7
Una visione d’insieme: analisi delle principali variabili macroeconomiche
Trainati dall’onda del successo esplosivo d’alcune iniziative e annebbiati
dall’occasione che il “momento d’oro” fosse arrivato per tutti, a portata di mano,
con una crescita infinita, moltissimi investitori hanno impiegato tutte le loro
risorse in questa nuova filosofia di business, confidando nei rapidi e elevatissimi
guadagni che si potevano trarre.
L’epicentro della “new economy” è localizzato negli Stati Uniti, dove è stato
raggiunto il massimo sviluppo sia in termini dimensionali che d’innovazione.
Negli Stati Uniti si è assistito, per un prolungato periodo di oltre cinque anni, ad
una costante ed elevata crescita del PIL, dell’occupazione e delle quotazioni dei
mercati finanziari, mentre il tasso d’inflazione rimaneva pressoché invariato,
anche in virtù dell’aumento di produttività derivante dalla diffusione delle nuove
tecnologie in ogni settore produttivo.
Ed è proprio in questo Paese che si sono registrati, con maggiore intensità, gli
effetti negativi della “bolla speculativa” legata ai titoli tecnologici, che, se inseriti
in un contesto generale caratterizzato da alcuni gravi episodi, non necessariamente
a ciò connessi, ne hanno contribuito l’accentuarsi e il diffondersi in tutto il
mondo.
Tornando ai giorni nostri, mi sono chiesta: chi ha finanziato la new economy? Ed
è davvero una nuova economia nel senso letterale del termine, o come penso, è
un’economia come tutte le altre, che ha aperto sì nuove frontiere, ma è anche
caratterizzata da limiti?
Il protagonista degli ultimi anni non sono state le banche, lo Stato o le grandi
imprese, che pure vi hanno concorso, ma il venture capital.
Ed è proprio sul venture capital, a conclusione del percorso dei miei studi
economici, che ho deciso di condurre le mie analisi sviluppando questa tesi di
laurea.
Gli alti rendimenti conseguiti nell’ultima decade dal venture capital, sia
statunitense sia europeo, hanno attratto l’attenzione di investitori, imprese,
economisti e ricercatori.
8
Una visione d’insieme: analisi delle principali variabili macroeconomiche
Ne è risultata una crescita esponenziale in termini di capitali gestiti da questo
nuovo comparto della finanza e una proliferazione di studi che cercano di spiegare
il funzionamento dell’industria e di indagare le cause e la sostenibilità di lungo
periodo delle elevate performance da esso prodotte.
Come si vedrà nel mio lavoro, tentare di dare una spiegazione razionale ai
fenomeni avvenuti è limitante, poiché ci sono altri agenti, di natura irrazionale ed
emozionale, o anche di carattere fortuito, diffusi tra gli operatori, difficili da
tradurli in modelli empirici. Attingendo a questi recenti studi, la prima parte di
questo lavoro cerca di dare una risposta ai seguenti interrogativi: quali sono i
fattori che hanno determinato gli alti rendimenti del settore? Ovvero, quali sono i
punti di forza e le peculiari caratteristiche dell’industria del venture capital negli
Stati Uniti, in Europa e in Italia?
Per quanto i dati lo consentiranno, cercherò di cogliere le più recenti tendenze del
settore, che senz’altro danno un’indicazione importante sulla sostenibilità dei
risultati ottenuti dall’investimento in capitale di rischio.
Nonostante le condizioni culturali, economiche ed istituzionali del nostro Paese ne
abbiano ritardato lo sviluppo, l’Italia rappresenta un terreno fertile per il venture
capital.
Inoltre, nel 2002, il Nuovo Mercato italiano, su cui sono quotate le imprese high
tech, si è confermato secondo in Europa sia per capitalizzazione che per scambi ed
ha registrato la migliore performance tra le principali Borse europee.
Nell’ultima parte del lavoro analizzerò un caso concreto: la Novuspharma s.p.a.,
una start up biotecnologica nata durante il fermento degli anni passati, quotata sul
Nuovo Mercato italiano nell’anno 2000, ha beneficiato delle iper-valutazioni che
gli investitori attribuivano alle imprese neonate ad alto contenuto tecnologico.
