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“IL TORTUOSO PERCORSO DELLA PROGRESSIVA EQUIPARAZIONE
LEGISLATIVA DEI FIGLI NATURALI AI FIGLI LEGITTIMI: VERSO L’UNITARIETÀ
DELLA NOZIONE GIURIDICA DI FIGLIO”.
Introduzione
La Legge 10 dicembre 2012, n. 219, intitolata “Disposizioni in
materia di riconoscimento dei figli naturali”, provvede a modificare
l’assetto giuridico della filiazione sulla base del principio secondo il
quale “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico” e dispone la
sostituzione, nel codice civile e negli altri testi di legge, delle parole
“figli legittimi” e “figli naturali” con la sola parola “figli”.
Per poter apprezzare l’importanza della nuova riforma nella sua
pienezza, e ricostruire così il nuovo assetto dei rapporti familiari che
essa introduce, è opportuno un breve cenno sulla evoluzione sulla
filiazione che andremo ad approfondire nei capitoli che seguono.
Il codice civile del 1942, sul modello della tradizione napoleonica,
distingueva in maniera netta lo status di figlio legittimo, ovvero
concepito da genitori coniugati, da quello di figlio illegittimo, nato a
seguito dell’unione di persone non coniugate.
Lo stesso attributo “illegittimo” evidenziava, in modo inconfutabile,
il principio secondo il quale, per essere conforme alla legge, la
filiazione prevedesse il vincolo matrimoniale tra i genitori e che, di
conseguenza, i rapporti di famiglia, in senso stretto, potessero
radicarsi unicamente nell’ambito del matrimonio.
Alla sola filiazione legittima, in virtø del suo status e dell’inserimento
nella famiglia, era attribuita ogni tutela che si esprimeva, nei
confronti dei genitori con l’obbligo al mantenimento, all’educazione
ed all’istruzione (art. 147 c.c.), nei confronti degli ascendenti,
anch’essi tenuti al mantenimento ex art. 148, ultimo comma c.c., e
inoltre, nei confronti dei parenti, soggetti, in determinate
circostanze, all’obbligo alimentare (art. 433 c.c.).
A tal proposito è emblematico che le disposizioni degli articoli 147 e
148 c.c. furono inserite dal Legislatore nel Capo relativo ai diritti e
doveri nascenti dal matrimonio (inteso come fonte della legittimità
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dei figli), a differenza della posizione dei figli illegittimi, in merito ai
quali si ritenne opportuno disporre l’elaborazione dell’art. 261 c.c.,
collegato all’art. 258 c.c., alla cui stregua il riconoscimento aveva
effetto solo riguardo al genitore che lo effettuava.
Anche sul piano della successione era netta la distinzione tra le due
“posizioni” poichØ ai figli legittimi era infatti riservata una quota
doppia dell’eredità rispetto a quella prevista per i figli naturali.
Ancora piø nefasta era poi la posizione dei figli non riconosciuti o
non riconoscibili, tra i quali, fino alla riforma del 1975, figuravano
anche i figli adulterini, in favore dei quali era previsto
esclusivamente un obbligo alimentare e un assegno vitalizio in sede
successoria.
Fino alla riforma del 1975, la filiazione legittima era nettamente
contrapposta a quella illegittima poichØ la prima godeva di una
tutela legale, cui corrispondeva identica valutazione sociale, di
assoluta preminenza rispetto alla seconda. L’unico modello
familiare accettato era quello fondato sul matrimonio, il quale
rappresentava il solo ambito in cui la filiazione trovava
riconoscimento e piena protezione. La ratio della legge era, in
sostanza, che la filiazione, per essere tutelata, doveva
necessariamente originare da genitori uniti in matrimonio (che
all’epoca era indissolubile), il quale consentiva di dare legittimità
alla prole, nonchØ, a causa di una legge specifica che impediva a
chi era coniugato di riconoscere un figlio adulterino, non poteva
agire per l’accertamento della filiazione. L’obiettivo della Legge, che
oggi appare incredibilmente cinica, era quello di conferire dignità e
robustezza ala sola famiglia legittima, intesa quale unica entità
sociale e giuridica capace di assolvere ai compiti di mantenimento,
istruzione ed educazione necessari per assicurare un’ordinata vita
sociale e non quello di discriminare le categorie dei figli sulla base
di valutazioni etiche.
