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Introduzione
È opinione abbastanza diffusa che i problemi di gestione aziendale vadano indirizzati
verso soluzioni con cui occorre assicurare più efficacia, più efficienza e più economicità ai
processi interni, affinché si possano centrare gli obiettivi prefissati. Questo è vero solo in parte. I
problemi gestionali si incrociano con numerose variabili la cui quantificazione e qualificazione
preventiva non è agevole. Sono variabili che non si affrontano soltanto con la razionalizzazione
dei processi interni della logistica, della produzione e della vendita.
La governance d’impresa, in realtà, deve affrontare e risolvere problemi che si muovono
in una doppia direzione: da una parte occorre mettere a fuoco le migliori condizioni affinché
l’impresa decida “cosa produrre”, per “chi produrre” e “come produrre”; dall’altra è necessario
capire quali siano gli ostacoli che si frapporranno tra le scelte di produzione effettuate e la loro
concreta realizzazione. Questa doppia direzione apre le prospettive dell’impresa verso le
dinamiche di creazione del valore, e quindi della ricchezza da distribuire ai vari portatori di
interesse, e verso le dinamiche destabilizzanti dei rischi emergenti. Il “valore” del capitale e il
“rischio” di perderlo: è questo, dunque, il binomio fondato su un antagonismo congenito,
dialettizzante, con cui occorre fare i conti in azienda.
Si può dire, in fondo, che la governance d’impresa è essenzialmente la governance
del trade-off rischio/valore. Quest’ultimo non è altro che un gioco di correlazione inversa
inducente a muovere contestualmente, con sapienza e predeterminazione, le leve che azionano
tanto la creazione del “valore” quanto la difesa dello stesso dai “rischi” che lo minacciano. Il
trade-off rischio/valore è una legge economica che l’impresa non può ignorare. Prenderlo in
considerazione necessariamente equivale a trovare soluzioni gestionali attraverso cui
implementare equilibri sapienti nel muovere e usare le risorse. Metaforicamente, è come il gioco
di una squadra di calcio che non può puntare ad organizzare soltanto schemi di attacco senza
coprirsi con adeguati schemi di difesa. La ricerca di un giusto equilibrio gestionale, fatto di
investimenti, di controlli e di autoregolazione decisionale, retto da oculate strategie di azione, è
la ricerca che intraprende quotidianamente il management per garantire il perdurare dell’impresa
nel lungo periodo.
Con questo lavoro di tesi, si è cercato di analizzare in progressione gli elementi più
importanti che vengono coinvolti nella governance del trade-off rischio/ valore, allo scopo di
fornire un quadro di chiarificazione intorno alle variabili che la influenzano. L’analisi condotta,
partendo dall’esigenza di comprendere sia i fattori che sostengono e difendono le performance
di valore, e sia i correlati fattori di rischio, ha cercato di focalizzare l’attenzione su quali siano i
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migliori strumenti di gestione aziendale per fornire elementi di conoscenza utili alle decisioni
dell’Alta Direzione che si trova a dover affrontare periodicamente la dialettica del trade-off
rischio/valore.
Il presente lavoro pertanto si sviluppa in progressione sui seguenti argomenti:
1) Analisi sulla misurazione e creazione del valore nell’impresa value oriented. Per affrontare
il dualismo dialettico tra il valore e il rischio, si è reso necessario analizzare
propedeuticamente entrambe queste grandezze in maniera separata. Si inizia pertanto con la
grandezza “valore”. Il valore per eccellenza che l’azienda deve incrementare e preservare
dai rischi di erosione è il valore del proprio capitale. Vengono pertanto esaminate le diverse
modalità tecniche con cui si può valutare il capitale dell’impresa. Il metodo reddituale è
quello più diffuso. Basato sul rapporto tra reddito medio di lungo periodo e tasso di
attualizzazione (che sconta la rischiosità del settore), è stato spesso criticato per le modalità
di determinazione del reddito, che si affidano ai principi cautelativi e storicistici della
tecnica contabile nazionale. Per superare questi limiti, è stata analizzata la piattaforma che
ha allargato gli elementi presi in considerazione per la determinazione del reddito: sono stati
esaminati così gli effetti dell’applicazione dei nuovi criteri di valutazione derivanti dal faire
value e dal comprehensive income. L’impresa orientata alla creazione del valore punta su
determinati parametri di rilevazione diretta del valore creato (EVA, VAC, ecc.) e sulle
strategie implementate in maniera globale all’interno dell’azienda. Si chiarisce pertanto che
le modalità di creazione del valore sono legate: a) sia alla razionalizzazione dei processi
interni che devono essere integrati tra loro per attivare la catena del valore e per ottenere
risultati migliori nel rapporto qualità/costi dei prodotti; b) sia alla realizzazione delle
strategie che sfruttano i vantaggi competitivi, che si dimostrano sensibili ad accogliere i
segnali positivi provenienti dall’ambiente, che implementano i necessari cambiamenti
organizzativi e informativi della struttura aziendale, e che utilizzano al meglio non solo le
risorse tangibili ma anche quelle intangibili; c) sia al trattamento dei rischi i cui effetti sul
valore creato e su quello in creazione devono essere neutralizzati.