Quando la bolla si è sgonfiata, in Italia, alla fine del 2001, ha accusato i sintomi
della “normalizzazione” delle aspettative degli investitori. A mio parere, essa
rappresenta il “prototipo” dell’impresa nata sull’onda di un fenomeno, ma che ha
9
Una visione d’insieme: analisi delle principali variabili macroeconomiche
saputo resistere quando gli effetti si sono esauriti, traendone tutti i benefici
possibili e continuando a crescere sulle sue solide fondamenta.
Ho redatto la mia tesi basandomi sulla mia visione delle cose e raccogliendo
informazioni attraverso giornali, riviste e libri che trattavano il tema di mio
interesse: essa si inserisce in un contesto macroeconomico difficile.
Dopo un decennio di crescita tumultuosa, infatti, che provocò il boom della Borsa
e la rivalutazione del dollaro americano, gli Stati Uniti sono entrati ufficialmente,
alla fine del 2001, dopo i tragici avvenimenti dell’11 settembre, in una fase di
dura recessione e d’incertezza economica, trascinando con sé anche l’Europa.
Le recenti informazioni provenienti dagli indicatori di breve periodo e dalle
indagini congiunturali,
1
suggeriscono che la crescita del Prodotto Interno Lordo
(PIL), nell’area dell’Euro ha continuato ad essere moderata nel corso del 2002.
La crescita stenta a decollare e l’attuale debolezza del clima di fiducia riflette il
continuo aumento dell’incertezza registrato sui mercati finanziari mondiali sin
dall’estate 2002, che ha causato un aumento della volatilità sui mercati azionari,
associata alle prospettive sfavorevoli per l’economia mondiale, alle tensioni
geopolitiche (la guerra in Iraq) e del loro possibile impatto sui corsi petroliferi.
L’andamento altalenante dei prezzi dei titoli azionari è in parte attribuibile ad una
“normalizzazione” delle aspettative degli investitori rispetto alle valutazioni
eccessivamente ottimistiche prevalenti nella prima metà dell’anno 2002.
Lo scenario più probabile per l’area dell’Euro continua a prevedere il ritorno della
crescita su tassi prossimi a quelli del prodotto potenziale a partire dal 2003,
passando dallo 0,8 per cento nel 2002 all’1,9 per cento nel 2003, fino a
raggiungere il 2,7 per cento nel 2004. Per gli Stati Uniti, la crescita del PIL è
attesa dalla seconda metà del 2003, muovendosi da un valore del 2,3 per cento
registrato nel 2002, al 2,6 per cento nel 2003, fino al 3,6 per cento nel 2004.
1
OECD, “Economic Outlook, preliminary edition”, opera citata.
10
Una visione d’insieme: analisi delle principali variabili macroeconomiche
Le attese di un miglioramento dell’attività economica nell’area dell’Euro sono
soggette ad una ripresa dei consumi privati, esse dipendono dal graduale
recupero dell’economia mondiale e dalle esportazioni che, unitamente al basso
livello dei tassi d’interesse, dovrebbero contribuire a rafforzare gli investimenti.
Il contributo della domanda interna è stato positivo nel corso del 2002 per la
prima volta, in seguito a una ripresa dei consumi delle famiglie, solo parzialmente
compensata dalla continua contrazione degli investimenti totali, sia nei paesi
dell’Euro (-2,7 per cento nel corso del 2002), sia negli Stati Uniti (-2,6 per cento).
Per quanto concerne i prezzi, il tasso d’inflazione sui dodici mesi, misurato
dall’Eurostat per il mese di dicembre 2002, ammontava al 2,2 per cento e non si
escludeva un ulteriore aumento in futuro (dovuti all’eventualità di un conflitto
armato in Medio Oriente) e un ritardato rientro su livelli inferiori al 2 per cento.
Il tasso di inflazione, infatti, ha toccato quota 2,6 per cento nel mese di gennaio
2003 fino al 2,8 di febbraio 2003.
Il prezzo della benzina ha toccato il record di 1,114 euro al litro.
