Capitolo I
La teoria di creazione del valore.
In questo primo capitolo affronteremo i fondamenti teorici e gli strumenti
concettuali che stanno alla base del Value Based Management.
1.1. Concetto, logica, finalità
Per comprendere a fondo il concetto che è sottointeso al Value Business
Management bisogna partire dalla definizione stessa di impresa capitalistica. Sono
definite capitalistiche le organizzazioni produttive che danno copertura al fabbi-
sogno monetario chiesto dagli investimenti necessari per i processi di produzione
— prevalentemente con capitale di conferimento, o equity, integrato con capitale
di finanziamento, o debt.
Nel corso del tempo la dinamica delle imprese capitalistiche è profondamente
mutata. Grazie ad una relativamente ampia disponibilità di capitale non sono più
le imprese a cercare capitali necessari al proprio processo produttivo ma sono i
capitali, sotto le più svariate forme offerte dal sistema finanziario (private equità,
fondi di investimenti, fondi pensione, etc.), a ricercare l‘investimento che si pre-
senta più opportuno sotto vari aspetti. In questa ottica le imprese possono essere
interpretate non solo come trasformatori produttivi ed economici (impiego di fat-
tori al fine di ottenere produzioni con creazione di valore) ma anche come tra-
sformatori finanziari, in grado di trasformare il capitale di rischio e il capitale di
terzi in remunerazioni sotto forma di utili (dividendi) per gli azionisti e di interessi
per debitori.
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Con l‘avvento della grande impresa capitalistica manageriale la gestione è
affidata al management specializzato costituendo, così, la separazione tra la pro-
prietà e la gestione dell‘impresa stessa. Questo cambiamento ha prodotto alcuni
fenomeni rilevanti:
− Perdita di importanza del profitto come misura della ricchezza prodot-
ta in favore di alcuni parametri, come il ROE (Return On Equity), che
misurano la redditività del capitale. Il reddito in quanto valore assolu-
to non misura più la ricchezza prodotta;
− Management impegnato a ricercare la soddisfazione delle esigenze
degli azionisti attraverso un incremento nel tempo del valore delle a-
zioni (capital gain) piuttosto che esigenza di redditività.
Questo nuovo atteggiamento mentale che si pone quale finalità quella di
produrre valore per il capitale, sia in termini di dividendi sia di capital gain è de-
nominato Value Based Management.
Il Value Based Management non costituisce una nuova tecnica di gestione,
quanto piuttosto la consapevole, sistematica, prevalente applicazione di un insie-
me di metodi tradizionali, specificatamente diretti, nel loro complesso, a rendere
massimo il valore creato per gli azionisti, orientando le scelte non tanto verso la
produzione di profitto quanto verso la produzione di redditività, controllando
contemporaneamente sia i processi di trasformazione economica di costi in prezzi
3
sia i processi di investimento del capitale .
La caratteristica che lo distingue maggiormente dal management orientato
esclusivamente al profitto è quella di considerare ogni decisione, strategia, tattica
ed ogni relazione con l‘ambiente interno ed esterno, finalizzata alla creazione di
valore per gli azionisti. Si potrebbe dire che ―come il livello di servizio o la quali-
tà del prodotto misurano la soddisfazione del cliente, o customer satisfaction, la
3
Cfr. PELLICELLI M., Creazione di valore e Value Based Management, G. Giappichelli Editore,
Torino 2007, pag. 7
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creazione di valore misura il grado di soddisfazione dell‘azionista o shareholder
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satisfaction‖.
Tutto ciò potrà sembrare ovvio: un‘impresa dovrebbe innanzi tutto guarda-
re agli interessi di coloro i quali detengono la proprietà rischiandovi il proprio ca-
pitale. I motivi della novità di questo approccio sono riconducibili al fatto che, a
dispetto della teoria, molto spesso, nella pratica, i comportamenti d‘impresa sono
distanti dai principi di creazione di valore azionario, perseguendo, il più delle vol-
te altre motivazioni che possono rivelarsi anche contraddittorie allo stesso princi-
pio. Inoltre, il fenomeno della globalizzazione dei mercati dei capitali e del merca-
to dei manager e degli executive impone al management di ogni impresa di foca-
lizzarsi sull‘interesse degli investitori di capitale al fine di scongiurare, rispetti-
vamente, l‘aumento del costo del capitale e i possibili turnover dei manager ri-
chiesti dagli azionisti, oltre che, soprattutto qualche anno fa a scalate ostili da par-
te di raiders in cerca di imprese mal gestite.
