4Mi sono pertanto proposta di far emergere una serie di
considerazioni sulla figura del tutor, quale si presenta oggi in
alcuni contesti organizzativi, al fine di ricondurre le pratiche di
tutorship ad una figura di tutor che possa essere istanza
pedagogica e non figura di ritaglio del processo di formazione.
Il tutor come mediatore culturale è quindi astrazione o anche
sunto di competenze, principalmente di tipo pedagogico, che
vorrebbe identificare una professionalità che ritengo essere
ancora inespressa.
Il percorso
Nella Parte prima si è introdotto il tutor nella sala degli
specchi. La metafora, «considerata come un espediente euristico
che apre le porte ad un lavoro interpretativo e riflessivo»,4 indica
che il tutor si ritrova nell’ambito della formazione come se fosse
in una sala degli specchi; la sua “identità”, assume, infatti,
diverse forme, figure, sagome, secondo il riflesso
(interpretazione o rappresentazione) che il contesto
organizzativo e/o operativo gli rimanda. Nella formazione in
genere, infatti, il tutor può essere “scolastico”, “aziendale”,
“d’aula”, “a distanza”, etc. La constatazione è dunque che la
“professionalità” del tutor è, ad oggi, de-centrata o de-clinata
nei diversi ambiti organizzativi, interpretata «rispetto alle
variabili di contesto organizzative e pedagogico-didattiche, in
particolare agli obiettivi e alla natura dell’intervento
formativo».5 Possiamo affermare perciò, che non esiste il tutor
come figura professionale ma come “luogo” di competenze
(tutorship appunto). L’obiettivo che mi sono posta è stato quindi
di cogliere l’identità del tutor ricercandone i tratti nelle diverse
modalità di tutorship esaminate, esplorando dapprima l’uso del
termine ‘tutor’ nella letteratura delle scienze dell’educazione,
dopodiché descrivendo ed analizzando alcuni contesti
organizzativi in cui la figura tutoriale è pressoché sempre
presente (l’aula, la formazione a distanza, l’università e
l’azienda). Tale presenza si è rimarcata come tutorship e non
come presenza di ruolo; ciò a significare che nella realtà della
formazione il tutor emerge di profilo perché diversi sono i
profili organizzativi che lo interessano.
4 M. MILELLA, “La metafora della rete relazionale nella vita e nei contesti di formazione”, in
Studium Educationis, 1999, 3, pp.543-550.
5 O. SCANDELLA , Tutorship e apprendimento: nuove competenze dei docenti nella scuola che cambia,
La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1995, p.5.
5Si è osservato, infatti, che alle funzioni di tutorship non
corrispondono un volto professionale, un’identità, ma una figura
di tutor, o meglio, una sagoma risultante da una combinazione di
ruoli o di riflessi (come rilevato, ad esempio, sia nel caso di
tutorship aziendale, di solito rivestita dal responsabile della
formazione o dal coordinatore di progetto, sia nella tutorship
universitaria esercitata dal docente, dal ricercatore o anche dallo
studente senior).
Questa Prima parte rileva pertanto la funzione tutoriale, più
che il tutor; è emerso, infatti, che, dall’accezione classica ad
oggi, passando dalla figura del tutor nei college inglesi ed
americani, il termine ‘tutor’ mantiene il «nucleo semantico di
facilitatore, di garante, che nel tempo si è focalizzato sul
raggiungimento di obiettivi formativi, i quali possono variare
rispetto ai contesti, ovvero al tipo di utenza (ad esempio
giovanile o adulta) e alla natura degli interventi, ma anche alla
cultura di riferimento – quella che ogni società esprime – sulla
cui base si fonda il senso e il valore da assegnare alla
formazione».6 Secondo l’Autrice, si è andata invece perdendo
qualsiasi connotazione di tutela che poneva il tutore ed il
soggetto tutorato in un rapporto asimmetrico ed eterodiretto, in
cui il soggetto era rimesso totalmente alla volontà del tutor. Tale
lettura del concetto di ‘tutela’ mi sembra tuttavia parziale perché
la relazione educativa, soprattutto quelle relazioni educative
d’aiuto con “soggetti di frontiera”che presentano disturbi
comportamentali, mentali o fisici, si costruiscono anche sulla
tutela e quindi su un rapporto di dipendenza. In questa tesi però
non si affrontano casi del genere, sebbene il discorso possa
essere allargato, in una certa misura, a casi di distonia
comportamentale o comunque a variabili che intervengono nel
processo formativo, “disturbandolo”, e in cui sia richiesto un
intervento diretto (o direttivo) del tutor; tali azioni educative
possono essere dunque connotate, anche, da un approccio
“tutelativo” il cui fine è però l’autorealizzazione del soggetto.
