5
INTRODUZIONE
Il termine “ECOLOGIA”, dal greco “oikos”, che a sua volta significa “casa”, è
stato coniato nel 1869 da Ernst Haeckel1, naturalista e filosofo tedesco, per indicare
la disciplina che pone l‟habitat umano al centro della politica, del territorio e dei
correlati processi di sviluppo tecnologico, sociale e civile.
Con il tempo, però, gli stili di vita si sono evoluti e ci hanno distratto dalla
percezione dell'inestimabile valore delle risorse naturali, considerate scontate ed
inesauribili. Purtroppo, un utilizzo inadeguato delle risorse mette in crisi non solo gli
equilibri ecologici globali, ma anche la qualità della vita dell'uomo.
A partire dal XIX secolo e ancora oggi si può notare come il dualismo uomo-
ambiente si sia sempre proposto attraverso tematiche e situazioni piuttosto scottanti
che contribuiscono a scrivere pagine importanti della cronaca internazionale.
Quando si indaga sul tema della tutela e della salvaguardia del territorio, quasi
sempre si percepisce una sensazione di distacco e di indifferenza tra chi informa e
chi viene informato. Le notizie sul tema rimbalzano da parte a parte, da
responsabilità a responsabilità trascurando le implicazioni dell‟informatore e
dell‟informato. Ci si limita quasi a raccontare i terribili fatti riguardanti fenomeni
quali effetto serra, cambiamenti climatici, piogge acide che appaiono ora tra le
risposte evidenti del pianeta ad una sfrenata evoluzione tecnologica tuttora in corso.
L‟uomo estrae e consuma in modo irreversibile le risorse naturali, le trasforma con
le macchine e la tecnica, producendo rifiuti inquinanti che sono attualmente tanti,
troppi, perché non abbiamo ancora imparato a imitare la natura. La natura infatti non
produce rifiuti o sprechi; ciò che una specie espelle diviene materia prima o
nutrimento per un‟altra.
Il problema dei rifiuti è antico, ma le sue dimensioni non avevano mai raggiunto
quelle attuali. L'uomo, spinto dalla rivoluzione industriale, si è abituato a vivere nella
"civiltà dell'usa e getta", credendo possibile un prelievo illimitato delle risorse e un
accumulo indiscriminato dei rifiuti.
1
Ernst Haeckel, l‟assertore della teoria darwiniana dell‟evoluzione della specie nato a Postdam nel 1834 e morto
a Jena nel 1919, studia scienze naturali e medicina a Berlino e a Wurzburg, approfondisce lo studio degli animali
marini inferiori a Messina e dal 1865 è titolare della cattedra di zoologia all‟università di Jena; tra le sue opere:
Freedom in Science and Teaching (1879) e The History of Creation (1868).
6
L‟aumento della ricchezza2, propria degli ultimi 60 anni, ha portato con sé, come
ovvia conseguenza, l‟aumento della domanda di prodotti il cui ciclo di vita è
diventato sempre più breve. La società cosiddetta dei consumi è caratterizzata dalla
continua produzione di materiali di scarto, i quali diventano rifiuti perché è
sconveniente riutilizzarli o riciclarli.
Si parla infatti di “consumismo”, cioè di quella “tendenza, tipica delle economie
caratterizzate da un alto livello di benessere, a incentivare consumi di beni anche
non necessari”3, per cui all‟aumento della ricchezza corrisponde un aumento della
quantità di rifiuti. Ma purtroppo l‟ambiente può assorbire l‟inquinamento e
neutralizzarne gli effetti solo in misura limitata.
Ma allora, tutelare l‟ambiente al 100% significherebbe dunque per l‟uomo tornare
indietro nel tempo? Un‟involuzione inimmaginabile.
Mentre è invece necessario e possibile cercare una soluzione nel “giusto mezzo”,
proseguendo sulla strada dello sviluppo economico, ma con il massimo rispetto per la
tutela dell‟ambiente e per le generazioni future”.
L‟innovazione tecnologica di ultima concezione potrebbe rappresentare uno
strumento utile per una tutela dell‟ambiente in quanto permetterebbe sia di attingere
dalla natura una quantità minore di risorse, sia di ridurre le emissioni di gas nocivi.
Diventa quindi indispensabile attuare una riflessione sulla possibilità di gestire il
territorio in maniera sostenibile, in modo che tutti, soprattutto i più giovani, possano
sempre di più imparare a pensare e ad agire in funzione della salvaguardia
dell‟ambiente.
