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Ringraziamenti
Ho il dovere di porgere un sentito ringraziamento al Prof. Renato Camodeca, per
l’ausilio nella ricerca bibliografica e per i preziosi suggerimenti, per l’attività di
revisione del testo, nonché per la disponibilità e la cortesia dimostratemi.
Un ringraziamento anche allo Studio Tartaro di Palazzolo S/O (Bs), ed in particolare al
tutor aziendale, rag. Chiaristella Tartaro, Consulente del Lavoro, per la costante
attività di indirizzo dello stage, e per la documentazione fornitami.
Infine esprimo un vivissimo riconoscimento ai miei genitori, per avermi permesso di
intraprendere gli Studi universitari e per avermi sostenuto durante tutto il percorso
accademico.
Luca Cavalleri
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LA CESSIONE
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1. GENERALITA’
1.1. La definizione di azienda
L’art. 2555 c.c. definisce l’azienda come “il complesso dei beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”: essa dunque costituisce un organismo
tecnico-economico mediante il quale viene concretamente realizzata l’attività
imprenditoriale. Discende da ciò l’evidente differenza esistente tra il concetto giuridico
di “azienda” e quello di “impresa”: la prima è un complesso di beni, la seconda è una
attività economica.
1
Una ulteriore definizione è quella attribuita dalla dottrina economico aziendale, per la
quale l’azienda è “un sistema di forze economiche, cioè un insieme di energie personali
mezzi patrimoniali e condizioni varie operanti congiuntamente per il raggiungimento di
determinati fini”
2
. Questa definizione si differenzia dalla precedente sia per ampiezza,
sia per contenuto. Infatti quella giuridica evidenzia solo uno dei fattori produttivi
aziendali, ossia il patrimonio, e con il termine “imprenditore” si riferisce esclusivamente
alla tipologia delle aziende di produzione, escludendo quelle di erogazione e di
consumo
3
.
La nozione civilistica è stata utilizzata in molte altre branche del diritto: ad esempio in
materia tributaria, sia l’art. 86, TUIR, che l’art. 1 D.lgs. 358/97, si riferiscono
all’azienda senza tuttavia darne una definizione esplicita, e ciò in quanto il Legislatore
ha prefigurato una implicita adozione del concetto civilistico
4
.
L’azienda non ha una propria soggettività giuridica, distinta da quella dell’imprenditore:
essa, piuttosto, costituisce “l’oggetto di un particolare diritto di costui, distinto dai
diritti spettanti sui singoli beni che la compongono”
5
, tanto è vero che il suo
trasferimento può avvenire unitariamente, con la cessione dei debiti e dei crediti relativi,
ed il subentro nei contratti stipulati dal cedente (ad esclusione –come si vedrà in
seguito- di quelli di carattere personale).
Questa unificazione funzionale deriva quindi, oltre che direttamente da una previsione
normativa, anche dal fatto che a costituire l’azienda vanno, non solo i beni, ma anche
diritti, obblighi ed ogni altra situazione giuridica soggettiva.
1
Cfr. l’art. 2082, c.c.
2
Paganelli O., Il sistema aziendale, Cluab, Bologna, 1976, p. 10.
3
Ceriani G., Il trasferimento dell’impresa in economia aziendale, Cedam, Padova, 1990, p. 448.
4
Tinelli, Aziende nel diritto tributario, Torino, 1987, p. 100.
5
Così Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1998, p. 1273.
10
Questi elementi consentono di distinguere l’azienda dalle “universalità di fatto”:
anche tali universalità sono giuridicamente previste
6
, ma esse sono composte
esclusivamente da beni mobili e la loro destinazione unica dipende dal proprietario, al
quale tutte appartengono; l’imprenditore, al contrario, non deve essere necessariamente
titolare di tutti i beni e i diritti: per l’azienda si parla quindi di “universalità di diritto”.
1.2. La nozione di cessione d’azienda
Come conseguenza della sua caratteristica di “universalità di diritto”, l’azienda può
essere oggetto di molteplici negozi e rapporti giuridici : dal trasferimento a titolo
oneroso (vendita), oppure gratuito (donazione), a quello “mortis causa”, dall’affitto
all’usufrutto.