2) Analisi dei fattori di rischio. I rischi che minacciano la stabilità dell’impresa sono molteplici.
La loro natura è strettamente collegata alle due macro-variabili che incidono sui risultati
dell’impresa: la macro-variabile endogena delle condizioni interne dell’impresa stessa, e la
macro-variabile esogena costituita dai fattori dell’ambiente che possono condizionare
negativamente lo sviluppo delle attività programmate. Sulla base di questa condizione di
vulnerabilità aperta dell’impresa, viene tracciata una mappa dei rischi più ricorrenti. Di
questi, alcuni vengono esaminati più nel dettaglio. I rischi derivanti dai cambiamenti dei
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mercati domestici e internazionali, dai cambiamenti della domanda, i rischi connessi con le
politiche del prodotto, quelli legati alla rigidità della struttura e all’inadeguatezza del sistema
amministrativo interno, i rischi finanziari e quelli contenuti nelle scelte di particolari forme
di corporate governance, sono i rischi analizzati con maggiore descrizione di causa ed
effetto.
3) Analisi del trade-off rischio/valore e relative scelte di governance. Il modo con cui si
manifesta il trade-off rischio/valore è analizzato nei suoi effetti sistemici. L’impresa ne
subisce il peso e le manifestazioni in maniera indiscutibile, ma secondo tempi e scansioni in
cui il nesso causa-effetto è distorto, rallentato o accelerato a causa delle interconnessioni non
lineari che operano nel sistema impresa. Il primo approccio alla gestione del trade-off è
quello con il quale si cercano gli spazi minimi o massimi in cui muoversi: “quanto valore è
possibile creare?” e “quali rischi accettare?” sono le due domande quasi retoriche le cui
risposte vengono affidate a due specifici paragrafi. Per avanzare con le ipotesi di controllo
del trade-off, inoltre, viene articolata una simulazione di risultati gestionali che prevedono
scelte di minimo trattamento dei rischi confrontate con scelte di massimo fronteggiamento:
ne scaturisce un salvataggio di valore che può essere paragonato ad un profitto di
fronteggiamento il cui peso viene stimato in termini di redditività, al fine di avere una soglia
di riferimento per investire o meno risorse per il contrasto dei rischi.
L’analisi procede seguendo la doppia articolazione delle azioni rivolte a creare/difendere il
valore, e delle attività rivolte alla gestione del rischio. Per le azioni di segno positivo, quelle
che sostengono le performance produttive, vengono esaminate sia alcune ipotesi di
creazione di valore a basso rischio e sia le modalità con cui, impiantando un sistema di
Internal Auditing, l’impresa può anticipare il formarsi dell’evento rischioso consegnando ai
processi interni un controllo di dettaglio che li allontana dall’errore e dallo scollamento
rispetto agli obiettivi di produzione prefissati.
Per esaminare come concretamente l’impresa affronta il manifestarsi o il profilarsi delle
minacce di rischio, l’analisi si sposta essenzialmente sui metodi di gestione costruiti in
letteratura e suggellati dalla prassi. Tra questi, il Risk Management è quello più completo per
affidare all’organizzazione d’impresa il compito multiforme di contrastare il rischio sul
nascere e per eluderne gli effetti con contromisure compensative o sostitutive. Ma non basta.