Al riguardo, le problematiche sono tante e svariate, ma quelle connesse alla
produzione di rifiuti hanno assunto negli ultimi decenni proporzioni sempre maggiori
in relazione al miglioramento delle condizioni economiche, al veloce progredire
dello sviluppo industriale, all‟incremento della popolazione e delle aree urbane.
La produzione dei rifiuti è progressivamente aumentata quale sintomo del
progresso economico e dell‟aumento dei consumi. La diversificazione dei processi
produttivi, inoltre, ha generato la moltiplicazione della tipologia dei rifiuti con effetti
sempre più nocivi per l‟ambiente.
2
Cfr. Vecchi, G. (2003), Il benessere dell’Italia liberale, Storia Economica d’Italia.
3
Vedi Zingarelli (1995)- vocabolario della lingua italiana
7
In tale contesto, la strategia di gestione dei rifiuti prevista dall‟Unione Europea,
nelle azioni da intraprendere, pone come priorità la prevenzione e la minimizzazione
(quantità e pericolosità). A questi interventi devono, comunque, necessariamente,
seguire attività di riutilizzo, recupero (di materia e di energia) e smaltimento sicuro.
Nonostante questa sia l‟impostazione comunitaria4, si deve osservare che la
prevenzione e la minimizzazione nei paesi dell‟Unione sono tra le attività di gestione
meno diffuse. Tale situazione deriva dal fatto che, nella maggior parte dei casi, le
iniziative di prevenzione consistono in processi a lungo termine i cui risultati non
sono a breve percepibili. Ai fini della loro efficacia, gli interventi devono essere
necessariamente associati ad iniziative mirate al miglioramento delle operazioni di
gestione dei rifiuti (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento) e, in particolare,
all‟incremento del recupero di materia ed energia.
Le soluzioni possono essere tanto più efficienti quanto più si ha conoscenza
dell‟intero ciclo dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento. Conoscere tale ciclo
permette di migliorare e, in certi casi, suscitare la sensibilità e la responsabilità
soggettive rispetto alla loro produzione.
Risulta necessario, dunque, cercare di ridurre i rifiuti all‟origine, considerandoli
non come un qualcosa di immutabile, ma come la risultante di una serie di
trasformazioni di materia ed energia.
Il concetto di rifiuto in quanto elemento proprio di ogni processo biologico, da cui
derivano residui che la natura riutilizza, è un qualcosa di profondamente naturale e
sicuramente non negativo o dispregiativo. Ma per l‟opinione comune il concetto di
rifiuto ha sempre avuto e ha tutt‟oggi una valenza negativa; l‟associamo all‟idea di
scarto o di “prezzo” del ciclo produttivo ma, forse più comunemente e
semplicemente, è “l‟avanzo” o meglio la “cosa” diventata inutile e di nessun valore.
Per delimitare la comune idea di rifiuto, mi avvalgo ora della sua “definizione
giuridica” considerando che oggi “si deve escludere che per rifiuto possa intendersi
un qualcosa che necessariamente non abbia più valore economico e che quindi non
possa più essere oggetto di una riutilizzazione economica da parte di altre
4
Sulla gestione dei rifiuti, il VI Programma Ue mira a “garantire una migliore efficienza delle risorse
e una migliore gestione delle risorse e dei rifiuti ai fini del passaggio a modelli di produzione e
consumo più sostenibili, dissociando pertanto l‟impiego delle risorse e la produzione dei rifiuti dal
tasso di crescita economica, e cercando di garantire che il consumo di risorse rinnovabili e non
rinnovabili non superi la capacità di carico dell‟ambiente”.
8
persone”5. Non vi è dubbio, ormai, che i rifiuti, pur restando tali, abbiano un
proprio valore economico.
Al fine di una considerazione globale del problema diventa prioritario condividere
quindi con le istituzioni, con i cittadini e con tutti i soggetti coinvolti un progetto
integrato che miri all‟impiego costante di campagne informative rivolte alle famiglie
e a tutti i cittadini, con la collaborazione di associazioni e di strutture di volontariato
ed alla formazione nell‟ambito scolastico e comunitario.
La tesi antropocentrica che mi propongo di argomentare fonda la relazione uomo-
ambiente sul capitale umano, addizionabile a quello naturale, a sua volta valutato in
termini strumentali rispetto ai bisogni presenti e futuri della popolazione.
5
Vedi Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 28 marzo 1990 – proc. 206 – 207 – 359.
9
CAPITOLO 1
MISURARE IL PROGRESSO DELLA SOCIETA’
1.1 Lo sviluppo sostenibile.
Pochi concetti economici hanno assunto nel tempo un ventaglio di significati
ampio come quello di sviluppo.
