Sul tema c’è molta confusione anche a livello giuridico, infatti manca una
definizione precisa a livello civilistico di organizzazioni
non profit, e, se a livello tributario si parla di “ente non commerciale”, le
molte leggi speciali che nel tempo si sono sovrapposte e affiancate hanno
creato ulteriori problemi di definizione e coordinamento all’interno del
sistema giuridico.
L’esigenza di ricondurre ad unità i principi contenuti nelle leggi speciali
hanno portato all’attribuzione di una delega al Governo, con lo scopo
appunto di razionalizzare la disciplina degli enti non commerciali sotto il
profilo tributario.
Lo scopo di questo studio è di cercare di inquadrare il “non profit”
all’interno del nostro ordinamento tributario, evidenziarne i problemi di
definizione e approfondire i problemi di tipo fiscale, alla luce della recente
riforma sugli enti non commerciali che ha cercato di unificare il quadro
eterogeneo che caratterizza il settore.
Tale intervento legislativo è stata una risposta all’esigenza di promuovere
un settore economico in grande espansione, che, in altri Paesi occidentali,
rappresenta porzioni crescenti dell’economia nazionale assorbendo quote
sempre più rilevanti dell’occupazione, ma che non trova nella legislazione
italiana attuale un adeguato riconoscimento normativo, anche se le
condizioni sociali ed economiche dell’Italia rappresentano un terreno
fertile per lo sviluppo del Terzo Settore.
Si vogliono studiare gli effetti della riforma sull’attività degli enti non
lucrativi, come sono migliorate le cose e quali sono i futuri obiettivi da
perseguire per consentire lo sviluppo del settore.
Ed inoltre analizzare le Onlus (Organizzazioni non lucrative di utilità
sociale) la nuova figura introdotta dal legislatore, caratterizzata per il
riconoscimento di un generalizzato regime di agevolazioni, cosa sono con
precisione tali organizzazioni, come si collocano nell’ordinamento
giuridico e quali sono stati i vantaggi derivanti dalla loro introduzione.
In definitiva attraverso questa analisi, comparando anche le situazioni dei
Paesi esteri rispetto all’Italia, vogliamo capire come la leva fiscale,
operando attraverso le agevolazioni, possa contribuire allo sviluppo del
non profit italiano. Infatti il legislatore fiscale ha un ruolo decisivo nello
sviluppo del non profit: può favorire il rafforzamento patrimoniale degli
enti, il cui problema principale è proprio la difficoltà di trovare
finanziamenti, concedendo delle esenzioni fiscali mirate e con la
deducibilità per il donante delle contribuzioni erogate agli enti.
Naturalmente tali misure agevolative dovranno necessariamente essere
accompagnate da un idoneo sistema di controllo per evitare gli abusi
(Authority), come previsto nella legge delega.
Bisogna essere consapevoli che in questo periodo della storia il non profit
può essere la risposta a molti problemi: se si procede, come sembra, ad
una smantellamento del Welfare State e ad una progressiva
privatizzazione dei pubblici servizi si dovrà rafforzare la figura di soggetti
che potranno sostituirsi allo Stato nella gestione di tali servizi.
Inoltre l'invecchiamento della popolazione e la crescente disponibilità di
tempo libero determineranno la richiesta di altri servizi che lo Stato da
solo non può gestire. Senza parlare dei risvolti positivi dal punto di vista
occupazionale come già è successo negli altri Paesi europei.
Quindi vediamo che le prospettive di sviluppo del settore sono molte e
molti sarebbero i benefici derivanti da esso.
CAPITOLO PRIMO
IL SOGGETTO NON PROFIT NELLA LEGGE ITALIANA
1.1 Cos’è il “non profit” ?
È difficile dare una definizione immediata e univoca di “non
profit” perché, in Italia, non c’è chiarezza su questo fenomeno
anche se, negli ultimi anni, ha avuto uno sviluppo notevole. Le
tipologie di organizzazioni appartenenti al settore sono
molteplici perciò si parla spesso indifferentemente di non profit,
Terzo Settore e volontariato usandoli come sinonimi e
riferendosi ad una “realtà considerata come marginale e senza
rilevanza economica, per definizione considerata povera e
relegata nel campo delle attività «da tempo libero»”
1
. Ma
identificare il non profit con il volontariato, che in realtà è solo
una delle sue tante manifestazioni è riduttivo, e lo sarebbe anche
una identificazione con il Terzo Settore: in questa prospettiva
1
Vittadini G. ( a cura), 1997, “Il non profit dimezzato”, pag.124, Etaslibri, Milano
verrebbe considerato come un elemento che si colloca tra Stato e
mercato, in funzione residuale. Infatti il fondamento teorico del
Terzo Settore si basa sulla teoria del doppio fallimento:
fallimento del mercato che non sarebbe più in grado di assicurare
l’efficienza nell’allocazione delle risorse, e fallimento dello Stato
che non sarebbe in grado di garantire il benessere dei cittadini
2
.
