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Capitolo 1
Il valore educativo dello sport
Il primo passo di una ricerca empirica è costituito dalla definizione del tema,
del problema e dell’obiettivo di ricerca grazie ai quali è possibile costruire il
quadro teorico di riferimento.
La ricerca empirica descritta nella presente dissertazione ha per tema il
valore educativo dello sport di squadra e le aspettative dei genitori nei confronti
dei figli che praticano tali sport. Il problema conoscitivo al quale la ricerca
cercherà di dare una risposta si può esprimere con due domande: «I genitori
cercano nello sport di squadra un’esperienza educativa per il proprio figlio?» e
«L’inserimento del proprio figlio in un ambiente ad alto livello agonistico porta a
tralasciare l’elemento “educazione” per permettere al figlio di diventare
“campione” ?». L’obiettivo della ricerca è quello di controllare se esiste una
differenza, a livello di aspettativa sul valore educativo dello sport, tra i genitori di
figli inseriti in squadre ad alto livello agonistico e quelli con ragazzi inseriti in
società con un livello agonistico più modesto.
Definiremo ora un quadro teorico di riferimento, in cui espliciteremo teorie
e modelli che guidano la ricerca1. Analizzeremo i fattori che rendono lo sport
un’esperienza incisiva dal punto di vista educativo, un’esperienza diffusa nei
nostri territori ricchi di realtà sportive, associazioni e società, con le più varie
proposte per coinvolgere i bambini, i giovani e gli adulti2.
Vi è consapevolezza da parte dei genitori del valore educativo dello sport?
In che termini lo sport, in particolare lo sport di squadra, può educare?
L’idea di considerare lo sport solo come strumento con il quale si possono
perseguire obiettivi educativi è una considerazione riduttiva rispetto alle
potenzialità insite nello sport stesso: è lo stile che caratterizza la proposta sportiva
ad attribuirgli o meno valore educativo3. È importante, quindi, analizzare quali
sono gli elementi che caratterizzano lo sport e come possono attribuirgli questo
valore.
1.1 Lo sport e il gioco
Il primo fattore che bisogna prendere in considerazione riguarda l’origine
dello sport. Lo sport nasce dal gioco e deve, quindi, essere caratterizzato da una
forte componente ludica, specialmente lo sport di squadra.
1
Roberto TRINCHERO, Manuale di ricerca educativa, Milano, FrancoAngeli, 2002,pp. 88-146.
2
Silvana BOTTIGNOLE ,Lo sport dei valori, Torino, Bradipolibri Editore, 2005,pp. 42-48.
3
Aldo RABINO, Uomini nuovi per uno sport che educa, Torino, Ed. O.A.S.I., 1999, cap. 4.
7
Per meglio capire in che termini lo sport deve avere delle caratteristiche
ludiche è utile far riferimento ad alcune definizioni di gioco, in particolare al
collegamento che esse hanno con l’educazione e lo sviluppo psico-sociale.
«Un’azione libera: conscia di non essere presa “sul serio” e situata al di
fuori della vita consueta che non di meno può impossessarsi totalmente del
giocatore; azione a cui in sé non è congiunto alcun interesse materiale, da cui non
proviene vantaggio…»4.
Così Johan Huizinga definisce l’attività ludica, sottolineandone alcuni
elementi che sono riscontrabili anche nella pratica sportiva:
ξ la libertà di scelta: la scelta di uno sport da praticare deve essere
libera, deve avvenire seguendo quelle che sono le inclinazioni del
bambino, quelli che sono i suoi desideri e il suo entusiasmo. Se il bambino
è obbligato a partecipare a un qualsiasi gioco allora quel gioco non si può
più definire tale5;
ξ attività fine a se stessa: il gioco è fine a se stesso, non si svolge per
perseguire fini diversi dal gioco stesso, dal divertimento e dalla gioia che
comporta;non ci sono interessi materiali che spingono il bambino a
giocare. L’attività ludica proprio per questa sua caratteristica di
disinteresse verso eventuali ricompense e vantaggi è accompagnata da un
sentimento di tensione e gioia6. Il bambino inizia a praticare uno sport
perché lo diverte, non ne trae alcun vantaggio, se non quello di vivere una
dimensione nella quale la sua energia, la sua creatività e il suo impegno gli
donano una sensazione di benessere. ”7.
