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INTRODUZIONE
« Il turismo responsabile come strumento per la cooperazione internazionale allo
sviluppo? »
Questa è la mia domanda di ricerca. Ho cercato di trovare una risposta a questa
domanda, ma nel corso della ricerca mi sono resa conto che non esiste una risposta
chiara ed univoca ad un quesito così complesso, che si interroga a sua volta su altre due
questioni: esiste un turismo che possa essere responsabile o è solo un’illusione? E poi,
la cooperazione internazionale allo sviluppo adempie effettivamente al suo ruolo?
La mia domanda di ricerca parte, forse, da un’utopia: il desiderio di far sì che il turismo
possa rivelarsi un aiuto concreto per i Paesi poveri o meno sviluppati e che questo
genere di aiuto possa essere sostenibile; il desiderio di non vedere più il turismo come
qualcosa di scintillante che fa spendere migliaia di euro per vivere vacanze in resort di
lusso e di conseguenza ne fa guadagnare altrettanti a chi offre i pacchetti all inclusive.
La mia domanda di ricerca parte da qui e lo stesso desiderio, nel corso della ricerca, si
scontra con la realtà grazie sia all’approfondimento teorico, che alla permanenza nel
Paese che ha rappresentato il caso studio della mia tesi: la Bosnia Erzegovina.
Grazie al Programma Exchange, infatti, l’Università degli Studi Milano Bicocca e
l’Università di Sarajevo, mi hanno permesso di trascorrere tre mesi, da Ottobre e
Dicembre 2011, in Bosnia Erzegovina precisamente a Sarajevo, la capitale. Questo
periodo è stato utile perchØ mi ha permesso di vivere la vita quotidiana e i disagi che i
cittadini e gli studenti bosniaci vivono tutti i giorni, ma è anche stata un’ottima
opportunità per poter andar oltre all’apparenza della capitale. In questi mesi ho infatti
visitato diverse località bosniache e, attraverso i lunghi viaggi in autobus, ho avuto
l’occasione di essere più consapevole del territorio che stavo analizzando per la mia
ricerca, anche grazie all’incontro con le persone. Vivere nella capitale mi ha permesso
di capire i macromeccanismi che governano il Paese, mi ha permesso di entrare in
contatto con la comunità internazionale che lavora in Bosnia Erzegovina e con le
istituzioni. La possibilità invece di trascorrere giornate o weekend in altri luoghi
simbolo, o meno, della Bosnia mi ha permesso di comprendere la differenza tra la
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capitale e il resto del territorio. Per piacere personale e per comprendere più a fondo il
territorio dal punto di vista turistico ho visitato luoghi simbolo come Srebrenica per un
turismo della memoria, così come Mostar, e poi le località turistiche più gettonate come
Neum, unico sbocco sull’Adriatico della Bosnia, e Medjugorje, luogo di pellegrinaggio
cattolico che ogni anno raduna migliaia di fedeli, in gran parte italiani. Gli altri viaggi
sono stati in luoghi meno turistici, ma mi hanno dato la possibilità di osservare da
vicino i progetti che la cooperazione italiana sta realizzando in Bosnia, come ad
esempio a Breza il progetto di Re.Te. “Breza cooperazione e sviluppo: supporto alle
iniziative locali per la ricostruzione e lo sviluppo”, a Prijedor il progetto di
cooperazione decentrata, sostenuto dalla Provincia di Trento, in collaborazione con
l’associazione Viaggiare i Balcani, che ha creato l’associazione Promotur a Prijedor, e
infine Bihać e il Parco dell’Una dove ICEI sta promuovendo il progetto “Una valle
rinasce: azione integrata di agricoltura biologica, turismo sostenibile e inclusione
socio- economica nella valle dell’Una in Bosnia i Herzegovina”.