«Tutto ciò porta a chiarire anche il significato di relazione
asimmetrica propria del rapporto educativo, che non è il potere
che l’educatore detiene, ma è consapevolezza dello spazio che
l’altro deve costruirsi per essere se stesso, senza arbitrarie
fratture all’interno della sua personalità».7 Sull’approccio
direttivo e non-direttivo in interventi di orientamento alla scelta
rimando all’intervento del Prof. Soresi esposto nel paragrafo
6 Ibidem.
7 D. ORLANDO CIAN, Metodologia della ricerca pedagogica, Editrice La Scuola, Brescia1997, p.37.
6relativo alla tutorship universitaria e, nello specifico, del caso di
Padova.
La Parte seconda si discosta invero da una “tutorship di
contesto” poiché descrive un progetto che mi vede
operativamente coinvolta dal settembre del 2000: il Progetto
NetWork dei Club per il lavoro (NCL).
L’azione del progetto rientra in interventi di orientamento al
lavoro attraverso la costituzione di un sistema a rete integrato
(gli enti che aderiscono al progetto integrano le loro attività ai
servizi specifici del club costituito) che si pone come obiettivo
principale la promozione nel soggetto di capacità progettuali, in
una logica di interazione/integrazione con le diverse tipologie di
servizi informativi, di orientamento, di accompagnamento e di
inserimento lavorativo. Il caso è articolato nella presentazione
degli obiettivi, dei soggetti coinvolti (da chi eroga il servizio
all’utenza), delle finalità e dei contenuti.
La decisione di portare questo caso e di inserirlo in una parte
denominata “Il Tutor come progetto”, è motivata non solo dalla
possibilità di parteciparvi e dall’obiettivo del progetto stesso,
(vicino alle funzioni di tutorship delineate nel corso della prima
parte) ma, anche, dall’avere avvertito la necessità di una figura
di connessione, di facilitazione relazionale. Sono state
riscontrate, infatti, diverse difficoltà nell’attuazione del progetto
che, a mio avviso, sono imputabili all’avere disatteso, e forse
sottovalutato, la dimensione relazionale, sia nei confronti della
logica di rete, sia verso il soggetto. Potenzialmente questo
progetto poteva rispondere all’esplicitazione di funzioni di
tutorship in chiave di mediazione culturale tra le diverse realtà
organizzative coinvolte (il ruolo che dovrebbe avere il Cosp in
qualità di ente promotore) e di punto di riferimento costante per
il soggetto/utente nella veste di “singolo club”. In realtà, sembra
quasi che questo progetto sia fermo alla fase di “forte
dichiarazioni d’intenti” in cui dà l'impressione di avere
raggiunto il suo obiettivo attraverso la “semplice” stesura e
divulgazione del documento che lo contiene. Parlando di rete di
relazioni Milella afferma che, «in quasi tutti gli aspetti della vita
umana può agire un processo che rende invisibile la rete di
relazioni. Questo processo nasconde la rete con un espediente
molto efficace: la dà per scontata. In questo modo la relazionalità
viene banalizzata: essa esiste, ma ci si può lamentare o godere
dei suoi effetti; ad essa sembra che non si possano rivolgere i
7propri sforzi, oppure sembra che possa organizzarla solo chi
detiene un potere superiore».8
La Parte terza, rappresenta infine il nucleo essenziale della
tesi ovvero la convergenza delle funzioni tutoriali, che si sono
viste presenti nelle diverse realtà organizzative descritte, in una
proposta di professionalità che vede il tutor come mediatore
culturale in uno sfondo organizzativo-formativo caratterizzato
dal cambiamento ed in cui la tutorship possa essere considerata
cerniera di connessione tra le diverse realtà culturali in ragione
di «fenomeni mai verificatesi nel passato: la mondializzazione
dell’economia, la velocizzazione dei mutamenti dei processi
produttivi […] e la globalizzazione dei sistemi di trasmissione
delle informazioni e dei mezzi della comunicazione produttrice
di continua innovazione. […] A tali fenomeni e alle