Da ciò consegue che, al fine di creare valore per gli azionisti, il
management:
− si focalizza sull‘esigenza di porre la creazione di valore per gli azionisti,
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indicandola come priorità;
− riconosce che l‘incremento del valore delle azioni dipende non solo dalla
gestione dei processi produttivi e di mercato, ma anche dalla gestione del
capitale investito;
− considera il reddito una misura non adeguata di performance ritenendo
prioritarie le performance di redditività ed in particolare cercando di in-
crementare la redditività prospettica;
4
Cfr. DONNA G., BORSIC D., La sfida del valore. Strumenti e strategie per il successo
dell’impresa, Guerini e Associati, 2000, p. 22
5
A riguardo A. Rappaport scrive: ―Le dichiarazioni della ―missione‖ dell‘impresa indicano spesso
che la prima responsabilità del management riguarda la massimizzazione della remunerazione glo-
bale del capitale, in forma di dividendo e di incremento di valore di mercato delle azioni. Il princi-
pio quindi che l‘incremento di valore dell‘investimento azionario sia l‘obiettivo principale
dell‘impresa è largamente accettato, ma altrettanto non si può dire del modo in cui conseguirlo.‖ in
RAPPAPORT A., La strategia del valore. Le nuove regole della performance aziendale. Franco
Angeli 1997, p. 13
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− riconosce che il valore dipende sia dalla redditività (intrinsecamente) sia
dal rischio percepito dai mercati (estrinsecamente), per lo stesso motivo
pone particolare attenzione alla comunicazione aziendale come fattore
fondamentale per generare fiducia da parte dei mercati, abbassando, di
conseguenza, il tasso di attualizzazione su cui si fondano le valutazioni sul
valore del capitale aziendale e delle azioni.
Nel decennio compreso tra l‘88 e il ‘90 la Coca Cola ha più che duplicato il
proprio valore di mercato seguendo questa impostazione. Su ―A Guide to Imple-
menting Value based Management‖ (1997) si legge una descrizione delVBM:
―Value Based Management è un modo di pensare. È un insieme di principi che ci
consentono di gestire il valore a tutti i livelli. La creazione di valore diventa così
la nostra mission. Diventa la filosofia del nostro lavoro quotidiano, è lo schema di
riferimento per tutto ciò che facciamo, è un processo per pianificare e per gestire.
VBM è un metodo per sviluppare strategie e prendere le decisioni adottando i
principi della creazione del valore. Il metodo è applicato sia alle strategie generali
sia alle attività giorno per giorno. È un insieme di strumenti per capire cosa crea
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valore e cosa lo distrugge‖.
Nei quindici anni passati sotto la guida di Roberto Goizueta (1982-1997),
considerato l‘emblema dei manager orientato alla creazione di valore, la Coca-
Cola ha realizzato un ritorno medio annuo sul capitale del 26% balzando in testa
alle classifiche americane; per valutare la significatività di questa performance ba-
sti considerare che nei dieci anni precedenti c‘era stata una distruzione di valore
media dello 0,6%.
1.2. Critiche e chiarimenti
Da come è stato fin qui esposto questa logica sembrerebbe mettere tutti
6
Cfr. COCA COLA, ―A Guide to Implementing Value based Management‖ (1997), p. 27
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d‘accordo, in realtà ci si è chiesti se la creazione di valore dunque l‘orientamento
gestionale allo stesso creasse qualsivoglia conseguenze negative.
Le principali critiche mosse al Value Based Management riguardano es-
senzialmente quattro puti:
a. ha un orizzonte temporale di breve termine;
b. ignora gli altri stakeholder;
c. si tratta di pura finanza.
a) ―Ha un orizzonte temporale di breve termine‖. Il Value Based
Management non è accettato da coloro i quali non hanno fiducia nel fatto che i
mercati azionari siano in grado di valutare le prospettive di valore di lungo termi-
ne e le incorporino nel prezzo delle azioni; essi sostengono che gli investitori sono
miopi, guardano ai risultati di breve termine ignorando quelli di lungo termine.
Esisterebbero quindi incentivi che spingerebbero il management a focaliz-
zarsi sui risultati a breve ed è ben noto che per un certo periodo le valutazioni di
bilancio possono manipolare il risultato economico; inoltre bisogna tener conto
della pratica diffusa nei sistemi di corporate governance che consiste nel legare la
remunerazione del management di vertice agli utili il che rappresenta un‘ulteriore
spinta a privilegiare i risultati di breve periodo.