Confrontarmi con la realtà, senza leggerla in chiave puramente teorica, mi ha permesso
di andare più a fondo al problema e di comprendere come la mia domanda di ricerca
abbia senso, ma che forse debba calarsi un po’ di più nella realtà stessa. In particolar
modo ho avuto l’opportunità di toccare con mano gli argomenti teorici di cui parlo,
grazie alla ONG italiana ICEI, Istituto Cooperazione Economica Internazionale di
Milano, presente in Bosnia Erzegovina da un anno con un progetto multisettoriale che
comprende anche il turismo sostenibile, dal titolo “Una valle rinasce: azione integrata
di agricoltura biologica, turismo sostenibile e inclusione socio- economica nella valle
dell’Una in Bosnia i Herzegovina”. Vivere nel luogo del progetto per una settimana è
stata un’esperienza molto significativa; ICEI mi ha permesso infatti di essere
un’osservatrice partecipante del suo progetto, vivere con la Project Manager e andare,
non solo in ufficio ogni giorno vivendo la quotidianità dei cooperanti italiani all’estero,
ma anche di visitare i luoghi del progetto e incontrarne gli attori. La visita ai luoghi del
progetto, tanto quelli effettivi quanto quelli potenziali, è molto importante per quel che
riguarda la ricerca turistica e per capire come portare avanti un progetto di questo
genere. La parte di turismo sostenibile era ancora nella fase embrionale nel progetto di
ICEI, fase in cui si cercava cioè di capire quali fossero le risorse a disposizione e di
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parlarne con gli attori da coinvolgere. Da questo punto di vista ICEI mi ha dato la
possibilità di partecipare alla suddetta fase, tenendo in considerazione ogni mia
osservazione o suggerimento da laureanda in “Turismo, territorio e sviluppo locale”.
Questa opportunità non solo mi ha permesso di capire più in concreto la cooperazione
internazionale e di razionalizzare meglio la mia domanda di ricerca, che parte da utopie
come il turismo responsabile e scatole vuote come la cooperazione, ma mi ha permesso
anche di partecipare a questo processo, non solo da osservatore esterno, ma in maniera
coinvolgente, potendo così in parte mettere a frutto le conoscenze teoriche studiate negli
anni accademici.
La mia analisi parte dalla comprensione teorica della cooperazione internazionale allo
sviluppo: cercare di capire dove e come è nata, perchØ, quali sono gli attori che ne fanno
parte e come è cambiata nel corso degli anni; questo aspetto mi ha permesso di avere
una base teorica da cui partire e con cui confrontare poi la realtà. Solo con una visione
chiara dei meccanismi che fanno vivere la cooperazione internazionale possiamo
analizzare uno dei suoi possibili strumenti, ovvero il turismo responsabile.
Da qui la mia domanda di ricerca si rivolge agli effetti positivi e negativi del turismo. Il
turismo da un lato è osannato come il settore in continua crescita che fa crescere
l’occupazione, che porta reddito alle comunità locali e fa crescere i PIL nazionali, il
turismo che ci permette di conoscere luoghi e persone sconosciute, il turismo che ci
permette di andare oltre i nostri confini. Ma il turismo è anche il “mostro” che divora
l’ambiente, inquina l’aria, il mare, sfrutta persone e luoghi per arricchire se stesso.
Partendo da questa riflessione mi sono chiesta come e quale turismo può essere davvero
una risorsa positiva per tutti. ¨ a questo punto che subentra il concetto di turismo
responsabile.
Ma come possono incontrarsi il turismo responsabile e la cooperazione internazionale
allo sviluppo? Il turismo a livello globale è gestito unicamente dai Paesi ricchi e dalle
loro multinazionali che muovono milioni di persone ogni anno in ogni parte del mondo
e che permette alle stesse di arricchirsi oltremodo. Ma quale tipo di turismo è questo? Il
turismo di massa, un turismo che non tiene conto dell’ambiente e della sua capacità di
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carico, un turismo che non considera adeguatamente le comunità locali ospitanti, ma che
rinchiude i suoi ospiti in resort meravigliosi, realtà chiuse e vuote, staccate da ogni
possibile legame con il territorio esterno. Il turismo responsabile è la risposta ad un
turismo migliore per tutti?