La difficoltà di dare una definizione univoca di “non profit” è
proprio legata all’esistenza di concezioni diverse, da una parte,
appunto, l’approccio che parla di Stato e di mercato e di una
zona intermedia e dall’altra una cultura moderna che colloca il
non profit “nel mercato”, ritenendo che esista una fascia di beni e
servizi che né il mercato né lo Stato riescono a soddisfare in cui
si colloca il Terzo Settore, non come surrogato ma come una
terza modalità di produzione. Zamagni parla di “economia civile
che non si contrappone all’economia privata e all’economia
pubblica, ma le completa”
3
, per definire un fenomeno che è
dentro il mercato a tutti gli effetti, che trae la sua origine da
2
Vedi Zamagni S., “Motivazioni e linee guida della proposta della Commissione”, in Non Profit n.1,
1996, pag. 70
3
Zamagni S., “Gli incentivi fiscali al non profit un ponte verso la legge quadro”, in Il Sole 24 Ore, 11
luglio 1996, pag. 10
esigenze espresse dalla società civile e che ha come principio
regolatore non lo scambio, ma la reciprocità.
Accanto all’esigenza di dare una definizione univoca, c’è anche
la necessità di uscire da un quadro giuridico molto confuso:
manca un disegno organico e un intervento globale nel settore,
sia nella disciplina civilistica che nella disciplina fiscale. Occorre
una definizione chiara di cosa sia il non profit e una legislazione
che permetta di inquadrare il fenomeno in tutta la sua
complessità, in sostanza il non profit chiede solo di essere
riconosciuto come tale.
A differenza di quanto si pensi il “non profit” non è di
formazione recente ma ha una tradizione plurisecolare le cui
radici si trovano nelle grandi istituzioni caritative sorte in epoca
medievale. Risalgono a questo periodo le opere destinate
all’assistenza dei pellegrini, alla cura degli infermi, le iniziative a
favore dei carcerati, degli orfani e delle vedove, gli ospedali fino
ad arrivare a forme di tipo prettamente economico come i Monti
di Pietà; alla base di queste iniziative c’era la consapevolezza che
le attività di assistenza, beneficenza, istruzione e sanità fossero
un patrimonio collettivo e che riguardassero tutti, che avessero
cioè un valore pubblico.
Oggi questa realtà del passato non è conosciuta e, secondo
un’interpretazione distorta, è “pubblico” solo ciò che è
emanazione dello Stato.
È possibile individuare tre punti critici che hanno segnato il
cammino del Terzo Settore in Italia:
- la tradizione giuridica statalista e la diffidenza dello Stato a
legittimare attività associative tra individui di natura non
economica: quest’ultimo ha attuato una politica di ingerenza
e ha esteso la sua sfera d’azione nei diversi ambiti invece di
favorire l’iniziativa dei corpi sociali. Nella seconda metà del
XIX secolo la propensione a intervenire e a ridurre gli spazi
dell’iniziativa e della responsabilità dei privati si è accentuata
ulteriormente, e gli interventi legislativi prima e dopo l’unità
d’Italia hanno avuto lo scopo di eliminare una parte delle
organizzazioni operanti nel sociale.
- la tradizionale mobilitazione ecclesiale a favore delle fasce più
deboli della popolazione che ha alimentato lo sviluppo di un
modello solidaristico di relazioni interpersonali;
- cambiamento del contesto culturale, a partire dagli anni ’80, e
sviluppo di attività nell’ambito della solidarietà e
dell’interesse nel sociale.