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L’obiettivo primario del legislatore, ovvero la tutela del nucleo
legittimo portava a sacrificare le posizioni individuali in conflitto con
esso, quale poteva essere, ad esempio, la posizione dei figli
adulterini, beneficiari meramente, e se fortunati, di una tutela di
carattere alimentare.
In relazione a quanto premesso appare evidente che, in questo
contesto, non si poteva certo parlare di famiglia al di fuori del
vincolo matrimoniale.
Il modello tradizionale di famiglia non venne messo in discussione
neppure nell’imminenza dell’entrata in vigore della Costituzione,
sebbene nella stessa furono inseriti principi, quali l’eguaglianza
giuridica e morale tra i coniugi e del dovere-diritto dei genitori di
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal
matrimonio, i quali, in concomitanza con le importanti evoluzioni
della società e del costume che si sono prodotte nel Paese, hanno
favorito un profondo rinnovamento dell’Ordinamento.
Con la riforma del 1975, il Legislatore mutò profondamente
prospettiva rispetto al modello precedente. Fu innanzitutto abolita
l’espressione “illegittima” che fu sostituita con l’espressione
“filiazione naturale”, alla quale fu finalmente concessa la dignità di
quella legittima attraverso la sostanziale parificazione tra le due
categorie di figli. Al raggiungimento di tale traguardo contribuì in
maniera fattiva l’abolizione di quei vetusti divieti che impedivano, di
fatto, l’accertamento della verità biologica posti al precipuo scopo di
proteggere pienamente il nucleo legittimo.
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Il processo di parificazione dei figli (ex) naturali a quelli (ex)
legittimi
1
intrapreso nel 1975 proseguì a varie tappe sino ad essere
perfezionato nel 2006 con le nuove norme afferenti l’affidamento
condiviso. Detta ultima norma, che ha provveduto ad estendere le
regole sostanziali applicabili a seguito della disgregazione della
coppia genitoriale ai procedimenti relativi a figli di genitori non
coniugati (art. 4, comma 2, l. n. 54/2006), ha rappresentato un
notevole evoluzione verso l’equiparazione della famiglia
matrimoniale a quella naturale, con riguardo ai rapporti di filiazione,
rispetto ai quali il matrimonio ha così perduto in consistente misura
la vis che sino ad allora lo aveva contraddistinto.
Tutto questo antefatto aveva da tempo portato sia la giurisprudenza
che la dottrina a stabilire che quello della famiglia legittima non
ritraesse piø l’unico modello di convivenza familiare, da qui la
necessità di provvedere alla protezione della famiglia di fatto.
In sintesi, allo scopo di superare le assai rilevanti differenziazioni
sin ora riassunte, la nuova disciplina ha inteso realizzare l’unicità
dello stato giuridico di filiazione, che assorbe e supera il principio di
parità attuato dalla riforma del 1975.
La nuova norma si compone di sei articoli. Il primo contiene
modificazioni che incidono direttamente e con effetto immediato
sulla disciplina del codice civile, il secondo detta i principi e i criteri
direttivi per l’esercizio della delega rilasciata al Governo (in virtø del
quale il Governo Letta ha provveduto ad attuarla nel mese di luglio
di quest’anno), il terzo ed il quarto enunciano alcune rilevanti
modificazioni di natura processuale con le relative disposizioni
transitorie ed il quinto prevede modifiche alle norme regolamentari
1
A tal proposito, da questo punto, assunta l’intervenuta abrogazione della differenza tra
figli naturali e legittimi, gli aggettivi naturali e legittimi saranno, in sporadiche e
necessarie occasioni, prefissati dal termine “ex”.
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in materia di stato civile, in ossequio al quale, nel dicembre 2012, è
stata emanata una circolare del Ministero dell’Interno con alcune
prime istruzioni indirizzate agli ufficiali dello stato civile. La sesta
afferma, infine, che dall’attuazione della nuova norma non devono
derivare aggravi per la finanza pubblica.
