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Grand Tour, soffermandosi sul ruolo predominante della
Toscana e di Firenze come tappa obbligatoria nel panorama
europeo.
Dopo aver sinteticamente indagato l’evoluzione e la condizione
odierna del turismo, esaminata in base alle prospettive di
crescita, alla tassonomia ed alle tendenze attuali, si analizzano le
motivazioni ed i profili della domanda, nazionale ed
internazionale, andando ad approfondire le diverse tipologie di
fruizione. Si dimostra come sia divenuta fondamentale
l’importanza attribuita al fattore esperienziale, portando la
fruizione culturale, fino ad ora basata su un Site and Monument
Approach, ad indirizzarsi verso un Experience Approach.
Il secondo capitolo si apre con una breve digressione sulla
definizione di “bene culturale” ricostruita ripercorrendo l’iter
normativo che l’ha avuta ad oggetto. Successivamente si
prendono in esame le aree di interesse e l’offerta culturale
turistica. Lo scopo è quello di analizzare, oltre ai prodotti già
consolidati, come quelli la cui motivazione principale è legata
alla fruizione della rete museale, o il cui flusso turistico si
concentra nelle città d’arte, anche quei segmenti connessi alle
performing arts ed ai concetti di cultura gastronomica,
artigianale, folkloristica ed antropologica, che sempre di più
rispecchiano l’immagine del nostro Paese. Da queste
valutazioni si nota come alcuni prodotti di nicchia, come i tour
tematici, i parchi letterari, il cineturismo, e soprattutto il
segmento rivolto ai centri minori, stiano diventando delle realtà
considerevoli.
Dopo aver stilato una lista in cui vengono riportate le principali
criticità che inquinano il nostro turismo, rivelando la necessità
di una gestione sovraordinata e di un programma di sviluppo
incentrato sulla collaborazione degli operatori turistici, vengono
riportate alcune iniziative suddivise tra micro, ovvero attivabili
da parte dei comuni e degli enti locali, e macro, utilizzabili a
livello europeo.
Il capitolo continua sottolineando come il turismo culturale
apporti un contributo importante allo sviluppo economico del
territorio in cui opera (grazie all’effetto moltiplicatore, alla
creazione di impiego e all’aumento del reddito), sia come
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volano di crescita economica che come risorsa per vincere la
competitività internazionale. È un fondamentale strumento per
rivalorizzare l’ambiente e le tradizioni locali ma inoltre si ritiene
necessario anche affrontare le problematiche relative alla
sostenibilità dello sviluppo turistico nel rispetto del patrimonio
culturale ed ambientale in cui è inserito.
Focalizzandosi sull’aspetto promozionale e sulle politiche di
marketing, si rivela particolarmente importante la nozione di
marketing territoriale che dovrebbe portare alla collaborazione
dei diversi attori per promuovere l’insediamento di imprese in
un determinato territorio. In vista dei cambiamenti in atto nel
mercato turistico si è sviluppato il Destination Management, che
ha lo scopo di creare sul territorio condizioni e servizi capaci di
ideare, promuovere e realizzare nuove strategie, perseguendo
obiettivi di efficienza, qualità ed innovazione. È proprio secondo
i precetti di questa disciplina che si diffondono gli STL e gli
SLOT, il cui scopo è quello di generare un’offerta articolata
basata sulla qualità ospitale, sulla efficacia ed efficienza
dell’organizzazione dei servizi e delle attrattive in modo da
proporre un’“esperienza di vita” dal punto di vista sociale e
culturale, rendendo il prodotto-destinazione appetibile.
Il capitolo si chiude con un sintetico inquadramento legislativo e
sulle politiche della multilevel governance, tra le competenze
governative e regionali in materia di turismo e beni culturali.
Il terzo ed ultimo capitolo è dedicato a descrivere la realtà
toscana ed ad evidenziare come il turismo culturale rappresenti
un vantaggio competitivo legato non solo al patrimonio
artistico-monumentale ed alla forte tradizione enogastronomica,
ma anche al sempre più crescente potere attrattivo dei centri
minori. Si profila così una maggior richiesta per un turismo
attento a riscoprire tradizioni, identità locali, folklore ed
artigianato tipico.