Se analizziamo il tasso di disoccupazione, pari, in media, all’8,3 per cento per il
2002, notiamo che, a causa della revisione al ribasso delle prospettive di crescita
nell’area dell’Euro, esso salirà all’8,4 per cento nel 2003 e solo successivamente
le attese mostrano un calo. Per ciò che riguarda gli Stati Uniti, la disoccupazione
in questo periodo è in fase crescente, ma resta inferiore a quella registrata nei
paesi dell’Euro: ammonta al 5,8 per cento nel 2002.
Dall’analisi dei mercati valutari, una successiva indagine
2
condotta sul tasso di
cambio e sulla bilancia dei pagamenti, mostra il rafforzamento dell’euro nei
confronti del dollaro a partire dalla fine di ottobre 2002.
Un repentino apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro è visto da molti analisti
finanziari come un altro fattore d’instabilità: la ripresa della nostra moneta appare
riconducibile alla pubblicazione di dati che tracciano un calo della spesa per i
2
Banca Centrale Europea, “Bollettino”, opera citata.
11
Una visione d’insieme: analisi delle principali variabili macroeconomiche
consumi e un aumento della disoccupazione negli Stati Uniti, sollevando dubbi sul
vigore dell’attività economica in quel Paese. Il 6 novembre, l’euro era quotato a
1,00 dollari, il 31 dicembre 2002 la quotazione ha toccato il suo primo record:
1,05 e il primo di febbraio 2003 era pari a 1,08.
Dal mese di giugno 2002, le contrattazioni sui mercati azionari sono state molto
basse ed estremamente volatili, a volte hanno raggiunto i livelli immediatamente
successivi l’11 Settembre e altre volte i valori toccati 5 anni fa.
Tra la fine del mese di dicembre 2001 fino al mese di dicembre 2002, gli indici
azionari nell’area dell’Euro e negli Stati Uniti hanno registrato una caduta pari
rispettivamente a circa il 30 e il 20 per cento. Queste forti contrazioni, successive
a un biennio in cui le quotazioni azionarie erano più o meno costantemente
discese a seguito di una iper-valutazione delle aziende soprattutto legate al
comparto tecnologico, nel 2002 hanno condotto i rapporti capitalizzazione/utili su
livelli molto bassi su entrambi i mercati.
Una confluenza di fattori ha pesato sui mercati: una debole previsione dei
profitti societari, clamorose frodi contabili, (esempio il caso Enron e
WorldCom) tensioni geopolitiche e il cosiddetto “rimbalzo dell’economia”
(rebound of the economy). Ciò ha indebolito la fiducia degli investitori sul
contenuto informativo dei bilanci e minacciato l’ottimismo di una rapida ripresa
degli utili, trascinando al ribasso anche gli indici azionari europei. Sebbene
l’Europa non fu implicata in queste dichiarazioni mendaci, il decremento delle
valutazioni societarie è stato intenso nel corso del 2002 e si attende una riduzione
del goodwill nel corso del 2003 di tutte quelle società che in passato avevano
beneficiato di alte valutazioni.
Più in generale, negli ultimi anni le tendenze dei corsi azionari dell’area dell’Euro
e degli Stati Uniti hanno presentato una crescente convergenza al ribasso.
Una ragione di quest’andamento è che i legami tra le due economie, in particolare
quelli societari, sono divenuti più stretti, conseguenza di una crescita dell’attività
12
Una visione d’insieme: analisi delle principali variabili macroeconomiche
di fusione e acquisizione a livello mondiale a partire dalla fine degli anni Novanta,
mostrando la forte dipendenza del mercato europeo da quello americano.
Purtroppo i miglioramenti d’alcune imprese, per ciò che riguarda le prospettive di
crescita, rimangono inferiori rispetto al numero dei fallimenti che risulta ancora
elevato: la maggiore ragione di questo fenomeno è allacciata al peggioramento
della qualità del credito dei finanziamenti bancari e all’incapacità di far fronte agli
impegni presi nel breve termine
3
.
Se analizziamo l’andamento dei titoli azionari del settore tecnologico misurati
dall’indice Dow Jones Euro Stoxx (31 dicembre 2001-6 novembre 2002)
4
, le
discese nel settore delle telecomunicazioni sono state pari al -33 per cento,
insieme al comparto alta tecnologia (high tech), -43,6 per cento, i settori
assicurativo, -45,3 per cento e bancario, -23,5 per cento.
