4
spesso ignorate o trascurate dalla cultura accademica del tempo. Vailati discute le idee di
Mach, Brentano, Russell, James, Peirce, Poincaré, Kidd, Durand de Gros, Effertz, autori
che in seguito avranno un loro vario destino di fortuna o sfortuna nella nostra cultura.
Particolarmente intenso il suo rapporto con Brentano, nel confronto col quale la sua
posizione filosofica si affina e si avvia ad una maturazione complessiva.
Questo tragitto di studioso, filtrato continuamente da grande sensibilità umana, attenta
alle vicende personali proprie e dei suoi amici e conoscenti, ha uno dei suoi punti cardinali
nello sforzo di chiarire il ruolo del volere nella prassi e nella teoresi etica.
Il lavoro da noi svolto cerca di ricostruire il processo di elaborazione che Vailati è
andato realizzando in tal senso. Strumento essenziale è stata l’edizione degli scritti di
Vailati curata da Mario Quaranta. La lettura completa dei testi vailatiani e dei suoi carteggi
epistolari ha permesso di focalizzare con particolare attenzione i luoghi in cui l’aspetto del
volere come fondamento dell’etica acquista, progressivamente, valore decisivo. Per
mettere a fuoco l’ottica dell’autore cremasco si sono pure prese in considerazione alcune
opere di Brentano e di Moore citate nei suoi scritti. La cortesia di Mario Quaranta – che si
ringrazia sentitamente – ci ha messo infine a disposizione alcune lettere inedite di Vailati a
Guglielmo Salvadori, e di questi a Vailati, attinenti all’argomento della tesi: si dà in
appendice copia degli originali.
Nelle riflessioni del nostro filosofo si è tentato di individuare ed esporre analiticamente
le tesi propriamente “metaetiche” che vedono una netta separazione tra intelletto e
volontà. Queste tesi si traducono in una “teoria dell’azione” connotata da un chiaro anti-
intellettualismo e da sfumature latamente “volontaristiche”. Per Vailati non si può
costruire alcun edificio etico se non lo si fa poggiare su di un imperativo categorico, su di
una “tavola di valori”, la cui individuazione è di competenza della sfera volitivo-
sentimentale. A questo proposito la ragione ha la funzione di strutturare e orientare le
azioni umane: una funzione comunque necessaria ed imprescindibile. Questi sono alcuni
degli aspetti dell’indagine morale vailatiana, i quali prefigurano come egli possa essere
considerato un precorritore di posizioni centrali nella ricerca in ambito “metaetico” della
filosofia contemporanea, quali per esempio le concezioni non-cognitiviste.
In un momento storico che vedeva formarsi con il volgere cronologico del secolo un
ben più profondo guado culturale, coinvolgente le certezze scientifiche, le istituzioni
5
sociali, la sensibilità artistica, la nozione di verità, il metodo della filosofia, non poteva non
aversi un forte sommovimento anche riguardo alle esperienze morali. Talune di queste
mutazioni sono state avvertite parecchio tempo dopo. Se la prima guerra mondiale ha
brutalmente fatto emergere il travaglio socio-politico, le nuove visioni artistiche sono
uscite dall’avanguardia più tardi, le discussioni sulla divisione e sul valore delle scienze
hanno diffuso la loro influenza assai più lentamente. E la discussione etica nella quale,
come si accennava all’inizio, intervengono dinamiche estremamente complesse è quella
che ha maggiormente resistito, ma anche assorbito la crisi. Per certi aspetti solo
recentemente si è preso atto in modo esplicito che la tensione tra verità e bontà sembra
lacerata più che “sfilacciata”, che le articolazioni tra impulso e scelta procedono “a zig e
zag”, che il desiderio emozionalmente avvertito di grandi ideali cresce, mentre decresce la
capacità di affrontare e discutere intorno ai principi della razionalità umana. Così si è
giustamente parlato del prevalere di una “etica della situazione”: non già nel senso
dell’interpretazione volgarmente diffusa che qualsiasi cosa è preliminarmente lecita, ma
nel senso di avvertire che il coniugarsi di cultura e civiltà, il potenziarsi di scienze e
tecnologie, l’accelerazione che il XX secolo ha impresso alla storia, rendono possibili
concretamente e non solo come ipotesi teorica tanto l’esaltazione della mera effettualità
come norma ( it works ) fino all’indifferenza circa il valore, quanto una ripresa dell’etica più
attenta alle differenze dell’esperienza umana, la quale pure lascia intravedere, in quanto
umana, un’intenzione d’unità. Nel travaglio del mondo contemporaneo la dimensione del
volere viene così ad essere uno dei passaggi cruciali, qualunque sia l’inizio attraverso il
quale ci si renda consapevoli dell’agire, dell’attività umana nelle sue variabili espressioni.