caratteristiche già presenti in una società post-moderna, come la
nostra, si aggiungono altre “presenze”, quali la multiculturalità
e la plurietnica, che complessificano ulteriormente il tessuto
socio-culturale nel quale viviamo».9
Il tutor come mediatore culturale viene proposto pertanto
come risposta, nella e della formazione al cambiamento, alla
concezione di un lavoro pedagogico che sappia cogliere la
pluridimensionalità del soggetto e della relazione, intesi e
approfonditi, come orizzonti del senso, dell’interpretato e del
vissuto. Cogliendo quindi le due proposte di educabilità cognitiva
e di laboratorio rappresentazionale di Demetrio si sono volute
sottolineare le due principali funzioni di tutorship ovvero la
facilitazione relazionale/comunicazionale e la facilitazione di
apprendimento. «Affermare che l’apprendimento è un processo
sociale di negoziazione e di riconoscimento reciproco significa
infatti riconoscere che imparare è sempre anche un inventare, ma
allo stesso tempo un confrontarsi e un compartecipare, cioè un
percorso attraverso il quale ci si appropria di conoscenze, di
significati e di valori soggettivamente e in modo del tutto
originale e imprevedibile, ma si perviene anche a condividere
l’appartenenza a una cultura».10
La prospettiva è stata perciò quella di una ricerca di senso
attraverso l’esplorazione di significati, di interpretazioni della
figura tutoriale che mi ha affascinato da subito per “quel nucleo
semantico di facilitazione” che non si è perso nello “sviluppo
8 M. MILELLA, “La metafora della rete relazionale nella vita e nei contesti di formazione”, in
Studium Educationis, 1999, 3, p.548.
9 R. CUCCURULLO, “Risorse umane e post-modernità”, in Studium Educationis, 2000, 1, pp.72-
77.
10 G. CECCATELLI GURRIERI (a cura di), Qualificare per la formazione. Il ruolo della sociologia,
op.cit. p.218.
8diacronico lessicale” e che la indica come figura eccezionale
nell’ambito della formazione in ragione del suo essere tertium,
figura di processo e di relazione che non espropria altre realtà
professionali, né si sostituisce, ma mette in rapporto tutti i
protagonisti del processo formativo.
9Parte prima
IL TUTOR NELLA SALA DEGLI SPECCHI
11
Capitolo 1
I riflessi della figura tutoriale: il tutor nei
diversi ambiti organizzativi
«L’arte può non soltanto creare un’immagine
analitica, in cui ciò che è consueto e simile diviene
inconsueto e dissimile. L’arte può seguire la via della
sintesi, trasformare il dissimile in simile. Se nel primo
caso una cosa appartenente al mondo reale viene
frantumata sino a farne materiale allo stato puro, nel
secondo il materiale viene nuovamente sintetizzato in
un simulacro di cosa. Anche in questo caso però si
tratta appunto di simulacro: la cosa creata dall’arte
può soltanto tendere alla somiglianza massima con il
suo modello. La storia dell’arte conosce una grande
quantità di esempi del come fenomeni della realtà
diventino opere d’arte. Questo però non cancella le
frontiere tra realtà e arte, ma viceversa le sottolinea
ulteriormente: la realtà riceve la libertà, che non le è
propria, e un senso. Si fa messaggio».11
Cominciare il discorso sul tutor con una riflessione legata
all’arte vuole sottolineare la particolarità, le difficoltà legate al
mondo della trasformazione, dell’elaborazione creativa o, più
semplicemente, ai cambiamenti conseguenti la dinamica del
vivere. Il linguaggio è una delle forme di arte che appartiene a
tutti; strumento di sensi e di significati, di ambiguità e
paradossi. In questo capitolo cercherò di “catturare” le costanti
dell’uso del termine tutor, le trasformazioni, i connubi ed i
cambiamenti. L’esplorazione, in ragione della natura relazionale
del linguaggio, è inevitabilmente complessa12 pertanto non ha la
pretesa di giungere a dei risultati esaustivi.
11 JURIJ M. LOTMAN, Cercare la strada, modelli della cultura, Saggi Marsilio, Venezia 1994,
pp.82,83.