Le attività di controllo devono avere anche e soprattutto una direttrice coerente che viene
individuata nella strategia di posizionamento rispetto al rischio, la quale riesce a indirizzare
le scelte aziendali verso posizioni più organiche di trattamento del rischio stesso, superando
il mosaico frammentato con cui viene affrontato invece nelle fasi del Risk Management. Si
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impone così la Gestione Strategica non solo per la creazione del valore, ma anche per il
fronteggiamento dei rischi. La strategia diventa il mezzo più efficace per superare i percorsi
accidentati a cui l’impresa è sottoposta. In tal modo, le scelte manageriali condurranno
l’impresa ad assumere posizionamenti di dominanza o di flessibilità o di integrazione: ad
assumere posizionamenti per dare all’impresa una prevalenza di caratteri operativi da cui far
discendere i propri vantaggi competitivi o le proprie componenti distintive. Lungo questa
strada, nascono possibili integrazioni metodologiche volte a migliorare le performance e le
attività di controllo: nascono la Pianificazione e il Controllo Strategico. Quest’ultimo,
aggiunge elementi di ritaglio illuminanti al controllo della gestione, che rendono le verifiche
in itinere più efficaci: aggiunge i Fattori Critici di Successo (FCS) e i relativi Indicatori
Chiave di Risultato. Con questi parametri in più, si valuta ciò che costruisce il successo di
una strategia in termini di caratteristiche specifiche. Con questi parametri in più, il Controllo
Strategico diventa lo strumento di verifica in itinere e di periodo che abbraccia molti aspetti
della complessa dinamica gestionale dell’impresa; diventa lo strumento che permette di
sommare in un tutt’uno i risultati della gestione corrente e della gestione strategica,
assumendo un peso determinante per il mantenimento dell’equilibrio di medio-lungo periodo
dell’impresa.
4 – Analisi di ulteriori forme di gestione del trade-off rischio/valore . Il contemperamento
dei costi e dei benefici derivanti dall’implementazione della strategia è importante. È
importante anche come filtro nella gestione del trade-off. Per ottenere effetti strategici
precisi con allineamento dei relativi processi interni, si esaminano quattro temi strategici
desunti dagli scritti di Kaplan e Norton. I temi strategici forniscono elementi per assemblare
un ordine di priorità che l’impresa può costruire secondo le proprie esigenze, decidendo di
dare gradualità e misura al movimento di risorse che intende impiegare. In questo modo,
l’impresa può conciliare la selezione degli obiettivi con l’adeguamento mirato
dell’organizzazione interna, stimando con buona approssimazione costi e ricavi da inserire
nei budget di attuazione e controllo. In definitiva, si propone di attuare selezioni con cui
puntare ad obiettivi strategici a costi contenuti, senza dar luogo ad una governance del
trade-off rischio/valore che sia troppo onerosa e inutilmente generalista.
Accertata l’efficacia del Controllo Strategico, inoltre, l’analisi continua su questo argomento
per esplorare eventuali possibilità di renderlo ancora più rispondente alle esigenze
conoscitive dell’Alta Direzione. Questa possibilità viene individuata nell’uso della Balanced
Scorecard. È questo uno strumento di misurazione, verifica e controllo – creato da Kaplan e
Norton – che si basa su indicatori qualitativi e quantitativi la cui lettura fornisce indicazioni
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in itinere essenziali e illuminanti per capire l’andamento delle performance aziendali.
Performance derivanti dai risultati operativi delle risorse tangibili e intangibili.
Performance che vengono analizzate su quattro prospettive aziendali, attraverso cui si
focalizzano gli interessi e i percorsi operativi fondamentali di ogni generica impresa. Le
prospettive sono quella finanziaria, quella dei clienti, quella dei processi e quella
dell’apprendimento e crescita dell’organizzazione interna. Nella Balanced Scorecard, però,
mancano gli indicatori dei rischi connessi con i relativi indicatori di performance. Il loro
eventuale inserimento è auspicabile: renderebbe l’analisi e il controllo più completi, facendo
della Balanced Scorecard così integrata, lo strumento di migliore gestione anche del trade-
off rischio/valore.