La testimonianza di Vailati è per certi versi quella di un precursore di cui si ammira la
sensibilità, l’impegno intellettuale, la drammaticità delle prospettive entro cui avvertiva di
muoversi, la tenacia con cui si confronta con i propri interlocutori, talché non si può non
rammaricarsi che non gli sia stato concesso di portare a compimento quanto aveva
progettato ed iniziato a realizzare.
6
PARTE PRIMA
IL VOLERE COME FONDAMENTO DELL’ETICA
SECONDO VAILATI
7
1. Il problema morale nell’epistolario
A una prima considerazione degli scritti di Giovanni Vailati può sorgere il dubbio che
non vi sia materiale sufficiente per attribuirgli una compiuta dottrina morale. Ma una
lettura più attenta, collegando tra loro i vari accenni e indizi contenuti nei saggi, negli
articoli, nelle lettere, rende evidente che Vailati ci ha lasciato un insieme di riflessioni
coerente su tale argomento. Alcuni studiosi, tra cui Jeanne Féderique Renauld
1
, Candido
Zanoni
2
, Giovanni Bonomi
3
e Vincenzo Milanesi
4
concordano nel sostenere che, pur non
avendo Vailati « elaborato una teoria generale dell’etica, ha dato tuttavia un preciso
indirizzo alle sue ricerche analitiche di filosofia morale »
5
. Il problema morale è importante
per Vailati “filosofo”, ed è al centro dell’interesse di Vailati “uomo”, come ci mostrano
chiaramente alcune riflessioni tratte dalle lettere da lui spedite al cugino Orazio Premoli.
« Quest’argomento della morale e dei suoi rapporti con la scienza, con la religione, colla
letteratura, colla filosofia, colla psicologia, coll’arte, colle scienze sociali, ecc. è proprio ora
all’ordine del giorno »
6
. L’uomo morale, cioè « l’uomo che abbia la forza e la volontà di
adempiere ai suoi doveri dominando le sue passioni » non sorge per generazione
spontanea, ma è piuttosto « un prodotto complicato che ha bisogno di essere fomentato,
coltivato, protetto contro le cattive influenze, in breve educato...»
7
. Insomma, lo sviluppo
dei sentimenti morali dell’uomo è di importanza primaria per ottenere che egli non si
abbandoni « al cieco impulso delle circostanze » e possa difendersi contro « l’azione
demoralizzatrice dell’ambiente che lo circonderà »
8
. E poi ribadisce: « È alla volontà e non
all’intelletto che deve essere rivolta anzitutto e soprattutto l’azione disciplinatrice e
regolatrice. Quanto è superiore l’uomo che è giusto e buono perché sente di doverlo
1
J. F. RENAULD, “Quelques observations sur les ‘Idees morales’ di Vailati et Calderoni”, Rivista critica di
storia della filosofia, III, Milano, 1963, pp. 429-432.
2
C. ZANONI, “Some reflections on Vailati’s Ethical Philosophy”, Rivista critica di storia della filosofia, III,
Milano, 1963, pp. 416-428.
3
G. BONOMI, G. Vailati, Cremona, Padus, 1970-72, 3 voll.
4
V. MILANESI, Un intellettuale non ‘organico’: Vailati e la filosofia della prassi, Padova, Liviana, 1979, e Prassi
e psiche. Etica e scienze dell’uomo nella cultura filosofica italiana del primo Novecento, Trento, Verifiche, 1983
5
G. BONOMI, op cit., vol. III, p.168.
6
Lettera a Orazio Premoli del 27 febbraio 1895 in G. VAILATI, Epistolario 1891-1909, a cura di G.
Lanaro, Torino, Einaudi, 1971, p. 32.
7
Ibid., loc. cit.
8
Ibid., p. 33.
8
essere, all’uomo che agisce bene o giustamente perché sa che agendo diversamente va
preparando a sé dei danni da cui il suo egoismo rifugge! »
9
.