Questo straordinario mix di risorse va a comporre un prodotto
vincente che detiene un vantaggio competitivo rispetto a tutte le
altre regioni italiane, avendo la capacità, infatti, di attrarre
turisti da tutti e tre i settori di provenienza, sia stranieri, italiani
che regionali.
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Il patrimonio culturale costituisce uno dei motivi trainanti
dell’offerta turistica toscana.
Questo lavoro si concentra non sulle mete tradizionali, ma sulle
realtà “minori” che sono state capaci di distinguersi e di
affermarsi, nel corso degli anni, con successo, dando vita a
progetti innovativi che hanno portato ad una maggiore
conoscenza dei territori nei quali sono stati realizzati
trasformando realtà minori in eccellenze.
Queste iniziative oltre a valorizzare e promuovere aspetti
sempre nuovi del territorio, sviluppando e allargando l’offerta
turistica, permettono di decongestionare le principali città
d’arte.
Con lo “sfruttamento” delle immense risorse culturali diffuse
sul territorio la Toscana si può permettere di soddisfare una
domanda turistica sempre più esigente; domanda, a cui la
Regione dedica particolare attenzione creando marchi di qualità
turistica ambientale, il cui ottenimento è soggetto ad un iter
molto scrupoloso, ed impegnandosi nello sviluppo di un'offerta
trasparente e qualitativamente elevata, rivolta ai turisti che
hanno scelto di soggiornare in Toscana.
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CAPITOLO I.
ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL TURISMO
CULTURALE
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1. LA NASCITA DEL GRAND TOUR
Dal Quattrocento le trasformazioni culturali che portarono
prima all’Umanesimo poi al Rinascimento, diffusero una
diversa concezione dell’individuo, nella quale l’arte, la cultura,
la scienza acquisirono un nuovo ruolo e soprattutto la
formazione letteraria e artistica divenne un momento
fondamentale nella vita delle classi aristocratiche. Questa
rivoluzione culturale cambiò il modo di fare turismo: gli
itinerari dei viaggi si allontanarono da santuari e luoghi sacri
per toccare le città d’arte dell’Europa centrale e mediterranea,
poiché i nuovi viaggi non avevano più come obiettivo le
indulgenze, ma quello di ricevere una formazione culturale,
acquisire una nuova sensibilità artistica o scientifica.
Tra il 1500 ed il 1800 la moda del Grand Tour si diffuse
progressivamente dalla Gran Bretagna alle classi aristocratiche
dell’Europa continentale, poi all’alta borghesia ed infine ad
artisti e scrittori. Il Grand Tour rimase soprattutto un costume
inglese, al quale i giovani rampolli delle upper class non
potevano sottrarsi. Il giovane studente doveva essere affiancato
durante il viaggio da uno o più tutori che lo dovevano guidare
nell’apprendimento culturale e
scegliere i maestri nelle varie città in
cui si soggiornava. [Battilani, 2001]
Nel corso dei secoli il Grand Tour
modificò parte delle sue caratteristiche
all’inizio aveva in genere una durata
piuttosto lunga, che andava dai 3 ai 4 anni, era considerata come
una sorta di scuola itinerante.
Gli itinerari della aristocrazia dell’Europa continentale
differivano in parte da quelli inglesi, ma tutti passavano per
l’Italia, che divenne una delle mete obbligate. Tale preferenza
traeva origine dal primato culturale dell’Italia, considerata il
paese delle cento città dove ovunque era possibile trovare
prodotti artistici, manifatture, libri, monete e soprattutto
ingegneri, artisti e quant’altro. Inoltre le principali città italiane
erano viste come la grande officina di una rivoluzione artistica
di rilevanza internazionale.
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Il successo “turistico” dell’Italia sino al Seicento ha quindi la sua
origine nell’immagine di «civiltà urbana progredita e creatrice».
Nel corso del Settecento, l’età dell’oro del Grand Tour, l’Italia ed
il Mediterraneo in generale assunsero agli occhi degli
aristocratici europei, soprattutto inglesi, la connotazione di
un’area in ritardo nello sviluppo civile ed economico; ma questa
condizione non limitò il flusso turistico verso la penisola, anzi,
il Settecento fu il secolo in cui l’Italia conquistò il primo posto
nelle preferenze dei grandtouristi, adattandosi bene alla nuova
dimensione che in questo secolo il Grand Tour aveva assunto,
quella paesaggistica.
