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INTRODUZIONE
Il rischio, nella sua accezione più generica, è inteso come la possibilità che si verifichi un
evento in un determinato luogo e in un determinato momento, e che tale evento danneggi il
soggetto su cui il rischio insiste.
La gestione del rischio, quindi, è un fenomeno che interessa qualunque soggetto, economi-
co e non, nello svolgimento delle proprie attività.
In ambito finanziario, il rischio assume diverse dimensioni e coinvolge diversi ambiti, e ciò
comporta lo svolgimento di operazioni tipicamente connesse al rischio (trasferimento del
rischio, sottrazione dallo stesso, mitigazione o accettazione) e l‟esposizione ad una molte-
plicità di fattori, che conducono a conseguenze sfavorevoli e non.
Nel proposito di identificare i rischi cui un intermediario è soggetto, non si può non consi-
derare il contributo del Comitato di Basilea, e precisamente il regolamento attualmente in
vigore, l‟Accordo di Basilea II, il quale definisce e circoscrive i rischi a cui gli intermediari
sono esposti.
In tal senso, Basilea II individua innanzitutto i rischi di Primo Pilastro, in altre parole quei
rischi misurabili, sempre annoverati nell‟attività di un intermediario finanziario, e in quan-
to tali, oggetto di disciplina peculiare circa la stima degli stessi e l‟accantonamento di capi-
tale:
- Rischio di credito: s‟intende il rischio di subire una perdita nella propria esposizione
a causa del deterioramento del merito creditizio del debitore;
- Rischio di mercato: cioè il rischio di subire una perdita a causa di fluttuazioni del va-
lore di mercato dei titoli in portafoglio o a causa della variazione di valore di variabi-
li che impattano sui titoli stessi (c.d. risk factor);
- Rischio operativo: ovvero la possibilità di subire perdite derivanti dall'inadeguatezza
o dalla disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi, oppure da eventi esogeni.
A tali rischi si annettono i rischi di Secondo Pilastro, vale a dire una pluralità di altri rischi
oggetto di una valutazione quali-quantitativa, cui fanno parte, tra gli altri, il rischio di tasso
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d‟interesse nel “banking book”, il rischio di liquidità, il rischio di concentrazione, il rischio
reputazionale e il rischio di compliance.
Ai fini di questo lavoro, l‟attenzione si concentrerà sul rischio di mercato, prestando parti-
colare attenzione al principale approccio di misurazione della perdita derivante da un va-
riazione del valore di mercato dei titoli: il Value at Risk.
Dagli inizi degli anni ‟70, infatti, fenomeni quali l‟aumento della volatilità delle principali
variabili di mercato, il crack di molte grandi società finanziarie e non e la sempre maggiore
diffusione dei contratti derivati imponevano la creazione di metodi di analisi e quantifica-
zione del rischio sempre più efficienti e trasparenti.
La soluzione al dilemma non tardò ad arrivare: negli anni ‟90 la banca d‟affari J.P. Morgan
implementò un metodo che in singolo valore incorporava l‟esposizione per ogni trading
desk dell‟intermediario, il VaR.
Non passò molto tempo prima che il VaR diventasse punto di riferimento per ogni società
esposta a qualsiasi rischio di mercato e per le stesse autorità di vigilanza, che con il Market
Risk Amendment del 1996 introdussero ufficialmente il metodo tra gli approcci di valuta-
zione del rischio di mercato.
Nonostante la sua realizzazione risalga a molti anni fa, il VaR continua a rappresentare il
punto di riferimento per gli operatori finanziari di tutto il mondo, i quali proseguono
l‟attività di implementazione del modello originale, al fine di definire metodi sempre più
sensibili alle variabili di mercato
Focalizzando l‟attenzione su questo lavoro, nella prima parte si descriveranno i principali
impieghi dei modelli VaR, focalizzando l‟attenzione sulle principali anomalie che accom-
pagnano tale modello.
Proseguendo lo studio, la seconda parte analizzerà i tre metodi di misurazione del rischio
di mercato secondo l‟approccio VaR: il metodo Varianze-Covarianze, il metodo delle Si-
mulazioni Storiche e il metodo Monte Carlo, specificando le varianti create per ognuno di
essi, le caratteristiche, i vantaggi e le problematiche che li accompagnano, con un successi-
vo accenno a modelli alternativi al VaR.