Possiamo ora prendere in considerazione un altro importante elemento
caratteristico del gioco, sottolineato da K.Gross (1861-1940) e K. Lange (1828-
1875). I due studiosi in tempi diversi riconoscono nell’attività ludica del bambino
la preparazione e la spinta allo sviluppo: il gioco è anche pre-esercizio all’attività
adulta, stimolo allo sviluppo8. Vediamo ora come lo sport rispecchia questa
dimensione:
ξ apprendimento motorio: sicuramente la funzione più evidente dello
sport rispetto allo sviluppo è quella di aiutare la crescita dal punto di vista
fisico. Lo sport migliora la consapevolezza del proprio corpo, insegna ad
utilizzarlo al meglio, a sviluppare competenze motorie che il soggetto
utilizza anche in altri campi: l’acquisizione di una buona coordinazione
motoria non è utile solo nel momento in cui si pratica sport, ma si applica a
molti aspetti della vita dell’uomo adulto9;
4
Johan HUIZINGA, Homo ludens, traduzione di Corinna Von Schendel, Torino, Einaudi, 1973, p.
17).
5
ibidem, p. 10.
6
Polisportive Giovanili Salesiane- Istituto di sociologia Università salesiana, A che gioco
giochiamo?, Roma, Ed. Juvenilia, 1991, p. 18.
7
Regione autonoma Valle D’Aosta e Conferenza Episcopale Piemontese Atti del Convegno: le
molte facce dello sport, il rischio di usare i ragazzi,Valle d’Aosta, 2000,relatore Francesco
VALENTE, p. 33.
8
Polisportive Giovanili Salesiane- Istituto di sociologia Università salesiana, A che gioco
giochiamo?, Roma, Ed. Juvenilia, 1991, p. 18.
9
Riferimento al sito internet:.http://www.club.it/autori/libri/pinuccio.vailati/prefazione.html.
8
ξ allenamento psicologico: anche nel gioco, nonostante il
divertimento, il bambino sperimenta momenti di rabbia, di frustrazione
dovuti alla non riuscita, al confronto con altri soggetti. La crescita da questo
punto di vista è un vero e proprio allenamento per riuscire a gestire questi
momenti e ritornare alla gioia del gioco o dell’evento sportivo, traendo
insegnamento da quanto vissuto10.
ξ funzione sociale: per il bambino il gioco è anche uno strumento per
interagire con l’altro, prima con l’adulto di riferimento e gradatamente con
il mondo esterno; anche nello sport, specialmente quello di squadra,questa
dimensione è fondamentale; il momento sportivo è incontro con l’altro, e lo
sviluppo delle abilità sociali del soggetto è indispensabile11. Questo aspetto
sarà approfondito nel paragrafo successivo;
ξ disciplina: intesa come la capacità di regolarsi, di dare ascolto a se
stessi, alle proprie esigenze, di accrescere la consapevolezza dei propri
limiti. Il bambino giocando scopre le proprie potenzialità, impara e
riconoscere i giochi in cui riesce meglio, con i quali si diverte di più.
L’atleta interiorizza delle regole di vita attraverso la pratica sportiva, impara
a rispettare gli impegni presi con se stesso e con gli altri. Valore importante
nello sport quanto nella vita quotidiana12.
L’osservanza delle regole è fondamentale per l’esistenza stessa del gioco;
Huizinga sottolinea l’importanza delle norme: « Non appena si trasgrediscono le
regole il mondo del gioco crolla. Non esiste più gioco…»13. Attraverso il gioco il
bambino impara che rispettare una regola significa poter giocare con i propri
amici divertendosi, senza litigi, mentre il trasgredirla potrebbe portare alla
sospensione dell’attività ludica.