La prima forma di alienazione costituisce l’ipotesi più frequente e di maggior rilievo.
La cessione può riguardare, non solo l’intero complesso, ma anche un “ramo
d’azienda”, ossia parti della stessa che potrebbero essere oggetto di una attività
economica autonoma. Perché si abbia cessione inoltre non è necessario che l’azienda sia
funzionante: l’interpretazione civilistica infatti ritiene azienda “un complesso
organizzato di beni che costituiscono un patrimonio e sono idonei ad esercitare una
attività economica anche nei casi in cui tale attività non sia ancora iniziata
7
”.
Ai fini esplicativi è opportuno qui riportare la circolare 19/12/1997, n. 320 E, del
Ministero delle Finanze, la quale stabilisce che la cessione deve sempre riguardare
“l’azienda o il complesso aziendale nel suo insieme, quindi quale “universitas” di beni
materiali, immateriali e di rapporti giuridico economici suscettibili di consentire
l’esercizio dell’attività di impresa e non i singoli beni che compongono l’azienda stessa.
Pertanto nell’ipotesi in cui l’imprenditore ponga in essere una serie di contratti di
cessione aventi ad oggetto singoli beni dell’azienda, non potrà applicarsi la norma in
esame, anche se nel suo complesso viene ceduta l’intera azienda”.
Nel codice civile sono numerose le norme che disciplinano la cessione d’azienda
8
, e
tutte nascono dall’esigenza di salvaguardare, nel trasferimento della proprietà, proprio
l’integrità dell’avviamento.
6
Dall’art. 816 c.c.
7
Cass. Civ., 23/01/1990, n. 353.
8
Da quelle in tema di divieto di concorrenza a carico dell’alienante: art. 2557, a quelle relative alle
conseguenze per la ditta: art. 2565, i marchi: art. 2573, i contratti: artt. 2112, 2558, 2610, i crediti ed i
debiti: artt. 2559 e 2560.
11
E’ quindi l’avviamento l’elemento aggregante e di connessione dell’insieme dei beni
aziendali, col quale “si manifesta la volontà contrattuale”
9
.
2. ASPETTI CIVILISTICI
2.1. Il contratto di cessione d’azienda a titolo oneroso
A differenza di altre operazioni straordinarie –quale per esempio la fusione- per la
cessione, la norma non stabilisce un iter tecnico-procedurale e formale, composto da
varie fasi tipiche. Il codice civile, infatti, prevede esclusivamente il riconoscimento del
contratto sottoscritto dal cedente e dal cessionario.
Nel caso di un’azienda in forma societaria, è opportuno quindi stabilire quali organi
all’interno di essa sono coinvolti nella stipula del contratto di cessione. Le situazioni
verificabili sono le seguenti:
i) al Consiglio d’Amministrazione spettano esclusivamente i poteri ordinari, ed
essendo la cessione un’operazione di gestione straordinaria, questo non potrà agire
senza la delibera dell’Assemblea Generale. Successivamente il Consiglio
d’Amministrazione delegherà il compito di stipulare e concludere il contratto ad un
rappresentante o al presidente a capo dell’organo stesso.
ii) Il Consiglio d’Amministrazione detiene sia i poteri ordinari che straordinari, può
delegare la stipula del contratto di trasferimento direttamente ad un rappresentante o al
presidente, senza la previa autorizzazione dell’Assemblea Generale.
Il primo comma dell’art. 2556 c.c., stabilisce che: “per le imprese soggette a
registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il
godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto, salva l’osservanza delle
forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono
l’azienda o per la particolare natura del contratto”.
Secondo la norma in questione, il contratto deve essere redatto in forma scritta “ad
probationem”, cioè ai soli fini della prova, non richiede invece quella “ad substantiam”,
ossia ai fini della validità del contratto stesso, pena la nullità.
Inoltre per quei beni (immobili e beni mobili registrati) compresi nel patrimonio
aziendale, per il cui trasferimento è necessaria la forma scritta, sussiste l’obbligo di
rispettare detta formalità. L’obbligo della forma scritta è stato introdotto,
9
Monateri P.G., Digesto ipertestuale, Voce: Trasferimento d’azienda, Torino 2000.