Secondo l’opinione di alcuni economisti, è di fondamentale importanza che i
Governi attuano con determinazione il programma di riforme strutturali
relative sia al bilancio pubblico, dal lato delle entrate e della spesa, sia ai mercati
dei beni e servizi e del lavoro per rafforzare la crescita del prodotto potenziale nel
medio periodo.
Al tempo stesso, la pronta realizzazione delle riforme strutturali contribuirebbe a
migliorare il clima di fiducia all’interno dell’area, favorendo quindi anche
l’espansione economica a breve termine.
A questo proposito, il 12 dicembre 2002 durante il vertice di Copenhagen,
l’Unione Europea ha annunciato ufficialmente una nuova rivoluzione: il primo
maggio 2004 ai 15 Paesi membri se n’aggiungeranno ben 10, facenti parte
dell’Europa centrale e due isole nel Mediterraneo, per un totale di 25 Paesi.
Si apriranno nuove frontiere e nuove opportunità di sviluppo, anche se la strada
per questi paesi è ancora irta.
3
OECD, “Financial market trend”, opera citata.
4
Banca Centrale Europea, opera citata.
13
Capitolo 1
Venture capital e capitale di rischio nelle
imprese
Presentazione
Nella fase di ricerca del materiale per scrivere la mia tesi, ho incontrato molto
spesso il binomio venture capital-high tech-nuova economia.
In questo Capitolo cercherò di fornire una spiegazione a questo mio assunto.
Quando ho tentato di tradurre il termine “venture” dall’inglese, ho trovato
sinonimi come “avventura, rischio, azzardo”.
Unendo mentalmente l’aggettivo al nome, “venture capital”, l’idea che ho subito
associato è stata quella di capitali che si muovono alla ricerca di nuove
opportunità profittabili d’impiego, sopportando i rischi che possono derivare dal
credere in un’avventura del tutto sconosciuta e azzardando opinioni sulla possibile
evoluzione dell’iniziativa.
Il concetto non è nuovo: la nascita del venture capital può essere fatta risalire
agli investiment trust inglesi della fine del secolo scorso, che svolgevano il ruolo
di istituzioni finanziarie la cui attività era investire titoli in imprese industriali.
5
5
Gervasoni, Sattin, “Private equity e venture capital”, opera citata.
14
Capitolo1: venture capital e capitale di rischio nelle imprese
Di fatto, lo sviluppo di quest’attività avvenne negli Stati Uniti alla fine della
seconda guerra mondiale, laddove diversi imprenditori privati iniziarono a
conferire una parte dei loro patrimoni personali in imprese neonate e reputate
“innovative” per quel tempo.
Agli inizi degli anni Ottanta, con il termine venture capital si intendeva
“l’apporto di capitale azionario, o la sottoscrizione di titoli convertibili in azioni,
da parte di operatori specializzati, in un’ottica temporale di medio-lungo termine,
rivolti verso imprese non ancore quotate e che presentano un elevato potenziale
di sviluppo in termini di nuovi prodotti o servizi, nuove tecnologie o nuove
concezioni di mercato”.
6
La partecipazione era intesa come temporanea, minoritaria e finalizzata alla
possibilità, attraverso il contributo congiunto di know how non solo finanziario,
allo sviluppo dell’impresa, all’incremento del suo valore e all’opportunità di
realizzare un elevato capital gain (guadagno di capitale) al momento della
dismissione della partecipazione, che l’investitore effettuerà se e quando avrà
reputato che l’impresa abbia sviluppato tutto il suo potenziale.
Nel corso degli anni, si sono evoluti nuovi concetti di capitale di rischio, in
relazione al grado d’evoluzione dei diversi mercati, offrendo una più ampia e
variegata gamma di possibilità d’intervento.
A seguito degli sviluppi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione,
di un nuovo ambiente e un nuovo modello di funzionamento dei sistemi
economici moderni, è nato il termine di nuova economia.
Due elementi assumono un ruolo di primaria importanza in quest’ambiente: l’uso
di Internet nella creazione, gestione e distribuzione del bene informazione e una
predilezione per le forme flessibili, dinamiche, delle attività produttive, logistiche
e commerciali d’impresa. Anche le piccole imprese possono ora affacciarsi
panorama mondiale e sfruttare tutte le opportunità che esso concede.