12 Sulla complessità è bene richiamare il relativo paradigma che «si riassume anzitutto
nell’evidenza della dimensione relazionale propria di ogni oggetto (soggetto), fenomeno,
situazione, problema. La maggiore o minore complessità non è dunque dovuta al maggiore
12
Vedremo quindi che il termine stesso di tutor è un termine
complesso che, non a caso, ho posto nella sala degli specchi. La
metafora indica, infatti, i diversi riflessi ed anche le distorsioni
cui la figura della formazione da me scelta può andare incontro;
figura che si vedrà essere frammentata nello scenario della
formazione. Infatti, «diversi sono i luoghi e i momenti della
formazione in cui viene utilizzato il tutor, come molto diversi
sono i modi per declinarne la funzione. È pertanto impossibile
far riferimento a un modello univoco e tanto meno ideale della
figura/funzione: essa è infatti di volta in volta interpretata
rispetto alle variabili di contesto organizzative e pedagogico -
didattiche, in particolare agli obiettivi e alla natura
dell’intervento formativo».13
Il primo approccio, “poi abbandonato”, allo studio ed alla
ricerca della figura tutoriale è stato di tipo storico – pedagogico
secondo un percorso ascendente, dalle origini ai giorni nostri; vi
sono state tuttavia delle difficoltà che mi hanno fatto desistere,
non tanto in ordine all’uso del termine ed al ruolo ascrittogli, ma
date dalla pretesa di giungere ad un’identità della figura
tutoriale ricercandone il “volto” 14 nella storia di personaggi che
sono stati a mio avviso i precursori del tutor come mediatore
culturale, oggetto di questa tesi. Per non dare adito a
fraintendimenti ed essere il più chiara possibile ho preferito
introdurre la figura tutoriale facendo riferimento all’uso del
termine nella letteratura delle scienze dell’educazione. 15
o minore “numero” di elementi che compongono l’oggetto e che dunque possono renderne
più o meno difficoltosa l’identificazione, la comprensione, la previsione, ecc. la complessità è
piuttosto da ricondursi:
• Alla pluralità di relazioni che intercorrono tra tali elementi componenti ovvero
• Alla condizione di reciproca interdipendenza tra essi e conseguentemente
• Alla qualità emergente della relazione primaria tra i singoli elementi e l’oggetto
nella sua totalità (relazione biunivoca tutto—parti) e inoltre
• Ai “contenuti”delle relazioni ovvero, nuovamente,
• Alla dimensione della totalità (relazione biunivoca tutto—parti) che è pertinente alla
rete relazionale».
[ASSOCIAZIONE ITALIANA FORMATORI , Professione Formazione, Franco Angeli S.r.L, Milano
1996, p.136].
13 O. SCANDELLA , Tutorship e apprendimento: nuove competenze dei docenti nella scuola che cambia,
La Nuova Italia Editrice, Scandicci (Firenze) 1995, p.5.
14 «Un volto, infatti, vuol dire un’identità personale, il segno di un passaggio significativo,
l’equivalente di una necessità, l’insostituibilità di una presenza. L’idea del volto e quella
della presenza, infatti, camminano insieme ed entrambe non si accontentano di tratti e di
colori, ma esigono lineamenti».
[AA.VV., I volti dell’educazione, a cura di CESARE SCURATI, Editrice La scuola, Brescia 1996,
p.7].
15 Mutuando l’idea di paideia per la società globale di Margiotta, si potrebbero far rientrare
le scienze dell’educazione (pedagogia, sociologia, psicologia, etc.) in una teoria della
13
Nell’uso odierno il termine si rifà all’ istituzione scolastica ed
in particolare a quella universitaria anglosassone 16 sebbene, la
sua origine sia latina. «Deriva infatti dal verbo tutari che
significa proteggere, difendere, custodire ed era il termine
giuridico normalmente usato per indicare la cura, l’attenzione
prestate ad individui deboli fisicamente e socialmente, come i
minorenni, le donne, i malati di mente, nei confronti dei quali
sostituiva le garanzie derivanti dall’esercizio della patria
potestà, in assenza dei suoi depositari naturali (il padre o il
marito)».17 Si desume quindi il concetto “forte” di tutela, di
sostegno; il termine viene usato, infatti, anche in botanica per
garantire la crescita e indirizzare la crescita delle nuove piante. 18
Rispetto all’accezione classica del termine e quindi all’origine
etimologica, il “tutor di oggi” mantiene la funzione educativa
legata al carattere di relazionalità, il nucleo semantico di
facilitatore; cambia invece il significato di tutela che, da un
senso propriamente giuridico e quindi da un rapporto
asimmetrico eterodiretto,19 diventa espressione di un rapporto
permeato dal concetto di responsabilità educativa.20
Vediamo ora di identificare meglio la figura del tutor
prendendo ad esempio delle definizioni che, a mio avviso,
formazione che voglia costituirsi come una ontologia dell’essere sociale…una paideia in grado di
approfondire teoricamente lo sviluppo del soggetto in formazione nella sua varietà di temi estetici e
etici e nella sua complessità di relazioni con l’ambiente sociale.
