II
giovanile produzione poetica dialettale, in un confronto diretto con
l’esempio romanesco offerto dal Belli. Perché si possa parlare in
modo esauriente del teatro di Pier Paolo Pasolini è infatti necessario
un livello di attenzione tale da non cadere nei rischi nascosti sotto un
arido schematismo di tipo scolastico che, in modo superficiale, ha
troppo spesso relegato il suo impegno teatrale entro i confini di una
frivola attività non degna della stessa attenzione critica che ha invece
ricevuto l’attività narrativa o cinematografica. La sua idea di teatro si
sviluppa anno dopo anno, esperienza dopo esperienza, attraverso i
copioni da lui scritti, come l’inedito Il Cappellano - Nel ‘46!, le
traduzioni di Eschilo e Plauto, le regie teatrali, i manifesti teorici in
merito a problematiche sia linguistiche che teatrali e una miriade di
riferimenti extra-teatrali. Mai come nel 1968 quindi la sua produzione
saggistica, teatrale e cinematografica si troverà intimamente legata a
questa sua idea di teatro, all’interno di un progetto nel quale, come
noteremo, Il Vantone non è certo un esercizio intellettuale ma assume
un preciso ruolo, nel tentativo di far rinascere il genere drammatico,
dopo la crisi del dramma borghese. In questo modo, lungo le pagine di
questo studio ci renderemo probabilmente conto di quanto Pasolini
abbia creduto in questo lavoro di traduzione condotto all’ombra di
Plauto, con un atteggiamento di grande rispetto per il drammaturgo
III
forse più interessante dell’antichità latina, per il suo altissimo valore
artistico raggiunto mediante un genere teatrale molto spesso criticato
per la sua banalità e volgarità, se messo al confronto con le tragedie
greche. Pasolini si confronta con l’autore classico e ne recupera tutti
gli elementi della sua commedia, dalla fabula, incentrata intorno alla
beffa, all’assetto linguistico, nonostante il traduttore ambienti le storie
del suo Miles nella Roma delle borgate: alla nobiltà del latino plautino
corrisponde l’utilizzo del martelliano, il verso del grande teatro del
settecento cui rifarsi per la rinascita del dramma borghese, mediante il
quale filtrare il romanesco adoperato da Pasolini. Proprio il ricorso
allo strumento linguistico dialettale nel Vantone è a mio parere la cifra
interpretativa più interessante che emergerà durante questo studio, in
quanto mezzo conoscitivo, prima ancora che comunicativo, di un
mondo, quello delle borgate romane, non più ‘naturale’ nel senso
proprio del termine ma indagato nella sua vitalità e realtà storico-
sociale. L’analisi condotta anche grazie al prezioso contributo
concessomi dall’attore Arnoldo Foà, cui ho rivolto parecchie domande
in merito ai retroscena del Pasolini drammaturgo, ci permetterà quindi
di cogliere le specificità del testo teatrale, cui l’autore bolognese è
pervenuto dopo solo tre mesi di lavoro, senza tuttavia giungere ad
un’analisi in merito alla sua produzione scenica, non esistendo
IV
materiale idoneo, cartaceo o filmico, per avventurarsi in una simile
operazione
1
.
1
La realizzazione scenica cui era mia intenzione fare riferimento è ovviamente la prima, quella
curata da Franco Enriquez nel 1963, anno in cui Pasolini era ancora in vita, cui partecipò in prima
persona, mediante suggerimenti e consigli impartiti riguardo alle modalità di rappresentazione,
soprattutto degli attori-marionette, condivisi dallo stesso regista. A distanza di molti anni dalla
morte di Pasolini, i vari riadattamenti scenici del Vantone condotti da vari registi italiani hanno
accentuato il carattere farsesco e ludico dello spettacolo e attenuato la violenza verbale del testo
originale, snaturando la natura dell’operazione pasoliniana.