Educare al rispetto delle regole è educare al rispetto di se stessi e dell’altro;
le regole interiorizzate nello sport sono alla base del sano agonismo e della sana
competitività: laddove esse non vengono rispettate viene lasciato spazio
all’esasperazione, alla ricerca del successo ottenuto con qualsiasi compromesso.
L’educazione alle regole diventa anche educazione alla legalità, intesa come
prevenzione di doping, violenza e come costruzione di personalità sportive che
siano prima di tutto uomini e cittadini14.
Vivere la dimensione ludica non significa, quindi, annullare le prerogative
agonistiche che caratterizzano lo sport, ma piuttosto viverle in maniera diversa e
in funzione diversa. L’educazione ludica è basata sulla gratuità, sulla libertà di
espressione, sulla creatività, sull’osservanza delle regole in funzione della
cooperazione e dell’incontro con gli altri.
10
Riferimento al sito internet:.http://www.club.it/autori/libri/pinuccio.vailati/prefazione.html.
11
Giulio PEIRONE- Sinda FERRARI, Educare allo sport ed al tifo non violento,Recco (GE), Ed.
Le Mani Università, 2006, pp. 20-23.
12
Riferimento al sito internet:.http://www.club.it/autori/libri/pinuccio.vailati/prefazione.html.
13
Johan HUIZINGA, Homo ludens, traduzione di Corinna Von Schendel, i, Torino, Einaudi, 1973,
p. 15.
14
Regione autonoma Valle D’Aosta e Conferenza Episcopale Piemontese, Atti del Convegno: ma
allora questo sport è malato?Doping, violenza, abbandono,Valle d’Aosta 2001, relatore Alfredo
TRENTALANGE, pp. 36-37.
9
Se lo sport perde questa dimensione va incontro all’abbandono da parte di
molti atleti in giovanissima età, e questo capita soprattutto, come sostiene
Francesco Valente, quando gli adulti programmano i divertimenti dei propri figli
con la stessa frenesia, ansia e pressione con cui programmano la propria giornata
lavorativa, rischiando così di rendere un’attività, che dovrebbe essere fonte di
gioia, in un appuntamento carico di aspettative e tensioni15. Troppo spesso infatti
gli allenamenti si riducono al lavoro, al continuo sacrificio e ricerca del
miglioramento tralasciando quella parte giocosa garante di momenti di
divertimento, gioia e stimolo alla crescita e al piacere di vivere un’esperienza di
amicizia16.
1.2 Il senso del gruppo
Caratteristica importante perché lo sport sia uno «sport di valore» è che la
costruzione dei fondamentali tecnici sia considerata inseparabile dalla costruzione
dei fondamentali umani.
Lo sport deve porsi come uno degli obiettivi quello di aiutare i ragazzi a
maturare degli atteggiamenti di fondo che nascono dall’esperienza che gli atleti
fanno del rapporto sforzi-risultati, del confrontarsi con un sistema di regole, della
necessità e importanza di assumere un impegno, tenendo conto anche delle
proprie capacità e dei propri limiti. Atteggiamenti che saranno utili nel cammino
sportivo così come nella loro vita.17. Proprio nel ruolo che lo sport assume nella
crescita dell’individuo è insito anche il suo valore sociale: quei fondamentali
umani che maturano anche grazie ad esso sono alla base della capacità
dell’individuo di diventare parte integrante e responsabile di un gruppo sociale.
Come già sostenuto nel paragrafo precedente l’origine dello sport è il gioco,
in modo particolare il gioco con regole che, afferma Piaget, «immettono
[l’individuo] nelle abitudini di rispetto di leggi e convenzioni sociali astratte»18 e
quindi diventano esperienze utili per la maturazione dell’area sociale della
personalità. Tale valore è insito nello sport di squadra che può essere
un’esperienza utile per aiutare il bambino a passare:
ξ da una socializzazione di tipo affettivo ad una socializzazione più
razionale, di tipo cooperativistico: la vita all’interno del gruppo
sportivo richiede la collaborazione per il raggiungimento di
obiettivi comuni anche con i soggetti ai quali il bambino non è
ancora legato per ragioni affettive, ma con i quali comunque deve
imparare a relazionarsi;
ξ da una visione egocentrica dei rapporti a una visione che prenda in
considerazione anche gli altri e il loro punto di vista: la squadra si
15
Regione autonoma Valle D’Aosta e Conferenza Episcopale Piemontese, Atti del Convegno: le
molte facce dello sport, il rischio di usare i ragazzi,Valle d’Aosta, 2000, relatore Francesco
VALENTE, p. 33.
