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Infatti, nel caso in cui la scelta manchi o sia inefficace, la legge applicabile al trust
è indicata dall’art.7, il quale dispone che il trust sia regolamentato dalla legge con
la quale esso presenta “i più stretti legami” determinata tenendo conto in
particolare ed in ordine gerarchico:
1. del luogo di amministrazione del trust;
2. dell’ubicazione dei beni;
3. della residenza o del domicilio del trustee;
4. degli scopi del trust e dei luoghi dove essi devono realizzarsi;
confermando così l’adozione di criteri di collegamento tradizionalmente riferiti
alle obbligazioni contrattuali e aderendo al metodo di determinazione obiettiva
della legge applicabile.
Gli elementi guida da seguire in merito alla scelta della legge sono elencati in
ordine di importanza in stretto collegamento con la discrezionalità del giudice che
deve effettuare una valutazione globale della fattispecie, a scapito della
prevedibilità della soluzione.
Il principio della libertà di scelta della legge regolatrice consta di due profili, uno
internazionalprivatistico, l’altro sostanziale.
Riguardo al primo, la dottrina internazionalprivatistica italiana prevalente ritiene
lecita la scelta di una legge straniera per regolare un rapporto anche in assenza e
quindi a prescindere da elementi oggettivi di internazionalità della fattispecie .
Tale soluzione è accolta in altre Convenzioni de L’Aja (1955, 1978, 1985), nella
Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni
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contrattuali e, nelle nostre norme di conflitto, vigeva già sotto il vigore
dell’abrogato art. 2.5 disp. prel. cod. civ., ora sostituito dalla norma dell’art. 57,
introdotta dalla riforma del sistema italiano del diritto internazionale privato che
richiama la Convenzione di Roma ora citata. Orbene, pur in presenza di una
parziale difformità di scopo tra le due Convenzioni di Roma e de L’Aja – in
quanto la prima ha lo scopo di risolvere i conflitti di legge che sorgono da un
rapporto sostanziale già definito dalla legge interna (lex fori), mentre la seconda
opera all’interno del proprio ambito la definizione del rapporto che intende
regolare – entrambe accolgono il principio della illimitata libertà di scelta della
legge applicabile (lex causae) : la legge scelta rappresenta così l’unico elemento di
estraneità e di collegamento richiesto. Entrambe, poi, individuano nella non
derogabilità delle norme imperative interne (art 3.3 Convenzione di Roma, art.19
Convenzione de L’Aja ) il limite al potere di scelta (la Convenzione de l’Aja
contiene altresì un ulteriore limite di cui all’art. 13 di cui si dirà in seguito).
In definitiva, sotto il profilo internazionalprivatistico, il disponente può indicare
nell’atto istitutivo la legge che regola il trust e può scegliere liberamente tale legge
indipendentemente dall’esistenza di elementi oggettivi di collegamento o della
circostanza che questa si riferisca a Stati che hanno sottoscritto o ratificato la
Convenzione, con il limite che la legge prescelta conosca la categoria di trust in
questione. Se la legge scelta dal disponente non disciplina la fattispecie come
trust, suppliscono i criteri residuali di cui all’art 7, per il quale si applicherà la
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legge dell’ordinamento che presenta i collegamenti più stretti al rapporto; in
mancanza la Convenzione risulterà inapplicabile (art.5).
Dal punto di vista sostanziale, la scelta della legge straniera da parte del
disponente, costituisce esercizio del potere di autonomia privata ex art. 1322 cod.
civ. (più precisamente, trattandosi di atto unilaterale, attraverso il richiamo
compiuto dall’art. 1324 cod. civ.): il disponente può regolare il rapporto di trust e
compiere atti di disposizione del proprio patrimonio ad esso collegati, purché lo
scopo sia meritevole di tutela, non violi norme imperative interne e quelle previste
dalla legge richiamata e la scelta non sia abusiva. Peraltro, in quest’ottica, anche
nel codice civile italiano è contenuta una norma, l’art.161, che prevede la facoltà
per i coniugi di regolare i loro rapporti patrimoniali, anche integralmente,
attraverso il richiamo a leggi alle quali non sono sottoposti, purché non venga
compiuto un mero rinvio generico. La norma prevede solo la necessità di una
particolare tecnica redazionale: le convenzioni matrimoniali devono enunciare in
modo esplicito il contenuto dei patti regolatori del rapporto, pur se regolati da
leggi straniere. Analoga tecnica redazionale può essere opportuna, sebbene non
necessaria, in riguardo ai negozi istitutivi redatti in Italia, allo scopo di contribuire
alla chiarezza e trasparenza dell’operazione : il disponente, compiuta la scelta
della legge regolatrice, può esplicitare nelle clausole dell’atto istitutivo gli aspetti
essenziali del rapporto in conformità alle regole della legge prescelta.