[U. MARGIOTTA in Pedagogia ’99 on line: 1 lezione “le teorie moderne dell’educazione e il
progetto uomo nella società globale”http:// www.unive.it].
16 «In the University of Oxford, Cambridge, and Dublin: A graduate (most often the yellow
of a college), to whom the special supervision of an undergraduate (called his pupil ) is
assigned. Subsequently also used in other further education establishments. Also in
Cambridge and some other universities and colleges, a member of the teaching staff
assigned responsibility for the general well – being of a student».
[The Oxford English Dictionary, second edition, Clarendon Press, Oxford 1989, volume XVIII].
17 O SCANDELLA , Tutorship e apprendimento: nuove competenze dei docenti nella scuola che cambia,
La Nuova Italia Editrice, Scandicci (Firenze) 1995, p.3.
18 Alla voce Tutore in: G. DEVOTO E G. C. OLI, Dizionario della lingua Italiana, Dizionari Le
Monnier.
19 Il rapporto educativo sarà pertanto caratterizzato da una preminenza degli obiettivi e delle
decisioni del tutor\tutore, a discapito dell’autonomia dell’allievo e quindi un modello
autoritario di educazione.
20 L’educatore è responsabile del suo agire educativo (nelle tre dimensioni temporali del
passato o delle decisioni già prese, del presente o dell’attualità dell’azione/decisione
educativa e del futuro o progettualità/possibilità dell’atto educativo) che richiama la
struttura del rapporto identità – alterità e la risposta eccomi alla domanda dove sei tu?:
«Tutto ciò porta a chiarire anche il significato di relazione asimmetrica propria del rapporto
educativo, che non è il potere che l’educatore detiene, ma è consapevolezza dello spazio che
l’altro deve costruirsi per esser se stesso, senza arbitrarie fratture all’interno della sua
personalità (il bambino figlio – scolaro, l’adulto lavoratore - padre».
[D.O.CIAN, Metodologia della ricerca pedagogica, Editrice La Scuola, Brescia 1997, p.37].
14
possono essere generalizzate ai diversi contesti formativi di cui
tratterrò in seguito.
Nella definizione dell’Enciclopedia pedagogica21 il tutor è
colui che si assume la tutela, o l’assistenza di un minore, di un
allievo, guidandone le attività con un rapporto personalizzato.
Da questa definizione emerge la funzione di guida ed una
sottolineatura del rapporto interpersonale che deve essere,
necessariamente, personalizzato. A tal proposito l’Autore
richiama la definizione di tutor data dall’Oxford English
Dictionary22 e rileva la differenza tra l’insegnante, o istruttore,
ed il tutor affermando che la loro distinzione è reale e che il
compito del tutor, essendo il rapporto privato, è una
responsabilità di carattere non solo intellettuale, ma anche etico,
e che la relazione tra tutor ed alunno è sempre basata sul
rispetto reciproco. In certo qual modo, aggiunge, il tutor agisce
“in loco parentis” più di quanto ci si possa attendere
dall’insegnante che è inserito nelle maglie di un sistema
scolastico.23 Questa caratteristica fa si che il tutor sia
intermediario, ovvero svolga una funzione di mediazione, tra il
mondo scolastico e la famiglia od anche con i datori di lavoro
nelle loro periodiche visite al college.24 La modalità di tutoring
appena espressa era tuttavia privilegio di un’élite; difatti era
pratica comune solo alle università di Oxford e Cambridge in cui
il numero delle ammissioni era limitato ed il corpo docente
numeroso, tale da permettere una “tuition” privata con rapporto
uno ad uno. Tale possibilità educativa richiama il
“precettorato”ovvero la consuetudine, tra gli ambienti
dell’aristocrazia (prima della scolarizzazione formale), di
impiegare uomini di cultura per l’educazione dei figli; “tutors”
che accompagnavano l’educazione del fanciullo sino all’età
adulta.25
21 Alla voce Tutor in M.LAENG, Enciclopedia Pedagogica, La Scuola, Brescia 1994.
22 Ibidem: «Una persona a cui sono assegnati singolarmente gli alunni per consigli personali
riguardanti i progressi negli studi e nella condotta».