Molti studiosi, tra i quali Carter e Conway, sono critici verso la totale ca-
pacità da parte del mercato di misurare perfettamente la creazione di valore azio-
nario sostenendo che si tratta di un teorema non dimostrato. Alcune accadimenti
sembrano dar loro ragione: quando nel 2005 Toyota ha annunciato di voler inve-
stire per sostenere il rapido sviluppo in corso e conquistare quote di mercato negli
USA, il titolo è sceso da 4.200 yen all‘inizio di gennaio a 3.800 yen alla fine di
aprile. Quando nel mese di luglio Toyota ha annunciato di aver rispettato il bu-
dget, il titolo ha cominciato a salire, spinto anche dalla constatazione che la casa
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giapponese non aveva partecipato alla disastrosa campagna dei ribassi di prezzo
7
negli USA. In quattro mesi il titolo è risalito al punto iniziale (4.250 yen).
Le reazioni del mercato alle notizie positive o negative (ad esempio ai
―profit warnings‖) dimostrano che l‘orizzonte degli investitori è spesso di breve
periodo. Il prezzo delle azioni in un determinato momento non rifletterebbe quindi
il vero valore che un‘impresa ha, o dimostra di avere, nel lungo termine. La rispo-
sta data a questa critiche è che le verifiche empiriche dimostrano come il mercato
azionario tenga conto, è vero, del breve termine, ma lo proietta in una visione di
lungo periodo.
b) ―Ignora gli altri stakeholder‖. Il secondo punto debole è che adottando
il principio di creazione di valore si ignorerebbero o si metterebbero in secondo
piano gli interessi degli altri stakeholder. A questa critica i sostenitori del VBM
rispondono che la creazione di valore rappresenta l‘unico obiettivo che, se rag-
giunto, simultaneamente soddisferebbe anche le attese degli altri stakeholder. Non
altrettanto accadrebbe se il management perseguisse unicamente, ad esempio, la
―customer satisfaction‖, oppure la massimizzazione delle vendite, oppure la mas-
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simizzazione della produttività.
9
c) ―Si tratta di pura finanza‖ Secondo i sostenitori della creazione di va-
lore, le misure tradizionali tratte dalla contabilità non sono in grado di rappresen-
tare il valore dell‘impresa in quanto non includono il costo del capitale conferito
dagli azionisti dunque i fattori determinanti che agiscono sulla creazione di valore
(i cosiddetti ―value drivers‖) sono soprattutto: Free Cash flow, capitale iniziale e
rendimento atteso dagli azionisti. Secondo i critici questi sono tutti concetti di ori-
gine finanziaria, di conseguenza, vengono esclusi altri aspetti dell‘impresa come i
7
PELLICELLI M., op. cit., p. 48
8
PELLICELLI M., op. cit., p. 48
9
― […] la critica che spesso si fa del concetto di shareholder value è di portare a un‘eccessiva fi-
nanziarizzazione dell‘azienda, in contrapposizione ad una presunta maggiore nobiltà di una menta-
lità industriale. Ma è giusto che sia così: un management che non ha idee imprenditoriali apprezza-
te dal mercato finanziario, e che quindi non riesce a farsi dare i capitali necessari, deve lasciare il
passo a chi lo sa fare. Non c‘è quindi una contrapposizione tra mentalità finanziaria e mentalità
industriale: c‘è contrapposizione tra essere imprenditori e non esserlo!‖ CUNEO G. F., Il successo
degli altri,Bain Cuneo e Associati, Milano, 1996.
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vantaggi competitivi sui quali sono basate le strategie. A questa critica i sostenito-
ri del VBM sostengono che la finanza non può che fondarsi sulle strategie
dell‘impresa; la strategia (e la sua efficacia) è prodromica alla finanza poiché ne
influenza le scelte e i risultati.
1.3. Creazione di valore e contesto sociale
Le imprese operano in un contesto sociale nel quale deve fare i conti con
interessi economici di diversi interlocutori sociali, gli stakeholder. Questo conte-
sto riguarda soprattutto le imprese di medie e grandi dimensioni le quali devono
relazionarsi con una molteplicità di altri attori economici, politici e sociali: dagli
azionisti agli stessi manager, dai lavoratori ai clienti, dai fornitori ai partner, dalle
organizzazioni sindacali alle amministrazioni pubbliche ed alla società in genera-
le. In virtù di questo paradigma, le imprese, ormai da tempo, diventano sistemi di
riferimento della Corporate Social Responsability che sposta l‘ottica del rispetto
delle attese degli stakeholder al comportamento responsabile ed etico delle impre-
se che diventano così veri e propri attori nel contesto sociale
Gli economisti afferenti alla scuola comportamentista (Simon, Cyert-
March) hanno ampiamente evidenziato la teoria degli stakeholder che mette in
guardia il management dal considerare esclusivamente gli interessi degli share-
holder (azionisti) poiché bisognerebbe, invece, ottimizzare i più vasti interessi de-
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gli stakeholder.