L’analisi della nuova norma consente di stabilire che essa,
essenzialmente, ruota attorno alla disposizione centrale ovvero
quella relativa all’art. 315 del codice, “Stato giuridico della
filiazione”, la quale afferma che “tutti i figli hanno lo stesso stato
giuridico”. A questa norma si collega quella che, modificando l’art.
74 c.c., stabilisce che “la parentela è il vincolo tra le persone che
discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è
avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta
al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo”, ed a questa
si aggrega, infine, quella che modifica il testo dell’art. 258 c.c.,
secondo il quale “il riconoscimento produce effetti riguardo al
genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso”.
In forza delle richiamate disposizioni, il soggetto, una volta
conseguito lo stato di figlio, indipendentemente se a seguito della
nascita da genitori coniugati, del riconoscimento o della
dichiarazione giudiziale, diventa parente delle persone che
discendono dallo stipite dei suoi genitori; egli entra quindi a far
parte della loro famiglia (in senso esteso), indipendentemente dal
fatto che sia stato concepito nel, fuori o contro il matrimonio.
Detto criterio è applicato anche per il figlio nato da genitori tra loro
parenti il quale, in base al nuovo testo dell’art. 251 c.c., può essere
riconosciuto, previa autorizzazione del giudice, avuto riguardo
all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi
pregiudizio.
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In relazione all’istituto del matrimonio appare evidente che,
dall’analisi delle norme richiamate, appaia radicalmente modificata
la nozione di famiglia legale, ora non piø necessariamente fondata
sul matrimonio poichØ i vincoli giuridici tra i suoi membri
prescindono dichiaratamente da esso.
Detta circostanza farebbe sorgere quindi degli interrogativi circa la
coerenza di tale nuovo assetto rispetto a quanto enunciato dalla
Costituzione in materia (che dettaglieremo di seguito) se esso non
fosse stato auspicato da autorevoli studiosi proprio per attuare
principi costituzionali nonchØ approvato con larga maggioranza.
In compendio, alla luce degli studi effettuati in merito, appare
verosimile affermare che, a seguito della nuova legge, il rilievo del
vincolo coniugale rispetto alla filiazione e, di conseguenza, alla
configurazione legale della famiglia, già fortemente ridimensionato
dall’introduzione della legge sul divorzio, dalla riforma del diritto di
famiglia e dalla legge sull’affidamento condiviso, sia ora
definitivamente scemato. Detta condizione potrebbe lasciare spazio
ad un nuovo assetto legale della famiglia, fondato principalmente
sui legami di consanguineità fatti constare nei modi di legge,
circostanza che potrebbe aprire, come anzidetto, a dubbi di
costituzionalità.
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1. La Famiglia
1.1 La famiglia nella Costituzione Italiana
La Costituzione della Repubblica Italiana dedica alla famiglia
diverse disposizioni (art. 29, 31 e 37 Cost.), tra loro intrinsecamente
connesse, dalle quali si trae una serie di indispensabili indicazioni
circa la sua natura, rilevanza giuridica nonchØ i limiti di intervento
del legislatore in materia, anche in relazione alla questione
dell'eventuale rilevanza giuridica di altre forme di convivenza, che
risulta al centro del dibattito odierno.
Prima di introdurci nella disquisizione è necessario evidenziare la
scelta fondamentale compiuta dai nostri Padri Costituenti di inserire
il concetto di famiglia nella Costituzione, decisione che ha
qualificato la successiva evoluzione dell'ordinamento in materia e
che era tutt’altro che scontata poichØ andava contro tutta la nostra
tradizione costituzionale e legislativa.
Lo Statuto Albertino (1848), che per oltre un secolo ha
rappresentato la Costituzione del Regno d'Italia, aveva sempre
ignorato la famiglia. Lo Stato liberale, infatti, pur preservando la
famiglia, l'aveva relegata nel codice civile (1865), ovvero tra gli
istituti e i rapporti di diritto privato, valorizzando quegli aspetti di
natura patrimoniale derivanti dal matrimonio, che segnarono il
fondamento della famiglia borghese a partire dal Codice
napoleonico del 1804, al quale si ispirarono le successive
codificazioni europee dell'Ottocento.
Il regime fascista aveva, invece, assoggettato la famiglia ai fini
propri dello Stato, arrivando a prevedere il dovere dei genitori di