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CAPITOLO PRIMO
L’impresa value oriented e la misurazione del
valore
1- Il sistema aperto d’impresa
1.1 - La visione sistemica dei fattori d’impresa e la conseguente interattività
decisionale del management
Ogni approccio finalizzato a studiare i fattori impiegati nell’organizzazione
d’impresa deve partire dal presupposto che tali fattori sono collegati tra di loro in maniera
sistemica. Vale a dire in modo integrato, secondo collegamenti che generano
condizionamenti reciproci a valenza non lineare.
Mettere insieme risorse umane, finanziarie e fisiche (impianti, attrezzature) per
organizzare e far funzionare un’impresa, vuol dire costruire non una semplice
giustapposizione di fattori ma una struttura le cui componenti presentano un rapporto tale
da determinare un risultato superiore alla semplice loro somma. In altre parole, le
componenti inserite nell’organizzazione generano una sinergia che è funzionale allo scopo
dell’impresa. Questa, quindi, è da considerarsi necessariamente un sistema.
Le caratteristiche di un sistema, studiate ed evidenziate sin dagli anni Cinquanta dalla
Teoria dei Sistemi (1), sono diverse (autoregolazione, determinanza, sfasamento temporale
causa-effetto, omeostasi dinamica, equifinalità, ecc.). Esse presentano specificità tali da
conferire al sistema cui appartengono un funzionamento che lo differenzia da qualunque
altra associazione lineare di fattori. Tra queste caratteristiche, ricopre notevole importanza
il finalismo del sistema, che è difeso e conservato nel tempo attraverso l’autoregolazione.
Il sistema, cioè, è alimentato da rapporti tra le sue componenti che mirano a garantire uno
scopo, una realizzazione di quantità o di qualità. Il finalismo di una cellula, per esempio,
che parimenti è un sistema, è quello di mantenere costanti le sue funzioni vitali attraverso
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(1) EMERY F.E. a cura di, La teoria dei sistemi, Franco Angeli Editore, Milano, V edizione 1994
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gli opportuni scambi tra la sua struttura interna e le risorse assorbite dall’esterno.
Anche l’impresa ha i suoi scopi, la sua mission. Essa può essere portata ad accrescere
le sue dimensioni, ad accrescere o mantenere costanti i suoi livelli di profitto, oppure a
perseguire la fidelizzazione della sua clientela, come pure la differenziazione produttiva per
la penetrazione di nuovi mercati. Fissare uno o più di questi scopi significa fare scelte
precise sulla base delle opportunità che offrono congiuntamente le condizioni interne e le
condizioni esterne dell’impresa.
Le condizioni esterne all’impresa (mercati finanziari, mercati dei beni di consumo,
congiuntura complessiva dell’economia, regolazione giuridica del mercato del lavoro, ecc.),
dunque, sono aspetti importanti che influenzano le scelte del management. Per queste
ragioni, l’impresa non solo è da considerare un sistema, ma tra i vari tipi di sistemi, essa è
un “sistema aperto”. È un sistema aperto perché le relazioni necessarie e interrelate che
essa ha con le grandezze esterne generano “cambiamenti” di valore e di prospettiva e ne
influenzano la stabilità o ne perturbano lo scopo. Per evitare queste perturbazioni e per
tenere fisso lo scopo aziendale, il management d’impresa, quindi, deve porre in essere forti
azioni di autoregolazione.
Nei sistemi che subiscono flussi destabilizzanti dall’esterno (materia fisica,
informazioni, ecc.), ricopre infatti un ruolo importante l’autoregolazione la quale tende a
conservarne la struttura e lo scopo. L’autoregolazione (2) è il processo circolare di causa
ed effetto che si muove all’interno del sistema sulla base del funzionamento degli anelli di
retroazione. Questi pongono in essere un’azione regolatrice per eliminare gli scarti tra lo
scopo funzionale del sistema e i flussi esterni che ne contrastano eventualmente il
mantenimento. Lo fanno utilizzando una catena di connessione tra elementi chiusi
circolarmente in cui il primo elemento riceve l’input e lo trasmette agli altri i quali
cercheranno di adeguarsi rispondendo con un output. Un esempio molto semplice di anello
di retroazione è quello del timoniere. Questi ha una rotta da rispettare e con il timone cerca
di fare in modo che l’imbarcazione la segua. Quando vi sono deviazioni rispetto ad essa,
quando cioè l’imbarcazione devia più destra o più a sinistra rispetto alla rotta prestabilita,
il timoniere corregge lo scostamento azionando il timone nella direzione opposta allo
Scostamento. Le sue correzioni sono costanti e attente perché è facile subire deviazioni
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(2) BARTALANFFY von L., La teoria dei sistemi aperti in fisica e biologia, saggio riportato nell’opera
citata La teoria dei sistemi, a cura di Emery F.E., p.81.
