2
Altro elemento costitutivo dell’azienda è senza dubbio quello organizzativo.
Infatti, i beni per formare un’azienda devono essere coordinati e organizzati
dall’imprenditore in modo idoneo a dimostrare l’attitudine all’esercizio
dell’impresa (unità di tipo funzionale).
Non rappresenta elemento costitutivo dell’azienda l’avviamento, costituendo
quest’ultimo, infatti, un semplice indice rilevatore della stessa. In quest’ottica
può aversi un’azienda anche nel caso di impresa inattiva, purché essa abbia le
potenzialità di divenire produttiva (capacità di creare profitto). Significative
sono in merito, quelle pronunce che ritengono perfettamente ammissibile la
cessione di un’azienda inattiva e improduttiva
2
.
Nessuna influenza viene, invece, attribuita al titolo giuridico che legittima un
determinato soggetto all’utilizzo del bene, di guisa che la titolarità dell’azienda
potrà essere disgiunta dalla titolarità dei beni che la compongono.
Oltre la norma definitoria dettata dall’art. 2555 c.c., rilevante sotto il profilo
strutturale, la restante normativa codicistica considera l’azienda da un punto di
vista dinamico, regolando, in particolare, le conseguenze che si producono ove
si abbia un suo trasferimento, sia a titolo definitivo (es. vendita) che
temporaneo (es. affitto, usufrutto).
Il rilievo economico, giuridico e sociale connesso all’ipotesi del trasferimento
d’azienda emerge e trova conferma nel fatto che esso è disciplinato da una
serie di disposizioni, tra tutte naturalmente l’art. 2112 c.c., le quali, sotto
diversi profili, si distaccano dalla disciplina di diritto comune delle analoghe
vicende di circolazione dei beni e/o complessi di beni non destinati
all’esercizio dell’attività di impresa.
L’art. 2112 c.c. si applica in caso di trasferimento di un complesso aziendale
ed in caso di concessione in godimento dello stesso a titolo di usufrutto o
affitto; il concetto di trasferimento implica un richiamo ai concetti di
successione e soprattutto di acquisto, per indicare il passaggio di titolarità di un
diritto soggettivo da un soggetto ad un altro.
2
Corte di Cass., 25 gennaio 2002, n. 897.
3
In ordine all’acquisto si distingue un modo di acquisto a titolo originario e un
modo di acquisto a titolo derivativo. Il trasferimento d’azienda di cui all’art.
2112 c.c. è legato alla seconda ipotesi. Infatti, il trasferimento, comunemente,
comprende la dismissione di un diritto da parte del cedente e il sub-ingresso
dell’acquirente nella posizione giuridica del primo.
In generale, l’acquisto a titolo derivativo si configura anche nel caso in cui il
trasferimento di complesso aziendale non sia atto di disposizione da parte del
titolare ma, viceversa, consegua in via coattiva. Al riguardo, sembra che non si
rientri nella sfera di applicazione dell’art. 2112 c.c., in quanto la norma in esso
contenuta riferirebbe il suo ambito al solo trasferimento volontario.
Tuttavia, non mancano pronunce di segno opposto: la norma accennata “deve
ritenersi applicabile anche nei casi in cui il trasferimento dell'azienda non
derivi dall'esistenza di un contratto tra cedente e cessionario, ma sia
riconducibile ad un “atto autoritativo” della p.a., con conseguente diritto dei
dipendenti dell'impresa cedente alla continuazione del rapporto di lavoro
subordinato con l'impresa subentrante, purché si accerti l'esistenza di una
cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese”
3
.
Con tale sentenza la Suprema Corte si adeguava ai recenti indirizzi espressi, in
merito a una più estesa applicazione della normativa sul trasferimento di
azienda, dalla Corte di Giustizia Europea
4
.
L’analisi dei confini riguardanti il concetto di trasferimento di azienda è, come
detto, strettamente connesso alla nozione di azienda. Tutta la disciplina
presuppone che il trasferimento sia connesso alla continuazione da parte
dell’acquirente dell’esercizio dell’impresa, quindi l’utilizzazione del
complesso aziendale, e il trasferimento dei rapporti di lavoro.
Inoltre, nella gran parte dei casi, l’azienda assume rilevanza economica e
sociale non solo in virtù dei beni che la compongono ma, soprattutto, in virtù
dei rapporti giuridici indispensabili per l’esercizio dell’impresa e il
conseguimento degli obiettivi economici.