23 Da queste considerazioni, o riflessioni, sembra emergere una figura di insegnante quasi
priva di spessore etico e valoriale; una figura vista come istruttore-specialista nella
trasmissione dei contenuti. Non è questa la sede per approfondire il ruolo dell’insegnante od
i condizionamenti cui è sottoposto tuttavia credo sia opportuno sottolineare che l’insegnante
è un Educatore in Relazione e non mero addestratore al sapere.
24 Alla voce Tutor in M.LAENG, Enciclopedia Pedagogica, La Scuola, Brescia 1994.
25 Anche Rousseau privilegia la figura del precettore come guida allo sviluppo di Emilio:
«Egli si dedicherà all’educazione di Emilio, guidandolo “per consacrarmi alla sua educazione e
di attendere a questa dalla sua nascita fino a quando, divenuto adulto, non avrà bisogno di altra guida
che di se stesso».
[JEAN JACQUES ROUSSEAU , Emilio o dell’educazione, Armando Armando, Roma 1981, p.84].
15
Secondo il Nuovo Lessico Pedagogico il tutor è «detto talvolta
mèntore,26 o monitore, è una guida e consigliere nello studio.
Svolge un’attività di mediazione tra l’insegnante e l’alunno, con
approccio più strettamente personalizzato a quest’ultimo. Nella
vita universitaria può aiutare a scegliere un piano di studi e le
letture appropriate, e seguire i seminari, e preparare gli esami, e
scegliere una tesi».27 Similmente, la mappa lessicale posta a fine
testo dalla Cuccurullo28ne sottolinea, nell’ambito formativo, la
funzione di guida a garanzia degli obiettivi di apprendimento e
quindi il “legame” con l’attività di insegnamento. Un’altra
definizione che rimanda alle funzioni di facilitazione
dell’apprendimento ci viene data da Ferrario il quale descrive il
tutor come «figura chiamata a offrire al processo di
apprendimento uno specifico sostegno organizzativo: in quanto
garante appunto del processo di apprendimento, dipana il filo
rosso, talvolta nascosto e comunque sempre sotteso, del percorso
formativo, aiutandolo a mettere in relazione, e
conseguentemente a usare in maniera ottimale, attività, persone,
obiettivi, processi».29
Di queste tre diverse elaborazioni concettuali della figura
tutoriale si rileva il motivo di fondo, la convergenza, sull’attività
peculiare al tutor ovvero sul ruolo di questi come facilitatore
dell’apprendimento. Nell’accezione di Laeng il tutor è guida allo
studio, in quella della Cuccurullo è guida a garanzia dei processi
apprenditivi ed in quella finale citata, di Ferrario, è sostegno
organizzativo.
Avvalendomi, ancora, della consultazione del Nuovo Lessico
Pedagogico, ricerco la definizione di guida, comune a queste tre
26 Méntore, amico di Odisseo che diviene maestro e guida di Telemaco in sostituzione del
padre; viene usato per sottolineare la dimensione affettiva del rapporto educativo, la
presenza calda e rassicurante di una guida “spirituale” più che intellettuale.
27 M. LAENG, Nuovo Lessico Pedagogico, La Scuola, Brescia 1998.
28 Alla voce tutor: «Il termine ha origine dal latino (…). La parola tutor significa sia “tutore”
che “precettore” che “insegnante privato”. Viene usata nel mondo anglosassone per
designare un insegnante privato di un singolo allievo o di una classe molto piccola
numericamente, nelle università inglesi indica il professore responsabile della disciplina e
condotta morale dei singoli studenti, un insegnante che li orienta e li guida. Il suo uso
nell’ambito formativo, designa una funzione di guida a garanzia del raggiungimento di
obiettivi di apprendimento. La figura del tutor ha avuto un notevole sviluppo negli atenei
inglesi ed americani, paesi “dove l’università si basa sul modello del campus, ossia di una
comunità fortemente integrata in cui lo studente vive gran parte della propria giornate”, per
cui è di estrema importanza il suo inserimento nella vita universitaria».
[R. CUCCURULLO , Formazione Organizzazione Impresa: verso una pedagogia delle risorse umane,
Editrice La Scuola, Brescia 1999, p.207].
