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si considera la lettura del paesaggio si è portati ad ammettere che conoscenza del
linguaggio e comprensione del testo, saranno difformi fra i diversi individui in
relazione ai loro interessi ed al loro gradi di preparazione e interpretazione. In tal modo
è opportuno distinguere almeno due tipi di approccio: i ricercatori e gli individui
comuni. Mentre i primi cercano di interpretare il paesaggio con metodi scientifici, i
secondi si limitano ad una risposta affettiva, di consuetudine, di tradizione: “è così, è
sempre stato così, si fa così”.
In entrambi i casi si tratta di decifrare i vari significati di ogni paesaggio, di ogni segno
lasciato sul territorio, di ogni traccia ed immagine, magari sbiadite dal tempo e che
possa sembrare insignificante, frutto del lavoro della mano dell’uomo. Quindi la
riscoperta dei significati dei paesaggi al nostro intorno di vita quotidiano aiuta ad una
conoscenza e comprensione migliori di noi stessi, degli altri, del passato e del mondo
che viviamo e condividiamo.
Fra le direzioni di ricerca che richiedono d’essere prese in considerazione ed
approfondite, non c’è soltanto quella di un intelligente utilizzo delle informazioni
ricavabili dal paesaggio stesso che le propone alla nostra sensibilità e alle nostre
osservazioni più o meno disinteressate (per risalire, congiuntamente ad altre
informazioni, alle strutture e quindi ai sistemi che le hanno prodotte). Si aprono,
accanto ad essa, nuove strade: quella di un’analisi fisionomica, che ha essenzialmente
finalità descrittive, analisi tematiche, analisi delle percezioni, dei significati e dei valori
che i diversi utilizzatori vi attribuiscono. Per ultimo aggiungiamo anche la ricerca
storico – archivistica e la ricerca cartografica. Le mappe catastali ex austriache originali
si presentano estremamente descrittive per ciò che riguarda il paesaggio da esse
rappresentato: policromia, varietà di colori e sfumature, simboli e riferimenti grafici,
ecc. tutto questo sistema sintetico di informazioni per permettere all’utente una lettura
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precisa di quella che è effettivamente l’identità del territorio che si sta leggendo. Una
strada, che relazionata alle altre sopracitate, permette di passare dalla ricerca per
interpretare il paesaggio, alla ricerca per ri–progettarlo, o per restauralo, o per
conservarlo.
Le relazioni tra paesaggio e territorio reale e a loro rappresentazione, mediante la
cartografia, sono state inestricabili nella storia della geografia. Non si intendono qui
puntualizzare le differenze tra il paesaggio quale si vede e la sua immagine
cartografica, ma piuttosto riconsiderare le ragioni per le quali le informazioni
cartografiche debbano essere prese in debita considerazione. La mappa catastale
restituisce, in piano, una razionalizzazione del mondo visivo, nella quale le distanze
non vengono raccorciate da effetti prospettici ma vengono mantenute in un rapporto di
similitudine costante rispetto a quelle reali. La cartografia catastale ex austriaca
presenta tuttavia, come abbiamo già detto, un legame con il paesaggio osservabile nella
realtà. Simula un particolare tipo di veduta: quella che si può avere dall’alto, guardando
verticalmente sotto di sé. È il tipo di veduta che oggi è generalmente offerto dalla
fotografia aerea. Ma forse la caratteristica che ne ha fatto lo strumento principe per
l’analisi del paesaggio e del territorio, nella geografia tradizionale, è stato il fatto che, in
un’epoca in cui non esistevano le fotografie aeree e le immagini da satellite, esse
potevano esorbitare dalla scala terrestre. Permettevano di abbracciare paesaggi
(opportunamente tradotti in simboli e colori) di qualunque dimensione, come lo
sguardo umano non avrebbe mai potuto fare. A questo riguardo merita un richiamo il
fatto che le vedute “dal vero” si possono estendere a distanze diverse, ma comunque
sempre limitate dalle possibilità percettive degli occhi umani (in funzione del grado di
contrasto, dell’angolo di incidenza visiva, ecc.) e dalle caratteristiche ambientali
(portata ottica meteorologica, barriere visive, curvatura terrestre, ecc.).