Il viaggio in Italia dei grandtouristi inglesi iniziava da Genova o
Livorno, a cui si arrivava via mare da Marsiglia o Nizza, per poi
toccare Firenze e Siena e visitare la Toscana; altri sbarcavano
direttamente a Civitavecchia, il porto dello Stato pontificio
prossimo a Roma, dove erano soliti trascorrere il periodo delle
festività natalizie, e di qui si spingevano fino a Napoli, città che
rappresentava il confine meridionale del viaggio e forse anche
della civiltà. Da qui si iniziava a risalire la penisola diretti alle
città dell’Emilia e del Veneto.
È solamente dalla seconda metà del Settecento che inizia la
rivalutazione e l’inserimento dell’Italia meridionale negli
itinerari abituali del Grand Tour. Anche se Puglia, Calabria e
Sicilia sono ancora considerate come torride terre d’Africa.
Scopo principale del Grand Tour era di conoscere e studiare
culture straniere, tanto che veniva raccomandato di non
mancare le feste popolari, le funzioni religiose, le assemblee
cittadine e le udienze di corte. Le manifestazioni più famose
dell’epoca erano il Calcio in piazza Santa croce a Firenze, il
Gioco del Ponte a Pisa, il Palio a Siena, la Cuccagna a Napoli, le
corse dei cavalli a Firenze, Bologna e Roma, e la battaglia tra
Castellani e Nicolotti a Venezia.
L’aspetto della formazione culturale passò in secondo piano
sostituito da un atteggiamento più turistico: il viaggio di piacere
attraverso l’Europa offriva la possibilità di vedere ambienti
naturali inconsueti, assai diversi da quelli del paese d’origine.
La trasformazione provocò dei cambiamenti nelle modalità
organizzative: si ridusse la durata tanto che all’inizio
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dell’Ottocento difficilmente superava i quattro mesi e cambiò la
fascia di età, riguardando non più ragazzi di 20-30 anni ma
uomini sui 30-40 anni. Anche lo status sociale di chi si metteva
in viaggio non fu più lo stesso: ai giovani aristocratici o alto
borghesi si erano affiancati scrittori, artisti, filosofi e
rappresentanti delle classi medie.
Nella letteratura del Grand Tour si dà per scontato che
nonostante la trasformazione nelle motivazioni e nella
composizione sociale dei grandtouristi l’Italia restasse una delle
tappe preferite.
Per molto tempo sia le strade sia i mezzi di trasporto impiegati
dai turisti furono quelli del servizio postale; anche se nella
seconda metà del Settecento le strade si moltiplicarono e fu
possibile scegliere tra una maggiore varietà di vetture a cavalli;
solamente nell’Ottocento il sistema di trasporto cambiò
radicalmente grazie all’introduzione delle ferrovie e delle
imbarcazioni a vapore.
Nel corso dell’Ottocento il Grand Tour attraverso l’Europa
continentale passò di moda, sostituito da altre maniere di
trascorrere le vacanze e di fare turismo, ma anche soppiantato
da nuove mete come India, Sri Lanka, Australia e Nuova
Zelanda, diventando così, per gli inglesi, vere e proprie
ricognizioni attraverso le proprie colonie. La moda dell’esotico
assunse a volte un aspetto più culturale da cui nacque una
nuova figura di viaggiatore, quella dell’erudito eclettico,
archeologo dilettante alla ricerca delle testimonianze delle
antiche civiltà.
La moda del Grand Tour europeo sopravvive ormai solo grazie
agli americani benestanti che dalla metà dell’Ottocento
iniziarono a viaggiare verso i centri europei.
Oggi, i tempi di vita ed i ritmi lavorativi della nostra società
hanno modificato le caratteristiche del Grand Tour , poiché esso
non è più un viaggio di diversi anni in età giovanile, ma si
compone di tanti piccoli viaggi di poche settimane nel corso
della vita per visitare i patrimoni artistici delle città di tutto il
mondo: si tratta di quello che oggi chiamiamo turismo culturale.