1
Capitolo primo
Il teatro di Pier Paolo Pasolini: impegno
culturale e dialetto tra il Friuli e Roma.
2
1.1 Il teatro e la sua formazione letteraria: l’Avanguardia e la
critica al Capitalismo.
La vocazione teatrale di Pier Paolo Pasolini nasce sul doppio
registro dello studio della letteratura poetica e drammatica, in linea
con i dibattiti culturali vivi in campo europeo, e la volontà di essere un
intellettuale militante in grado di sapere denunciare le mancanze della
società capitalistica. Sin dagli anni in cui Pasolini frequenta il liceo e
successivamente l’Università bolognese
2
, lo studio del teatro diviene
per il giovane poeta un’attività indispensabile per la formazione di
quella cultura umanistica alla quale aspirava, sperimentando i generi
‘obbligati’ e universalmente riconosciuti della poesia lirica, epica e
drammatica.
[…] Ho scritto da allora in poi intere collezioni di volumi di versi: a tredici anni
sono stato poeta epico (dall’Iliade ai Lusiadi). Non ho trascurato il dramma in
versi, non ho evitato, con l’adolescenza, l’inevitabile incontro con Carducci,
Pascoli, D’Annunzio, fase incominciata a Scandiano […] e conclusa a Bologna, al
Liceo Galvani nel ’37
3
.
2
L’ambiente universitario bolognese contribuì in modo sostanziale ad incentivare lo studio e gli
interessi letterari di Pasolini. In modo particolare risulta determinante la frequenza al Corso di
Filologia Romanza, cattedra presieduta dal successore di De Bartolomeis, grandissimo studioso
delle forme teatrali medioevali, nonché autore dello studio sulle origini della poesia drammatica
italiana.
3
P. P. PASOLINI, Al lettore nuovo, in Poesie, Garzanti, Milano 1970.
3
In questo modo Pasolini realizza quello che lui stesso riteneva
essere il tirocinio ideale di formazione dell’intellettuale umanista,
sulla base delle acquisizioni di natura scolastica e degli acquisti che va
compiendo nelle bancarelle sparse nelle piazze di Bologna, secondo i
suoi gusti letterari.
[…] Che giornate! Passavo ore e ore al Portico della Morte, a Bologna, dove si
vendevano libri usati, a scegliere, a leggere titoli, a spiare pagine e indici. Avevo
quindici anni e fino ad allora avevo letto solo libri d’avventura; poi
improvvisamente mi è capitato tra le mani L’idiota di Dostoevskij, e poi Tolstoj; e
poi le tragedie di Shakspeare. Solo un anno o due dopo ho scoperto la poesia
contemporanea, per merito di un mio giovane professore del liceo, poeta lui
stesso, Mario Rinaldi. E allora ho letto Le Occasioni di Montale e il Sentimento
del Tempo di Ungaretti: che sono stati la rivelazione numero due. Mi sono messo
a leggere come un disperato i poeti contemporanei, che allora erano i poeti
ermetici: e da loro sono risalito ai simbolisti, soprattutto a Rimbaud. E
naturalmente, continuavo a leggere con voracità i narratori dell’Ottocento: i russi,
gli inglesi, i Francesi […]
4
.
Se dunque all’inizio i suoi versi saranno caratterizzati da una
tendenza diaristico-soggettiva di chiara ascendenza pascoliana, ben
presto Pasolini inizierà la sua formazione letteraria sulle spalle delle
4
Ibidem.
4
coeve tendenze d’avanguardia, l’ermetismo su tutte, per mezzo delle
quali la poesia, divorata dall’irrazionalismo dominante, andava
perdendo il suo contatto con la realtà, mantenendosi solo nella sua
astratta letterarietà come un gioco fine a se stesso. L’acquisizione e lo
studio delle più moderne tendenze poetiche, assimilate con la pratica
poetica, è però finalizzato da Pasolini al superamento di esse, ed i suoi
successivi esperimenti nel genere drammatico si caratterizzeranno in
questo modo per l’aspirazione al contatto con il vissuto che la pagina
scenica deve possedere. Ciò consente che il teatro in Pasolini si
manifesti come un attivo progetto culturale che restituisca allo
spettacolo un valore ideologico-politico, in opposizione all’asettico
teatro borghese, coerentemente con quanto affermava anni dopo
Moravia, definendolo ‘poeta civile’
5
.