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Gli avanzamenti tecnici compiuti nell’osservazione dell’ambiente vanno oggi
ridefinendo una nuova importanza alla funzione della cartografia catastale ex austriaca,
che fornisce una visione d’insieme di paesaggi, territori, aspetti geografici e topografici,
i quali permettono la ricostruzione della storia del territorio dell’arco alpino e dei sui
aspetti peculiari. Alcuni rimasti invariati per secoli (le proprietà collettive come pascoli,
malghe, selve, boschi, prativi, ecc.), alcuni evolutisi nel corso del tempo (il paesaggio
della viticoltura e della frutticoltura), altri scomparsi da tempo e di cui rimangono solo
vaghi e sparuti segni sul territorio (la gelsicoltura e la bachicoltura).
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1.2 – Lo studio dei catasti storici per la ricerca e la pianificazione
urbanistica
E’ poco nota a molti, e trascurata spesso anche da coloro che, ai fini di ricerche storiche
o più ancora ai fini della stesura di piani riguardanti la città o il territorio,
maggiormente se ne potrebbero giovare, la grande importanza dei catasti storici.
Non è molto tempo che le discipline storiche hanno attuato un sostanziale salto di
qualità con l’avvalersi non solo della documentazione letteraria da secoli specifica del
campo disciplinare, ma anche di altre tracce documentarie preziose perché “asettiche”,
nel senso di non essere dall’origine inficiate ne da personali interpretazioni, ne da fini
agiografici (come pressoché di norma i memoriali, le cronache, in breve i documenti di
storia già scritta come tale, ma di presentare la vivezza dei documenti non predestinati a
“fare storia” ma nati con altri fini, più pratici e contingenti: documenti dai quali risalta
la storia viva, la storia di una cultura antropica in contrapposizione e spesso in
contraddizione con la storia di parte riguardante avvenimenti e personaggi evidenti.
Insomma, la storia civile di un popolo e della sua area culturale.
Come già dai documenti che riguardano le transazioni mercantili o dagli atti notarili, o
dalle carte proprie del “quotidiano amministrativo” che si rinvengono negli atti
deliberativi comunali e signorili, così dai catasti storici si desume una viva
rappresentazione del territorio e della città, nell’aspetto raggiunto in una data esatta,
con la coerente configurazione della rete di percorrenze, del tessuto edilizio, della
distribuzione delle aree produttive distinte per tipo di cultura e di natura della proprietà;
soprattutto con l’annotazione di organismi insediativi e urbani globalmente
rappresentati in modo geometricamente coerente alla realtà.
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Ma, quel che più conta, in modo riconoscibile e riscontrabile alla comparazione con
l’analoga strutturazione attuale, anche questa rappresentata più che da ogni altro
documento nelle carte catastali di oggi.
Pare necessario sottolineare la globalità della rappresentazione catastale in
contrapposto con la sporadicità, o la casualità, o anche la meno continuativa e
sistematica conservazione archivistica degli altri documenti che servono a far storia: nel
senso che, ad esempio, un fondo notarile o mercantile può darci una mole di documenti
utili, che tuttavia dipendono dalle compravendite avvenute o dalle transazioni attuate, in
numero maggiore o minore, in epoche più o meno vicine, ma certamente documenti che
investono una quantità di strutture limitata, dandoci notizie solo di queste e non delle
altre coeve: il catasto è l’unico documento che ci può fornire, nella sua globalità, una
serie di dati sincronici su tutto il costruito, su tutto l’assetto fisico-strutturale esistente.
Parliamo, per i catasti storici, di documenti “asettici” nel senso che il loro fine
istituzionale è stato ben diverso che non una rappresentazione del territorio
intenzionalmente attuata per servire a noi, oggi, ai nostri studi ed alla nostra
pianificazione: i catasti, che fin dal tempo in cui erano solo descrittivi e non grafici,
mero elenco di possessori di proprietà, di estimi e imposte sono sempre serviti per una
ragionata e proporzionale distribuzione degli oneri fiscali a seconda della quantità e
qualità dei possessi immobiliari: in pratica, elencazione di proprietà, proprietari e tasse
dovute in connessione, all’interno di un’area amministrativa.
