dai 14 anni in su ha dichiarato all’ISTAT di svolgere attività di volontariato e
826.000 di questi in modo costante. La FIVOL , ripuliti questi dati da alcune
approssimazioni, ha stimato che i volontari operanti nelle OdV nel 2001 erano 950.000
e la maggioranza di questi - il 58 % - vi operava con continuità21.
Tale differenza deriva da una certa sommarietà nella definizione di volontario da
parte dell’ISTAT. All’interno dell’otto per cento citato solo il 19,5 svolge la sua attività
all’interno di OdV. Il 32 % di coloro che vengono indicati come volontari lo fa in modo
occasionale, il 19,5 % dichiara di dare solo aiuti in denaro, attività di beneficenza che
come detto in precedenza, pur essendo eticamente corretta, non ha molto a che vedere
21
Cfr. FRISANCO R., Il volto del volontariato oggi, op. cit., pp. 1-2
21
con il volontariato22. Inoltre su stessa ammissione dell’ISTAT il volontariato
occasionale «non sembra sostenuto da un insieme di motivazioni forti»23.
FIVOL nella sua indagine considera in particolar modo i volontari attivi
all’interno delle organizzazioni, distinguendoli in continuativi e in saltuari. Tale scelta
manifesta una migliore conoscenza del fenomeno da parte della Fondazione, che ha
consentito di intervenire, in fase di raccolta dati e di analisi, con maggiore cognizione di
causa. Nella tavola (Tav. 1.1) che segue viene mostrato il quadro completo delle risorse
umane e dei sostenitori delle OdV. Queste, come si può notare, possono contare su una
interessante componente di ulteriori figure più o meno attive: i donatori di sangue e di
organi - che di fatto sono anche associati -, religiosi e obiettori di coscienza24. Altra
categoria sono i soci non attivi o i sostenitori che forniscono base sociale e sostegno
economico alle unità solidaristiche. Significativo inoltre è il dato sul personale a vario
titolo remunerato aumentato rispetto la precedente rilevazione del 199725: dalle 5.938
unità retribuite di quell’anno alle 12.000 persone del 2001 (se si escludono le 10.900
unità legate a semplici collaborazioni remunerate).
Tav. 1.1 - Il quadro delle risorse umane e dei sostenitori delle OdV
Tipologia: Stima sul fenomeno nazionale
volontari attivi e continuativi 550.000
volontari attivi ma non continuativi (saltuari) 400.000
soci, iscritti, tesserati non attivi 2.480.000
donatori di sangue (attivi) o di organi 1.370.000
obiettori di coscienza 12.000
Religiosi 6.000
Persone che usufruiscono di un rimborso spese forfetario 11.500
retribuiti a rapporto di collaborazione 10.900
retribuiti alle dipendenze a tempo parziale 3.500
retribuiti alle dipendenze a tempo pieno 8.500
Persone a consulenza occasionale 9.200
TOTALE 4.861.600
Fonte: Rilevazione FIVOL 2001
22
cfr. TAVAZZA L., Il volontariato nella transizione, op. cit., p. 20
23
ISTAT, Rapporto annuale 2003, p. 364
24
Nel 2001 viene approvata la legge n. 64 che determina l’istituzione del servizio civile nazionale rivolto
a uomini e donne dai 18 ai 28 anni, per svolgere volontariamente dodici mesi di servizio negli ambiti
dell’assistenza, dell’educazione e della promozione culturale, della protezione civile, della tutela dei
beni culturali e all’estero. Da quell’anno il numero degli obiettori di coscienza è decresciuto
costantemente, fino al congedo di tutti i giovani in servizio il 1° luglio del 2005. Al loro posto nelle
associazioni sono entrati i giovani del servizio civile della legge n. 64/2001, con la peculiarità di
essere prevalentemente donne (93,2% nel 2005).
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FRISANCO R., Il volto del volontariato oggi, op. cit., p. 2