Nonostante i problemi di definizione la Costituzione incoraggia e
riconosce l’attività di organizzazioni private che operano nel
sociale “perché le organizzazioni non profit non sono e non
possono essere
le organizzazioni pubbliche, intendendosi per pubbliche quelle
organizzazioni che trovano nell’ordinamento giuridico dello
Stato la ragione della loro esistenza e negli atti formali emanati
dal potere pubblico la legittimazione della loro esistenza nel
mondo del diritto, ma le organizzazioni private costituite dai
singoli per finalità altruistiche”
4
. Infatti all’art.38 u.c. della
Costituzione si stabilisce che “l’assistenza privata è libera” e
all’art. 2 si enunciano finalità di carattere sociale individuando
Vittadini G.(a cura), 1997 “Il non profit dimezzato”, pag. 61, Etaslibri, Milano
compiti e implicitamente organizzazioni a ciò finalizzate, con
riferimento a strutture o “formazioni sociali” volute dai singoli:
si riconosce che esiste una via privata al raggiungimento di
finalità collettive.
Alla luce di queste considerazioni non è possibile affermare che
il non profit sia nato per i problemi e il fallimento del welfare
state, semmai questa può essere solo la causa della sua rinascita,
perché organizzazioni altruistiche esistevano già da secoli ma lo
Stato ne aveva prevista la conversione in strutture pubbliche.
Quindi, seppure la “rinascita” è dovuta all’insoddisfazione della
società di fronte alle carenze dello Stato che si trova
nell’incapacità di risolvere molti dei problemi di interesse
sociale, le realtà del non profit sono sorte per dare una risposta
positiva ad esigenze e problemi sociali avvertiti dalla collettività
e non per il “fallimento” dello Stato.
Una definizione di “non profit” è stata formulata dall’Sna
(System of National Accounts), la carta degli statistici
internazionali, secondo il quale “le istituzioni non profit sono
definite come enti giuridici o sociali creati per lo scopo di
produrre beni o servizi il cui status non permette loro di essere
fonte di reddito, profitto o altro guadagno di tipo finanziario per
chi o coloro che le costituiscono, controllano o finanziano”. In
base a questa definizione non si esclude “né che dall’attività
delle non profit si generi il reddito necessario a remunerare il
lavoro di chi vi opera, né che l’attività di produzione sia
accompagnata dalla vendita dei beni e servizi prodotti, né che da
tale attività si generino redditi, profitti o altri guadagni
finanziari”. L’unico vincolo riguarda la non distribuzione degli
utili.
1.2 Le strutture giuridiche di portata generale
Il quadro normativo in cui possono trovare collocazione tutti i soggetti
che operano nel settore non profit, si trova nel Libro I relativo alle persone
e alla famiglia, titolo II delle persone giuridiche, Capi I-III del Codice
Civile. Sono 30 articoli a cui vanno aggiunti altrettanti articoli delle
Disposizioni di attuazione del codice civile.
L’insieme di tali norme prevede l’alternativa istituzionale tra fondazione e
associazione. Nel primo caso si da rilevanza a un patrimonio da destinare
allo scopo non profit che il soggetto interessato intende perseguire, nel
secondo prevale l’interesse di una pluralità di soggetti, anche se
inizialmente sforniti dei necessari mezzi finanziari da indirizzare verso lo
scopo non profit
5
.
Fondazioni e associazioni riconosciute devono essere costituite per atto
pubblico e ottengono la personalità giuridica con un provvedimento
amministrativo di natura concessoria: mediante, cioè, il riconoscimento
concesso con decreto dal Presidente della Repubblica. È prevista, inoltre,
la possibilità di delega governativa ai Prefetti e l’art.14 del Dpr 24 giugno
1967, n.616 prevede anche la competenza delle Regioni per gli enti che
intendono operare in una delle materie di competenza regionale e che
esauriscono la loro attività nell’ambito di una sola Regione. Con la
registrazione, effettuata presso il Registro delle persone giuridiche istituito
a livello provinciale, gli amministratori acquistano l’irresponsabilità
patrimoniale per gli atti compiuti in qualità di organi dell’ente. Nel
registro sono indicati i nominativi degli amministratori, l’indicazione di
coloro che hanno il potere di rappresentanza dell’ente e i limiti al potere di
rappresentanza. Quindi l’acquisizione della personalità giuridica per gli
enti non profit si verifica con il provvedimento amministrativo
concessorio mentre l’autonomia patrimoniale viene ottenuta solo in un
secondo momento con l’iscrizione nel relativo registro.
5
Pettinato S.,1998, “Gestire il non profit”, le Guide de “Il Sole 24 Ore”, Milano, pag. 3