La risposta potrebbe essere affermativa, ma mi sono chiesta: a fronte di un turismo
come quello appena descritto, che è una delle poche industrie che, nonostante le crisi
economiche continua a crescere ogni anno, in cui vi investono continuamente migliaia
di aziende principalmente occidentali, come può il turismo responsabile emergere e
diventare uno strumento di sviluppo, una risorsa da far fruttare e non da sfruttare, in cui
le comunità locali possano godere delle loro bellezze e mostrarle al mondo uscendo da
condizioni di povertà e miseria? ¨ qui che entra in gioco la cooperazione internazionale,
che per ora rappresenta l’unico sbocco del turismo responsabile, del turismo come
attività fine a se stessa.
La comunità internazionale si interessa di tutto il globo e cerca di far sì che tutti possano
avvalersi di una vita dignitosa. Credo sia necessario comunque sottolineare la
somiglianza tra turismo e cooperazione, ovvero il fatto che anche la cooperazione
internazionale allo sviluppo sia principalmente nelle mani dei Paesi ricchi occidentali,
ma di questo discuteremo successivamente. La domanda iniziale è: con quali strumenti
agisce la cooperazione? Ce ne sono diversi: si cerca lo sviluppo tramite l’agricoltura,
tramite le donazioni, tramite lo sviluppo di progetti per combattere la fame, le malattie e
le guerre, ma ultimamente uno strumento di “tendenza” nella cooperazione
internazionale è il turismo, o meglio il turismo rigorosamente sostenibile.
La domanda di ricerca e il quadro teorico iniziale sia sulla cooperazione internazionale
allo sviluppo, sia sul turismo responsabile, mi hanno permesso di inquadrare meglio il
caso empirico: la Bosnia Erzegovina. Vivere in Bosnia mi ha permesso di concretizzare
la teoria e di scoprire un Paese difficile da comprendere dai testi, libri che raccontano
una storia intricata; ma non solo per questo motivo è difficile capire la realtà bosniaca
senza viverla. Infatti, soprattutto per quel che riguarda il turismo, non esiste una vasta
bibliografia, nØ in lingua originale nØ ovviamente in lingua inglese. Così tutti gli
incontri realizzati con i bosniaci, ma anche con i rappresentanti dei principali Paesi
donatori (Unione Europea e Stati Uniti d’America), con le ONG italiane, bosniache e
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internazionali e con chi, in Bosnia, vive e lavora per scelta, per caso o per passione, si
sono rivelati non solo utili, ma essenziali per la ricerca.
Nell’introduzione del caso empirico presenterò il Paese cercando di inquadrarlo sia dal
punto di vista geografico, ma anche da quello storico-politico. Cercherò di essere chiara
e concisa, ma senza sottovalutare l’importanza della storia e della geografia di questo
Paese che ci permettono di comprendere la Bosnia oggi e le conseguenze che, in
particolar modo la guerra, ha portato nel Paese. Solo da questa base si può partire per
capire come la comunità internazionale sia intervenuta e interviene tuttora, ma per
capire anche che tipo di turismo c’era e c’è e, di conseguenza, che cosa si può fare per
trasformarlo in uno strumento e una risorsa per lo sviluppo del Paese.
La mia domanda di ricerca mette al centro le persone: le persone che lavorano per la
cooperazione internazionale, le persone che ne beneficiano, le persone che sognano un
turismo migliore per tutti e le persone che potrebbero beneficiarne, le persone che hanno
vissuto in Bosnia, le persone che hanno vissuto la guerra e le persone che sono pronte a
ricostruire il proprio Paese con idee innovative e a farlo conoscere al mondo non solo
come “il Paese della guerra”, ma anche per tutto quello che può offrire dal punto di vista
ambientale, naturalistico, culturale ed umano.
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CAPITOLO 1
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ALLO SVILUPPO
1.1 Definizione, origini e motivazioni della cooperazione internazionale allo
sviluppo
1.1.1 Definizione di cooperazione internazionale allo sviluppo ed elementi
caratterizzanti
“Cooperazione internazionale allo sviluppo” è un’espressione tanto diffusa quanto
confusa. Iniziamo quindi facendo un po’ di chiarezza, cercando di capire cosa
effettivamente significa, quali sono i suoi elementi caratterizzanti, in quale contesto
nasce e quali sono le sue motivazioni.