Il Value Based Management appare, dunque, come un insieme di metodi
di gestione che prediligono gli interessi degli shareholder compatibilmente con i
10
Gli interessi degli stakeholder, a differenza di quelli degli shareholder (capital gain e dividendi),
possono essere soddisfatti dunque misurati sotto molteplici aspetti ―[…] va ricordato che il concet-
to di ―valore‖ per una data impresa, richiama ogni tipologia di qualità percepibile dagli stakehol-
ders di riferimento e questo in termini di ―valore prezzo‖ , di ―valore economico-patrimoniale‖,
di ―valore cash-flow‖ (per i flussi di liquidità conseguibili), di ‖valore catena‖ (lungo il flusso
input-output rispetto al mercato-ambiente). MACARIO G, op. cit., 2000, p. 17.
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vincoli posti dagli altri stakeholder, secondo criteri decisori e metodi di valutazio-
ne dei risultati possibilmente quantitativi.
Gli interessi possono sembrare contrapposti ma, in realtà, sono due livelli
concettuali diversi ma non in conflitto: il soddisfacimento degli interessi degli al-
tri stakeholder diviene per il management una condizione per il perseguimento
della massimizzazione del valore per gli shareholder. Resta comunque la possibi-
lità che questi conflitti si creino; il modo in cui possono essere risolte queste si-
tuazioni di conflitto influisce notevolmente sulla produzione di valore in quanto,
semplificando, è possibile ricondurre le soluzioni in termini di costi e ricavi per
gli stakeholder interessati.
In definitiva, l‘impresa crea certamente valore se ricerca costantemente un equili-
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brio tra il sistema interno ed i sistemi ad essa esterni.
Merita una nota l‘approccio al valore delineato dalla Nestlè che si pone in
una posizione direi pionieristica in quanto basata sulla creazione di ―Shared Va-
lue‖ (ovvero ―valore condiviso‖). Questo valore, testimoniato con rapporti annuali
è la somma del valore creato per gli azionisti e il valore creato per la società
1.4. Il ruolo delle risorse immateriali. La Resource based View
Molti studiosi, anche in tempi non recenti, hanno auspicato un nuovo ruo-
lo, sicuramente più preminente che nel passato, per gli indicatori che misurino la
ricchezza di risorse immateriali dell‘impresa. Questo è un altro elemento che ca-
ratterizza fortemente la logica in questione e rappresenta un altro punto ―di rottu-
ra‖ con le logiche manageriali tradizionali.
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Come fa notare Treynor, ― l‘esistenza stessa dell‘impresa dipende dal mantenimento dei rapporti
finanziari con ciascuna di queste parti. I dipendenti vogliono buone retribuzioni, i clienti buoni
prodotti a prezzi concorrenziali, i fornitori ed i finanziatori vogliono esser pagati puntualmente ed
in contanti. Gli azionisti, da ultimi, sono interessati al dividendo annuale ed alle sua prospettive
per gli anni a venire, che si riflettono nel prezzo di mercato delle azioni.‖ TREYNOR J.L. «The
Financial Objective in the Widely Held Corporation» Financial Analyst Journal, March-April
1981 p. 69.
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Il ruolo strategico delle risorse immateriali è stato riconosciuto grazie
all‘affermarsi della Resource Based View , una ―[…] teoria di impresa basata
sulle risorse, secondo cui la ricchezza di un’impresa, rappresentata dal patrimo-
nio delle sue risorse, si incrementa grazie al fattore della conoscenza, che, per la
sua continua evoluzione, porta le risorse stesse a mutare per adeguamento ai
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nuovi contesti.‖.
Secondo questa ―visione‖ ogni attività gestionale deve passare prelimi-
narmente dall‘analisi delle risorse immateriali o intangibili a disposizione — in
particolare di conoscenza o knowledge — e che stanno alla base del potenziale
vantaggio competitivo. Questo patrimonio allargato di risorse intangibili, in virtù
del continuo processo di globalizzazione dei mercati e di esasperazione del conte-
sto concorrenziale, è all‘origine del posizionamento competitivo dunque delle
performance economico-finanziarie di un‘azienda; per questo motivo tale patri-
monio deve essere caratterizzato da appropriatezza, unicità, difendibilità e rinno-
vabilità.