16
Riferimento al sito internet: http://www.club.it/autori/libri/pinuccio.vailati/prefazione.html.
17
Regione autonoma Valle D’Aosta e Conferenza Episcopale Piemontese, Atti del Convegno: le
molte facce dello sport, il rischio di usare i ragazzi,Valle d’Aosta, 2000,relatore prof Franco
GARELLI, p. 36.
18
J.PIAGET, 1945, citato nella ricerca-sperimentazione: Polisportive Giovanili Salesiane- Istituto
di sociologia Università salesiana, A che gioco giochiamo?, Roma, Ed. Juvenilia, 1991 , p. 28.
10
forma solo con la disponibilità di ogni singolo soggetto ad aprirsi
agli altri, a condividere rispettando ruoli e persone, aldilà del
proprio tornaconto personale;
ξ da un approccio istintivo, sia nel confronto con gli altri che nel
vivere la competizione, a una gestione più matura ed equilibrata
dell’esperienza: la condivisione della vittoria e della sconfitta nel
gruppo deve essere stimolo per un confronto utile alla crescita non
solo dei singoli ma di tutta la squadra.
Questi passaggi sono indispensabili per la formazione di un squadra che
valorizzi non solo i singoli individui, ma soprattutto l’insieme di quelle
caratteristiche che permettono a quegli individui di diventare gruppo sociale19.
Il valore in più dei giochi di squadra è, quindi, attribuito alla caratteristica di
far acquisire il «senso del gruppo», più che il senso dell’affermazione individuale;
l’aspetto della cooperazione, della solidarietà, dell’impresa comune e dello
scambio hanno primato in tutti gli sport in cui ad allenarsi e a disputare
competizioni non è un singolo giocatore, ma un gruppo.
Educare alla solidarietà, allo scambio affettivo, relazionale è molto più
semplice e produttivo se fatto attraverso la sperimentazione quotidiana
dell’importanza di questi elementi per vincere, ma anche per superare le difficoltà
di una sconfitta. Oggi nella nostra società è difficile costruire relazioni autentiche
e spesso proprio nel momento di sconfitta e di disagio si fa fatica a trovare aiuto, a
lasciarsi aiutare, ecco che allora «i gruppi di pratica sportiva possono essere un
veicolo di costruzione nuovo di relazioni sociali, di ricomposizioni sociali dentro
un contesto che diventa sempre più anonimo»20.
La formazione alla vita di gruppo può quindi essere promossa anche
attraverso lo sport che, in particolare, influenza alcune capacità dell’individuo,
permettendo una loro maturazione. Tra queste possiamo sottolineare:
ξ la capacità di ascolto: il soggetto deve tener conto della posizione
dell’altro per raggiungere un obiettivo comune -il divertimento, la
vittoria- e delle sue idee per confrontarsi e crescere;
ξ costruzione di rapporti più stabili e collaborativi;
ξ democratizzazione del gruppo : collaborazione di tutti i soggetti e ruolo
attivo di tutti sono necessari perché le decisioni prese possano essere il
più possibile condivise, lasciando spazio al confronto.
Rispetto all’ultimo elemento è utile far riferimento all’organizzazione dello
sport di squadra che da una certa età -12 anni circa- prevede che i componenti
della squadra inizino una specializzazione rispetto al ruolo che assumeranno nelle
competizioni a seconda delle loro capacità: questo permette al singolo individuo
di sentirsi valorizzato per i propri pregi, senza fossilizzarsi ma continuando
comunque a crescere -i ruoli non sono rigidamente attribuiti- e
19
Polisportive Giovanili Salesiane- Istituto di sociologia Università salesiana, A che gioco
giochiamo?, Roma, Ed. Juvenilia, 1991, pp. 28-29.