3
Corte di Cass., 27 aprile 2004, n. 8054.
4
Corte di Giustizia, 25 gennaio 2001, n. C-172/99; 26 settembre 2000, n. C-175/99; 14 settembre
2000, n. C-343/98.
4
Infatti, non sono rare le ipotesi in cui il trasferimento dei rapporti contrattuali
inerenti ad un'attività imprenditoriale rappresenti proprio il presupposto del
trasferimento di azienda.
Rivolgendo l’attenzione alla definizione di azienda espressa dall’art. 2555 c.c.,
si nota una contrapposizione dei beni ai diritti, dalla nozione di bene
organizzato devono considerarsi esclusi i rapporti di credito e debito ed in
generale ogni rapporto contrattuale diretto all’esercizio dell’impresa .
Tutto ciò costituisce la premessa per far comprendere come la trasmissione dei
rapporti contrattuali costituisce un elemento accidentale al trasferimento
d’azienda lasciato alla volontà delle parti; “il patto contrario”, esplicitamente
previsto dall’art. 2558 c.c., conferma la natura eventuale di questo carattere.
Perciò, le parti dell’accordo traslativo, possono escludere tali rapporti
contrattuali senza che lo stesso perda le caratteristiche proprie di negozio di
alienazione dell’azienda.
L’art. 2555 c.c. non indica il rapporto giuridico intercorrente tra il complesso
dei beni organizzati ed il suo titolare, di conseguenza, gli atti di disposizione di
quest’ultimo possono non essere traslativi del diritto di proprietà ma di un
diritto reale di godimento; il che significa che il fenomeno del trasferimento di
azienda non consiste solo nel trasferimento della proprietà dei beni aziendali:
esso comporta anche la cessione, all’acquirente dell’azienda, dei contratti che
assicuravano all’imprenditore alienante il godimento di quei beni dei quali non
era proprietario.
Un aspetto particolarmente interessante dell’art. 2112 c.c. è rappresentato dal
fatto che esso non richiede necessariamente la prosecuzione dell’attività
d’impresa come condizione imprescindibile per la sua applicabilità.
La fattispecie normativa che dispone la responsabilità solidale dell’acquirente
può, infatti, trovare applicazione anche nel caso di trasferimento d’azienda cui
segua l’immediata cessazione dei rapporti di lavoro.
La successione dei rapporti contrattuali connessi all’esercizio dell’impresa
costituisce un fenomeno di più ampie dimensioni rispetto al mero
5
trasferimento d’azienda, non a caso, il nostro legislatore ha regolato le due
fattispecie in modo distinto e separato.
Al di là di questa breve delimitazione in ordine all’ambito di applicazione
dell’art. 2112, occorre subito precisare che prima delle riforme settoriali
avutesi nel corso del tempo tale articolo originariamente disponeva: “In caso di
trasferimento dell’azienda, se l’alienante non ha dato disdetta in tempo utile, il
contratto di lavoro continua con l’acquirente, e il prestatore di lavoro conserva
i diritti derivanti dall’anzianità raggiunta anteriormente al trasferimento”.
L’acquirente è obbligato in solido con l’alienante per tutti i crediti che il
prestatore aveva al tempo del trasferimento in dipendenza del lavoro prestato,
compresi quelli che trovano causa nella disdetta data dall’alienante, sempreché
l’acquirente ne abbia dato conoscenza all’atto del trasferimento, o i crediti
risultino dai libri dell’azienda trasferita o dal libretto di lavoro. Con
l’intervento delle associazioni professionali alle quali appartengono
l’imprenditore e il prestatore di lavoro, questi può consentire la liberazione
dell’alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Le
disposizioni di questo articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di
affitto di azienda”.
Tale disposizione ha rappresentato per quasi cinquant’anni l’unica disciplina
normativa dell’istituto. Solo con l’intervento della Comunità Europea grazie
alla Direttiva n. 187 del 14 febbraio 1977 la fattispecie si arricchisce di
opportune garanzie, in particolare ad opera dell’art. 47 della legge 1990 n. 428,
infatti, questo intervento del nostro legislatore, oltre a riscrivere la disposizione
dell’art. 2112 c.c., costituisce la base per l’introduzione nel nostro ordinamento
di un innovativo sistema di tutela del lavoratore nel caso di trasferimento
d’azienda.