29 M. FERRARIO, Méntore e rapporto di mentorato: un modello e un punto di vista
sull’applicabilità nella società di oggi”, in: Il Méntore come antimaestro a cura di P.MOTTANA ,
Clueb, Bologna 1996.
16
interpretazioni e noto come il termine tutor invece di
semplificarsi, o meglio, di chiarirsi, si mostri sempre più come
un temine complesso. L’Autore scrive che la funzione
dell’educatore 30 si identifica con quello di guida quando viene
fornita una norma di condotta, in maniera non strettamente
vincolante, come suggerimento o consiglio; si nota quindi una
nuova “funzione tutoriale” legata all’attività di consigliere.31
Riprendendo infatti la definizione di tutor data dall’opera
sopraccitata, vediamo come il tutor sia méntore, guida e anche
consigliere, quasi depositario di quella parte dell’educazione
prescrittiva, di dirittura morale o della dimensione valoriale
appunto. C’è da chiedersi se, nelle intenzioni degli Autori, si
volesse sottolineare quest’aspetto piuttosto che l’ambito più
propriamente cognitivo, relativo alla facilitazione e sostegno
dell’apprendimento. A mio avviso questa perplessità si risolve
attraverso l’estrapolazione dei due concetti chiave comuni, a mio
avviso, al pensiero degli Autori visti: il ruolo di facilitatore e la
centralità del soggetto in uno spazio-tempo che, idealmente, lo
vede presenza costante e quindi “punto” di riferimento nel e del
processo di formazione.
Risulta chiaro, infatti, il ruolo generale di facilitatore del tutor
ed il suo “prendere le distanze” dall’attività, puntuale e precisa,
dell’insegnante. Nel thesauro europeo dell’educazione del 1991,
la comparsa del descrittore «tutore di formazione» legato all’area
più ampia delle «Professioni e impieghi» assume l’esistenza di
una figura professionale autonoma per il tutoraggio con la
caratteristica di essere «persona diversa dall’insegnante titolare,
incaricata di seguire lo sviluppo della formazione dei giovani».
Con ciò sta a indicare che la funzione di tutoraggio acquista una
istanza di necessità e di appartenenza alla natura del rapporto
30Alla voce educatore: Colui che educa, in rapporto con colui che deve essere educato
(l’educazione esprime una “sintesi a priori”).
[M. LAENG, Nuovo Lessico Pedagogico, La Scuola, Brescia 1998].
31 Alla voce consigliere: Persona che svolge un’attività educativa non consistente
nell’insegnamento formale, bensì nel consiglio psicologico e morale. A parte genitori e amici,
che possono svolgere un utile sostegno, ci sono figure professionali di consiglieri. Nel
passato erano tali i confessori ed i direttori spirituali (e in oriente i cosiddetti “guru”). Oggi,
in un momento laico e secolarizzato, i consiglieri sono psicologi esperti in psicologia della
personalità, in psicologia sociale, in orientamento scolastico e professionale, con doti
personali favorevoli alle relazioni sociali. Consiglieri di orientamento e consiglieri
pedagogici sono richiesti nei centri di orientamento al lavoro, nelle relazioni pubbliche
aziendali e nelle scuole. Il loro lavoro si svolge a fianco ma al di fuori delle strutture
istituzionali, e pertanto gode di maggiore libertà e flessibilità di adattamento a situazioni
individuali assai diverse. Per certi versi può assumere tratti terapeutici e clinici, in
cooperazione con altri specialisti.
[M. LAENG, Nuovo Lessico Pedagogico, La Scuola, Brescia 1998].
17
formativo a tal punto da giustificare l’esistenza di un ruolo
professionale specifico.32 Questa necessità rimane tuttavia nel
limbo delle intenzioni e a discrezione dell’organizzazione di
appartenenza.
