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Secondo il disposto di tali strumenti, hanno diritto allo status di prigioniero di guerra
innanzitutto coloro che vengono qualificati come “combattenti legittimi”.
Ma chi rientra in tale categoria?
La nozione di legittimo combattente ha subìto una evoluzione a partire dal succitato
Regolamento annesso alla IV Convenzione dell’Aja. Il Regolamento definisce come
combattenti tre categorie di persone: i membri delle forze armate; gli appartenenti alle
milizie ed i corpi volontari; la “levata di massa”
1
.
Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 aggiungono, alle categorie individuate dal
Regolamento del 1907, i membri dei corpi di resistenza organizzati ed i membri delle
forze armate che appartengono ad un governo o ad un’autorità non riconosciuti
dall’avversario.
In base alla lettura congiunta del Regolamento e della Convenzioni, quindi, si evince
che sono legittimi combattenti
a) i membri delle forze armate di una parte in conflitto, nonché i membri delle
milizie e dei corpi volontari che fanno parte delle forze armate
b) i membri delle altre milizie e degli altri corpi volontari
2
c) i membri dei corpi di resistenza organizzati
d) i membri delle forze armate regolari che dipendono da un governo o da
un’autorità non riconosciuti dalla potenza detentrice
e) La “levata di massa”.
Per quanto riguarda i membri delle forze armate, tale status dipende unicamente dal
diritto interno di ciascuno Stato belligerante.
Certamente desta più problemi la definizione della categoria di cui alla lett. b), vale a
dire i “membri delle altre milizie e degli altri corpi volontari”. Si tratta di membri delle
milizie indipendenti, non inquadrate nelle forze armate di uno Stato. Sono, in altre
parole, i cosiddetti “combattenti irregolari”. Affinché tali persone possano essere
1
Per “levata di massa” si intende la popolazione di un territorio non occupato che, all’avvicinarsi del nemico,
prende spontaneamente le armi per combattere le truppe d’invasione senza aver avuto il tempo di organizzarsi
come forze armate regolari. E’ necessario che la popolazione porti apertamente le armi e rispetti le leggi e gli usi
di guerra.
2
Tale categoria riguarda le forze non inquadrate, irregolari. Affinché possano essere loro applicate le garanzie
del diritto di Ginevra, il diritto internazionale detta condizioni rigorose che tali forze devono necessariamente
rispettare; la mancanza di anche uno solo di tali requisiti comporta la non qualifica di legittimo combattente, con
la conseguenza di non aver diritto allo status di prigioniero di guerra, se catturati.
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qualificate come legittimi combattenti devono essere soddisfatti quattro requisiti, cioè:
a) essere comandati da una persona responsabile per i propri subordinati
b) portare un segno distintivo fisso riconoscibile a distanza
c) portare apertamente le armi
d) conformarsi alle leggi e agli usi di guerra.
Tali requisiti non sono certamente frutto di casualità: la persona responsabile
dell’operato dei propri sottoposti è necessaria ai fini della responsabilità
internazionale, mentre il segno fisso e riconoscibile è necessario per distinguere tali
combattenti dalla popolazione civile.
Per quanto riguarda la categoria sub c), vale a dire i membri dei corpi di resistenza
organizzati, questi devono appartenere ad un’entità che possa essere definita un
movimento organizzato e che possa vantare un legame con una delle parti in conflitto.
Il I Protocollo opzionale del 1977 aggiunge altre due categorie: i membri dei
movimenti di liberazione nazionale ed i guerriglieri; tale strumento stabilisce, poi,
nuove regole per la definizione di combattente, innovando la disciplina vigente: ha
posto fine alla distinzione tra regolari e irregolari, stabilendo, all’art. 43, che le forze
armate devono appartenere ad una parte in conflitto, essere organizzate ed essere
sottoposte ad un comando responsabile per la condotta dei propri subordinati.
I combattenti, siano essi regolari o irregolari, hanno l’obbligo di distinguersi dalla
popolazione civile
3
.
La nozione di prigioniero di guerra è tuttavia più ampia di quella di legittimo
combattente.