Oltre alla sua passione per il genere teatrale e all’influenza delle
tendenze poetiche del secondo novecento, esiste un ulteriore fattore
che ha contribuito non poco alla nascita del Pasolini teatrale, e mi
riferisco alla sua predisposizione verso la voce monologante che, sin
dai primi versi poetici, costituisce una tensione attiva verso la scrittura
drammatica vera e propria. Le sofferenze e i sentimenti dei personaggi
del suo teatro, da I Turcs tal Friùl al ciclo delle sei tragedie, saranno le
5
L. BETTI, Pier Paolo Pasolini: una vita futura, Garzanti, Milano 1985, p.11.
5
sue sofferenze e i suoi sentimenti, rivissuti attraverso l’animo dei vari
Meni e Jan. Lo scrittore, che nel creare l’opera fa ricorso a modalità
d’espressione proprie, diviene così il responsabile dell’essere della sua
pagina, dando così voce alla sua soggettività nella speranza che essa
venga percepita fra le righe del testo nella forma delle cosiddette
‘intenzioni d’autore’. Questa continua auto-ostentazione del proprio
Io, che alterna sintomi inconsapevoli a tracce coscienti della sua
presenza nella pagina scritta, si manifesta proprio come conseguenza
di quel progetto del quale Pasolini si sente investito: incarnare il ruolo
di intellettuale guida, puntando il dito contro la classe dirigente,
colpevole di aver promosso lo sviluppo del sistema capitalistico che,
al posto del benessere tanto sperato, comportava soltanto
l’inquinamento del mondo primitivo e popolare.
In questo modo la scrittura, poetica o drammatica che sia,
cessava di diventare un ammanierato gioco da poeti, ma diveniva
arma di riscatto sociale e politico. Inserendosi così nell’ambiente
culturale di giovani universitari, diviene l’animatore di un cenacolo
letterario del quale erano membri Roberto Roversi, Francesco Leonetti
e Luciano Serra, con cui si dedicherà allo studio dei classici del teatro
europeo, con particolare preferenza a La vita è sogno di Calderón De
6
la Barca
6
, L’Iperione di Hölderin, oltre che gli ‘Stationendrama’ di
Strindberg
7
e le tragedie di Alfieri.
[…] Ho letto ultimamente Oblomov di Gonciarov; che è lontano dal fascino di
Dostoiewskj e Tolstoi; ho letto anche La vita è sogno, di Calderón Della Barca
che, sebbene inquinata talvolta fino all’ossessione di gongorismo, è di una
sorprendente modernità; mi ha stranamente colpito e ho scritto anche delle note
intorno ad un’eventuale regia di quest’opera […]
8
.
Dobbiamo altresì riconoscere che oltre agli inflazionati classici
di Shakspeare e Calderón, veicoli ideali per le interpretazioni
virtuosistiche dei grandi attori, ben più vaste furono le letture
drammaturgiche di Pasolini, in linea con il gusto dei primi anni ’40,
come Garcia Lorca, ma soprattutto gli irlandesi Synge
9
e Yeats. Ad
attirare Pasolini verso i loro scritti è però «il ‘regionalismo’ così
6
Ciò che affascina Pier Paolo Pasolini del teatro della Edad de oro è la convergenza in esso di
interessi non solo d’arte, drammatici, ma religiosi, morali e civili; un teatro che rifugge da
trasposizioni auliche o classicheggianti che sarebbero d’intralcio a quel dialogo continuo con il
pubblico e la realtà; un teatro popolare, come quello di Lope De Vega, o un teatro astratto, quasi
ieratico, distaccato dal dato reale, come era quello di Calderón.