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All’art.8 della Convenzione, poi, viene stabilito che la legge regolatrice è
chiamata a disciplinare << la validità del trust, la sua interpretazione, i suoi effetti
e l’amministrazione del trust >> e, in particolare:
• la nomina, le dimissioni e la revoca del trustee, la capacità particolare di
esercitare le mansioni di trustee e la trasmissione delle funzioni di trustee;
• i diritti e gli obblighi dei trustee tra di loro;
• il diritto del trustee di delegare, in tutto o in parte, l’esecuzione dei suoi
obblighi o l’esercizio dei suoi poteri;
• i poteri del trustee di amministrare o disporre dei beni del trust, di darli in
garanzia e di acquisire nuovi beni;
• i poteri del trustee di effettuare gli investimenti;
• le restrizioni relative alla durata del trust e ai poteri di accantonare gli
introiti del trust;
• i rapporti tra il trustee e i beneficiari, ivi compresa la responsabilità
personale del trustee verso i beneficiari;
• la modifica o la cessazione del trust;
• la ripartizione dei beni del trust;
• l’obbligo del trustee di rendere conto della sua gestione.
Regola altresì la “durata” del trust, le sue “modificazioni” e le “modalità di
distribuzione dei beni” del trust. Si tratta, mutuando i termini dal linguaggio
societario, dello "statuto" del trust e del suo "organo".
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Non saranno invece disciplinate dalla legge regolatrice, la capacità del disponente
e dei beneficiari, assoggettate quindi alle rispettive leggi nazionali.
Con riguardo alla legge regolatrice della “forma” del trust e della “validità”
dell’atto con cui viene scelta la legge applicabile, nel silenzio della Convenzione,
parte della dottrina sostiene applicabile la lex substantiae, cioè la disciplina che è
propria dell’ordinamento competente a regolare la sostanza del rapporto di volta
in volta in esame.
In tema di individuazione della legge regolatrice, la Convenzione prevede
espressamente l’ipotesi di una segmentabilità del trust e la concorrenza di più
leggi regolatrici, ciascuna relativa a singoli aspetti del trust. L’ art. 9 della
Convenzione, fa infatti riferimento, in particolare per le <<questioni
amministrative>>, al cosiddetto dépeçage (ipotesi di norma propria della
tradizione americana). Questo comporta che la legge regolatrice possa essere
diversa per ciascuno dei singoli aspetti in cui, a giudizio del giudice, sarà possibile
articolare il singolo trust (siano essi attinenti alla validità, all’interpretazione,
all’efficacia, all’amministrazione). Quest’ultimo giudizio sulla separabilità,
secondo quanto previsto dall’art.10 (che subordina alla legge regolatrice della
validità del trust la possibilità di cambiare la stessa legge applicabile), e
dall’art.21 (che considera l’appartenenza a uno Stato contraente della legge che
regola la validità del trust, quale elemento determinante al fine della sua
riconoscibilità in caso di apposizione della riserva ivi prevista), sembrerebbe
doversi effettuare secondo la legge che regola la validità del trust.
20
Quanto alla “prova” del trust, l’art.3, prevede che questa debba essere fornita per
iscritto, a voler dire che, ferma la creazione volontaria del trust, sia che essa
avvenga verbis vel scriptiis , il requisito della forma scritta costituisce un requisito
non già di validità, bensì di prova . Soluzione questa, invero, conforme alle
esigenze di certezza che emergono dalla prassi negoziale, nonché funzionale ad
assicurare una maggiore garanzia della serietà dell’intenzione delle parti, che
peraltro potrebbero anche non sottoscrivere direttamente il documento.
1.4. Il riconoscimento. Dicotomia tra legge applicabile e
riconoscimento.