20
Regione autonoma Valle D’Aosta e Conferenza Episcopale Piemontese Atti del Convegno: le
molte facce dello sport, il rischio di usare i ragazzi,Valle d’Aosta, 2000,relatore prof Franco
GARELLI, pp. 35-37.
11
contemporaneamente richiama tutta la squadra al rispetto di ogni singolo per il
bene del gruppo21.
Il rapporto di interdipendenza tra sé e gli altri dal punto di vista educativo
influenza anche la formazione dell’identità di ogni individuo. A tal proposito lo
schema Johari22 ideato nel 1986 da Joe Luft e Harry Ingham, permette di
comprendere la dinamica dei gruppi: quando ognuno di noi si relaziona ad altre
persone è disposto a rivelare alcune cose ma a tacerne altre, ogni persona può poi
non dire cose di cui è consapevole e rivelare con atteggiamenti e comportamenti
cose di cui lei non è cosciente, ma che gli altri interpretano correttamente.
Basandosi su questa idea i due autori hanno creato uno schema che individua in
ogni persona quattro aree di conoscenza della propria identità:
ξ area aperta: conosciuta a sé e agli altri
ξ area cieca: sconosciuta a sé ma conosciuta agli altri
ξ area nascosta: conosciuta a sé ma sconosciuta agli altri
ξ area sconosciuta: sconosciuta a sé e agli altri.
Anche nella creazione del gruppo la fiducia reciproca si sviluppa
gradualmente attraverso il vissuto di esperienze quotidiane che permettono per
ogni componente del gruppo la possibilità di ampliare l’area aperta e la
conseguente formazione di legami via via più intimi, di relazioni significative
fondate sulla fiducia interpersonale che aumentano anche le potenzialità del
gruppo in termini di coesione e crescita collettiva grazie alla creazione
dell’identità di gruppo23.
1.3 Cultura dell’attesa e del sacrificio
Non si può tralasciare quando si parla di sport la dinamica di agonismo, un
agonismo e una competizione sani che permettano la sperimentazione della
vittoria e della sconfitta e che aiutino anche i ragazzi a rivelare il loro eventuale
talento senza tuttavia cadere nell’esasperazione, nella ricerca del risultato ad ogni
costo e nell’utilizzo di scorciatoie, siano esse lecite o meno. Quando il risultato di
un evento sportivo diviene l’unico fine dell’esperienza che si sta vivendo e la gara
è solo un momento di valutazione del valore del giovane atleta, allora lo sport si
carica di stress a causa del sovraccarico di richieste e di attese che il ragazzo o la
ragazza avvertono su di sé24. L’agonismo dunque può diventare un’arma capace di
annullare i ragazzi per esaltare il loro eventuale talento tralasciando i loro reali
bisogni. A tal proposito si è espresso anche l’ONU nel 1989 nella Carta dei Diritti
atta a tutelare «il miglior interesse del bambino…». In particolare nell’articolo 29:
«l’educazione del bambino deve tendere allo sviluppo della personalità del
21
Polisportive Giovanili Salesiane- Istituto di sociologia Università salesiana, A che gioco
giochiamo?, Roma, Ed. Juvenilia, 1991, p. 31.
22
Il nome dello schema è stato dato dagli autori stessi che hanno unito i loro nomi Jo (da Joe) hari
(da Harry).
23
Giulio PEIRONE- Sinda FERRARI, Educare allo sport ed al tifo non violento,Recco (GE), Ed.
Le Mani Università, 2006, pp. 20-23, riferimenti nei siti internet:
http://www.iltuopsicologo.it/la_finestra_di_johari.htm e
http://it.wikipedia.org/wiki/Schema_di_Johari.