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Nella terza parte ci si avvicinerà al caso più importante di applicazione di tali modelli: la
stima del rischio di mercato e il conseguente obbligo di accantonamento di capitale, secon-
do quanto definito da Basilea II.
Nella stessa sezione, si delineeranno i backtesting VaR, cioè quei metodi, previsti dal se-
condo Accordo sul capitale, utilizzati per giudicare le capacità estimative degli approcci
Value at Risk.
Nell‟ultima parte si adotterà un orientamento prettamente empirico: con l‟impiego di tre
differenti portafogli, espressione del mercato italiano, tedesco e francese, si verificheranno
le capacità di fitting di svariati modelli VaR, durante le turbolenze finanziarie dell‟ultimo
decennio.
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CAPITOLO 1.
Il Value at Risk: definizione ed evoluzione
"VaR was developed to provide a single number which could encapsulate information
about the risk in a portfolio”
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1.1 Il rischio di mercato e il Value at Risk: definizione
Qual è la massima perdita che posso conseguire da un investimento?
Le istituzioni finanziarie e chiunque svolga un‟operazione nei mercati finanziari si pone
questa domanda.
Prima di poter dare una risposta, bisogna specificare che un‟attività finanziaria, o un porta-
foglio di attività finanziarie, è principalmente esposto ad un rischio di mercato: per rischio
di mercato si intende il rischio di variazioni del valore di mercato di uno strumento o di un
aggregato di strumenti finanziari connesse a variazioni inattese delle condizioni di merca-
to
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.
Questo rischio, a sua volta, si compone di cinque varietà di rischi:
rischio azionario: il valore di mercato di un‟azione è sensibile all‟andamento (rial-
zo/ribasso) del mercato azionario di riferimento (titoli azionari, stock option etc..);
rischio di interesse: il valore degli investimenti di natura obbligazionaria è sensibile
alla variazione della curva dei tassi di interesse;
rischio di cambio: il valore di mercato delle posizioni in valuta è sensibile
all‟andamento dei tassi di cambio (titoli obbligazionari, derivati Fra, Interest Rate
Swap etc..);
rischio merci: esprime perdite sul valore delle posizioni dovute a fluttuazioni sul
corso delle commodities;
rischio di volatilità: il valore di mercato delle posizioni è sensibile alle variazioni
della volatilità delle variabili considerate sopra.
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Barry Schachter, Chief Risk Officer at Woodbine Capital Advisors
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I risk factor che a loro volta implicano un rischio di mercato verranno discussi in seguito.
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L‟innovazione finanziaria in atto e i dissesti finanziari
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che hanno coinvolto l‟economia
mondiale negli anni „90 hanno portato all‟attenzione delle società finanziarie e delle istitu-
zioni sovranazionali il fenomeno del rischio e, in particolar modo, del rischio di mercato.
Tuttavia, già dagli anni ‟80 l‟interesse verso il rischio di mercato è cresciuto esponenzial-
mente, anche a causa di fenomeni quali:
1. L‟evoluzione finanziaria, che ha avuto la sua massima espressione col processo di secu-
ritization, cioè di cartolarizzazione del credito, che ha trasformato attività illiquide (i credi-
ti) in strumenti finanziari negoziabili, e quindi sensibili al rischio di mercato;
2. La nascita degli strumenti finanziari derivati, sensibili alla volatilità delle attività sotto-
stanti;
3. Il generale aumento della volatilità di variabili finanziarie fondamentali;
4. La globalizzazione dei mercati finanziari e di conseguenza l‟accentuata interdipendenza
tra gli stessi;
5. L‟imposizione di requisiti regolamentari e di standard contabili che tengano conto dei
valori di mercato. Tra i primi si annoverano i requisiti di patrimonializzazione imposti da
Basilea II, relativi all‟obbligo di computare il rischio di mercato nella determinazione del
capitale minimo, tra i secondi si considerano i principi contabili IFRS (International Finan-
cial Reporting Standards) che impongono l‟inscrizione in bilancio di alcune poste al valore
di mercato.