6
2. La Direttiva 14 febbraio 1997 n.77/187 CEE
La Direttiva Europea n. 77/187 del 1977 ha particolare rilevanza, ed insieme
ad altre quattro Direttive adottate nel corso di un decennio (cioè le direttive n.
175/75 sui licenziamenti collettivi, n. 117/75 sulla parità retributiva uomo
donna, n. 206/76 sulla parità di trattamento uomo donna, n. 987/08
sull’insolvenza del datore di lavoro), rappresenta il corpus “storico” normativo
più significativo del “sistema di politica sociale europea”
5
.
Obiettivo essenziale della Direttiva era quello di attuare l’uniformità delle
legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei
lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di
stabilimenti.
La ratio giustificatrice del primigenio intervento comunitario è quella di dare
una risposta al grave problema delle crisi aziendali e delle ristrutturazioni di
imprese, alquanto diffuse al momento in cui si pubblicò la Direttiva. Così al
fine di contemperare l’esigenza di tutela immediata dei lavoratori con
l’interesse a favorire i trasferimenti delle imprese, il legislatore comunitario
emanò un provvedimento caratterizzato da un flessibile regime di garanzie. Si
voleva, quindi, che “la ristrutturazione delle imprese in ambito comunitario
non comportasse conseguenze negative sui loro dipendenti”
6
.
Ai sensi dell’art. 1 la Direttiva si riferiva “ai trasferimenti di imprese, di
stabilimenti o diparti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a
cessione contrattuale o fusione” e, nel caso e nei limiti “in cui l’impresa, lo
stabilimento o parte di esso da trasferire si trovi nel campo di applicazione
territoriale del Trattato”.
5
R. FOGLIA, Il trasferimento d’azienda nell’U.E., la normativa comunitaria, Relazione al
convegno di Milano, centro studi di Diritto del Lavoro Domenico Napoletano, 2001, pag. 12.
6
A. PIZZOFERRATO, La nozione giusvaloristica di trasferimento di azienda fra diritto
comunitario e diritto interno, in RIDL, 1998, p. 429.
7
A seguito delle direttive, n. 855/78 e n. 891/82, la tutela dei lavoratori venne
estesa alle ipotesi di fusione, anche per incorporazione, nonché di scissione
delle società per azioni.
Queste disposizioni sono state arricchite dalla giurisprudenza comunitaria, e
già a partire dalla seconda metà degli anni ’80 la Corte di Giustizia precisava
che in tema di trasferimento d’azienda uno dei principi essenziali fosse la
conservazione e continuazione dei rapporti di lavoro esistenti all’interno di una
entità economicamente ancora esistente, dotata di propria identità, ovvero di
una sua autonoma funzionalità
7
. In tale occasione, la Corte ha scelto
consapevolmente un termine particolare -“entità economica”- dai contorni
alquanto elastici ma incerti. Ciò, naturalmente, al fine di garantire ai lavoratori
una tutela forte e di adattarsi al progressivo mutamento dei processi economici.
In particolare, con le diverse sentenze
8
che si sono succedute nel tempo, la
giurisprudenza comunitaria definisce il concetto suddetto come: “Un
complesso organizzato di persone e di elementi che consentono l’esercizio di
un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo
[…]” e ancora, la Corte ha statuito che il trasferimento di un’entità debba
essere valutato in considerazione dell’insieme delle circostanze che
accompagnano l’operazione di cui trattasi, come “il tipo di impresa o di
stabilimento in questione, la cessione degli elementi materiali, quali gli edifici
ed i beni mobili, il valore degli elementi immateriali al momento della
cessione, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia
delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di un’eventuale
sospensione di tale attività”
9
.
Per cui, secondo la lettura fornita dalla Corte di Giustizia il trasferimento
d’impresa comporta che il profilo della cessione di beni e rapporti giuridici e il
profilo dell’esercizio attuale dell’impresa ad opera del cessionario, siano
collegati in quanto non può aversi trasferimento d’impresa senza trasferimento
7
Corte di Giustizia, 18 marzo 1986, n. C-24/85.
8
Riferimento inteso alle ben note sentenze: Schmidt, Merckx, Suzen.
9
Suppl. Riv. Diritto & Giustizia, Il trasferimento d’azienda, 2006, pag. 55.
8
di beni e neppure trasferimento di beni e rapporti senza esercizio
dell’impresa
10
.