L’art. 4 della III Convenzione di Ginevra del 1949 include anche:
a) le persone che seguono le forze armate senza farne direttamente parte, come i
membri civili di equipaggi di aeromobili militari, corrispondenti di guerra,
fornitori, membri di unità di lavoro o di servizi incaricati del benessere delle
forze armate, a condizione che ne abbiano ricevuto l’autorizzazione dalle forze
armate che accompagnano. Queste sono tenute a rilasciar loro, a tale scopo, una
carta d’identità ad hoc (il cui modello è allegato alla Convezione medesima);
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Cfr. RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, Zappichelli Editore, Torino, 2001, pag. 143 ss.
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b) i membri, di equipaggi, compresi i comandanti, piloti e apprendisti della marina
mercantile e gli equipaggi dell’aviazione civile delle Parti in conflitto che non
fruiscano di un trattamento più favorevole in virtù di altre disposizioni del
diritto internazionale.
Secondo la lett. A dell’art. 4 della III Convenzione di Ginevra del 1949, fruiscono
ugualmente del trattamento stabilito per i prigionieri di guerra anche le persone che
fanno parte o che abbiano fatto parte delle forze armate del paese occupato se, data
questa appartenenza, la Potenza occupante, pure avendole dapprima liberate mentre le
ostilità proseguono fuori dal territorio da essa occupato, ritiene necessario di procedere
al loro internamento, specie dopo un tentativo di queste persone, non coronato da
successo, di raggiungere le forze armate cui appartengono e che sono impegnate nel
combattimento, oppure qualora non ottemperino ad un’intimazione con la quale è
ordinato il loro internamento.
I giornalisti hanno diritto allo status di prigioniero di guerra soltanto se hanno ricevuto
la qualifica di “corrispondente di guerra”, cioè la speciale autorizzazione, altrimenti
sono protetti dall’art. 79 del I Protocollo opzionale del 1977, che detta misure ad hoc
per i giornalisti in missioni pericolose
4
.
§ 2. IL REGIME STABILITO DALLE CONVENZIONI DI GINEVRA
DEL 1949
4
Art. 79 I Protocollo Opzionale 1977: <<I giornalisti che svolgono missioni professionali pericolose nelle zone
di conflitto saranno considerati come persone civili ai sensi dell’art. 50, par.1.
Essi saranno protetti in quanto tali conformemente alle Convenzioni e al presente Protocollo, a condizione che si
astengano da qualsiasi azione ledente il loro statuto di persone civili, e senza pregiudizio del diritto dei
corrispondenti di guerra accreditati presso le forze armate, di beneficiare dello statuto previsto dall’art. 4 A. 4)
della III Convenzione.
Essi potranno ottenere una carta di identità conforme al modello unito all’Allegato II del presente Protocollo.
Tale carta, che sarà rilasciata dal governo dello Stato di cui sono cittadini o sul cui territorio risiedono, o nel
quale si trova l’agenzia o l’organo di stampa che li impiega, attesterà la qualifica di giornalista del suo titolare.>>
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Il regime applicabile ai prigionieri di guerra è in larga parte regolato dalla III
Convenzione di Ginevra, epigrafata proprio “trattamento dei prigionieri di guerra”.
La III Convenzione è strutturata in sei titoli, recanti rispettivamente le disposizioni
generali, la protezione generale dei prigionieri di guerra, la prigionia, la fine della
prigionia, gli Uffici di informazione e società di soccorso, ed infine l’ultimo titolo
contenente una serie di norme relative all’esecuzione della Convenzione stessa.
Il titolo III, che costituisce il corpus della Convenzione, è suddiviso a sua volta in sei
sezioni: inizio della prigionia, internamento, lavoro, risorse pecuniarie, relazioni con
l’esterno, rapporto dei prigionieri di guerra con le Autorità.
In base all’art. 5 della III Convenzione di Ginevra, la prigionia di guerra inizia con la
captatio del belligerante da parte del nemico, che può avvenire tanto sul campo di
battaglia quanto in caso di resa o di capitolazione ed ha termine nel momento in cui
questi viene liberato e rimpatriato in via definitiva.
Appena catturati, e comunque nel più breve tempo possibile, i prigionieri di guerra
devono essere traditi con tutte le precauzioni necessarie alla loro sicurezza (“con
umanità e in condizioni analoghe a quelle osservate per gli spostamenti delle truppe
della Potenza detentrice”, secondo la lettera dell’art. 20) in un campo di prigionia
situato lontano dalla zona di combattimento dove dovranno essere loro assicurati cibo
ed acqua.