Gli artt. 11 e ss. fornendo una disciplina di ulteriore specificazione di quelli che
sono gli effetti attribuibili alla legge designata dalla Convenzione, prevedono che
un trust costituito ai sensi della legge individuata secondo i criteri di collegamento
stabiliti dalla Convenzione, sarà riconosciuto come tale dagli Stati contraenti .
In particolare, il riconoscimento implica – indipendentemente dal contenuto della
legge regolatrice – l’ammissibilità della separazione del patrimonio del trust da
quello del trustee nonché la possibilità di questi di agire in tale veste dinanzi alle
pubbliche autorità.
21
Tra gli effetti da riconoscere al trust, secondo la legge regolatrice
2
, particolare
interesse presenta quello che attribuisce a detta legge la possibilità di stabilire –
con effetti riconosciuti da tutti gli Stati contraenti – che il beneficiario possa
rivendicare i beni del trust nel caso in cui il trustee, in violazione delle
obbligazioni discendenti dal trust, li abbia alienati o confusi con il proprio
patrimonio
3
. Diversamente, i rapporti con i terzi acquirenti e/o possessori dei beni
del trust saranno assoggettati alle normali regole di conflitto e quindi, di norma,
alla lex rei sitae
4
.
L’art.12 individua poi i poteri del trustee – che continuano comunque a essere
determinati dalla legge regolatrice del trust – in materia di iscrizioni , trascrizioni,
annotazioni in registri pubblici e privati.
In tali occasioni, si potrà far riferimento al trust in quanto tale, senza dover
ricercare corrispondenti o affini istituti giuridici nazionali, nei limiti in cui ciò è
possibile in base alla legge dello Stato in cui deve essere realizzata la pubblicità.
Detto ciò, il primato della volontà espresso all’articolo 6 e il generale obbligo di
riconoscimento previsto dalla Convenzione risultano limitati, dall’art.13 della
stessa, ai soli trusts che presentino effettivamente un elemento di internazionalità.
Tale disposizione prevede, infatti, che gli Stati contraenti non sono tenuti a
riconoscere un trust i cui elementi principali (esclusi la scelta della legge, il luogo
di amministrazione e la residenza abituale del trustee) risultano più strettamente
2
Vedi terzo comma dell’art.11.
3
da ciò peraltro taluni hanno fatto discendere la natura reale dei diritti del beneficiario.
4
Ad esempio, la buona fede del terzo andrebbe valutata proprio in base a quella legge.
22
connessi a Stati che non conoscono il trust, in generale, o il particolare tipo
rilevante nel caso di specie .
Si è inteso così escludere il riconoscimento di un trust straniero quando i suoi
elementi più significativi (la trust property, la nazionalità del settlor, del
beneficiario o del trustee) sono del tutto estranei alla legge scelta dal costituente,
quando cioè , anche indipendentemente dalla volontà del settlor , possa essere
considerato come un “trust interno” da uno Stato che non conosce l’istituto.
Questo per evitare che l’intreccio dei meccanismi negoziali possano portare alla
costituzione di rapporti posti in essere al solo fine di renderli assoggettabili –
senza tuttavia poter giungere necessariamente a parlare di <<frode alla legge>> -
a una disciplina dell’ordinamento rispetto alla quale le fattispecie concrete e
sostanziali non presentino alcun effettivo legame. Ed è ciò che esemplarmente
accade quando la trust property, la nazionalità del settlor o del trustee, sono del
tutto estranee alla legge scelta dal costituente.
La clausola in esame consente quindi, ai giudici di Stati che non conoscono il trust
dal punto di vista del diritto materiale – tale è il caso dell’Italia – di non
riconoscere efficacia alla scelta di legge operata dal settlor per un trust che si
caratterizzi, per i suoi elementi significativi, come meramente interno.
Di conseguenza, il giudice di uno Stato che non conosca il trust dal punto di vista
del diritto materiale, potrà applicare l’art. 13 ove ritenga che la fattispecie sia
stata ingiustificatamente sottratta all’applicazione della propria legge.