CAPRA F., La rete della vita, Rizzoli, Milano, 1997, pp. 69-78; in quest’opera viene richiamato il
lavoro di definizione dell’autoregolazione che fu messo a punto negli anni Quaranta dal prof Norbert
Weiner
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indesiderate di rotta: ciò induce il timoniere ad effettuare regolazioni circolari continue per
mantenere costantemente la rotta.
Norbert Weiner (3), professore di matematica del MIT, individuò nello schema di
causalità circolare la caratteristica essenziale degli anelli di retroazione i quali vennero
definitivamente riscontrati nel funzionamento biochimico degli esseri viventi e, per
analogia, estesi al funzionamento delle macchine cibernetiche dove in luogo della
locuzione ‘anello di retroazione’ si usa la locuzione “feedback loop”. Questi concetti, estesi
da Weiner anche ad altre strutture sistemiche (impresa, mercato, organismo vivente, ecc.),
hanno determinato la convinzione che un sistema non può essere visto come una forma
permanente, ma come una rete di attività, la quale, entro certi limiti, è una rete di continua
elaborazione del cambiamento, che si muove per preservare la struttura o la sopravvivenza
del sistema stesso.
A tutto questo non fa eccezione l’impresa e, pertanto, alla potenziale elaborazione
del suo cambiamento finalizzato è chiamato il suo top-management. E quanto più
complesso è il rapporto tra l’impresa e i suoi mercati di riferimento, o l’ambiente ad essa
esterno, tanto più sarà ricorrente il cambiamento-adattamento da porre in essere nella
costruzione e revisione dei piani strategici d’impresa.
La gestione dei flussi di informazione e la loro adeguata utilizzazione ai fini
decisionali, pone al centro delle attività di direzione d’impresa il corretto rapporto
sistemico dell’impresa con il mondo ad essa esterno. E, in tal senso, le soluzioni
metodologiche e sistemiche, che aiutano a sostenere la sempre più difficile missione
imprenditoriale, sono state largamente impiegate a supporto del management. È cresciuto
negli anni perciò il Sistema Informativo Aziendale, messo a punto per impostare
metodologicamente una o più schematizzazioni volte a raccogliere e a elaborare dati e
informazioni sui rapporti tra l’organizzazione interna d’impresa, i suoi obiettivi e i flussi
esterni di carattere fisico e finanziario.
Per una metodologia che fosse adeguata alle esigenze operative e di direzione
dell’impresa, sono nati così:
A) I Management Information Systems: sono sistemi che raggruppano dati per dare
supporto ai controlli operativi interni e ai controlli di direzione. I dati forniti vengono
raggruppati per poi operare un confronto tra valori standard e valori ottenuti;
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(3) O’CONNOR J. e McDERMOTT I., Il Pensiero Sistemico, Sperling & Kupfer Editori, Torino, 2003,
pp.297-298; nell’opera si richiama il testo Cibernetica di Norbert Weiner pubblicato nel 1948 in cui
furono gettate le basi per diversi e importanti concetti della teoria dei sistemi.
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B) I Decision Support Systems: sono raccolte ed elaborazioni di dati basate sui meccanismi
decisionali per sottosistemi informativi (decisioni esterne, operative, direzionali e
strategiche) e sui sistemi informatici interattivi;
C) Gli Executive Information Systems: sono sistemi appositamente progettati per
supportare utilizzatori posti ai vertici della piramide aziendale (4).