« Per me l’uomo ideale ( cioè l’uomo che vorrei essere ) è l’uomo che conosce il suo
dovere di oggi ed ha la forza di adempirlo oggi, e che dopo aver scelto qual è il genere di
bene che egli è più atto a fare, si pone nella condizione di poterlo fare abitualmente e lo fa
senza darsi troppo pensiero di quello che avverrà di lui vivo o morto. Qualunque uomo si
dia a questa regola di condotta [...], in fondo la sostanza è sempre la stessa ed è la
seguente: vivere per qualche cosa di più o di meglio del nostro io e delle sue esigenze
animalesche, diminuire per quanto possibile la differenza tra quello che siamo e quello che
secondo noi dovremmo essere, tra quello che facciamo e quello che dovremmo fare »
10
.
Dunque, è proprio dalle lettere inviate ad Orazio Premoli che conviene partire per
indagare l’argomento del nostro lavoro. Queste lettere si collocano cronologicamente
negli anni dei primi lavori vailatiani non riguardanti il campo della logica matematica. Già
dai brani appena proposti si può chiaramente notare come Vailati operi nel campo
dell’azione umana una netta distinzione tra la ragione ( o intelletto ), ossia la dimensione
razionale, e la volontà, o dimensione volitivo-sentimentale, in ciò collegandosi con la
tradizione empiristica.
Si ha uno dei più chiari riferimenti a questa convinzione nella lettera al Premoli del 30
giugno 1895: « A nessuno di loro [ “veri scienziati” ] è mai passato per la mente che
bastasse istruire l’uomo per educarlo, o che bastasse mostrargli ciò che esso è per renderlo
desideroso di diventare quello che egli dovrebbe essere; la scienza, essi hanno sempre detto,
dà all’uomo i mezzi di raggiungere i fini che esso si propone, ma non è sua mansione
prescrivere agli uomini quali sono i fini in vista dei quali essi debbano agire e al cui
conseguimento debbano dirigere i loro sforzi e i loro sacrifici »
11
. In questo passo è
nettamente distinto il ruolo della scienza da quello dell’etica: la scienza è una ricerca dei
mezzi che rendano possibile all’uomo di raggiungere determinati fini che egli si prefigge,
ma non può assolutamente svolgere la funzione di prescrivere questi stessi fini.
9
Ibid., loc. cit.
10
Lettera a Orazio Premoli del febbraio 1896, in Epistolario, p. 42.
11
Lettera a Orazio Premoli del 30 giugno 1895, in Epistolario, pp. 36-37.
9
Non ha senso, pertanto, chiedere alla scienza quali fini l’uomo debba perseguire: il
sapere che la scienza fornisce ha un valore “strumentale”, capace di aiutare l’uomo ad
organizzare meglio il suo agire, ma niente di più.
Nella lettera del 21 febbraio 1898 vi è inoltre un’altra importante affermazione:
« Trascorsa la prima parte della vita nella quale il carattere si forma e la personalità si
determina, poca è l’influenza che possono esercitare su di noi le diverse opinioni o
credenze che possiamo avere o acquistare. Le nostre qualità , il nostro modo di agire, la
nostra felicità, dipendono assai più da ciò che siamo che non da ciò che sappiamo o
crediamo; e quello che importa di più è il volere e l’agire in una direzione piuttosto che in
un’altra, che non l’ordinare le proprie opinioni speculative secondo uno schema piuttosto
che un altro »
12
.
Da tutti questi brani si possono cogliere i prodromi delle successive riflessioni
vailatiane nel campo della morale; si evince, infatti, oltre ad un’originaria distinzione tra
intelletto e volontà, anche un primato dell’azione nella vita dell’uomo, un primato della
dimensione volitiva su quella intellettiva.
Si chiarisce così l’affermazione contenuta nella lettera del 27 febbraio 1895 cui sopra
facciamo riferimento: Vailati sostiene che un’autentica azione pedagogica è
necessariamente volta allo « sviluppo dei sentimenti morali dell’uomo, e specialmente del
giovane ». « Ogni giorno più si viene a riconoscere la gran verità che l’istruzione
propriamente detta non è, tutt’al più e nel migliore dei casi, che una piccola parte
dell’educazione: essa è, o meglio dovrebbe essere, l’educazione dell’intelletto, alla quale
dovrebbe far riscontro l’educazione della volontà e quella dei sentimenti »
13
.
Tali connotazioni hanno indotto alcuni interpreti a parlare di meta-etica
14
“divisionista”
di Valiati, con una coloritura decisamente “anti-intellettualistica”.