La cooperazione internazionale allo sviluppo, o meglio, le politiche di cooperazione
internazionale allo sviluppo (PCS) vengono definite: « l’insieme delle politiche attuate
da un governo, o da un’istituzione multilaterale, che mirano a creare le condizioni
necessarie per lo sviluppo economico e sociale duraturo e sostenibile in un altro Paese »
(Bonaglia, de Luca, 2006, p. 10). Questa definizione, seppur inizia a delineare in modo
più preciso la cooperazione internazionale allo sviluppo, non è però definitiva in quanto,
come vedremo, nel corso degli anni si affacciano sulla scena della cooperazione nuovi
attori e il suo significato è in continua trasformazione.
La cooperazione può essere realizzata, come si vedrà nel corso degli anni, non solo dai
governi o dalle organizzazioni internazionali, ma anche dai privati e dalle ONG
(Organizzazioni Non Governative).
L’elemento fondamentale delle PCS è il trasferimento di risorse verso i Paesi
“bisognosi” tramite l’APS (Aiuto Pubblico allo Sviluppo). L’APS è l’insieme degli aiuti
che i “Paesi sviluppati” mettono a disposizione per la cooperazione e quindi per aiutare i
“Paesi sottosviluppati”. Queste risorse possono essere finanziarie oppure di assistenza
tecnica. Le risorse finanziarie possono essere erogate sottoforma di doni oppure come
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prestiti con un tasso di interesse agevolato. Le finalità dell’APS sono: supportare lo
sviluppo economico e dare assistenza tecnica al Paese.
Gli APS vengono gestiti dal DAC (Development Assistance Committee), un forum
internazionale all’interno dell’OCSE che ha il compito di definire le linee guida e
coordinare le politiche di cooperazione internazionale allo sviluppo fra i Paesi membri
(Bonaglia, de Luca, 2006). All’interno dei singoli stati membri gli APS possono essere
gestiti in due forme diverse anche se organizzate in modo simile: all’interno dei
Ministeri, come ad esempio il caso italiano in cui gli APS sono gestiti dal MAE
(Ministeri degli Affari Esteri), oppure da strutture pubbliche specializzate come nel caso
statunitense con USAID (United States Agency International Development) (Carrino,
2005).
L’Aiuto Pubblico allo Sviluppo viene distribuito in base ad almeno tre diversi criteri: il
canale di cooperazione, l’area geografica e il tipo di risorsa per la cooperazione.
Vediamoli nel dettaglio.
I canali della cooperazione possono essere di tre generi: bilaterali, multilaterali e
multi- bilaterali (Bignante, Dansero, Scarpocchi, 2008).