23
Ma questa non è la sola limitazione al riconoscimento. Oltre al citato art. 21,
vanno infatti ricordati i limiti all’applicazione della legge competente, contenuti
nel capitolo IV della Convenzione . Tra le disposizioni generali, si fa infatti
espresso riferimento al tradizionale limite dell’ordine pubblico, rilevante solo in
caso di << manifesta incompatibilità >>, e alle norme di applicazione necessaria,
sia del foro che di uno Stato terzo. A questi si aggiunge poi il disposto dell’art.15,
che fa salva l’applicazione delle norme imperative – tali essendo quelle non
derogabili con una semplice manifestazione di volontà dei privati – proprie della
lex fori in caso di contrasto con il trust .
Alla luce di quanto detto, c’è dicotomia tra legge applicabile e riconoscimento
5
,
dal momento che un trust posto in essere secondo la Convenzione, regolato da una
legge straniera rispetto all’ordinamento dove se ne richiede il riconoscimento,
dovrà essere riconosciuto come valido e produttivo di effetti, nello Stato dove
dovrà in concreto operare. Ciò produrrà ovviamente la contemporanea sinergia
della legge dello Stato estero richiamata, in qualità di legge applicabile, e le norme
inderogabili e i principi di ordine pubblico dello Stato dove il trust sarà
riconosciuto.
L’art.11 prevede quindi il riconoscimento per ogni trust costituito in conformità
ad una legge specifica; tale riconoscimento però non è obbligatorio, posto che il
successivo art.13 riconosce il potere, allo Stato che dovrebbe provvedere al
riconoscimento, di rifiutarlo se gli elementi costitutivi del trust, all’infuori della
5
Vd. per tutti RICCARDO LUZZATO, Legge applicabile e riconoscimento di trusts secondo la
Convenzione de l’Aja, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, I, p.7 ss.
24
legge regolatrice richiamata, rimandano ad un diverso ordinamento che non
conosca invece l’istituto in quanto tale.
Questa è ovviamente una grave impasse, prevista dalla Convenzione
indubbiamente per salvaguardare la sovranità dello Stato chiamato al
riconoscimento, ma allo stesso tempo formulata come ipotesi eventuale poiché, e
al contrario, è possibile e lecito, proprio in base alla Convenzione stessa,
procedere al riconoscimento di un trust che presenti queste caratteristiche.
E’ necessario a questo punto ipotizzare due diverse situazioni.
La prima: il trust contiene elementi d’estraneità effettiva (ad esempio il trustee è
inglese o i beni sono in Inghilterra) oltre al richiamo, quale legge regolatrice
applicabile, della legge inglese.
In tale ipotesi, in forza non solo della menzionata Convenzione, ma anche di altre
norme di Diritto Privato Internazionale vigenti tra Stati, non vi sono dubbi sul
riconoscimento di questo trust, valido sotto tutti i profili e con pieno diritto a
spiegare effetti anche in Italia.
La seconda: tutti gli elementi del trust sono nazionali (trustee, disponente,
beneficiari e beni del trust italiani). Unico e necessario elemento di estraneità, per
le ragioni suddette, la legge applicabile che sarà, ad esempio quella inglese.
L’Italia infine il Paese dove si chiede il riconoscimento : quid iuris?
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Teoricamente il nostro Paese potrebbe non riconoscere un siffatto trust,
argomentando semplicemente in base alla facoltà che viene riconosciuta dal citato
articolo 13
6
.
A parere invece della dottrina
7
ciò dovrebbe escludersi.
Se infatti fosse tout court negata validità ai trusts interni, regolati da legge
straniera, si arriverebbe al paradosso per il quale sarebbe obbligatorio riconoscere
in Italia trusts istituiti da stranieri, aventi ad oggetto beni siti in Italia e regolati da
una legge estera, e al contrario sempre negato il trust costituito da cittadino
italiano, con evidenti profili di incostituzionalità ex art.3 della Costituzione
8
.
6
L’art 13 si rivolge proprio al giudice il quale dovrà caso per caso decidere se sia possibile
ricorrere o meno al riconoscimento. La questione venne posta in questi termini in sede redigente
proprio perché fu unanime la convinzione che uno Stato che avesse ritenuto tout court i trusts
sovvertitori di norme imperative nazionali, si sarebbe semplicemente limitato a non ratificare.
7
ILARIA BENEDENTI, “I trusts in Italia oggi, problemi di Diritto Comparato”, 1996, articolo
di M. LUPOI, 35 ss.
8
Vd. A. FUSI, Dir. e Pratica delle società, 2000, XIV, XV; L.SALVATORE, in Contratto e
Impresa, 2000, I.