7
L’autore norvegese dà vita alla drammaturgia dell’Io, in cui i personaggi, lacerati da conflitti
interiori irreversibili, non sono più simboli di una realtà ma sono rappresentanti di un mondo
quotidiano e interiore, che ruota proprio intorno alla figura chiave del protagonista.
8
P. P. PASOLINI, Lettere 1940-1954, Einaudi, Torino 1986, p. 5.
9
È proprio Il furfantello dell’Ovest di John Millington Synge il testo drammatico che costituisce
quasi il punto di non ritorno per Pasolini: l’opera si pone come una prima testimonianza della
caratteristica tendenza autobiografica nel suo teatro. La preferenza al tema del parricidio,
sviluppato nel Furfantello dell’Ovest, che avrà tanta fortuna in Affabulazione, ci permette di
elaborare anche una lettura dell’operazione in chiave psicoanalitica, sulla base dei Tre contributi
alla teoria sessuale di un giovane Freud, i cui libri in quegli anni erano proibiti dalla censura
fascista; Pasolini ebbe la possibilità di conoscere gli scritti dello scrittore austriaco solo grazie
all’edizione clandestina.
7
poetico -e certo più alto di quello di Lorca- di Synge e Yeats, con tutto
il linguaggio pudicamente patetico e aspro che comportava»
10
.
Il
merito dello scrittore irlandese, per Pasolini, è quello di essere stato in
grado di armonizzare gli elementi spirituali e popolari della sua terra
con un verso e un ritmo dalla classica nobiltà, utilizzando una lingua
che, nella sua purezza, diffonde gli odori di un mondo popolare. È
proprio la drammaturgia di Synge e la sua lingua classica, arricchita
da vive risonanze dialettali, ad alimentare l’entusiasmo del nostro
poeta, impegnato nei suoi primi esperimenti linguistici nel Friuli
materno in occasione del repentino trasferimento da Bologna per
fuggire dagli orrori della guerra nel 1944
11
. Ormai gli interessi teatrali
hanno una posizione determinante nella vita pasoliniana, nonostante le
sue prime attività pratiche siano esclusivamente poetiche, al punto che
il genere drammatico viene sperimentato in tutte le sue forme e
possibilità, fino alla Rappresentazione radiofonica per i Prelittoriali
della Radio
12
.
10
P. P. PASOLINI, La poesia popolare italiana, in Passione e Ideologia, Einaudi, Torino 1985,
pp. 146-278, ora in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. SITI - S. DE LAUDE,
Mondadori (I Meridiani), Milano 1999, pp. 861-993.
11
Nel 1943 il Friuli, sognato poeticamente nelle prime Poesie a Casarsa, diventerà per Pasolini
terra di rifugio: a causa dei bombardamenti sempre più pericolosi la famiglia abbandonerà Bologna
e successivamente Casarsa per trasferirsi stabilmente a Versuta. Durante questa sua permanenza
forzata, Pasolini ha finalmente l’occasione concreta di vivere a contatto con una comunità
linguistica formata da umili contadini e il dialetto che utilizza per assolvere i suoi doveri didattici
nella piccola scuola improntata in casa sua non è un pastiche linguistico, quale era quello del suo
primo approccio al friulano, ma una lingua viva e reale.
12
P. P. PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., pp. 22-23.
8
Pasolini, insieme al suo gruppo d’amici, comincia ad
interrogarsi seriamente sui problemi che il genere drammatico
presenta agli inizi degli anni ’40 in ambito europeo, soprattutto
riguardo la tecnica scenica, mediante la sperimentazione in proprio
13
,
con la speranza in un possibile rinnovamento culturale, giungendo alla
costituzione di una Compagnia per la Pro-combattenti di Casarsa,
nell’Autunno del 1941.