6
Bygrave, Timmons, “Venture capital at the crossroad”, opera citata.
15
Capitolo1: venture capital e capitale di rischio nelle imprese
Entrambi gli elementi hanno incoraggiato, negli Stati Uniti e in alcune regioni
europee, un veloce aumento del numero delle piccole imprese a carattere
innovativo. Secondo le parole di Steve Harmon
7
, che riflettono il pensiero
dominante negli anni scorsi “il grande pregio di Internet è che livella il terreno di
gioco, dando a tutti l’opportunità di andare in Rete o di imparare rapidamente a
farlo. E’ proprio in questo modo che persone di qualunque livello sociale
diventano ricche. Il potenziale d’Internet non ha precedenti nella storia e ruota su
una piattaforma mondiale aperta che serve da base per dispiegare strati su strati
di valore. Ancora oggi Internet non è stato esplorato in termini di ciò che può fare
anziché di ciò che fa: questo è il potenziale tecnologico nascosto. Non esistono
neppure confini temporali. In Rete i mercati si aprono e si chiudono in
continuazione e talvolta vengono rimescolati: entrare al momento giusto è
l’ideale ma non sempre si è in grado di prevedere questo appuntamento”.
La comunità finanziaria credeva ciecamente nella crescita esponenziale di questo
nuovo business model, che prometteva guadagni facili e veloci per tutti.
Ma, come avrò modo di spiegare nel mio lavoro, ciò non si è avverato.
Dal mio punto di vista, la new economy è stata sicuramente un modo innovativo di
fare business, ma resta lo stesso un modello economico che ha i suoi limiti così
come l’economia tradizionale.
Una parte decisiva nelle storie di successo in imprese recenti è stata svolta dalla
partecipazione d’investitori istituzionali nel capitale di rischio di nuovi
progetti, i quali si sono impegnati a valutare le idee imprenditoriali e le relative
prospettive di mercato, hanno formulato strategie di sviluppo e sorvegliato la loro
attuazione, guidati dall’obiettivo di creare valore per l’impresa.
I principali fautori di questi successi rientrano nella categoria più ampia
d’investitori istituzionali, sono stati i venture capitalist: ecco come l’associazione
venture capital-high tech-new economy trova il suo fondamento.
7
Harmon, “Zero Gravity”, opera citata.
16
Capitolo1: venture capital e capitale di rischio nelle imprese
Negli Stati Uniti gli esempi di trionfo non mancano e sono noti a tutti: aziende
high tech come Apple Computer, Cisco System, Genentech, Intel, Microsoft,
Netscape e Sun Microsystem hanno beneficiato dell’assistenza e della
partecipazione di società di venture capital, mentre il pioniere nel nostro Paese è
stata Tiscali.
I vantaggi derivanti dalla cessione di una partecipazione all’investitore
istituzionale in capitale di rischio d’impresa, si evidenziano dall’elenco seguente
8
:
• si ha la possibilità di reperire denaro fresco e paziente per finanziare i piani
di sviluppo e di migliorare l’immagine aziendale nei confronti del mercato
e delle banche; l’ingresso di un partner finanziario appone una garanzia
sulla validità dell’impresa e dei suoi programmi (avanzamento dello
standing creditizio);
• apertura a nuovi orizzonti per le iniziative a conduzione familiare, con
possibilità di creare network collaborativi grazie alle conoscenze
dell’investitore;
• netta separazione tra interessi personali e societari, a vantaggio
dell’impresa e del suo team direttivo;
• possibilità di usufruire di servizi di consulenza non solo finanziaria ma
anche direzionale, riguardo a scelte operative e strategiche d’impresa;
• guadagnare una maggiore capacità di competere dell’azienda che, grazie
all’ intervento di un azionista di potere, è nella condizione di colloquiare
con più forza con i principali attori economici del settore e porgere
eccellenti garanzie ai clienti;
• sovente, con l’ingresso di un operatore istituzionale nel capitale
dell’impresa, si richiede un cambiamento di mentalità da parte
dell’imprenditore medio-piccolo adattandosi a logiche di mercato
internazionali.
