Verso una Knowledge based Economy
2
Ancora molte sarebbero le citazioni da ricordare a tal proposito
2
, ma quanto appena
detto ci sembra sufficiente per giustificare il forte incremento d’attenzione verso la
nascita di un nuovo mondo, un mondo affascinante e complesso, difficile e concreto,
talvolta incomprensibile e talaltra scontato: il mondo basato sull’economia della
conoscenza.
Questo capitolo si propone proprio di analizzare quella che ad oggi viene definita
knowledge based economy, attraverso un percorso semplice e lineare: dall’analisi delle
origini storiche della disciplina si passerà ad un’attenta disamina delle caratteristiche
della risorsa conoscenza, per poi concludere con le motivazioni che sottendono la
necessità di gestire i saperi d’azienda.
Come già ribadito nell’introduzione del lavoro il core element di questa trattazione è
costituito dal knowledge management, nelle sue “vesti” pratiche e teoriche: riteniamo
però, che una sua efficace comprensione ed analisi non possa prescindere dal contesto
macroeconomico di riferimento.
Capire in che cosa consiste l’economia della conoscenza, quando essa ha avuto origine e
tutti gli altri aspetti che verranno di seguito analizzati, costituisce il presupposto
fondamentale nell’approccio alla gestione dei saperi aziendali, il framework di
riferimento che contestualizza e da significatività alla disciplina del knowledge
management. Ecco perché dedicare alcune pagine del lavoro allo studio della knowledge
based economy.
L’importanza dell’argomento in questione è ormai palese, ma verrà ulteriormente
ribadita nel corso del lavoro: “Alla fine, scoperte, studi, articoli e dibattiti finiscono
sempre per parlare di conoscenza
3
”. Non ci si può più permettere di ignorare la
disciplina: si può essere più o meno d’accordo con le interpretazioni della stessa; ma
“abbracciare” i processi sottostanti l’economia della conoscenza e le sue implicazioni
per il sistema d’azienda è divenuto un must, un obbligo al quale gli imprenditori non
possono mancare se intendono procedere con successo nella loro attività.
2
Altre citazioni a riguardo verranno citate nel proseguio del lavoro.
3
Cfr. AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge
management prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 193
Verso una Knowledge based Economy
3
Il presente capitolo vuole offrire una breve ma chiara panoramica del contesto che ha
dato origine e che tutt’ora caratterizza un sistema di knowledge management.
1.1.1 Cosa si intende per economia della conoscenza?
In linea generale, possiamo parlare di economia della conoscenza ogni volta che ci
troviamo di fronte ad un segmento del sistema economico in cui il valore (utilità per i
soggetti economici) viene prodotto attraverso la conoscenza
4
.
Più in particolare con il termine economia della conoscenza si intende
5
:
- Un’economia nella quale la quota di occupazione ad alta intensità di
conoscenza è preponderante o comunque sensibilmente più alta rispetto al
passato;
- Un’economia in cui il peso economico dei settori legati all’informazione è
diventato determinante;
- Un’economia in cui la quota di capitale intangibile nello stock di capitale
totale è diventata maggiore di quella del capitale fisico.
Analizziamo più approfonditamente ognuno di questi aspetti
6
.
In merito alle caratteristiche occupazionali, gli ultimi decenni si sono caratterizzati per
una profonda trasformazione delle funzioni aziendali e del loro contenuto intrinseco.
Esse sono diventate nella maggior parte dei casi lavoro cognitivo, in cui le risorse
umane non trasformano più la materia prima, ma generano conoscenze innovative che
con il loro impiego saranno usate per trasformare la materia in utilità e valore per il
4
La definizione è tratta da un’intervista condotta dal Sole 24 ore ad Enzo Rullani, 2004.