Il concetto di interattività tra elementi e fattori della vita d’impresa – usato spesso nei
sistemi informativi – è un concetto che pone l’attenzione sulla necessità di affondare
l’analisi dello studio delle problematiche aziendali nella doppia realtà interna ed esterna in
cui esse sono immerse. Nelle organizzazioni aziendali, le decisioni tendono ad assumere un
carattere sistemico (5), perché prendono in considerazione un numero rilevante di variabili
e di fenomeni strettamente interrelati. Il concetto di interattività quindi ritorna come
struttura connettiva della decisione del management poiché quest’ultima è presa spesso
tenendo conto dell’insieme sistemico delle attività di impresa. Al manager, quindi, sempre
più spesso, viene chiesto di operare una sintesi della complessità che si innesca tra i fattori
d’impresa e i condizionamenti che questi subiscono dalle variabili esterne.
Lo studio delle problematiche decisionali che investono il management aziendale
non può non tener conto, allora, del grado di interattività che si innesca tra le variabili
interne ed esterne all’azienda. Non può non tener conto del grado di complessità che si
genera nel rapporto azienda/mercato. Questa complessità è funzione del numero di
relazioni che si instaurano tra le parti organizzative dell’azienda e il numero di relazioni
che l’azienda unitariamente e settorialmente intraprende con il mondo esterno. Questa
complessità, in fondo, è strettamente legata alle dimensioni aziendali, all’organizzazione
del lavoro interno e alla struttura del capitale dell’impresa.
Viene da sé, quindi, che non tutte le imprese devono affrontare gli stessi problemi di
gestione. La difficoltà di gestione, o la sua specificità, è legata proprio al tipo di impresa, al
settore nel quale essa opera e in particolare – repetita iuvant – al tipo di lavoro e di
produzione che in essa sono presenti e alla struttura del suo capitale. Tener conto di questi
aspetti è importante proprio per calibrare alla bisogna gli strumenti dei sistemi informativi,
di analisi, controllo e decisione, al fine di dare il supporto teorico ed operativo necessario
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(4) DE MARCO M., SALVO V, LANZANI W, Balanced Scorecard: dalla teoria alla pratica, Franco
Angeli Editore, Milano, III ed., 2002, p.9
(5) DE MARCO M., SALVO V, LANZANI W, Op. cit., p. 11.
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ad ogni esigenza d’impresa, senza uniformarsi a soluzioni standard e senza trascurare il
diverso grado di complessità gestionale che si riscontra in ogni singola realtà aziendale. Per
queste ragioni è importante capire la tipologia di impresa con cui si ha a che fare: proprio
per poter intervenire proficuamente nella soluzione dei suoi problemi di gestione, senza
rifarsi a configurazioni astratte, ma a grandezze reali e ben inquadrate nella loro
dimensione.
1.2 – L’evoluzione qualitativa dell’impresa
Sui mercati e nei vari settori della produzione di beni e servizi e nei settori della loro
commercializzazione esistono imprese di diversa dimensione, le cui decisioni sono affidate
a soggetti che rivestono ruoli e titolarità diversi. Questo discende dalla sempre più
accentuata separazione tra management e proprietà, poiché quest’ultima, via via, non
appartiene più ad un solo imprenditore (o a famiglie strutturate), ma a molteplici investitori
che si dividono le molte quote del capitale aziendale che viene più spesso raccolto sul
mercato azionario.
La struttura del lavoro e la struttura del capitale sono le due variabili da esaminare
per capire i ruoli interni all’impresa e il grado di complessità gestionale che quest’ultima si
trova a dover affrontare.
Le due variabili in questione rappresentano, pertanto, gli assi portanti intorno ai quali
l’impresa si è evoluta, passando da gestioni familiari e mercati regionali a gestioni
manageriali e mercati mondiali. Lo studio sintetico di questo tipo di evoluzione è stato
propredeuticamente tracciato da Fabrizio Di Lazzaro nel suo saggio La performance del
valore, dove ha affrontato, appunto, il tema della formazione e della valutazione del valore
d’impresa (6). Qui di seguito, si riprendono, per brevità, gli elementi salienti da egli
enucleati.
Attraverso la combinazione del fattore statico, dato dal capitale, con il fattore
dinamico, rappresentato dal lavoro, prende corpo l’attività di gestione dell’impresa. In
relazione alla provenienza di questi due fattori è possibile descrivere l’evoluzione
qualitativa dell’impresa. Questa, infatti, è stata caratterizzata:
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(6) DI LAZZARO F., La performance del valore. Per l’analisi aziendale, Giappichelli editore, Torino,
2003, pp. 19-28