Il canale bilaterale prevede accordi diretti tra il governo donatore e il governo
beneficiario, in questo canale è l’ente donatore a scegliere gli enti a cui affidare la
gestione dei finanziamenti. Se l’Italia (Paese donatore), ad esempio, attraverso il MAE,
decidesse di donare alla Bosnia Erzegovina (Paese beneficiario) indirebbe un bando a
cui possono partecipare, ad esempio, le ONG riconosciute, presentando progetti coerenti
con le richieste del MAE. Il vincitore del bando prende i finanziamenti da portare al
Paese beneficiario sottoforma, ad esempio, di assistenza tecnica. Nel canale bilaterale i
finanziamenti possono essere di due tipi: a credito di aiuto (molto agevolato) oppure a
dono. Il finanziamento a credito di aiuto si usa generalmente per realizzare opere,
impianti o forniture il cui ente esecutore è spesso il Paese donatore. Si tratta di un
prestito con tassi di interesse molto agevolati (Carrino, 2005). Il finanziamento a dono,
invece, realizza qualsiasi genere di intervento. Essi possono essere gestiti direttamente
dall’agenzia pubblica (MAE), da imprese private selezionate, da ONG o da Enti
Pubblici (Regioni, Provincie, Comuni). Come sottolinea la Legge n. 49/87 « La
differenza principale tra le due forme di finanziamento è costituita dalla caratteristica
16
che nel credito di aiuto, a differenza del dono, il capitale prestato deve essere restituito,
seppure a condizioni estremamente agevolate, cioè con tassi di interesse molto bassi e
con periodi di rimborso molto lunghi. Altro fattore che distingue gli interventi di
cooperazione finanziati con crediti di aiuto da quelli finanziati con doni è il grado di
responsabilizzazione del Paese destinatario che nei crediti di aiuto è molto maggiore. »
1
Il canale multilaterale prevede, invece, che il Paese donatore finanzi progetti di un
organismo multilaterale, quindi che finanzi gli interventi che si realizzano attraverso i
programmi, fondi, istituti, agenzie specializzate e altre entità dell’ONU e della Banca
Mondiale. Ad esempio, se l’UNICEF promuove un programma sulla malnutrizione dei
bambini in Africa, i vari governi dei Paesi possono dare il loro contributo a questo
progetto gestito dall’organizzazione internazionale. In altre parole l’ONU e le sue
organizzazioni propongono dei progetti e chiedono il contributo ai vari Paesi donatori
(donors).
Infine, il canale multi- bilaterale si utilizza quando l’intervento deciso e finanziato a
livello bilaterale, è affidato ad un organismo multilaterale. Ad esempio, se l’Italia
attraverso il MAE decide di finanziare a credito di aiuto o a dono un qualsiasi PVS,
mette in mano questa donazione ad un’organizzazione internazionale che la gestirà.
(Bignante, Dansero, Scarpocchi, 2008).
L’area geografica in base al quale viene erogato l’APS varia a seconda degli interessi
economici-politici del Paese donatore. Non è automatico che il Paese più “bisognoso”
riceva maggiori aiuti, anzi quasi sempre gli aiuti vanno sia a livello bilaterale, che
multilaterale e multi- bilaterale a Paesi strategici per i membri del DAC o per i Paesi
donatori. Si pensi che tra i primi 20 beneficiari degli APS in Italia per l’anno 2010 i
primi tre classificati sono: Afghanistan, Albania e Territori Autonomia Palestinese. Con
62.029.639 € di impegno in doni e crediti e 41.786.350 € di erogazioni effettive per
l’Afghanistan, che si classifica al primo posto; al secondo posto c’è l’Albania, con
40.500.158 € di impegno e 40.809.580 € di erogazioni sempre totali fra doni e crediti, e
al terzo posto si classificano i Territori Autonomia Palestinese con 24.407.029 € di
1
La cooperazione finanziaria nei Paesi in Via di Sviluppo, Legge n. 49/87 art. 6:
http://www.esteri.it/MAE/IT/Politica_Estera/Economia/Cooperaz_Finanziaria/
17
impegni e 24.168.122 € di erogazioni
2
. Tutti e tre questi Paesi non rientrano nella
classifica dei Paesi in assoluto più poveri e quindi tecnicamente più bisognosi al mondo
dove ai primi tre posti, secondo l’indice GDP per capita (Gross Domestic Product)
ovvero l’indice di Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite della Banca Mondiale per
l’anno 2010, si classificano: Burundi (192 $ all’anno), Repubblica Democratica del
Congo (199 $ all’anno) e Liberia (247 $ all’anno)
3
. Secondo invece lo “Human
Development Report 2011 - Sustainability and Equity: A Better Future for All” per
quando riguarda l’ISU cioè l’Indice dello Sviluppo Umano (HDI – Human Development
Index) si classificano agli ultimi posti: la Repubblica Democratica del Congo (0,286),
seguita dal Niger (0,295) e dal Burundi (0,316). Mentre per quel che riguarda il GNI
(Gross Nation Income per capita), ovvero il Reddito Nazionale Lordo (RNL)
4
, si
classificano agli ultimi posti: la Liberia (265 $ all’anno), seguita dalla Repubblica
Democratica del Congo (265 $ all’anno) e dal Burundi (368 $ all’anno)
5
.