5
Tale definizione è tratta da: FORAY D., “L’economia della conoscenza”, Il MULINO, Bologna, anno
2000, pag. 9. In realtà occorre considerare come molte sono le definizioni elaborate dagli studiosi e dagli
autori in merito al significato di economia della conoscenza. La scelta di questa definizione (piuttosto che
un’altra) si giustifica per il fatto che è in grado di illustrare in modo più significativo e opportuno i tratti
salienti e le caratteristiche rilevanti della disciplina. Per la sua completezza essa si configura come il
“manifesto” di questa nuova materia.
6
L’approfondimento dei tre punti appena citati è tratto da FORAY D., “L’economia della conoscenza”, Il
MULINO, Bologna, anno 2000, pag. 38. E’ proprio dalle trasformazioni intervenute in ambito
macroeconomico che si comprende la nascita di una knowledge based economy e quindi anche la
definizione appena citata di economia della conoscenza.
Verso una Knowledge based Economy
4
cliente. Il grafico seguente evidenzia questa tendenza per alcuni Paesi dell’ OCSE.
Se la tendenza generale è assai evidente (il grafico mostra un marcato aumento della
quota di lavoratori qualificati sul totale degli occupati), i fattori alla base di una
distribuzione così marcata a favore del lavoro qualificato sono difficili da individuare in
modo altrettanto preciso.
-0,5 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5
Canada (1981-1991)
Giappone (1980-1990)
Stati Uniti (1983-1993)
Germania (1980-1990)
Francia (1982-1990)
Italia (1981-1991)
lavoro non qualificato lavoro qualificato
Grafico 1.1 Crescita dell’occupazione per lavoratori qualificati e non qualificati Fonte: OCSE (1996)
Certo è che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione favoriscono la
sostituzione della manodopera non qualificata con quella qualificata, anche se in realtà
non è sempre scontato: alcuni studi empirici dimostrano come l’effetto degli
investimenti in tecnologia dell’informazione sulla dinamica dell’occupazione siano
molto variabili ed aleatori e dipendano, quindi, in misura rilevante dalla natura della
tecnologia introdotta e dalla forma organizzativa scelta. Non esistono risultati univoci.
Quindi per spiegare la crescita della quota di manodopera qualificata sull’occupazione
totale occorrono motivazioni più generali della semplice diffusione delle tecnologie
informatiche; bisogna considerare l’impatto dell’avvento di una knowledge era che
comporta una maggiore esigenza delle imprese in termini di competenze e attitudini.
Verso una Knowledge based Economy
5
I knowledege workers rappresentano, attraverso le loro capacità e le loro conoscenze, il
bene principale dell’azienda e possono, a differenza dei lavoratori manuali addetti alla
manifattura, possedere i mezzi di produzione: “la conoscenza è immagazzinata nelle
loro teste e possono quindi portarla con sé, ovunque vadano”
7
.
Con riferimento al secondo aspetto sopra citato si coglie, invece, tutto il peso che la
rivoluzione digitale iniziata già a partire dagli anni ‘70 ha esercitato sul nostro sistema
economico. La nascita di nuovi strumenti in ambito comunicativo e di nuovi metodi di
elaborazione delle informazioni ha innescato una forte crescita di imprese ad elevato
contenuto di conoscenza. Come dimostra la figura 1.2.
8
024681012
Svezia
Danimarca
Norvegia
Regno Unito
UE
Olanda
Germania
Australia
Italia
spesa pubblica per l'istruzione R&S software
Grafico 2.1 Investimenti in conoscenza, 1995 (percentuale Pil) Fonte OECD (1999)
Ai dati di questo grafico bisogna aggiungere alcune informazioni che riguardano la
crescita annuale media delle voci analizzate, dal 1985 ad oggi. Spicca fra tutti la
7
Tratto da: DRUCKER P. F., “Il grande cambiamento”, SPERLING & KUPFER, 1995. Una trattazione
più approfondita dei knowledge worker e in particolar modo dei nuovi ruoli e delle nuove figure che sono
nate con l’avvento dell’economia della conoscenza verrà effettuata nel capitolo 2.