12
evidentemente, rispondendo alla complessità del patrimonio dell’azienda e dei rapporti
giuridici che la caratterizzano, nonché ai fini della necessità di provare le ragioni dei
contraenti
10
.
Il secondo comma dell’art. 2556 è stato oggetto delle modifiche apportate dalla legge
12/08/1993, n. 310, e stabilisce: “i contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o
per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per l’iscrizione nel registro
delle imprese nel termine di trenta giorni, a cura del notaio rogante o autenticante.”
In precedenza, la norma in questione prevedeva esclusivamente l’obbligo di deposito
del contratto presso il registro delle imprese, senza specificarne la forma.
L’innovazione applicata, invece, ridimensiona il novero dei contratti per i quali è
obbligatoria la registrazione, limitandoli alle fattispecie della scrittura privata
autenticata e dell’atto pubblico
11
. L’iscrizione al registro delle imprese ha effetti di
pubblicità legale e quindi di opponibilità nei confronti dei terzi.
Per quanto riguarda i beni dell’azienda oggetto della cessione, non è necessario che essi
vengano esattamente e specificamente individuati: infatti secondo quanto statuisce l’art.
1346 c.c., l’oggetto del contratto è sufficiente che sia determinato o determinabile.
Al contrario, nel caso in cui si vogliano escludere uno o più beni dal trasferimento, è
prevista una loro precisa ed esplicita indicazione; nella prassi, tuttavia, si procede
solitamente ad una identificazione comprensiva di tutti i beni componenti il complesso
ceduto.
Il contratto di cessione potrebbe inoltre prevedere una garanzia fideiussoria, rilasciata
dal cedente al cessionario per un periodo predeterminato: la finalità è di rimediare ad
eventi successivi alla cessione, ma la cui origine è in vicende anteriori, non
sufficientemente considerati, o addirittura non prevedibili in sede di valutazione, che
però incidono in maniera rilevante sul valore patrimoniale del complesso trasferito.
2.2. Il divieto di concorrenza
A norma dell’art. 2557, co. 1, c.c.: “chi aliena l’azienda deve astenersi per il periodo di
cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto,
l’ubicazione od altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dall’azienda ceduta”.
10
Perrotta R., Garegnani G.M., Le operazioni di gestione straordinaria, Giuffrè, Milano, 1999, p. 164.
11
Assonime, Circ. n. 127/93.
13
Si tratta del cosiddetto “divieto di concorrenza”, finalizzato ad evitare che l’intento
perseguito con l’alienazione dell’azienda commerciale venga sostanzialmente eluso
dall’alienante, che in mancanza di tale norma avrebbe la possibilità di riprendere
l’esercizio dell’attività imprenditoriale con conseguenze negative per il cessionario.
Infatti, i clienti che, con un elevato grado di probabilità, sarebbero passati in mano
all’imprenditore subentrante, o i fornitori che gli avrebbero, per lo stesso motivo,
riservato un trattamento di favore, ovvero ancora eventuali finanziatori che lo avrebbero
assistito all’avvio dell’impresa, non si curerebbero più del nuovo titolare, ma
resterebbero fedeli all’alienante nella sua nuova, ma identica, attività.
Lo scopo della norma all’art. 2557, co. 1, c.c., è quindi quella di imporre al cedente
l’obbligo di trasferire, unitamente al patrimonio, anche l’avviamento, che dal legislatore
del 1942 è identificato, secondo le concezioni economiche italiane del tempo, con la
“clientela”. Di conseguenza, il divieto di concorrenza non si risolve solo in un
comportamento negativo, cioè nell’astenersi per un periodo di cinque anni da ogni
attività di disturbo, ma anche in un comportamento positivo, che consiste nel trasferire
al cessionario tutte le relazioni commerciali,tra cui le più importanti riguardano clienti e
fornitori, che rappresentano una potenziale e fondamentale fonte di reddito.