Questa breve analisi dei dati ci fa capire come al mondo esistano Paesi più poveri dei
Paesi a cui effettivamente finiscono gli APS. L’Afghanistan, infatti, presenta un HDI di
0,398, un GNI di 1.416 $ (dati aggiornati al 2010) e un GDP per capita di 362 $ (dati
aggiornati al 2008). L’Albania, invece, ha un HDI di 0,739, un GNI di 7.803 $ e un
GDP per capita di 3.678 $ (dati aggiornati al 2010). Infine i Territori Autonomi
Palestinesi presentano un HDI di 0,641, un GNI di 2.656 $ e un GDP per capita non
sono presenti i dati
6
.
2
Fonte: elaborazione su dati DGCS, da “Il ministero degli affari esteri in cifre – Annuario Statistico
2011”
3
Fonte dati: per l’indice GDP per capita: Banca Mondiale:
http://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.PCAP.CD/countries/1W?display=default
4
La differenza tra il PIL e il RNL è che il PIL si riferisce alla produzione effettuata all’interno del Paese,
cioè dai cittadini (non importa se nazionali o stranieri) operanti all’interno del Paese. Il PIL, quindi,
utilizza come criterio “dove” è stato prodotto il valore aggiunto. Mentre il RNL (Reddito Nazionale
Lordo o anche PNL cioè Prodotto Nazionale Lordo) utilizza invece come criterio la proprietà dei mezzi di
produzione. Pertanto, verranno considerati nel PNL tutti i redditi percepiti dai cittadini del Paese. Non
importa se questi redditi sono stati percepiti operando all’interno del Paese oppure all’estero. Quello che
conta è che i fattori produttivi (nel nostro esempio il lavoro) siano di proprietà di cittadini nazionali.
5
Fonte dati: per gli indici HDI e GNI: “Human Development Report 2011 - Sustainability and Equity: A
Better Future for All” UNDP, 2011
6
Fonte dati: vedi note 3 e 4;
18
Infine il tipo risorsa per la cooperazione può essere: la risorsa finanziaria, materiale
oppure di assistenza tecnica. All’interno poi del tipo di risorsa scelta si potrà indirizzare
l’intervento in un’area precisa: sociale, economica o produttiva (Bignante, Dansero,
Scarpocchi, 2008).
La risorsa finanziaria, come abbiamo visto prima, può essere a credito d’aiuto, quindi
l’erogazione di un prestito con tassi d’interesse molto agevolati, oppure a dono. La
risorsa materiale può essere di vario tipo, un esempio è la fornitura di cibo o di
vestiario, mentre la risorsa di assistenza tecnica può essere rappresentata dal
trasferimento di conoscenze tecniche in particolari ambiti. Quello di cui mi occuperò nel
mio elaborato sarà principalmente la risorsa tecnica come trasferimento di know-how
turistico. Per quanto riguarda invece i settori di intervento, sempre più spesso si tende a
staccarsi dal processo per cui una risorsa specifica vada a finire in un ambito preciso. La
tendenza non è più quella per cui un aiuto finanziario vada a supportare solamente, ad
esempio, il settore produttivo, ma le risorse andranno sempre più verso un
finanziamento di tipo multi-settoriale, per cui una risorsa finanziaria andrà a finire nel
settore produttivo, ma cercando di avere ricadute positive e quindi di contribuire al
finanziamento anche del settore sociale e di quello economico. Lo stesso discorso si può
fare con le risorse che possono intersecarsi e andare ad incidere su più settori.
Finora abbiamo dunque parlato di Aiuto Pubblico allo Sviluppo, ma non bisogna
dimenticare l’importanza che ha acquisito negli anni l’aiuto privato allo sviluppo
tramite le ONG e le associazioni no-profit. Questo genere di aiuto è molto difficilmente
quantificabile, cambia per quantità, tipologia e metodologia in base alle varie ONG e lo
analizzeremo meglio in seguito.