8
Grazie ad alcuni recenti lavori dell’OCSE si è giunti ad una certa stabilizzazione delle stime sulle
categorie di investimento in conoscenza per un dato Paese o settore. La figura evidenzia le disparità tra
Paesi OCSE in termini di investimento in istruzione pubblica, R&S, e programmi informatici. Ulteriori
informazioni in merito allo stato di avanzamento e recepimento dell’economia della conoscenza verranno
trattati nel proseguo del lavoro.
Verso una Knowledge based Economy
6
Danimarca con una crescita di investimenti in innovazione pari al 4.4%, seguita poi da
Finlandia, Giappone, Norvegia e Stati Uniti che si attestano intorno al 3.7%. Dati poco
confortanti per Olanda, Belgio e Italia che crescono rispettivamente al 0.9%, 0.1% e
1.3%. Gli altri Paesi si trovano in una situazione intermedia
9
.
L’ultimo aspetto che rimane da analizzare riguarda la nascita di una nuova economia,
un’economia destinata a rendere visibili e analizzabili i processi attraverso cui le
conoscenze generano valore passando o meno attraverso la trasformazione materiale,
nella consapevolezza che solo il patrimonio intangibile dell’impresa costituisce fonte di
successo per la stessa. La tabella n. 1.1 conferma quanto appena detto.
Componenti dello stock reale 1929 1948 1973 2000
Capitale tangibile totale
6.075 8.120 17.490 28.525
Strutture e macchinari 4.585 6.128 13.935 23.144
Stock 268 471 1.000 1537
Risorse naturali 1.222 1.468 2.555 3.843
Capitale non tangibile totale
3251 5.940 17.349 32.819
Istruzione e formazione 2647 4.879 13.564 25.359
Saluta sicurezza 567 892 2.527 5.133
mobilità 37 169 1.249 2.327
Tab 1.1 Stock di capitale reale lordo negli stati Uniti. (mld di dollari) Fonte: Kendrik 1994
Mentre nel corso della metà del diciannovesimo secolo la crescita del capitale fisico ha
contribuito per i due terzi all’aumento della produttività del lavoro a livello mondiale,
tale contributo nel ventesimo e ventunesimo secolo è sceso ad un valore tra un quarto e
un quinto della crescita della produttività
10
. Questa è l’economia della conoscenza.
9
In realtà si può affermare che c’è una convergenza in termini di crescita annuale media degli
investimenti suddetti per i Paesi dell’OCSE. Dal 1985 ad oggi hanno speso in media tra l’8 e l’11% del
loro PIL in investimenti legati alla conoscenza.
10
Kendrick mostra come lo stock di capitale intangibile diviene equivalente allo stock di capitale fisico
intorno al 1973 e che esso è oggi largamente dominante. Kendrick dimostra inoltre come il rapporto tra
capitale intangibile e capitale tangibile è più che raddoppiato tra il 1929 e il 1990.
Verso una Knowledge based Economy
7
1.1.2 Alcuni pregiudizi da riconoscere e da correggere
Dopo aver analizzato cos’ è l’economia della conoscenza ed aver approfondito i tratti
salienti della stessa disciplina occorre soffermarsi su cosa non è questa nuova realtà, o
meglio con che cosa non deve essere confusa
11
.
Ne forniamo una breve illustrazione nella tabella seguente.
