2
signore con il sistema del free tenueres. Dall'altra, dal divieto per i soggetti
appartenenti a certe categorie sociali (quali coloro che appartenevano agli ordini
religiosi aventi fatto voto di povertà e alle c.d. unicorporeted associations) di poter
possedere e disporre liberamente di beni immobili, in forza dello Statute of Mortmain
del 1319, diretto a prevenire il fenomeno della manomorta.
In origine il trust veniva usato principalmente da parte dei Crociati, affinché la
loro famiglia ne beneficiasse nell’eventualità di un loro non ritorno in patria
3
.
Per aggirare i divieti ed i limiti posti dal sistema inglese, si instaurò la prassi
di trasferire il proprio diritto di proprietà del bene immobile (estate) a favore di un
terzo, che aveva l'obbligo di trasferire le rendite (in caso di diritto di proprietà relativo
ad un fondo) al primo proprietario e, alla morte di quest’ultimo, di trasferire l'estate al
soggetto o ai soggetti indicatigli; si poteva, in questo modo, eludere il divieto posto in
capo al feudatario di trasmettere agli eredi il proprio feudo.
Si era soliti, per questo tipo di negozio giuridico, usare il termine use, ricavato
dall'espressione " to use of " (derivante dalla espressione latina " opus ", che significa
" a beneficio di" )
4
.
3
Con buona probabilità, la pratica dell’use deve la sua diffusione alla prassi, consolidata tra i frati
francescani sbarcati in Inghilterra intorno al 1230 come missionari, di trasferire l’”estate” a favore del
borgo medievale, al fine di ovviare al divieto di essere proprietari in virtù del voto di povertà fatto al
tempo dell’investitura talare. Per apprfondimenti sul punto, cfr. MATTEI E., Il modello di Common
Law, Bologna, 2000.
4
Secondo CAENEGEM T. (The birth of English Common Law, Cambridge, 1989), l’use quale
progenitore del trust non traeva origine dal diritto romano, ma piuttosto dalla figura del Salmann, colui
al quale i Germani solevano trasferire la proprietà, con atto solenne chiamato “sala”, affinché la
proprietà stessa potesse essere amministrata secondo le direttive impartite dal trasferente. Mentre, al
contrario, MATTEI E. (op. cit.) è propenso per un’ origine romanistica dell’istituto, quando va ad
affermare che “…l’espressione impiegata dal testatore, <<a mon eops>>, corrisponde al latino <<ad
opus meum>> e designa quello che sarà chiamato use…”.
3
Tale istituto, che alcuni autori qualificano
5
come “un caso di interposizione
reale”, si concretizzava nella figura del feoffor, corrispondente all’attuale disponente
(settlor) nel trust, che trasferiva un bene immobile ai feoffees, gli attuali trustees,
affinché lo acquisissero a favore (to the use of) del cestui que use , ossia l'attuale terzo
beneficiario (beneficiary).
6
1.2 Il trust moderno
Il percorso dal sistema dell’use al trust vero e proprio si completò passando
attraverso il cd. “use upon a use”, istituto giuridico di formazione dottrinaria
sintetizzabile nella costituzione di un use su un altro use
7
.
L’ use upon a use nacque dettato dall’ esigenza di eludere lo Statute of Uses
del 1535 che, definendo l’use come <<executed>>, esecutivo, attribuiva ai beneficiari
il legal title ( la titolarità del diritto ) e andava così ad eliminare il fiduciario.
Attraverso questo “escamotage”, lo Statute rendeva inefficaci le disposizioni del
primo use, ma non quelle del secondo, che in questo modo restavano valide
8
.
5
LUPOI M., Il Trust, Milano, 2000.
6
SANTORO L., Il trust in Italia, Milano, 2004.
7
LUPOI M., Trust, Milano, 1997. Lo schema dell’use apon a use è così sintetizzabile: Tizio, se voleva
trasferire il suo diritto di proprietà (estate) a Caio per beneficio di (use of) Sempronio, come un
normale use, invece di trasferirlo a Tizio a favore di Sempronio, lo trasferiva sempre a Tizio, ma per
l’uso di Mevio e per l’uso a sua volta di Sempronio.
8
VANNONI F., Trust e fiducia nel diritto inglese, Milano, 1995.
4
Fu in seguito al principio che stabilì che il titolare di un use upon use era
tutelato in Equity, espresso nella nota decisione del Cancelliere relativa al caso
Sambach v. Dalston, che il fiduciario (feoffee) venne chiamato trustee e il
beneficiario del trasferimento del diritto di proprietà (cestui que use) venne chiamato
beneficiary.