1.1.2 Il contesto in cui nasce la cooperazione internazionale allo sviluppo
Il contesto in cui nasce la cooperazione internazionale allo sviluppo è da collocarsi dopo
la Seconda Guerra Mondiale in tre precisi momenti: il primo, nel 1945, con la firma
della Carta delle Nazioni Unite e con la nascita dell’ONU; il secondo, nel 1948, con il
Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa dopo la guerra e la creazione dell’OCSE
19
(Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e il terzo, nel 1949, con
il “discorso dei quattro punti” ovvero il discorso inaugurale del presidente statunitense
Harry S. Truman (Carrino, 2005).
Il 26 giugno 1945 a San Francisco (USA) viene firmata la Carta delle Nazioni Unite con
la quale viene istituto l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite). L’ONU nasce sotto
la spinta degli USA e degli alleati che avevano sconfitto il nazifascismo: Cina, Francia,
Regno Unito e Unione Sovietica. Con la Carta queste Nazioni dichiarano l’obiettivo
dell’ONU:
« Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della
guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni
all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel
valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e
delle nazioni grandi e piccole, a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto
degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale possano
essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in
una più ampia libertà, e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno
con l’altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e
la sicurezza internazionale, ad assicurare, mediante l’accettazione di principi e
l’istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell’interesse
comune, ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico
e sociale di tutti i popoli, abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi per il raggiungimento
di tali fini. » (Carta delle Nazioni Unite, 1945).
Il secondo momento in cui possiamo collocare la nascita della cooperazione
internazionale è nel 1948 con il piano Marshall, denominato anche “Piano per la ripresa
europea”. Esso è un piano politico-economico attuato dagli Stati Uniti a favore della
ricostruzione dell’Europa in ginocchio dopo la Seconda Guerra Mondiale. George
Marshall, segretario di stato statunitense, con il suo discorso del 5 giugno 1947
dall’Università di Harvard, comunicò al mondo la decisione degli USA di elaborare e
attuare un piano di aiuti economico-finanziari per l’Europa. Il piano Marshall iniziò nel
20
1948 per poi finire nel 1951 ed è il primo esempio importante di trasferimento di aiuti
economico-finanziari a Paesi in difficoltà. Nel 1948 nasce anche l’OCSE
(Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). La nascita di questo
organismo fu dovuta all’esigenza di dar vita a forme di cooperazione e coordinamento
in campo economico tra le nazioni europee nell’immediato dopo guerra. Oggi l’OCSE
conta 34 membri e ha sede a Parigi, è un’organizzazione internazionale di studi
economici per i Paesi membri, Paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo
di tipo democratico ed un’economia di mercato. L'organizzazione svolge
prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un'occasione di
confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni,
l'identificazione di pratiche commerciali ed il coordinamento delle politiche locali ed
internazionali dei Paesi membri
7
.
Il 20 gennaio 1949 il presidente statunitense Harry S. Truman pronunciò il suo discorso
inaugurale, detto anche il “discorso dei quattro punti”. Nel quarto punto Truman dice: «
dobbiamo avviare un chiaro nuovo programma affinchØ i vantaggi del nostro progresso
scientifico e industriale siano disponibili per il miglioramento e la crescita delle aree
sottosviluppate. Oltre metà della popolazione mondiale vive in condizioni di miseria.
Non ha cibo a sufficienza. ¨ vittima di malattie. La sua vita economica è stagnante e
primitiva. La sua povertà è uno svantaggio e una minaccia sia per sØ sia per le aree più
prospere. »
8
. ¨ in questo contesto che per la prima volta viene usato il termine “aree
sottosviluppate” e si inizia a parlare di “un’era dello sviluppo” (Estava, 1998). In poche
parole viene affermato che l’emisfero Sud del pianeta è sottosviluppato mentre il Nord è
implicitamente all’apice del progresso.
7
OCSE, History: http://www.oecd.org/pages/0,3417,en_36734052_36761863_1_1_1_1_1,00.html
8
Harry S. Truman, Inaugural Address, January 20, 1949: http://www.bartleby.com/124/pres53.html