12
Lettera a Orazio Premoli del 21 febbraio 1898, in Epistolario, p. 51.
13
Epistolario, p. 33.
14
Facciamo nostra l’impostazione di quanti ritengono che ogni indagine etica si articoli su due livelli:
uno meta-etico che indaga la natura dell’etica, e uno che possiamo chiamare di etica normativa che si
occupa dei criteri in base ai quali giudicare la moralità delle azioni. Cfr. qui, nota 120.
10
2. La separazione tra intelletto e volontà
Questa persuasione non rimane confinata alle lettere; non si tratta di espressioni
estemporanee, dettate da una qualche particolare situazione “esistenziale”. Al contrario,
siamo di fronte ad una posizione filosoficamente radicata – destinata a ulteriori sviluppi –
che parallelamente alle lettere trova espressione anche negli scritti “ufficiali”. Un esempio
su tutti può essere la recensione di Vailati al volume Social Evolution di B. Kidd del 1895
15
.
In essa il filosofo cremasco esprime consenso alle teorie di Kidd per il quale, se lo
sviluppo dell’intelligenza degli uomini – e quindi la loro capacità di mettere in discussione
l’autorità di costumi e di leggi non suscettibili di essere giustificati dal punto di vista
dell’interesse immediato e individuale – sopravanza lo sviluppo dei sentimenti morali, si
rende impossibile la cooperazione sociale. « L’insufficiente sviluppo delle facoltà morali
rende allora gli uomini incapaci a promuovere consciamente quel benessere comune che
prima, sotto la guida delle istituzioni tradizionali, promuovevano inconsciamente; gli interessi
egoistici individuali si scatenano e le classi dominanti sono spinte a sfruttare a proprio
vantaggio quel prestigio e quell’autorità che prima si esercitavano pel vantaggio di tutti »
16
.
« Una volta che un certo grado di civiltà è raggiunto dalla specie umana, l’azione della
selezione naturale cessa di favorire lo sviluppo delle facoltà intellettuali. Le razze intellettualmente
meglio dotate sono costrette a cedere il passo ad altre che pure essendo a loro inferiori
sotto questo riguardo, le sopravanzano per le qualità del carattere e lo sviluppo dei
sentimenti morali. »
17
.
Kidd conclude la sua opera sostenendo che « il vero primum mobile dell’avanzamento
della società sta nel graduale sviluppo in tutte le classi della società […] di un sentimento
sempre più elevato dei doveri di tutti verso ciascuno e di ciascuno verso tutti »
18
.
15
G. VAILATI, “B.Kidd. Social Evolution”, Riforma Sociale, vol. V, fasc. I, anno III, 1896, in Scritti, a
cura di Mario Quaranta, Bologna, A. Forni, 1987, vol. III, pp. 3-10.
16
Ibid., p. 6.
17
Ibid., p. 8.
18
Ibid., p. 10.
11
A prescindere dalla validità delle teorie sociali espresse da questo filosofo, è indicativo
il fatto che la simpatia di Vailati vada ad una concezione, la quale tiene ben separate
« facoltà intellettuali » e « facoltà morali », e dove proprio queste ultime vengono
presentate come l’elemento primo propulsore del progresso sociale – in corrispondenza
con ciò che Vailati aveva scritto circa un anno prima al cugino Premoli. Questo scritto,
con altri, è la prova di un ben radicato ed autonomo atteggiamento vailatiano.
A questo punto assume un’importanza fondamentale, nella biografia intellettuale di
Vailati, l’incontro con Franz Brentano, avvenuto nei primi anni del Novecento. Egli
manifesta una profonda stima per Brentano, « il più grande professore di filosofia che vanti
ora la Germania »
19
. Nell’opera La psicologia dal punto di vista empirico del pensatore tedesco
Vailati trova una conferma teorica alla sua intuizione di una fondamentale diversità tra i
fatti mentali del valutare e quelli del giudicare.