I padri dell‟economia classica hanno dato grande rilievo a questo tema e per tutti i
grandi economisti che si sono succeduti dalla seconda metà del „700 in poi, lo scopo
di questa disciplina è rimasto, sia pure con numerose varianti, il perseguimento del
benessere collettivo in rapporto a quello individuale.
Dalla seconda metà dell'Ottocento le attenzioni degli economisti si sono spostate:
l'evoluzione del reddito viene considerata come scontata, e gli studi si concentrano
sulla sua distribuzione, l'unica variabile decisiva per i paesi progrediti. Si deve
aspettare il clima politico instauratosi nel secondo dopoguerra per vedere risorgere
l'idea di sviluppo.
Nel XX secolo, e in particolare nella sua seconda metà, l‟interesse degli studiosi si
è concentrato sul calcolo e sulla dinamica del prodotto interno lordo, del reddito
nazionale nelle sue varie accezioni.
La crescita sostenibile nel lungo periodo, per non privare le generazioni future di
risorse e di opportunità, ha promosso un riesame del Pil per tenere conto di fattori
ambientali, intergenerazionali, ecc.
In quest'ottica, segnali della nuova visione del mondo sono stati la creazione del
sistema di cambi fissi di Bretton Woods e di istituzioni finanziarie internazionali
(Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale).6
Gli economisti hanno partecipato al dibattito per la progettazione e la realizzazione
del sogno di un pianeta in pace e sulla via dello sviluppo, dopo la disastrosa
esperienza di due conflitti mondiali.
La data di nascita più citata dai libri di storia della teoria dello sviluppo è il 1943.
6
Vedi Sarcinelli,, M. (2008), Misurare il progresso della società.
10
A livello accademico è indubbia la notevole influenza esercitata dall'ascesa della
teoria keynesiana quasi a nuovo paradigma.
Nei primi decenni (anni '50 e '60) lo sviluppo è stato quasi sempre interpretato
come crescita economica. Si è così creata una sorta di “dipendenza” dal Pil e
quest‟ultimo è diventato un indicatore del benessere materiale. Probabilmente non si
può negare che la maggiore abbondanza di beni e servizi a disposizione di
consumatori e produttori ne amplia le scelte e con esse la capacità di fruire e gestire
economicamente flussi di ricchezza. Ma nonostante ciò, il Pil rappresenta un
indicatore della felicità? Purtroppo (o per fortuna?), bisogna rispondere di no.
Infatti, il reddito pro capite è aumentato fortemente nel dopoguerra, ma il livello
della felicità, quale risulta da indagini demoscopiche, non pare sia cresciuto o,
comunque, è aumentato di poco.7
E‟ questo il paradosso della felicità posto in luce già nel 1974 da Richard
Easterlin. 8
Quali che siano le “vere” ragioni che spiegano il paradosso della felicità, non si
può non concordare con coloro che sostengono come, nei paesi industrializzati e
forse anche in altri tipi di economie, non sia il reddito assoluto che aumenta la
felicità individuale, ma quello relativo, cioè il suo maggior incremento rispetto a
quello degli altri, con ovvio innalzamento dello status del percipiente.
Non vanno nemmeno dimenticati che contribuiscono a questo risultato il processo
di competizione sociale, l‟aspirazione a modelli di consumo difficilmente
raggiungibili, ma oggetto di martellanti campagne pubblicitarie e soprattutto la scarsa
accumulazione di capitale sociale dovuta ad un individualismo talvolta esasperato.
7
Secondo Sartorius (1993) la Qualità della Vita (QdV) è un concetto problematico. Alcuni
pensano che parole come „benessere‟, „soddisfazione‟ e „felicità‟ siano sinonimi. Egli ritiene invece
che la QdV sia una costellazione individuale di componenti oggettive e soggettive del benessere.
8
Nel 1974 Richard Easterlin, professore di Economia all'Università della Southern California e
membro dell'Accademia Nazionale delle Scienze, ricercando le ragioni per la limitata diffusione della
moderna crescita economica evidenziò per dimostrare con il «paradosso della felicità» (noto ancor
oggi come «Easterlin Paradox») che nel corso della vita la felicità delle persone dipende molto poco
dalle variazioni di reddito e di ricchezza. Questo paradosso, secondo Easterlin, si può spiegare
osservando che, quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana
aumenta fino ad un certo punto, poi comincia a diminuire, mostrando una „curva ad U‟ rovesciata.