A mio parere, secondo quanto visto finora, è possibile
ricondurre la figura tutoriale a tre sfere o ambiti educativi:
� Tutor come facilitatore di apprendimento e quindi come
“gestore” dei processi formativi; colui che attiva e
responsabilizza, che motiva all’autonomia;
� Tutor come facilitatore relazionale e quindi come gestore dei
conflitti e dei disagi che emergono dai rapporti interpersonali (è
in questa accezione che si ha una sottolineatura del ruolo di
guida-consigliere ed anche, per certi aspetti, di terapeuta);
� Tutor come facilitatore comunicazionale33 e quindi mediatore
tra realtà comunicative differenti (scuola-famiglia, giovani e
lavoro, pubblico e privato).34
Nella formazione il tutor può essere perciò dispositivo di
gestione e di governo della complessità (proprio in quanto figura
di relazione), non in quanto tecnico o specialista ma in quanto,
come già detto, facilitatore o guida tra i “diversi livelli
interagenti ed irriducibili”35 della relazione formativa in cui le
continue trasformazioni, i continui cambiamenti e le dinamiche
che (ci) interessano la società moderna portano i soggetti a
vivere nell’incertezza e tra identità multiculturali e
multisfaccettate, dai confini, paradossalmente, indefiniti; alla
complessità si dovrà rispondere, necessariamente, con delle
capacità di lettura critica della realtà e con criteri, strategie di
gestione delle realtà stesse.36
La centralità del soggetto è conseguenza logica dell’approccio
tutoriale di facilitazione in cui si promuove l’autonomia
32 O SCANDELLA , Tutorship e apprendimento: nuove competenze dei docenti nella scuola che cambia,
cit.4.
33 La comunicazione è, per ovvie ragioni, la dimensione che interessa maggiormente il tutor
come mediatore culturale; le modalità comunicative diventano competenze, oltre che
strumenti, precipue di una figura che si pone come cerniera di connessione o variabile di
snodo di realtà diverse; intermediario tra esigenze ed espressioni di bisogni ed anche di
conflittualità che sorgono, inevitabilmente, tra soggetti in relazione. La capacità di lettura dei
comportamenti (in senso lato), che il tutor dovrebbe avere, fa si che il suo ruolo possa essere
di sostegno, di guida, di orientamento al soggetto (persona o organizzazione).
34 I rapporti tra istituzioni e mondo aziendale o dell’organizzazione in genere ed il ruolo del
tutor verrà trattato nella parte relativa al tutor aziendale.
35 L. FORMENTI, La formazione autobiografica: confronti tra modelli e riflessioni tra teoria e prassi,
Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA, Milano 1998, p.35.
36 Più di competenze si parlerà allora di meta-competenze ovvero di capacità riflessiva o di
discernimento.
18
personale, si incoraggia l’iniziativa creatrice, si sostiene e si
accompagna il soggetto-persona nel suo percorso formativo.
Obiettivo quindi non è l’acquisire determinate conoscenze e
competenze ma l’homo educandus, «da educare e educabile nella
sua “soggettività essenziale” che indica il criterio entro il quale
il singolo essere umano possa realizzare il proprio compito e
progetto, diventare cioè sempre più se stesso nel rapporto con
gli altri – cose e persone – in una determinata comunità».
37
Soggettività essenziale quindi, ma in relazione. La mediazione
educativa risulta perciò essere il dispositivo di connessione (e
risolutore di conflitti) tra le “mille variabili” del vivere sociale e
la persona.
Il leit motiv del termine tutor, della sua evoluzione e continua
interpretazione è stato tracciato ma, come si è visto, non si è
risolta la complessità concettuale che lo accompagna. Nelle
pagine seguenti vedremo se è opportuno o se si riscontra la
necessità di una identificazione del tutor come ruolo
professionale specifico in cui possano essere delineate precise
competenze e capacità. Un tutor “facilmente individuabile” tra le
figure della formazione, con una sua propria autonomia e
legittimazione, pur nella flessibilità richiesta oramai a tutte le
professioni.
Se risultano, infatti, chiare le funzioni del tutor, o meglio
dell’attività tutoriale, meno “evidente” è il ruolo del tutor che
appare come figura diafana dell’ambito formativo; mentre infatti
la figura “dell’ingegnere della formazione”, nella figura di colui
che progetta i percorsi formativi, e la figura dell’esperto dei
contenuti della formazione (il docente-formatore) sono delle
costanti nella formazione (il ruolo corrisponde alla/e
competenza/e e ne viene legittimato), il tutoraggio può essere,
difatti, esercitato (secondo le risorse investite nel progetto
formativo) dal docente o dal responsabile della formazione o
ancora da un esterno soprattutto in quei casi in cui al tutor viene
richiesta la mera gestione dei registri e dell’archivio didattico
ovvero di organizzare, logisticamente, l’attività formativa.
37
D.O.CIAN, Metodologia della ricerca pedagogica, cit. pp. 19-20.