L’economia della conoscenza
Non è Economia della ricerca né economia dell’informazione (pregiudizio settoriale)
Non è Economia dell’innovazione (pregiudizio storico)
Non va ad esclusivo vantaggio del produttore (pregiudizio competitivo)
Non è solo produzione ma anche propagazione di conoscenza (pregiudizio epistemologico)
Tabella 2.1. Gli errori da evitare nella definizione di economia della conoscenza. Fonte: nostro
adattamento ad uno schema proposto da RULLANI, “Economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma,
2004
L’economia della conoscenza non dovrebbe essere scambiata con l’economia della
ricerca, perché non ha come scopo principale la produzione di conoscenza tecnologica;
a seconda del settore e dell’impresa che vengono presi in considerazione la quota di
ricerca formale sulla produzione totale di conoscenza può andare da “enorme” a
“trascurabile”, e ovviamente altre attività possono svolgere un ruolo importante. Non
c’è ragione di ritenere che la conoscenza che conta sia soltanto quella che nasce nel
sistema scientifico-tecnologico o nella sfera delle professionalità “alte”, intellettuali e
teoriche. Anche le conoscenze pratiche che non hanno legittimità scientifico-
intellettuale, costituiscono un sistema organizzato, hanno una capacità accumulativa e
una dimensione economica non effimera. La loro presenza non è meno importante della
11
In particolar modo Rullani parla non soltanto di che cosa non è l’economia della conoscenza ma anche
della necessità di riconoscere e superare quattro pregiudizi sui quali gli studiosi e l’intera società rischiano
di inciampare, dando così luogo a rappresentazioni errate della nuova materia. I quattro pregiudizi sono:
pregiudizio settoriale, pregiudizio storico, pregiudizio competitivo, pregiudizio epistemologico. Ognuno
di essi verrà meglio analizzato nel proseguo del lavoro.
Verso una Knowledge based Economy
8
conoscenza messa in circolo dalla tecnologia. Anzi, molto spesso è il sapere pratico che
rende un sistema capace di evolvere cambiando la sua struttura e il suo comportamento
in funzione delle necessità competitive di volta in volta incontrate.
L’economia della conoscenza non dovrebbe nemmeno essere confusa con l’economia
dell’informazione perché lo scopo dell’economia della conoscenza è lo studio della
conoscenza come bene economico e non dell’informazione in sé
12
. Nella complessità
dell’ambiente in cui operiamo non bastano più i bit e i software destinati all’intelligenza
dei computer e delle macchine. Si necessita sempre dell’intervento dell’uomo e
dell’apprendimento tipico dell’uomo
13
. Il pericolo, in questo senso, è quello di non
riuscire a superare quello che Rullani definisce pregiudizio settoriale, ovvero quel
pregiudizio che non rende capaci di riconoscere che l’economia della conoscenza
riguarda tutta l’economia attuale, non solo qualche settore specifico della stessa (ovvero
quelli legati alla legittimazione scientifica e alla codificazione del sapere).
Non esiste, come sostengono Gibbons e collaboratori (1994), un solo mode one di
produzione della conoscenza, (che è quello che si appoggia ai settori high tech, e
dell’innovazione), ma anche un mode two, che ha un’applicazione trans-disciplinare,
facendo di fatto configurare la nuova economia come economia che riguarda tutto il
mondo attuale.
L’economia della conoscenza non dovrebbe essere assimilata neanche all’economia
dell’innovazione, visto che non è centrata esclusivamente sullo studio di condizioni,
modalità ed effetti del cambiamento tecnologico ed organizzativo. Non cadere in questa
confusione significa superare quello che Rullani definisce pregiudizio storico. O
meglio. Gli attori del processo nell’economia della conoscenza non sono solo i “mitici
innovatori schumpeteriani” (in particolare gli imprenditori), ma tutti coloro che
imparano qualcosa di nuovo, che prima o poi produrrà un effetto utile per l’economia.
Le proprietà tipiche della conoscenza emergono soltanto se si ha in mente il circuito
12
La distinzione tra conoscenza e informazione verrà trattata nel paragrafo 1.2
13
Anche la mera replicazione di un’informazione o di un programma richiede un processo di
apprendimento che mette in campo elementi di incertezza, di valutazione, di chiarificazione e di azione da
parte di uomini e gruppi di uomini. Ciò riduce gli spazi disponibili per l’automatismo dell’informazione e
aumenta la capacità di propagazione della conoscenza.