Come si può leggere nella comunicazione al Congresso internazionale di psicologia del
1900, tenuta a Parigi e intitolata Sulla portata logica della classificazione dei fatti mentali proposta
dal prof. Franz Brentano
20
, Vailati ritiene che la classificazione dei fatti mentali proposta dal
filosofo tedesco presenti dei notevoli vantaggi dal punto di vista « logico », cioè « per
quanto riguarda l’applicazione della psicologia all’analisi e al controllo critico dei processi
intellettuali »
21
. Per il filosofo cremasco giungere all’esatta determinazione delle distinzioni
e delle relazioni tra i fatti mentali comporta il notevole vantaggio di « togliere occasione ai
malintesi e alle confusioni così facili a presentarsi nelle trattazioni riferentisi all’origine e
alla natura delle prove delle nostre conoscenze più intuitive e dei nostri giudizi più istintivi
e spontanei ».
19
Lettera a G. Vacca del 28 febbraio 1900, Epistolario, p. 146.
20
G. VAILATI, “Sulla portata logica della classificazione dei fatti mentali proposta dal prof. Franz
Brentano”, Rivista Filosofica, anno II, fasc. I, gennaio-febbraio 1901, in Scritti, vol. II, p.87. Vogliamo far
presente che i rapporti tra Brentano e Vailati sono trattati più diffusamente nella seconda parte della tesi.
Ci preme, ora, focalizzare l’attenzione sulle posizione del filosofo cremasco, mettendo in luce l’originaria
intuizione della distinzione tra intelletto e volontà.
21
Ibid., loc. cit.
12
Brentano classifica i fenomeni psichici in tre classi fondamentali, corrispondenti alle tre
diverse modalità secondo cui un fenomeno psichico può rivolgersi al suo oggetto
22
. La
prima classe è quella delle rappresentazioni nel senso più ampio: dalle rappresentazioni
sensibili, concretamente intuitive, a quelle della fantasia, ai concetti, « ogni qual volta ci si
manifesta qualcosa ».
La seconda classe è quella del giudizio inteso come un accettare ( come vero ) o un
rifiutare ( come falso ) un oggetto rappresentato. Brentano fa rientrare in questa classe
altri fenomeni psichici che costituiscono varie forme di conoscenza ( come il
ricordo, il dubbio, la convinzione, ecc. ).
Infine vi è la terza classe che comprende i fenomeni designati come moti d’animo, interesse o
amore intesi come un accettare ( come gradito o amato ) o un rifiutare ( come sgradito o
odiato ) un oggetto rappresentato. In questa classe il filosofo tedesco unifica i fenomeni
del sentimento con la volontà, il desiderio, l’aspirazione ritenendoli intimamente
connessi
23
.
Vailati accetta sostanzialmente la classificazione brentaniana, anche se con alcune
differenze
24
.
22
F. BRENTANO, Psychologie vom empirischen Standpunkt, Lipsia, 1874. L’opera ebbe nel 1911 una II
edizione parziale a cura dello stesso Brentano. Dopo la morte del filosofo, il discepolo O. Kraus curò la
nuova edizione della prima parte ( Leipzig 1924; rist., Hamburg 1973 ), a cui fece seguire quella della
seconda arricchita da alcuni saggi inediti ( Leipzig 1925; rist., Hamburg 1971 ), e di una terza, interamente
composta con materiale tratto dal Nachlaβ ( Leipzig 1926; rist., Hamburg 1974 ). Trad. it. dell’edizione di
Kraus a cura di L. Albertazzi, Bari, Laterza, 1997, 3 voll.
23
F. BRENTANO, Psicologia dal punto di vista empirico, cit., vol. II, pp. 42-43.
24
« La classificazione del Brentano è caratterizzata, in primo luogo, da ciò, che gli stati di coscienza,
implicanti attitudini mentali di aspettazione o di previsione, in tutte le loro varietà e sfumature (convinzione,
dubbio, speranza, timore, fiducia, ecc.), vi sono raggruppati in una categoria, coordinata e nello stesso
tempo opposta, da una parte alla categoria delle semplici rappresentazioni (che comprende le sensazioni
propriamente dette, le sensazioni ricordate, le immagini mentali, le idee ecc.), e, dall’altra parte, alla
categoria dei fenomeni di volizione e d’impulsione o inibizione volontaria ». Scritti, vol. II, p. 86.