8
AIFI, “Capitale di rischio e sviluppo economico”, opera citata.
17
Capitolo1: venture capital e capitale di rischio nelle imprese
Tutto ciò mostra come l’attività d’investimento nel capitale di rischio dia un
apporto sostenuto allo sviluppo delle imprese a rapido tasso di crescita, fornendo
loro il capitale necessario per ingrandirsi.
I benefici di sviluppo non sono ad appannaggio esclusivo della singola impresa,
ma si estendono all’intero sistema industriale e dell’economia del Paese: in tale
ottica, “il miglioramento del mercato del venture capital diviene un valido
strumento politico per il sostegno delle economie locali verso un processo di
internazionalizzazione”.
9
A supporto di queste affermazioni, in un’ottica empirica, sono disponibili studi di
settore approfonditi.
Il primo
10
esamina un campione composto di 2.190 imprese venture backed
statunitensi con riferimento al periodo 1991-1995 e paragonate alle imprese top
500 di 12 Paesi europei.
Da esso è emerso che le imprese finanziate da venture capital hanno mostrato:
• un rapido tasso di sviluppo, misurato dall’ampliamento delle vendite del
35 per cento su base annua, che risulta essere più del doppio rispetto alle
imprese top 500;
• i profitti lordi sono cresciuti del 25 per cento su base annua;
• gli investimenti in ricerca e sviluppo ammontavano all’8,6 per cento del
fatturato mentre, nello stesso anno base di riferimento, le imprese top 500
registravano un’incidenza pari all’1,3 per cento del fatturato;
• l’attivo patrimoniale è aumentato del 27 per cento su base annua;
• si sono intraprese strategie di sviluppo internazionale: le esportazioni sono
cresciute del 30 per cento nell’intervallo di tempo considerato;
• la creazione di nuovi posti di lavoro, presentando nel periodo studiato, un
tasso medio annuo di crescita occupazionale del 15 per cento, maggiore di
oltre sette volte rispetto alle imprese top 500;
9
Gompers, Lerner, ”The venture capital cycle”, opera citata.
10
NVCA, “Eight annual economic impact of venture capital study”, opera citata.
18
Capitolo1: venture capital e capitale di rischio nelle imprese
• le suddette imprese hanno avviato piani di stock option,
11
supportati da un
aumento della produttività pari al 16,5 per cento, rispetto alle imprese
Fortune la cui produttività ammonta al 17,9 per cento annuo;
Adoperando la terminologia americana, l’attività d’investimento istituzionale nel
capitale di rischio, definita nella sua globalità, prende il nome di private equity, e
a seconda della tipologia d’operatore che la pone in essere, si suddivide tra
venture capital e operazioni di buy out.
All’interno dell’attività svolta dal venture capital è possibile determinare due
sottoclassi, che identificano a loro volta numerose tipologie di investimenti: si
intende, infatti, l’attività di early stage financing per indicare il finanziamento
delle imprese nei primi stadi di vita, mentre si fa riferimento all’expansion
financing per segnalare gli interventi attuati in imprese ormai sviluppate e mature,
che hanno bisogno di capitali per rafforzare la crescita.
In Europa, per alcuni aspetti, si fa un differente uso della terminologia. In verità,
se utilizzassimo la definizione americana di venture capital come attività
d’investimento nelle primissime fasi dell’avvio di società non quotate e operanti
in settori ad alta innovazione, la presenza del venture capital in Europa sarebbe
limitata fino ai tempi più recenti.
L’attività di finanziamento, indipendentemente dalla fase del ciclo di vita delle
imprese, viene generalmente individuata come un sottoinsieme del più ampio
settore del “merchant banking”, inteso come insieme di attività di investimento e
di consulenza poste in essere da operatori finanziari a diretto supporto dell’attività
d’impresa.
11
Il meccanismo delle stock option si basa sull’attribuzione a particolari categorie di dipendenti,
che generalmente ricoprono posizioni di vertice, del diritto di opzione sull’acquisto di azioni
emesse dalla società presso la quale prestano la propria opera. Il principale obiettivo di questo
strumento è quello di rafforzare il vincolo di fedeltà di determinate categorie di dipendenti nei
confronti della loro azienda, mettendo in relazione la loro retribuzione con l’andamento
economico-aziendale e di incentivare i dipendenti a dedicare il massimo impegno nello
svolgimento dell’attività lavorativa.