La Direttiva era, perciò, indifferente alle vicende connesse alla proprietà o
meglio alla titolarità dell’azienda, tanto da poter affermare che la cessione di
essa doveva essere esente da qualsiasi effetto negativo per il lavoratore, il
quale non poteva essere licenziato o fatto oggetto di trattamento meno
favorevole.
Oltre la protezione passiva, la disciplina comunitaria assicura ai lavoratori
anche una protezione attiva, attraverso l’obbligo di informazione e
consultazione a carico di entrambe le parti del negozio traslativo. Cedente e
cessionario devono, pertanto, comunicare in tempo utile ai rappresentanti dei
lavoratori le ragioni, gli effetti giuridici, economici e sociali che giustificano il
trasferimento, nonché le specifiche misure che si intendono adottare. Le
consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori riguardano ovviamente le
misure progettate che coinvolgano gli stessi, pena il mantenimento dello status
giuridico anteriore al trasferimento. In mancanza dei rappresentanti, i
lavoratori interessati devono, comunque, essere preventivamente informati
sulla data del trasferimento (art. 6).
In ragione del trasferimento dell’azienda, l’acquirente subentra nei diritti e
negli obblighi del venditore derivanti da contratti o rapporti di lavoro esistenti
al momento del trasferimento.
La Direttiva estendeva il suo campo di applicazione ai diritti ed agli obblighi
dei lavoratori alle dipendenze del cedente. Per ciò che concerne la nozione di
lavoratore intesa dalla Direttiva comunitaria, essa veniva riferita ai soggetti
qualificabili come prestatori di lavoro subordinato secondo la legislazione
nazionale: così la Corte di Giustizia, per vagliare l’applicabilità della Direttiva
stessa, ha rinviato alla valutazione dei giudici nazionali.
Sempre in ordine all’applicabilità della Direttiva, inizialmente la stessa era
riferita solo ai trasferimenti d’impresa effettuati mediante “cessione
10
G. SANTORO PASSARELLI, La nuova disciplina del trasferimento d’impresa, Ipsoa, Milano,
2002, pagg. 5-6.
9
contrattuale”, si escludevano le ipotesi di perdita della disponibilità aziendale
per crisi dell’impresa. L’intervento della Corte di Giustizia fu, ancora una
volta, quanto mai opportuno, ed infatti, sulla scia di uno specifico intervento in
una procedura olandese caratterizzata da finalità recuperatorie (a seguito di un
accordo tra i creditori con cui si volle evitare un sicuro fallimento), vi
ricomprese la vendita compiuta in seno a quella procedura
11
.
Le successive pronunce confermarono l’applicabilità della direttiva a queste
tipologie di trasferimento aziendale rigettando qualsiasi regolamentazione
delle conseguenze ad esso connesse in senso sfavorevole per i lavoratori. La
Corte Comunitaria, con riferimento al nostro ordinamento, nel 1995 con sent.
n. 472/93 ha ritenuto applicabile la normativa in ordine ad un'impresa trasferita
dopo che era stato dichiarato lo stato di crisi ai sensi della legge n. 675/1977.
Per cui l’area di applicabilità della direttiva veniva ad essere ampiamente
estesa, integrando anche quelle ipotesi in cui la figura dell’imprenditore era
sostituita a quella di un “organo terzo”, e in quelle procedure concorsuali ove
era, comunque, disposta la prosecuzione dell’attività aziendale. Proprio in
riferimento a tali fattispecie, la Corte ha precisato che l’efficacia della tutela
apprestata ai lavoratori dalla Direttiva non può essere differita
discrezionalmente dal cedente e dal cessionario ma deve essere contestuale al
trasferimento stesso
12
.
2.1. La riforma dell’art. 2112 c.c.: la legge 1990 n. 428 art. 47
L’attuazione della Direttiva Comunitaria n. 187/77 avveniva a distanza di ben
più di un decennio con la legge n. 428, 1990 avente come obiettivo quello di
dare attuazione a numerose direttive rimaste inattuate nel tempo.
L’art. 47 della predetta legge aveva come riferimento specifico la normativa
comunitaria inerente al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di
trasferimento aziendale: il principio perseguito era quello di garantire la
11
Corte di Giustizia, 7 febbraio 1985, n. C-135/83, Abels.
12
Corte di Giustizia, 14 settembre 1996, n. 305/94, Benoidt.