Entro una settimana dalla cattura ed in occasione di ogni trasferimento, il prigioniero
di guerra deve essere messo in condizioni di comunicare la sua prigionia, il suo
indirizzo e il suo stato di salute alla famiglia e all’Agenzia centrale dei prigionieri,
presso il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) per il tramite di una
cartolina
5
.
Il diritto di tenere informata la propria famiglia sullo stato della propria prigionia e di
ricevere corrispondenza è uno dei diritti garantiti dalla Convenzione di cui si parla, che
dedica una intera sezione alle relazioni dei prigionieri di guerra con l’esterno.
Il secondo paragrafo dell’art. 5 stabilisce il principio fondamentale in base al quale in
caso di dubbio circa l’appartenenza del catturato ad una delle categorie dell’art. 4, vale
5
Tale cartolina dovrà essere conforme, preferibilmente, al modello allegato alla III Convenzione di Ginevra del
1949.
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a dire: se è qualificabile come prigioniero di guerra, questi usufruirà comunque delle
garanzie offerte dalla III Convenzione, in attesa che un tribunale competente ne decida
lo status.
L’art. 7 contiene l’altro importante principio secondo cui i prigionieri di guerra non
potranno, in nessun caso, rinunciare parzialmente o interamente ai diritti loro
assicurati.
Per quanto riguarda la protezione generale dei prigionieri di guerra, la prima
precisazione da fare è che, in base a quanto stabilito dall’art. 12, i prigionieri di guerra
sono in potere della Potenza nemica, e non degli individui o dei corpi di truppa che li
hanno catturati, ciò per ovvie ragioni di responsabilità internazionale.
I prigionieri, poi, possono essere trasferiti ad altri Stati soltanto a due condizioni: che
tale Stato sia parte della III Convenzione di Ginevra e previo accertamento che la
Potenza a cui si intende affidare il prigioniero abbia la volontà e sia in grado di
applicare la Convenzione. Come si vede dal testo, la mera volontà di garantire al
prigioniero i diritti della Convenzione non è sufficiente, è necessario che questa
volontà sia supportata da elementi materiali.
In relazione ai principi che devono informare la protezione dei prigionieri di guerra,
questi si possono riassumere in quattro parole chiavi: umanità, rispetto, protezione,
piena capacità civile.
I prigionieri devono essere trattati con umanità. Ciò vuol dire che sono vietati
esperimenti medici e mutilazioni fisiche. Devono essere protetti da atti di violenza e di
intimidazione, da insulti e dalla pubblica curiosità.
Per rispetto si intende sia quello relativo alla persona che quello relativo all’onore
6
.
I prigionieri di guerra non sono tenuti a dare informazioni di interesse militare al
nemico, ma soltanto le informazioni relative alla propria identificazione
7
.
Nel 4 paragrafo dell’art. 17 si stabilisce a chiare lettere che “nessuna tortura fisica e
morale né coercizione alcuna potrà essere esercitata sui prigionieri di guerra per
ottenere da essi informazioni di qualsiasi natura. I prigionieri che rifiuteranno di
6
In base al disposto dell’art. 14 della III Convenzione di Ginevra quindi, è da ritenersi contrario a tale
disposizione il comportamento dell’Iraq che, durante la II Guerra del Golfo (1991), fece sfilare i piloti della
coalizione tra la folla e costrinse loro a tenere un’intervista televisiva.
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In base all’art. 17 della III Convenzione di Ginevra i prigionieri sono tenuti a dichiarare: nome, cognome,
grado, data di nascita, numero di matricola,.
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rispondere non potranno essere né minacciati, né insultati, né esposti a molestie o a
svantaggi di qualsiasi specie”.
Ogni prigioniero di guerra, poi, ha il diritto di tenere con sé tutti gli effetti e gli oggetti
di uso personale, compresi i capi d’abbigliamento, gli oggetti di valore sentimentale, i
distintivi di grado e di nazionalità e le decorazioni. Esulano quegli oggetti che, seppur
d’uso personale, rimangono propriamente militari, quali ad esempio le armi.