19
Capitolo1: venture capital e capitale di rischio nelle imprese
Secondo l’European Venture Capital Association (EVCA),
12
il venture capital si
contraddistingue per:
• il finanziamento effettuato tramite capitale proprio con un’ottica di lungo
termine per dare vita e/o sviluppare l’attività di piccole e medie imprese
aventi elevati margini di crescita in termini di quote di mercato e di
redditività, ma al tempo stesso, contraddistinte da elevati rischi;
• il raggiungimento in un arco temporale medio-lungo (5-10 anni) di una
remunerazione economica a fronte dei rischi assunti, attraverso la cessione
delle quote di partecipazione sottoscritte;
• l’acquisizione di titoli in società non quotate ma destinate a espandersi,
così da poter svolger il ruolo di sponsor
13
in caso di accesso ad un mercato
regolamentato;
• l’offerta al management delle imprese di servizi di consulenza.
Secondo l’Associazione Italiana degli Investitori Istituzionali nel Capitale di
Rischio (AIFI),
14
a differenza dell’EVCA, non fornisce una definizione
dell’attività di venture capital, bensì focalizza la propria attenzione sulla natura
degli intermediari.
Definisce come investitori istituzionali nel capitale di rischio “gli operatori che,
attraverso l’utilizzo di disponibilità proprie o di terzi, inclusi i fondi chiusi,
stabilmente e professionalmente fanno investimenti in aziende sottoforma di
capitale di rischio, attraverso l’assunzione, la gestione e lo smobilizzo di
partecipazioni prevalentemente in società non quotate, con un attivo
coinvolgimento nello sviluppo delle aziende partecipate”.
12
EVCA, “Venture capital fund structure”, opera citata.
13
Al momento della presentazione della domanda d’ammissione l’impresa high growth quotanda
deve desinare un intermediario che funge da sponsor (sponsorship), che può avere anche la
funzione di specialist (dopo l’ammissione) per assicurare liquidità al titolo. L’intervento di un
intermediario dalla professionalità accertata aiuta l’impresa nel processo di spersonalizzazione e di
cambiamento di cultura che la quotazione comporta per ridurre l’asimmetria informativa, fungendo,
nell’ottica della teoria dei mercati sottili, da “meccanismo integratore” volto a diminuire
l’incertezza nella stima del valore di equilibrio (fair value). Dopo, il suo ruolo va avanti,
impegnandosi ad esporre continuamente proposte in acquisto e vendita (market making).
14
AIFI, “Capitali per lo sviluppo”, opera citata.
20
Capitolo1: venture capital e capitale di rischio nelle imprese
L’attività di venture capital ha ormai acquisito anche in Italia una grande
importanza per lo sviluppo e l’adattamento a standard internazionali del nostro
sistema economico e finanziario.
Per ciò che riguarda il nostro Paese,
15
le piccole e medie imprese (PMI)
costituiscono la spina dorsale del nostro sistema industriale e sono state prese
spesso a modello per la loro vivacità imprenditoriale, la flessibilità e la loro
capacità d’innovare e di mantenere standard elevati, soprattutto nei settori
tradizionali. Spesso, di fronte a difficili sfide competitive globali, la piccola
dimensione era causa di una difficoltà nel reperire i capitali necessari alla crescita
e al salto internazionale.
Oggi, grazie ad interventi di carattere strutturale che saranno analizzati
specificamente nel corso del mio lavoro, anche l’Italia si è aperta a questa potente
fonte di risorse finanziarie e ha potuto sfruttare i benefici che da essa derivano,
dimostrando che anche il nostro Paese è in grado di competere con le economie
più avanzate.
Nel corso di questo Capitolo introduttivo saranno specificati gli aspetti teorici
dell’attività di venture capital, che, anche se un po’ noiosi, sono utili ad
incorniciare dettagliatamente le caratteristiche distintive e a chiarire i dubbi sugli
aspetti definitori che spesso s’incontrano anche sui giornali.
15
Perrini,”Innovazione, struttura finanziaria e valore di impresa”, opera citata.