In dottrina
12
ed in giurisprudenza si ritiene che, al fine di evitare il rischio di confusione,
o comunque la sostanziale violazione del divieto, l’alienante dell’azienda debba
sottoscrivere, insieme all’acquirente, lettere circolari dirette ai clienti ed ai fornitori
abituali per annunciare il passaggio di gestione, oltre naturalmente a fornire
all’acquirente dell’azienda tutti i dati, le notizie, le informazioni (anche a carattere
riservato) che possano occorrere per proseguire, con modi e ritmo immutati, nella guida
dell’impresa. Anzi, “in base a clausole particolari, avviene non di rado, in pratica, che
chi aliena l’azienda rimanga in essa durante un certo periodo di tempo per
fiancheggiare l’acquirente ed opportunamente indirizzarlo agli inizi della sua
attività”
13
.
Il divieto infine, non si limita solo all’attività in essere dell’azienda ceduta, ma anche di
tutte quelle attività potenziali o già programmate anteriormente alla cessione
14
.
12
Cfr. Monateri P.G., “Digesto ipertestuale. Voce: Trasferimento d’azienda”, cit.
13
Testualmente, Monateri P.G., “Digesto ipertestuale. Voce: Trasferimento d’azienda”, cit.
14
Colombo G.E., L’azienda, Cedam, Padova, 1979, p. 205.
14
Il secondo comma dell’art. 2557 c.c. prevede la facoltà di applicare ulteriori estensioni
del divieto: “il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti
dal comma precedente è valido, purchè non impedisca ogni attività professionale
dell’alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento”.
Le controparti, secondo il testo normativo, possono stabilire, nel contratto, forme di
astensione da attività economiche del cedente più ampie di quelle previste dal primo
comma: per esempio, in settori affini o contigui, che il cessionario abbia intenzione di
svolgere in futuro. Tali estensioni trovano però un limite temporale in cinque anni dal
trasferimento: ogni accordo di maggiore durata verrà ridotto al periodo normativo.
Evidentemente, il divieto di concorrenza non può però precludere all’alienante lo
svolgimento di qualsiasi attività economica, ma solo quelle concorrenti al cessionario e
quelle esplicitamente stabilite dall’accordo dei contraenti.
2.3. La successione nei contratti
L’art. 2558, co. 1, c.c., -sotto la rubrica “successione nei contratti”- dispone che “se non
è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per
l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”.
La dottrina giuridico-economica opera una duplice distinzione nella fattispecie dei
contratti:
i) i contratti “stipulati per l’esercizio dell’azienda” in senso stretto, cioè tutte quelle
convenzioni che permettono di integrare il patrimonio di proprietà aziendale con
l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di terzi: è il caso di contratti di locazione o di
leasing;
ii) i contratti “stipulati per l’esercizio dell’impresa”, ossia quelli che presuppongono
l’utilizzo del patrimonio aziendale per l’esercizio dell’attività: per esempio i contratti
con i fornitori, i lavoratori, i clienti, gli agenti.
L’art. 2558 c.c., pur riferendosi ai contratti per l’esercizio dell’azienda, si ritiene
estendibile anche alla tipologia dei contratti per l’esercizio dell’impresa.
Il subentro automatico in tutti i contratti che permettono di proseguire l’attività
economica, rappresenta quindi, insieme al divieto di concorrenza, una modalità per il
trasferimento del patrimonio aziendale unitamente alla funzionalità economica della
stessa, ossia il suo valore di avviamento. Questo aspetto è di notevole importanza, se si
pensa alla scarsa rilevanza di un patrimonio trasferito senza tutti quei rapporti
15
contrattuali e commerciali che permettono di utilizzare alcune risorse produttive e
conseguentemente di produrre reddito.
L’automatismo nella successione contrattuale garantito dall’art. 2558 c.c., è un principio
fortemente tutelato dal legislatore, a tal punto che non richiede il consenso del terzo
contraente ceduto, derogando così alla norma generale sulla successione nei contratti
contenuta nell’art. 1406 c.c., che statuisce: “ciascuna parte può sostituire a sé un terzo
nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono
state ancora eseguite, purchè l’altra parte vi consenta”. Dunque, il contratto passa
automaticamente in capo all’acquirente dell’azienda, nel momento stesso in cui
l’azienda è trasferita, a differenza di quel che accade –come si dirà di qui a poco- per i
contratti a carattere personale: esistono infatti tre situazioni in cui il suesposto
automatismo è derogabile.
i) Il patto contrario tra cedente e cessionario.