Non rientrano tra gli oggetti militari, e quindi possono, anzi devono rimanere in
possesso del prigioniero, le maschere antigas, l’elmetto e qualsiasi altro oggetto
consegnato loro per la protezione personale.
Il prigioniero di guerra deve avere presso di sé, inoltre, in ogni momento la carta di
identità; anzi, in base all’art. 18, nel caso in cui ne fosse sprovvisto, sarà cura della
Potenza detentrice fornirgliene una.
La Sezione II del capitolo III della III Convenzione, vale a dire gli articoli 21-48, detta
una serie di norme di chiarezza certosina riguardo all’internamento e alle condizioni di
alloggio dei prigionieri di guerra, arrivando ad individuare anche le condizioni ottimali
dei dormitori.
Punto comune di tutte queste norme, è il principio secondo il quale i prigionieri di
guerra devono essere trattati tenendo conto delle usanze e consuetudini degli stessi e
avendo riguardo della loro salute fisica e mentale.
E’ alla luce di tali principi che la Convenzione detta norme relative alla libertà di
religione e di culto, il diritto alla salute, il diritto di praticare sport e attività
intellettuali, ricreative ed educative.
L’art. 112 stabilisce che all’inizio di un conflitto devono essere designate delle
Commissioni sanitarie miste aventi lo scopo di esaminare i prigionieri malati e feriti e
prendere tutte le decisioni utili al riguardo.
L’Allegato II alla III Convenzione contiene il Regolamento, in 14 articoli, di tali
Commissioni sanitarie miste, affermando che queste devono essere composte da tre
membri, di cui due designati dal CICR ed un terzo a scelta della Potenza detentrice.
Secondo l’art. 10 tali Commissioni hanno il compito di visitare i campi di prigionia ad
intervalli non superiori a sei mesi.
La visita ha lo scopo di esaminare lo stato di salute dei prigionieri feriti e malati. Al
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termine della visita, la Commissione ha la possibilità di proporre per questi il
rimpatrio. La Potenza detentrice ha il dovere di eseguire le decisioni prese dalla
Commissione entro il termine di tre mesi dalla comunicazione della decisione stessa.
Ogni campo di prigionieri di guerra deve essere sottoposto all’autorità di un ufficiale
responsabile che appartenga alle forze armate il quale, oltre a conoscere il testo della
III Convenzione, dovrà anche averne una copia presso di sé.
Suo compito sarà quello di vigilare affinché il personale a lui sottoposto conosca ed
applichi le disposizioni della Convenzione.
Il testo della Convenzione con i relativi allegati, inoltre, deve essere affisso, in una
lingua comprensibile ai prigionieri, in ogni campo in luoghi dove può essere
consultato da tutti i prigionieri.
I prigionieri di guerra poi possono lavorare, ma non dovranno essere adibiti a lavori
malsani o pericolosi.
I lavori che il prigioniero di guerra può svolgere, indicati negli artt. 49-57, sono
propriamente quelli relativi all’amministrazione, sistemazione o manutenzione del
campo, lavori agricoli, commerciali, domestici, relativi ad industrie produttive, ad
esclusione di lavori connessi con le operazioni belliche. Per il lavoro svolto, la
Convenzione stabilisce che ai prigionieri sia dovuta un’indennità da lavoro.
Altro diritto che la Convenzione accorda ai prigionieri di guerra è quello di presentare
richieste e “lagnanze” concernenti il regime di prigionia al quale sono sottoposti.
Tali richieste e lagnanze possono essere presentate ai rappresentanti delle Potenze
protettrici per il tramite di persone di fiducia, elette dagli stessi prigionieri liberamente
e a scrutinio segreto.
Tali rappresentanti, inoltre, devono farsi portavoce nei confronti delle autorità militari,
del CICR e di ogni altro ente.
Il Capitolo III tratta delle sanzioni penali e disciplinari che possono essere comminate
ai prigionieri di guerra, richiamando, allo scopo precipuo di evitare abusi, alcuni
principi generali tra cui “nullum crimen sine lege”, il diritto ad essere informati nel
più breve tempo possibile delle accuse mosse, il diritto di difesa e il diritto ad essere
assistito da un difensore qualificato, il diritto di ricorrere in appello, in cassazione o in
revisione.