24
Regione autonoma Valle D’Aosta e Conferenza Episcopale Piemontese Atti del Convegno: alla
scuola dello sport: come ripartire?,Valle d’Aosta, 2002,relatore Eddy OTTOZ, pp. 81-83.
12
bambino/a, dei suoi talenti, delle sue abilità mentali e fisiche, al massimo delle sue
potenzialità» e in maniera ancor più chiara nell’articolo 31 si specifica che “
«Gli stati >… ≅ riconoscono il diritto del bambino/a al riposo e allo svago, a
dedicarsi al gioco e ad attività ricreative appropriate alla sua età»25.
Educare all’agonismo significa insegnare a vivere la vittoria come la
sconfitta: così come si impara uno sport e le sue regole si dovrebbe imparare a
comportarsi durante l’evento sportivo, anche in relazione all’esito della gara
disputata. Sia la vittoria che la sconfitta devono essere inseriti all’interno di uno
stesso progetto educativo, ciò significa che entrambe rivestono un ruolo
importante e fondamentale nella crescita sportiva: l’attenzione deve essere posta
non su «quanto» si vince o si perde ma su «come» si vince o si perde.
Nei momenti di sconfitta è fondamentale che allenatore e genitori aiutino i
ragazzi a non percepirsi come perdenti, ma a verbalizzare quanto è successo in
gara, anche a livello emotivo, perché l’evento sia stimolo al miglioramento.
Altrettanto importante è l’analisi di quanto si è vissuto durante una vittoria,
atteggiamento fondamentale per evitare il fenomeno del sopravvalutarsi, del
considerarsi il migliore. Entrambe le esperienze sono quindi ricche di valore
nell’educazione sportiva26.
L’elemento «agonismo» è dunque sano ed educativo quando tiene conto dei
ritmi del ragazzo delle sue potenzialità ma anche del suo diritto a non essere un
campione e, al contempo, diventa uno stimolo per la crescita integrale
dell’individuo. A tal proposito è utile far riferimento alla cultura dell’attesa e del
sacrificio di cui lo sport sano è un esempio. Il raggiungimento di obiettivi sportivi
presuppone un lavoro di preparazione e allenamento; questo tempo aiuta il
ragazzo a costruire concetti, ad elaborare idee e stimola la curiosità che è matrice
di conoscenza grazie alla componente ludica che nella fase preparatoria può essere
più forte. L’atleta si allena a tener duro, a non arrendersi al primo ostacolo, pur
imparando a gestire le proprie forze e quindi ad accettare i propri limiti, lavorando
attraverso il divertimento e la fatica per sviluppare una maggiore tenacia.
Queste competenze che vengono apprese in ambito sportivo vengono poi
trasportate in altri ambiti, quali ad esempio la famiglia, nel rapporto con gli altri,
nello studio, contesti nei quali sono sempre presenti possibili delusioni o
frustrazioni che l’individuo deve imparare a gestire.
Il sacrificio e la fatica che l’individuo prova nel raggiungere un obiettivo,
come può essere il miglioramento tecnico, danno maggior valore alla conquista, al
traguardo. Questo elemento educativo è utile specialmente oggi, nella società
contemporanea, nella quale il benessere diffuso ci ha abituato ad avere tutto con
facilità, e a non avere strumenti psicologici per sopportare momenti di crisi
personale o sociale.
In questi termini la cultura del sacrificio e dell’attesa in vista di un traguardo
sportivo è un elemento molto importante per lo sviluppo psicofisico del bambino e
lo stimola a crescere cercando sempre nuove soluzioni quando si trova di fronte
ad un ostacolo, lo sprona a superare un insuccesso, una sconfitta vivendo il
momento critico come un’esperienza dalla quale imparare. La sconfitta così rivela
25
Aldo RABINO, Uomini nuovi per uno sport che educa, Torino, Ed. O.A.S.I., 1999, pp. 95-96.
26
Polisportive Giovanili Salesiane- Istituto di sociologia Università salesiana, A che gioco
giochiamo?, Roma, Ed. Juvenilia, 1991, pp. 32-35.