Verso una Knowledge based Economy
9
cognitivo nel suo insieme. Esse scompaiono se questo circuito viene spezzato in singoli
atti di innovazione, atomistici e indipendenti dal resto. La produzione di conoscenza è
un fatto sociale, non del singolo e attiene al sistema culturale che sta a monte della
singola impresa o del singolo settore che innova. Inoltre la dinamica della conoscenza
non risponde soltanto all’obiettivo utilitaristico di creare immediatamente valore
(attraverso l’atto di innovazione), ma ha anche altre finalità. Essa nasce dal passato,
attraversa il futuro e si propaga nel presente (singolo atto di innovazione), ma non si
ferma qui.
Ancora due aspetti rimangono da analizzare. Uno è quello che Rullani definisce
pregiudizio competitivo e l’altro è quello che viene denominato pregiudizio
epistemologico. Il primo si sostanzia in un sillogismo mai dimostrato, ma che molto
spesso viene implicitamente assunto come valido da parte di studiosi ed operatori. Esso
presuppone che, essendo la conoscenza la principale risorsa impiegata nella società
della conoscenza
14
, essa vada a vantaggio di chi la produce rispetto a chi la utilizza
acquisendola da altri attraverso il mercato o per imitazione o per apprendimento
dall’esperienza altrui. Alcune recenti indagini hanno dimostrato però che le
performance migliori sono avvenute in quei Paesi che sono “entrati per ultimi”, e
proprio per questo hanno tratto maggior beneficio dalla moltiplicazione della
conoscenza, grazie a pratiche imitative di varia natura. In poche parole si possono
acquisire vantaggi nella “gara” competitiva sia producendo nuove conoscenze che
lavorando nelle retrovie: non è affatto detto che la quota maggiore del valore tocchi al
primo (produttore), rispetto al secondo (utilizzatore). Tutto questo è particolarmente
vero se si considera come, ad oggi, il sapere sia meno firm specific rispetto al passato.
L’investimento hard in tecnologia è altamente aleatorio, quanto a convenienza e
vantaggi competitivi e molto spesso tende a produrre benefici a favore dei follower e
degli users, ovvero di chi sa usare bene la conoscenza degli altri
15
.
14
Il concetto di produzione di conoscenza a mezzo di conoscenza verrà approfondito nel proseguo del
lavoro.
15
Questa considerazione è tratta da: AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e
pratica del knowledge management prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 150
Verso una Knowledge based Economy
10
L’ultimo pregiudizio da cui occorre liberarsi è di tipo epistemologico e consiste nel
primato attribuito alla ricerca di nuova conoscenza rispetto alla propagazione della
conoscenza disponibile. Ma anche in questo caso opporre la produzione alla diffusione
risulta molto spesso una “guerra di religione”, poiché se prendiamo per esempio due
sistemi Paese come gli Stati Uniti e il Giappone, è noto a tutti che quest’ultimo è
cresciuto, nel secondo dopoguerra, con vantaggi competitivi notevoli, grazie dapprima
ad un’ossessiva copiatura e poi a un miglioramento incrementale. Ma allargando la
prospettiva a un’economia della conoscenza è quasi ovvio che la propagazione è il
terreno sul quale si gioca la vera partita, soprattutto in un’economia interconnessa e
globalizzata come quella odierna. La propagazione di conoscenza consente di portare a
maturità il ciclo di vita della stessa attraverso lo sfruttamento sistematico dello stock
esistente e attraverso ricombinazioni originali delle conoscenze. Non si parla più
soltanto di exploration (del nuovo), ma anche expliotation (ri-uso) e extraction (del
profitto) da conoscenze già esistenti
16
. Il miglior uso della nuova conoscenza è il suo
impiego come stimolo e occasione per l’ acquisizione di nuovo sapere.