Si andò così a delineare la struttura del trust moderno, consistente in un
soggetto disponente (settlor) che trasferisce, per scopi diversi, un proprio diritto ad
una persona di fiducia (trustee), il quale ha facoltà di esercitare il diritto sulla base
dello statuto del trust (deed of trust) e delle istruzioni ricevute dal settlor (letters of
wishes), ma con l'obbligo di trasferire nuovamente il diritto, entro un certo periodo di
tempo prefissato, ad un terzo beneficiario (beneficiary)
9
.
Dal punto di vista giuridico, la costituzione di un trust comporta come effetto
una sorta di "sdoppiamento della proprietà", una segregazione: si parla in dottrina di
split ownership (proprietà divisa).
9
Di frequente ricorre in dottrina l’accostamento tra trust e mandato fiduciario, alla luce della tesi,
condivisa anche in giurisprudenza, secondo cui la fiducia andrebbe ricondotta entro lo schema della
rappresentanza indiretta. L’orientamento favorevole all’accostamento del mandato al trust e alla
proprietà fiduciara (tra cui spicca DE NOVA G., Trust: negozio istitutivo e negozio dispositivo, in
Relazione al Congresso Nazionale dell’associazione “Il Trust in Italia”, novembre 2000) trova
ulteriore avallo normativo nella disposizione contenuta nell’art. 1707 c.c., che prevede un vincolo di
segregazione dei beni acquistati dal mandatario in esecuzione dell’oggetto del mandato rispetto al suo
patrimonio personale.
Tuttavia non si può ignorare la diversità di contenuto dell’incarico gestorio affidato al
mandatario, da un lato, ed al trustee, dall’altro. Il mandato implica infatti il compimento di atti e
negozi giuridici, mentre il trustee può compiere anche i c.d. atti materiali, i quali possono formare
oggetto del mandato solo se strumentali al compimento di atti giuridici. Con riferimento, invece,
all’effetto segregativo, si osserva (cfr. SANTORO L., Il trust in Italia, Milano, 2005) che nel caso del
mandato riguarda beni che sono conseguenza dell’attività gestoria del mandatario, e non anche quelli
di cui il mandatario diviene proprietario per effetto di atti strumentali al compimento dell’attività
affidatagli. Inoltre, spostando l’attenzione dal mandatario al mandante, si avverte la profonda
differenza che corre tra l’effetto segregativo prodotto dal trust e quello generato dal mandato.
5
Sono infatti attribuiti al disponente e al fiduciario, generalmente soggetti
diversi, iura in rebus (diritti sulle cose) sui medesimi beni, in modalità sconosciuta ai
sistemi giuridici di Civil Law e diversa da istituti come la comunione che hanno
caratteri giuridici simili ai trust.
1.3 Perchè un trust?
Gli scopi per cui può essere costituito un trust sono innumerevoli, tanto da
poterlo qualificare, utilizzando un terminologia cara ai civilisti, come negozio a causa
variabile.
In particolare, le finalità sottese ad un trust possono essere ricondotte a scopi
caritatevoli (nei c.d charitable trusts), di garanzia, imprenditoriali e commerciali e di
carattere familiare.
10
1.3.1 Il trust nell’ambito familiare e successorio
Il trust nell’ambito familiare è una forma di trust discrezionale che assolve a
finalità di amministrazione, accumulazione, mantenimento e protezione del
patrimonio familiare, caratterizzato dal fatto che è rimessa al trustee ogni decisione
10
PALAZZO A., Autonomia privata e trust protettivi, in Trust e attività fiduciarie, 2003.
6
relativa alla scelta dei beneficiari o alla gestione del patrimonio affidatogli. La
discrezionalità può essere integrale o limitata solo ad alcune decisioni.
Dei rapporti tra trust e diritto di famiglia può parlarsi con riferimento alla
dote, alle convenzioni matrimoniali, al regime patrimoniale della famiglia, al fondo
patrimoniale, alla crisi coniugale e alla famiglia di fatto.
11
Il trust trova largo impiego anche in materia successoria, al fine di dare
effettiva realizzazione alle volontà del testatore, oppure per conseguire risultati
altrimenti non consentiti dal nostro diritto positivo in materia
12
.
1.3.2 Il trust nell’ambito dell’impresa
Il trust è un istituto che costituisce una risposta anche alle istanze provenienti
dal mondo imprenditoriale.
Attraverso la costituzione di un trust, l’imprenditore può evitare che un suo
eventuale fallimento, o qualunque altra possibile disavventura dell’impresa, comporti
la depauperamento del suo patrimonio personale e di quello della sua famiglia, in
virtù della regola generale posta dall’art. 2740 del codice civile, per cui il debitore
risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni.
11
PATTI A., I trust: problematiche connesse all’attività notarile, in Vita notarile, 2002.
12
BIASINI G., ROTA F., Il Trust e gli istituti affini in Italia, Milano, 2007. Al riguardo, possono ben
ipotizzarsi trust per la libera determinazione delle quote spettanti agli eredi o trust di accumulazione.