I modelli Value at Risk rappresentano lo standard per la quantificazione del rischio, o, più
precisamente, della perdita derivante dal manifestarsi di tale rischio.
Fondamentalmente il VaR è definito come “la massima perdita potenziale in un portafoglio
di strumenti finanziari, limitatamente ad un dato intervallo di confidenza e a un definito o-
rizzonte temporale”
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.
L‟enunciato mette in luce due importanti aspetti dell'approccio VaR:
Il VaR “traduce” l‟impatto dei risk factor in perdita.
In questo modo è possibile paragonare strumenti finanziari differenti tra loro, ren-
dendo quindi confrontabili i risk factor associati ai titoli.
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Tra i casi più eclatanti si ricorda il caso della banca inglese Barings: nel ‟92 (poco prima dell'‟introduzione
dei modelli VaR), il trader Nick Leeson cominciò a svolgere operazioni non autorizzate sull'‟indice Nikkei.
Alla fine del ‟92 le perdite avevano superato i 2 mln di sterline, e a fine ‟94 avevano toccato quota 208 mln.
Un‟ ulteriore esposizione al rialzo portò le perdite a 827 mln.
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S.Magarelli, R.Engle Value at risk models in Finance; 2001
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Rispetto ad altre misure di rischio (duration, convexity, beta e le “greche”) il VaR
riesce a sintetizzare in un singolo valore monetario la probabile perdita che scaturi-
sce da diverse posizioni assunte dall‟intermediario (posizioni in valuta, posizioni in
titoli obbligazionari e/o azionari) e dunque da diversi risk factor.
Quindi oltre all'essere un indice immediato del rischio di un portafoglio, il VaR cat-
tura l'esposizione globale di un soggetto a varie fonti di rischio presenti nel portafo-
glio stesso, e ovviamente introduce nel computo la correlazione tra tali fattori.
In ogni modello VaR, la definizione della perdita inattesa si estende su tre step
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:
1) Individuare/definire i fattori di rischio che influenzano il portafoglio;
a) ipotizzarne l‟andamento futuro costruendo una distribuzione di probabilità.
2) Definire la relazione tra il valore assunto dal singolo strumento finanziario e il valore
assunto dal relativo fattore di rischio
a) Costruire una distribuzione di probabilità dei rendimenti futuri del portafoglio.
3) Esprimere la distribuzione di probabilità dei rendimenti futuri del portafoglio una misu-
ra di rischio, il VaR, che individua la perdita potenziale realizzabile con una probabilità
del c%, dove c è il livello di confidenza (vedi figura 1.1).
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Vedi anche C. Pederzoli; C. Torricelli Una rassegna sui metodi di stima del value at risk (VaR) Dipartimento di
Economia Politica - Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
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Figura 1.1: esempio di calcolo del VaR.
Fonte: <www.chicagofed.org>
1.1.1 Impiego dei modelli VaR
All‟interno del mondo finanziario il VaR è diventato il punto di riferimento per soddisfare
qualunque bisogno inerente la valutazione e l‟analisi dell‟esposizione al rischio, ed in ge-
nerale è molto apprezzato per la sua semplicità e immediatezza.
Pertanto, i modelli VaR trovano impiego per:
Confronto fra rischi diversi.
Come già accennato, i modelli VaR rendono confrontabili rischi differenti, dando la
possibilità di utilizzare un “linguaggio del rischio” omogeneo tra le diverse aree
d‟affari della banca.
Questo rende comparabili i diversi desk o, analogamente, le diverse alternative di
impiego del capitale, consentendo un‟allocazione dello stesso orientata a mercati
più redditizi e/o caratterizzati da condizioni di minore volatilità
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.
L‟imposizione dei limiti all‟assunzione del rischio.
In un‟ottica “risk-based”, la banca può essere vista come un‟istituzione che assume
e gestisce una pluralità di rischi, traendone un profitto.
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Questa seconda affermazione non è sempre valida: difatti la volontà della banca di orientarsi verso mercati
meno volatili, e quindi meno rischiosi, dipende da una serie di fattori, primo fra tutti l'avversione al rischio
della banca.