1.1.3 Perché si parla soltanto ora di capitalismo cognitivo?
Questo breve paragrafo ha l’intento di rispondere ad un quesito che tutti gli economisti
e gli studiosi dell’economia della conoscenza si sono posti almeno una volta
addentrandosi nell’applicazione della materia
17
. L’enigma in questione può essere
agevolmente riassunto con la seguente espressione: “Economia della conoscenza:
radicalmente nuova o dejà vu?” (volendo dirla con le parole di Rullani).
16
Questi termini sono stati proposti da March, 1991. La produzione di conoscenza è legata infatti alla
propagazione della stessa non solo dall’ovvia necessità di ripagare il costo del produttore, ma anche
perché avanzamenti importanti nel sapere sono effettuati dalla capacità di muoversi in campo aperto
senza obiettivi troppo vincolanti, potendo così trovare cose molto diverse da quelle inizialmente cercate.
17
Verrà demandato al paragrafo successivo lo studio particolareggiato del ruolo della conoscenza nel
corso della storia. Si è ritenuto opportuno dedicare un paragrafo alla nascita dell’economia della
conoscenza poiché essa non risulta esse particolarmente chiara e semplice da comprendere.
Verso una Knowledge based Economy
11
Essa sembra essere apparentemente una scoperta o un’invenzione degli ultimi anni, ma
in realtà la conoscenza è sempre stata una risorsa importante ai fini della produzione.
Una risorsa sempre nuova, sorprendente, ma al contempo che affonda le sue radici nel
vecchio, nel già noto
18
. Analizzando il carattere di novità della disciplina, occorre fare
riferimento a due grandi cambiamenti che sono avvenuti negli ultimi anni:
- Sono enormemente aumentati gli investimenti fatti nella produzione e nella
trasmissione delle conoscenze (istruzione, formazione, R&S,
management)
19
;
- Si sono grandemente ridotti i costi di codificazione, trasmissione e
acquisizione delle conoscenze grazie al recente progresso tecnologico (ICT,
Internet)
20
.
Ma in realtà la conoscenza, come sostengono gli scettici, non è così nuova come può
sembrare a prima vista. Essa è sempre stata un elemento fondamentale della vita
dell’uomo e dunque anche della sua economia. Basti pensare che perfino la produzione
dell’homo sapiens è stata considerata un’attività “sapiente”, perché si distingueva da
tutte le altre attività produttive, naturali o animali, in quanto impiegava nel lavoro le
capacità intellettuali del cervello umano.
Partendo da questi presupposti, la tesi che si propone in questo elaborato costituisce una
sintesi, o meglio una diversa visione del dualismo appena delineato. E’ nel momento in
cui la conoscenza diventa il principale motore dell’economia moderna che siamo di
fronte ad una vera e propria rivoluzione, destinata ad incidere profondamente sulla
pratica e sulla teoria economica
21
. L’economia della conoscenza non si limita a vestire
con abiti nuovi la consueta economia delle merci, ma introduce davvero qualcosa di
radicalmente innovativo nel meccanismo di produzione del valore, cambiando il
funzionamento dell’inner core del sistema economico. La novità non è che la
conoscenza produce valore ma che lo produce in altro modo. Pertanto, come si vedrà in
18
Cfr. RULLANI E., “L’economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, anno 2004, pag. 107
19
Si vedano le tabelle e i grafici illustrati nel paragrafo 1.1.1
20
Cfr. FORAY D., “L’economia delal conoscenza”, IL MULINO, Bologna, anno 2000, pag. 9
21
La conoscenza così come noi oggi la intendiamo diventa vera e propria forza produttiva fondamentale
solo con l’età moderna, verso la fine degli anni ’90 (come si vedrà meglio nel seguito del lavoro).
Verso una Knowledge based Economy
12
seguito, non è vero che la conoscenza non è esistita fino a questo momento, ma soltanto
che la sua gestione avveniva in modo inconsapevole e senza considerare l’importanza
della relazione tra conoscenza e valore.
Tuttavia il nuovo che abbiamo di fronte non è la soluzione a tutti i problemi e i dilemmi
nati nella società industriale. Semmai è fonte di nuovi conflitti che i futuri economisti e
imprenditori dovranno essere in grado di risolvere.