Il Value Based Management ―assegna un ruolo centrale e di crescente im-
portanza alle risorse immateriali dell‘impresa, imponendone un migliore utilizzo
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ed un continuo potenziamento‖
Le risorse intangibili in grado di generare vantaggi competitivi possono
essere classificate in questo modo:
− risorse alla base del differenziale giuridico, quali brevetti, marchi e altri
elementi tutelati da norme;
− risorse alla base del differenziale funzionale, come il know-how dei dipen-
denti e delle persone che interagiscono con l‘azienda;
− risorse alla base del differenziale culturale, ovvero l‘insieme di conoscen-
ze, atteggiamenti mentali, convinzioni e abitudini che pervadono l‘intera
organizzazione;
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MACARIO G, op. cit., p. 10
13
PELLICELLI M., op. cit., p. 22
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− risorse alla base del differenziale posizionale, come le barriere all‘entrata,
le concentrazioni, le sinergie, le localizzazioni, etc.
1.5. L’esigenza del Value Based Management nelle imprese che
crescono: il modello Flamholtz
Da quanto fin qui detto, si comprende facilmente la necessità di un ap-
proccio orientato alla creazione del valore azionario, in particolar modo per le im-
prese di medio - grandi dimensioni specie se quotate in borse valori dove è chia-
ramente più agevole la determinazione del valore di mercato del capitale azionario
— è soprattutto per questo motivo che la logica di creazione del valore azionario è
nata negli USA, sede del mercato azionario più sviluppato al mondo e patria delle
maggiori public companies di sistemi di corporate goernance caratterizzati dalla
separazione tra proprietà e gestione e dal ricorso frequente alla mercato azionario
per il reperimento di capitali.
Per tentare una spiegazione del percorso che porta il management a perce-
pire la necessità di introdurre questa logica manageriale all‘interno
dell‘organizzazione può essere utile il modello Flamholtz, con il quale si cerca di
individuare le fasi attraverso le quali le imprese padronali diventano imprese ma-
nageriali. Secondo Flamholtz, questo processo di crescita imprenditoriale ed eco-
nomica si sviluppa attraverso quattro fasi, caratterizzata da un certo ammontare di
fatturato (si tratta di un dato indicativo che va contestualizzato) e per un diverso
―stile gestionale‖.
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Tabella 1.1 – Le fasi di crescita imprenditoriale secondo il modello Flamholtz.
Capacità critiche
Fasi Dimensioni
dell’alta direzione
I – Avvio di un nuovo Fatturato stimato inferio-Ascolto del mercato e dei
business (nuova impresa re a 2,5 mil/€ (0,5 mil/€ bisogni del cliente e crea-
o nuova area strategica se impresa di servizi) tività per adattare la pro-
d‘affari) pria offerta
II – Sviluppo/espansione Fatturato compreso tra Acquisire, organizzare e
2,5 e 10 mil/€ (tra 0,5 e gestire efficacemente le
2,5 mil/€ se impresa di risorse
servizi
III – Managerializzazio-Fatturato compreso tra 10 Introdurre un sistema di
ne o primo grande salto e 25 mil/€ (2,5 – 10 direzione da affinare nel
mil/€) tempo
IV – Consolidamento Fatturato superiore a 25 Sviluppo ed affermazio-
mil/€ (10 mil/€) ne di una corporate iden-
tity
V – Spersonalizzazione
Fatturato sempre in Scelta del Value Based
o secondo grande salto crescita sia per linee o-Management
rizzontali che verticali
Fonte: PELLICELLI M., op. cit., p. 64
Per ―grande salto‖ si intende un salto culturale, oltre che gestionale, che
ogni impresa, nata come impresa padronale focalizzata sulla figura della persona
dell‘imprenditore, deve effettuare per effettuare un upgrade e diventare
un‘impresa articolata, con un management professionale e continuamente motiva-
to e stimolato alla ricerca di una crescita ed uno sviluppo aziendale che sarebbe
più difficilmente realizzabile in mancanza di competenze manageriale.
FASE I. AVVIO — È la fase di avvio di un nuovo business ad opera di un
imprenditore (o più di uno) che vuole sviluppare una ―business idea‖. Risulta es-
sere fondamentale la capacità di ascolto del cliente.
FASE II. SVILUPPO/ESPANSIONE — In questa fase si assiste al conso-
lidamento del‘esistenza. Sono stati individuati e soddisfatti (anche solo parzial-
mente) i bisogni del cliente, perciò si acquisiscono nuovi metodi e procedure per
indirizzarsi verso una maggiore efficienza produttiva.