7
La struttura del trust è la seguente: il disponente è l’imprenditore; il trustee è
l’imprenditore stesso; i beni oggetto del trust sono tutti quelli estranei all’attività
imprenditoriale; i beneficiari sono il coniuge ed i propri discendenti
13
.
Si costituisce in questo modo un vero e proprio patrimonio separato rispetto a
quello dell’impresa, per cui i beni in trust non possono essere aggrediti dai creditori
personali del trustee, del disponente e dei beneficiari: sono beni a tutti gli effetti
blindati.
L’impiego del trust in ambito imprenditoriale e societario può anche rendere
più agevole l’ottenimento per l’imprenditore di finanziamenti, attraverso l’istituzione
di un trust di garanzia in favore di una banca
14
, o rappresentare un valido strumento di
pianificazione del passaggio generazionale nelle aziende.
1.4 Struttura e tipologie dei trust
I trusts possono nascere in modalità differenti. Si è soliti distinguere, quanto
alla forma, tra trust "espressamente istituiti", formati per mezzo di un negozio
unilaterale, che ha natura recettizia solo quando il disponente è distinto dal fiduciario,
e trust "non espressamente istituiti".
13
BIASINI G., ROTA F., Op. Cit.
14
ANDREOLI, Il trust nella prassi bancaria e finanziaria, Padova, 1999.
8
Quanto ai primi, essi nascono in virtù una espressa dichiarazione di volontà da
parte del disponente, per mezzo di un atto inter vivos o mortis causa, che va a
regolamentare la disciplina dello stesso trust; non vi è alcuna proposta contrattuale
effettuata dal trustee, ma un atto di volontà del solo disponente.
I secondi, invece, si formano non per espressa previsione del settlor, ma in
base ad altre fonti, quali la legge (si parla in tal caso di constructive trusts) o una
regola di Equity (implied trusts e resulting trusts)
15
.
In riferimento alla struttura del trust, va precisato che lo schema negoziale di
disponente, fiduciario e beneficiario non necessariamente deve essere presente
affinchè il trust stesso sia validamente costituito.
Si parla di trusts "dinamici", che presentano la classica struttura trilaterale, nei
quali vi è il trasferimento del diritto dal disponente al beneficiario e in cui settlor e
trustee sono rappresentati da due soggetti distinti, contrapposti ai trusts "statici", dove
settlor e trustee sono coincidenti, in quanto il disponente, titolare di un diritto, si
dichiara fiduciario nei confronti dello stesso diritto a favore di un beneficiario.
Altra possibile variazione della struttura del trust è data dalla mancanza di un
beneficiario; in questo caso, il trasferimento del diritto da parte del settlor è
finalizzato ad uno scopo generale: si parla infatti di trust di scopo (purpose trust)
16
.
15
La distinzione all’interno dei trusts non espressamente istituiti tra trusts impliciti (“implied trusts”) e
trusts residuali (“resulting trusts”) è contestata da alcuni autori (cfr. CAENEGEM, op. cit.), che
ritengono la categoria dei primi ricompresa in quella dei secondi, o addirittura inesistente, dati i
caratteri che accomunano questi due istituti. Vi sono però numerose pronunce giurisprudenziali che
convogliano verso tale diversificazione.
16
I purpose trusts sono considerati nulli nel diritto inglese, in quanto non si ritiene amissibile un trust
in cui manchi il beneficiary, che è l’unico che può pretendere il comportamento adempiente del
trustee, eccezion fatta per i c.d “charitable trusts” (trust a scopo di beneficenza).
9
Può mancare, quindi, nel trust, il settlor o il beneficiary, ma mai il trustee,
elemento indefettibile del rapporto, poiché ciò comporterebbe l'impossibilità di
conoscere quali diritti specifici, di cui è titolare un determinato soggetto, sono
trasferiti
17
.
1.4.1 Un caso particolare : il Blind trust
Il blind trust è una forma di trust costituita allo scopo di separare un soggetto
dal proprio patrimonio, al fine di evitare alcune forme di conflitto di interessi. Si
tratta di un istituto che trova larghissima diffusione negli Stati Uniti.
Esso consiste in un affidamento fiduciario, in cui il titolare conferisce il
proprio patrimonio ad un consiglio direttivo che lo amministra per suo conto,
scegliendo nella più completa libertà le forme di investimento opportune, senza alcun
obbligo di rendiconto, e ciò fino alla scadenza di un termine o al verificarsi di una
condizione (ad esempio la cessazione di una carica).