13
Ciò che risulta subito evidente è che egli indica la seconda classe di fenomeni psichici
con i termini aspettazione o previsione e la terza con il termine volizioni
25
. Inoltre, il filosofo
cremasco sottolinea come « la distinzione tra queste tre categorie fondamentali […] trova,
secondo il Brentano, la sua principale giustificazione nella possibilità, o anzi nella
necessità, di stabilire tra esse ciò che si potrebbe chiamare un ordine di gerarchia,
inquantochè, da un lato ogni “aspettazione”
26
( πρόληφις, credenza, giudizio ), essendo una
credenza a qualche cosa, presuppone una rappresentazione, più o meno chiara, di ciò che si
crede, mentre, d’altra parte, ogni atto volontario presuppone ( insieme a una
rappresentazione più o meno determinata di una parte almeno del processo che esso
tende a realizzare ) anche una sorta di credenza, o di opinione, riguardante l’efficacia dei
mezzi da mettere in opera per raggiungere lo scopo voluto »
27
.
Facendo propria tale classificazione, Vailati ribadisce dunque chiaramente e in forma
rigorosa la netta distinzione tra la dimensione intellettuale e la dimensione affettivo-
volitiva: esse sono, appunto, due differenti modi in cui la mente si applica ai suoi oggetti.
Proseguendo nella disamina di questa distinzione, Vailati opera l’interessante
parallelismo tra la classificazione degli stati di coscienza e « le distinzioni più fondamentali
che i logici sono indotti a stabilire tra le differenti specie di proposizioni, quando le
vogliono classificare secondo il loro significato, o secondo ciò che i trattatisti inglesi
25
Per quanto riguarda la prima variazione terminologica, ciò è da imputarsi all’atteggiamento
pragmatistico di Vailati che aveva fatto proprio il procedimento metodologico del Pierce. Risultano,
perciò, illuminanti i seguenti passi tratti dal saggio “Le origini e l’idea fondamentale del Pragmatismo”
pubblicato nel 1909 sulla Rivista di Psicologia applicata: « Il solo mezzo di determinare e chiarire il senso di una
asserzione consiste nell’indicare quali esperienze particolari si intenda con essa affermare che si produrranno, o si
produrrebbero date certe circostanze »; « Per ogni nostro atto di pensiero che non contenga od implichi alcun riferimento al
futuro, cioè alcuna previsione o aspettazione, il parere di ciascuno di noi non è soggetto ad alcuna contestazione »; « La
questione della verità o falsità può nascere soltanto quando la sensazione o esperienza di cui si tratta ci
suggerisca o ci faccia prevedere altre sensazioni, non presenti queste, ma future, non attuali, ma possibili;
soltanto cioè quando, e in quanto, alle esperienze o sensazioni immediate si aggiungano o si mescolino
delle aspettazioni o previsioni di qualsiasi specie ». Scritti, vol. I, pp. 116-118.
Ora risulta chiara la diversa designazione della seconda classe: essa riguarda i giudizi di fatto per i quali
si impone il problema della verità: ciò è evidente dal successivo parallelismo tra i fenomeni psichici e le
proposizioni classificate dai logici. Riguardo alla seconda variazione terminologica, molto probabilmente
Vailati ha inteso sottolineare in questo modo l’aspetto concernente l’azione e la scelta di scopi. Comunque
anche per il filosofo cremasco la terza categoria comprende ogni fenomeno del sentimento.
26
Con aspettazioni Vailati intende non solo i giudizi relativi al futuro, ma anche quelli che si riferiscono
al presente o al passato. Egli stesso chiarisce questo punto nella nota 1 dello scritto. Scritti, vol. II, nota 1,
p. 88.
27
Ibid., pp. 87-88.
14
chiamano il loro import »
28
. Vi è, quindi, una « corrispondenza intima » tra i fatti mentali e
queste proposizioni che ne sono espressione.
Alla prima categoria di Brentano, quella delle rappresentazioni, corrispondono « le
proposizioni che hanno il solo scopo di chiarire o d’analizzare il senso di una parola o
d’una frase di cui s’intende far uso », vale a dire « tutte le proposizioni che partecipano
della natura delle definizioni » ( o proposizioni verbali secondo la terminologia milliana ).
Alla seconda categoria delle aspettazioni, invece, « appartengono le affermazioni
propriamente dette, quelle cioè che esprimono il grado del nostro assenso, o del nostro
dubbio, di fronte ad opinioni relative a questioni di fatto, ad opinioni, cioè, suscettibili di
esser vere o false indipendentemente da ogni convenzione umana sul modo di esprimerle »
29
( ovvero le proposizioni reali di J. S. Mill ). Vailati rileva, a questo proposito, come
l’imperfezione del nostro linguaggio ci porta a non distinguere sempre tra queste due
specie di proposizioni, in particolare quando sono entrambe espresse nella forma
grammaticale dell’indicativo.