Mi sono morbosamente dato a scrivere un articolo per «Architrave», ed una
rappresentazione radiofonica per i Prelittoriali di Radio […]. Abbiamo fatto poi
idolo dei nostri pensieri il teatro: abbiamo deciso di mettere su una compagnia ed
eventualmente recitare alla Casa del Soldato. Ancora le cose sono in sospeso:
finora non abbiamo fatto altro che recitare brani di tragedie e commedie fra noi
quattro (a due e due alternativamente) […]
14
.
Proprio per la Casa del Soldato di Casarsa Pasolini assume per
la prima volta nella sua vita l’incarico di direttore di scena nello
spettacolo Un angelo peccatore, di Isnardo Sartorio
15
.
13
Ad una regia condotta in prima persona Pasolini abbina sapientemente una conoscenza attiva
derivata dall’assidua frequentazione dei teatri: «[…] Ho visto Stasera si recita a soggetto di
Pirandello e la Piccola città di Wilder. Spettacolo interessantissimo, e che merita lunghissime
discussioni, poiché tocca originali e necessari problemi, specialmente di tecnica scenica teatrale.
Se l’hai visto anche tu potremo parlarne con comodo a viva voce», in P. P. PASOLINI, Lettere
1940-1954, cit., p. 23.
14
Ibidem.
15
Il testo, anche se risale alla seconda metà dell’Ottocento, non si distacca dai modelli dell’attuale
commedia borghese, ed è comunque di vivo interesse per l’autore friulano per l’affascinante mito
9
[…] Qui a Casarsa io e miei amici stiamo mettendo su una rappresentazione
teatrale ‘Pro-combattenti’; io sono il regista, e la cosa mi interessa immensamente.
Vi descriverò a voce le prove, la scelta degli attori, la mia posizione di autoritario
direttore di scena
16
.
Questo impegno profuso da Pasolini nella ricerca di una
possibile attualizzazione della forma drammatica alla realtà
circostante non fa altro che allontanarlo dal chiuso panorama teatrale
del dramma borghese-naturalista
17
, che portava in sé i germi di un
ulteriore sviluppo verso il Simbolismo, ed inserirlo in ambienti di
livello internazionale. Interessato alle suggestive proposte del Living
Theatre
18
e del Théâtre Libre d’oltralpe, che contribuiscono alla
nascita della figura del regista
19
, espressione del nuovo ‘teatro-
fabbrica’, Pasolini conduce il suo cammino di formazione sulla
di Lucifero, che caratterizza il protagonista del dramma, giovane dissoluto che si lascia tentare dai
vizi e che raggiunge la fama come commediografo, nel quale il poeta si identifica.
16
P. P. PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p. 109.
17
In esso i personaggi vivono, attraverso una messinscena realistica, un’evoluzione psicologica
parallela a quella fisica.
18
Il Living Theatre è la dimostrazione della possibilità di trasformare lo spettacolo teatrale da rito
di autoesaltazione del potere borghese a moto di liberazione dagli schemi culturali ufficiali. Il
Living scardina la forma teatrale borghese mettendone in discussione tutti gli elementi costitutivi,
come la parola, il pubblico e la scena. Sarà merito di Elsa Morante, mediatrice tra il Living Theatre
e gli scrittori romani, se Pasolini farà sue le innovative proposte in occasione dell’ideazione del
suo teatro di parola.
19
Temine modellato sui termini francesi ‘règie’ (derivato da ‘règir’ =reggere) e ‘règisseur’, entra
in uso tra gli anni Venti e gli anni Trenta, per indicare l’attività rivolta alla rappresentazione di un
testo drammatico. Il termine ‘regista’ sostituisce così quello di ‘capocomico’, legandosi ad una
concezione dello spettacolo inteso come organismo dotato di una propria autonomia e globalità
artistica. La figura del regista inoltre comporta per il genere drammatico un salto da una tipologia
lavorativa artigianale, fondata esclusivamente sulle capacità individuali degli attori, a una tipologia
industriale, fondata sulla qualità del lavoro e sull’armonia di esso.