Secondo FRANCESCHELLI, questo limite di ammissibilità nasce da un’analisi poco approfondita
della struttura del trust, perché anche nei trust, per così dire, ordinari, i beneficiari, sia che siano
nominati individualmente che in una classe o categoria, possono “solo godere di un diritto o di un bene
produttivo di frutti o di utilità, ma non farlo proprio. Ma ciò non deve celare il fatto che essi, tuttavia,
fanno proprio l’oggetto del trust e sono quindi beneficiari in senso tecnico”.
Pertanto, la possibilità di chiedere l’esecuzione della prestazione al trustee può essere realizzata anche
nei trust di scopo, e la nullità sancita dal diritto inglese ha “una ragione squisitamente procedurale”
(cfr. FRANCESCHELLI R., Il trust nel diritto inglese, Padova, 1995).
17
LUPOI M., op. cit.
10
Il blind trust viene costituito da soggetti che accedono a cariche pubbliche di
altissima rilevanza, al fine di assicurare che le decisioni da essi prese nell’interesse
pubblico non siano influenzate dal proprio interesse personale.
18
Esso rappresenta lo strumento più idoneo a raggiungere tale scopo, in quanto
il costituente non ha idea di quali siano i settori economici nei quali è investito il
proprio patrimonio e pertanto non è in grado di favorirli nel proprio agire.
19
Con il
blind trust, infatti, il proprietario non è più a conoscenza dell’amministrazione delle
sue proprietà, mentre il personale delle sue aziende continua ad avere piena
conoscenza del proprietario.
1.5 La struttura giuridica e i soggetti coinvolti
La struttura dei trusts, così come emerge dalla consolidata esperienza in
Common Law, consiste in un rapporto fiduciario in virtù del quale un soggetto,
denominato trustee, al quale sono attribuiti i diritti e i poteri di un vero e proprio
proprietario (legal owner), gestisce un patrimonio che gli è stato trasmesso da un altro
soggetto, denominato disponente (o settlor) per uno scopo prestabilito, purché lecito
18
CORSINI L., Il Blind Trust nell’esperienza statunitense, in Trusts, 2001.
19
AA.VV., Blind trust, voce su Wikipedia Enciclopedia Libera, in www.wikipedia.it
11
e non contrario all'ordine pubblico, nell’interesse di uno o più beneficiari o per un
fine specifico.
20
Il trust così delineato secondo la struttura di Commom Law è un fatto
giuridico, non un contratto, che viene in essere con un atto unilaterale e non necessita
di alcuna consideration.
Il termine consideration appartiene alla cultura giuridica di Common Law ed è
l’elemento che contraddistingue il vero e proprio contract dal semplice agreement: si
è in presenza di un contract solo quando vi è consideration, intendendosi con ciò la
ricompensa per il beneficio reso e la tutela dell'affidamento.
Nella pratica ciò significa che solo attraverso la consideration le parti
dimostrano la reciproca volontà a vincolarsi ciascuna alla propria prestazione e alla
pretesta della controprestazione, potendo agire in giudizio in caso di inadempimento.
Il fatto quindi che il trust sia privo di consideration comporta importanti
effetti pratici, primo fra i quali, al di là del fatto che mai potremo parlare di trust come
di un contratto, quello di poter essere istituito per mero fine di liberalità, a titolo
gratuito, dal quale quindi non consegue né per il disponente, né per il trustee, alcun
fine lucrativo, di arricchimento o vantaggio personale.
21
Sotto il profilo soggettivo, il trust ha generalmente struttura trilaterale. Le tre
figure coinvolte, che non necessariamente sono tre entità diverse tra loro, sono :
- il disponente (o settlor): colui che istituisce il trust;
20
BUSSANI A., Trust: per raggiungere lo scopo prestabilito la gestione del patrimonio passa al
terzo, in Guida al diritto, il Sole 24 Ore, n. 24 del 1999.
21
CASTRONOVO C., Trust e diritto civile italiano, in Europa e diritto privato, 1999.
12
- il trustee: colui al quale vengono conferiti piena disponibilità e potere di
amministrazione dei beni:
- il beneficiario: colui a favore del quale sono diretti gli effetti finali
dell’operazione.
1.5.1 Il settlor
Il disponente (settlor) è colui che prende l'iniziativa dell’istituzione di un trust.
Secondo il modello internazionale, così come configurato dalla Convenzione
dell’Aja, il disponente può essere persona fisica o giuridica, deve avere piena capacità
di agire e la sua volontà non deve essere viziata, pena l'invalidità del negozio
istitutivo
22
.
Più nello specifico, quanto alla capacità, un trust istituito da un minore è
radicalmente nullo (void), così come quello istituito da un infermo di mente, per atto
inter vivos o mortis causa.
In riferimento invece ai vizi della volontà, il trust è annullabile. Tali vizi sono
identificati in quattro categorie: violenza (duress), indebita influenza (undue
influence) , indebita frode (fraud) ed errore proprio (mistake).
22
LUPOI M. Trust, Milano, 1997.