Il subentro dell’acquirente nei contratti stipulati dal cedente per l’esercizio dell’azienda
è disciplinato dal legislatore come un evento normale, ma non necessario. Esiste, infatti,
la possibilità, attribuita ai contraenti, di escluderne tutti o alcuni, nel limite della
indispensabilità del contratto al fine della qualificazione del complesso economico
trasferito quale azienda, e quindi per la continuazione dell’attività economica. Questa
facoltà di esclusione può comprendere tutti i contratti per l’esercizio dell’impresa, ma
non tutti quelli per l’esercizio dell’azienda, poiché un trasferimento privato di questi
ultimi porterebbe alla perdita della connotazione di cessione dell’operazione.
ii) I contratti di carattere personale.
Secondo la dottrina giuridica , la categoria dei contratti di natura personale non
corrisponde a quella dei contratti “intuitu personae”, ossia quelli in cui, nell’art. 1429,
n. 3, “l’identità o le qualità personali di uno dei contraenti sono state elementi
determinanti per il consenso da parte dell’altro contraente”,ma è più ristretta,
comprendendo solo i contratti cosiddetti “personalissimi”, ad esempio quelli stipulati
con professionisti o l’adesione ad associazioni di categoria
15
. Pertanto anche i contratti
“intutitu personae”, come i contratti di agenzia (art. 1742 c.c.), di commissione (art.
15
Cassazione, 08/05/87, n. 4245.
16
1731 c.c.), di spedizione (art. 1737 c.c.), si trasferiscono automaticamente all’acquirente
dell’azienda
16
.
Causa di divisione nella dottrina è invece il soggetto al quale applicare la norma in
esame: se il terzo contraente oppure l’imprenditore acquirente.
Nel primo caso sarebbe a favore del cessionario, tutelando il suo interesse a non essere
vincolato a contratti di carattere strettamente personale stipulati dal cedente. Nel
secondo caso invece la norma tutelerebbe il terzo contraente dal vedersi sostituire, in
seguito alla cessione d’azienda, una controparte contrattuale diversa.
L’approccio normativo del tema in esame, volto a salvaguardare primariamente
l’esigenza di trasferire un complesso aziendale avviato e funzionante, sembrerebbe
indurre alla prima interpretazione, a favore del cessionario; il terzo contraente infatti
avrebbe sempre la possibilità di rimediare mediante il recesso per giusta causa.
iii) Il recesso del terzo contraente per giusta causa.
Il secondo comma dell’art. 2558 c.c. stabilisce che: “il terzo contraente può tuttavia
recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una
giusta causa, salvo in questo caso le responsabilità dell’alienante”. Tale disposizione
ha lo scopo di introdurre una forma di tutela del terzo contraente dagli effetti del
meccanismo del subentro contrattuale automatico dell’acquirente, consentendogli di
poter recedere quando esistano valide motivazioni. Tuttavia il termine di tre mesi è
piuttosto breve per effettuare le valutazioni necessarie e dimostrare che egli non avrebbe
stipulato il contratto con il cessionario o comunque lo avrebbe fatto a condizioni
differenti.
Con l’espressione “giusta causa” la dottrina giuridica intende tutte quelle modificazioni
del contratto, sia sotto il profilo soggettivo (la figura dell’imprenditore) che oggettivo (i
beni e quindi il patrimonio oggetto della cessione), che porterebbero a variazioni del
grado di rischio e conseguentemente ad ulteriore potenziale onerosità.
L’ultima parte del comma in considerazione, nel caso in cui il terzo contraente sia
costretto a recedere per giusta causa dal contratto non portandolo a termine, stabilisce
che il cedente è responsabile verso costui per i danni provocatigli.
16
Galgano F., Diritto commerciale, Vol. I, L’imprenditore, Zanichelli, Bologna, 1990. Conformemente,
relativamente ai contratti di agenzia, Cass. 26/02/94, n. 1975.