10
direttrice che da Ibsen conduce a Cêchov
20
, per arrivare fino ai Sei
Personaggi in cerca d’autore
21
. Andando al di là di un semplice
realismo fotografico, di uno sperimentalismo scientifico, questo nuovo
teatro analizzava aspetti più profondi della condizione umana, spaccati
amari di un’umanità sofferente, privilegiando la dimensione
esistenziale più che quella sociale
22
.
D’ora in avanti l’approccio di Pasolini ai problemi teatrali sarà
orientato preminentemente in senso antinaturalistico: già nei suoi studi
aveva recepito le novità del ‘teatro mentale’ di Mallarmè
23
e non
disconosceva il ‘teatro del silenzio’ o dell’‘inespresso’ di Bernard, del
quale, secondo quanto testimoniato da Stefano Casi, avrebbe
sottolineato le parole «[…] Le thèâtre est avant tout l’art de
l’inexprimè. […] La logique du théâtre n’admet pas les sentiments que
la situation n’impose pas, et si la situation les impose, il n’est pas
20
Cfr. P. SZONDI, Teoria del dramma moderno. 1880-1950, Einaudi, Torino 1976, pp. XIII-112.
21
Per un confronto tra Pasolini e Pirandello vedi l’articolo di A. ABRUZZESE, Pirandello,
Pasolini e la borghesia, «Rinascita», L-LI, 23 dicembre 1977.
22
A questo proposito è utile ricordare la stesura de Il Cappellano, commedia in tre atti che ha per
protagonista un prete innamorato di una ragazza, poi ripreso con il titolo Storia interiore,
rappresentato solo nel 1965 con il titolo Nel ’46. Nonostante i quasi due anni che separano
quest’opera da i Turcs, notevoli sono le differenze tra i due testi: la lingua usata non è più il
dialetto ma l’italiano; l’azione drammatica del Cappellano non era generata da nessun evento
storico ma si svolgeva prevalentemente nel mondo del sogno, configurandosi con la
visualizzazione scenica dell’incubo vissuto dal protagonista, recuperando l’esempio della
drammaturgia dell’Io di strindberghiana memoria.
23
Pasolini si ricorderà dell’esempio mallarmiano nel momento in cui darà vita all’idea del suo
Teatro di Parola, in occasione dell’uscita del Manifesto per un nuovo teatro in «Nuovi
Argomenti», n. 9, gennaio-marzo 1968, poi ristampato in appendice al volume che raccoglie tutti i
sei testi teatrali di Pasolini scritti dopo il 1968, con note, varianti d’autore e prefazione di G.
DAVICO BONINO, in P. P. PASOLINI, Teatro, Garzanti, Milano 1988, pp. 711-731.
11
besoin de les exprimer.
24
» (il teatro è principalmente l’arte
dell’inespresso. […] La logica del teatro non ammette più i sentimenti
né la situazione li richiede più, non c’è più bisogno che essi si
esprimano). Ecco quindi che i suoi futuri interessi teatrali non
implicheranno più una priorità alla successione cronologica e
realistica dei fatti raccontati né alla resa psicologica che essi
comportano ma esclusivamente alla carica evocativa della parola
poetica, adattata alla realtà del palcoscenico.
1.2 Pasolini e la Parola: il dialetto friulano.
Allontanandosi dal teatro naturalista attraverso il rifiuto della
trama, intesa come banale successione cronologica di fatti, Pasolini
prende coscienza della dimensione orale della parola che assume così
una propria centralità ed intorno ad essa Pasolini delinea i tratti del
suo teatro: si passa dall’essenza scritta a quella parlata e
dall’inconsapevolezza verbale alla coscienza culturale del proprio
linguaggio, che si configura sempre più come quel dialetto friulano
che va conoscendo.
24
G. ANTONINI, Il teatro contemporaneo in Francia, Corbaccio, Milano 1930, p. 94.