C’è infine una terza classe di proposizioni che corrisponde alla terza categoria di fatti
psichici. Questa classe « è costituita dalle proposizioni che servono ad esprimere, non
delle credenze relative a ciò che è o che avviene ( o è avvenuto, o avverrà ) ma invece
degli apprezzamenti o dei “giudizi di valore” »
30
. Anche in quest’ultimo caso, ambiguità
insite nel nostro linguaggio possono farci confondere proposizioni della terza classe con
quella delle classi precedenti. Particolarmente importante, naturalmente, risulterà essere la
distinzione tra i giudizi di fatto e i giudizi di valore
31
, tanto da affermare esplicitamente
che « per nessuno sforzo di ragionamento e di deduzione, può esser mai possibile,
prendendo come punto di partenza solo proposizioni appartenenti all’una o all’altra di tali
28
Ibid., p. 88.
29
Ibid., loc. cit.
30
Ibid., p. 89.
31
« Quando diciamo, per esempio, che “la funzione dello Stato è di proteggere i cittadini nell’esercizio dei loro
diritti” si può domandare se con questa affermazione noi intendiamo semplicemente dare delle
informazioni su ciò che si verifica normalmente, o tende a verificarsi in fatto. O se noi vogliamo invece
dare espressione alla nostra concezione ideale delle relazioni che devono sussistere tra lo Stato e gli
individui. Lo stesso si potrebbe dire, prendere un altro esempio, anche della frase: “Tutti i cittadini sono eguali
davanti alla legge”, nella quale la parola sono può, nello stesso tempo, essere interpretata come esprimente ciò
che è effettivamente, o ciò che dovrebbe essere ». Scritti, p. 89.
15
tre classi, ottenere, come conclusione, una proposizione appartenente a una classe diversa
da quella a cui appartengono le proposizioni da cui si è partiti »
32
. L’illusione di poter fare
una cosa simile porta, secondo Vailati, ad un notevole numero di questioni inutili, prive di
senso o a « cattive speculazioni metafisiche ».
Su questo importante punto ritorneremo quando tratteremo il problema della
fondazione dell’etica. Per ora ci premeva far rilevare la differenza e la netta separazione
tra intelletto e volontà; una differenza che non è riconducibile ad alcuna distinzione
verbale o puramente logica, ma è fondata su qualcosa che è anteriore alla sua
codificazione in una norma del linguaggio
33
, ossia in una originaria distinzione dei
fenomeni psichici.
Un tale assunto rimarrà sempre una salda acquisizione nel pensiero di Vailati: « Lo
sviluppo dei sentimenti morali, sia nell’individuo che nella razza, per quanto e comunque
possa essere connesso allo sviluppo delle cognizioni e delle attitudini intellettuali, è
qualche cosa di affatto distinto da questo »
34
: così si legge nella recensione a I postulati della
Scienza Positiva e il Diritto Penale del suo amico-allievo Mario Calderoni, pubblicato nel
1901. Questo orientamento teorico sarà ribadito, trovando un’espressione ancora più
chiara, nello scritto La distinzione fra Conoscere e Volere del 1905, uno dei più significativi
della maturità del filosofo cremasco. Egli, ancora una volta, riconosce a Brentano il merito
di avere insistito più di qualunque altro psicologo « sull’assoluta eterogeneità degli atti coi
quali aderiamo o rigettiamo una data opinione o credenza, e quelli coi quali dichiariamo il
nostro modo di valutare determinati fini e la loro diversa desiderabilità o importanza »
35
.
La differenza tra i giudizi di fatto e i giudizi di valore è caratterizzata dalla circostanza che,
mentre nel primo caso « le nostre affermazioni implicano, direttamente o indirettamente,
delle previsioni su ciò che avverrà o avverrebbe se date circostanze si verificassero », nel
32
Ibid., p. 90.
33
Cfr. C. ZANONI, “Some reflections on…”, cit., p. 417.
34
G. VAILATI, “Mario Calderoni. I postulati della Scienza Positiva e il Diritto Penale”, Rivista Italiana di
Sociologia, anno IV, fasc. 2-3, marzo-giugno 1902, in Scritti, vol. I, p. 289.
35
G. VAILATI, “La distinzione fra Conoscere e Volere”, Leonardo, anno III, giugno-agosto 1905, in
Scritti, vol. I, p. 56.