Detto questo rimane ora da sciogliere un altro fondamentale quesito: “Perché si scopre
ora e soltanto ora l’uso della conoscenza come forza produttiva, quando, come appena
detto, essa ha caratterizzato tutta la storia della modernità industriale?” Ci sono almeno
due rilevanti ragioni
22
.
Prima di tutto il ritardo ha a che fare con le difficoltà che si incontrano nel ricondurre la
conoscenza entro i canoni disciplinari prescelti dall’economia tradizionale. L’economia
(intesa nel senso più classico e letterale del termine) nasce con un programma
scientifico deterministico, che sta seguendo tutt’ora
23
. La conoscenza, invece, è
intrinsecamente complessa, non deterministica. L’economia della conoscenza non può
stabilirsi fin dall’inizio come disciplina adeguata a rappresentare il capitalismo
industriale perché le due polarità del suo oggetto (l’economia da una parte e la
conoscenza dall’altra) si contraddicono sul terreno metodologico. Una sua accettazione
e comprensione è un passo che ha richiesto del tempo.
La seconda ragione rilevante risiede nei cambiamenti succedutisi nel mondo economico.
Essi possono essere sintetizzati in tre fattori principali ed hanno di fatto confermato la
necessità di leggere il mondo economico in chiave cognitiva. Si fa riferimento a:
- La velocità del mutamento tecnologico,
- La globalizzazione dell’economia,
- L’incremento della competizione fra le organizzazioni.
22
Le motivazioni per cui si scopre solo ora l’economia della conoscenza sono state riprese e adattate da
quanto sostenuto e affermato da RULLANI E., “L’economia della conoscenza”, CAROCCI, Roma, 2004,
pag. 285 e AZZARITI F., MAZZON P., “Il valore della conoscenza. Teoria e pratica del knowledge
management prossimo e venturo”, ETAS, Milano, 2005, pag. 147
23
Con il termine programma deterministico si intende un programma per cui le variabili ambientali sono
razionalmente governabili, un programma basato su tecniche di produzione ripetitive che tendono a
ridurre i livelli di complessità.
Verso una Knowledge based Economy
13
L’economia della conoscenza comincia dunque ad operare due secoli e mezzo fa,
attraverso la meccanizzazione, per svilupparsi poi nel fordismo, nell’economia dei
distretti, nella new economy.
Oggi ereditiamo tutto questo. Non possiamo dunque dire che sia una novità. Il
capitalismo moderno è stato, è sempre stato, un’economia della conoscenza, nel senso
che il valore è stato prodotto, in gran parte, dalla propagazione e degli usi delle
conoscenze disponibili.
Vediamo ora, in maniera più approfondita, l’iter logico-storico che l’economia della
conoscenza ha compiuto nel corso del tempo.
1.1.4 Il sentiero di sviluppo della nuova disciplina
Scopo di questo paragrafo è quello di fornire un breve excursus storico e logico sul
ruolo che la risorsa conoscenza ha avuto nel corso del tempo, a partire dall’economia
pre-moderna per arrivare alla net economy dei nostri giorni. In ogni periodo storico
preso in considerazione verranno analizzati brevemente i più importanti contributi
teorici in merito.
Uno schema renderà più agevole la lettura dell’intero paragrafo.
PERIODO STORICO STILE DI CONOSCENZA
Economia pre-moderna Sistema apprendista-maestro
Capitalismo liberale Meccanizzazione del sapere
Economia fordista Conoscenza firm specific
Economia post-fordista Condivisione del sapere
Economia cognitiva
Digitalizzazione e globalizzazione della
conoscenza
Tab. 3.1 La suddivisione storica dell’economia della conoscenza. Fonte: nostro adattamento da
RULLANI, “La fabbrica dell’immateriale”, CAROCCI, Roma, 2005, pag. 133