E già i catasti descrittivi sono una miniera di notizie, spesso di epoche remote: emerge
dalla nostra ricerca che il cosiddetto “Catasto Teresiano”, sollecita l’attenzione sul
primo momento in cui, accanto al catasto descrittivo pre-esistente da molti secoli, si
pone una rivoluzionaria versione del controllo dell’assetto fondiario: il catasto grafico
nel quale il tracciamento geometrico del mosaico delle proprietà immobiliari assume
una funzione di totale dominio della conoscenza di ciascuna particella fondiaria, al fine
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specifico di un’equa distribuzione della tassazione evitando la permanenza di proprietà
nascoste, di contribuenti evasori: seguitando poi a registrare a parte per ogni singola
particella, l’entità dimensionale, il valore determinato dalla diversità di fruizione, le
somme dovute all’erario, i singoli possidenti.
Con buon anticipo su tutte le altre regioni d’Italia l’amministrazione lombarda attua
sapientemente il catasto grafico a partire dal 1718: seguita solo ottant’anni dopo
dall’innovatrice amministrazione napoleonica del Regno d’Italia, con l’estensione dei
catasti a buona parte della pianura padana.
Nei primi decenni dell’Ottocento viene attuato il catasto Piano-Gregoriano per gli Stati
della Chiesa, e nel terzo decennio si giunge al Catasto Leopoldino che, con la massima
esattezza consentita dagli strumenti di rilevamento di allora, descrive lo stato
territoriale ed urbano del Granducato di Toscana.
Unica area purtoppo rimasta a livello di solo catasto descrittivo, tranne eccezioni per
poche città, il Regno delle Due Sicilie, ben noto per una scarsa oculatezza
amministrativa.
Così che, tranne il meridione, la Sicilia e il centro-meridione borbonico il territorio
italiano risulta graficamente e geograficamente rappresentato nei rapporti da 1:1000 a
1:2500, ossia in scale dalle quali si rileva con chiarezza ogni singola casa, ogni singolo
fondo, entro i primi quattro decenni del secolo XIX.
Eccezionale ancora più appare quindi il Catasto Lombardo che ci fornisce una
rappresentazione geometrica della nostra area già oltre un secolo prima.
Di per sè e nei limiti dei fini istituzionali, dunque, documento d’eccezione: così che può
dirsi insufficiente ogni studio riguardante la storia economica e sociale dell’area che
non ne tenga conto.
Ma anche documento prezioso in quanto, al di la della sua specifica qualità di essere
proiezione geometrica dello stato e della distribuzione della proprietà immobiliare, è
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anche in assoluto, per dirla con le parole del Caniggia, la prima rappresentazione
attendibile dell’assetto raggiunto dalla strutturazione antropica del territorio
lombardo, in data sufficientemente remota per mostrarcelo ancora vergine dai pesanti
interventi strutturali e infrastrutturali che soprattutto nel corso dell’ultimo secolo
hanno inciso profondamente sull’assetto organico allora consolidato.
La necessità storica a garanzia che la pianificazione sia fondata sulla continuità
processuale delle mutazioni delle strutturazioni antropiche; con ben altro rendimento
rispetto alla pianificazione degli ultimi decenni che non ha risparmiato al territorio e
alle città errori di previsione e di attuazione spesso abnormi, dovuti ad una sostanziale
astrattezza dei dati e di postulati derivanti dall’esclusivo esame del contingente.
Si vuole quindi dalla ricerca storica un’organicità di riferimenti strutturali di prospettiva
dilatata nel tempo, per garantirci sulle coerenze tra quello che è una strutturazione, e
quel che può ragionevolmente prevedersi in un “futuribile reale” mediante la
pianificazione.
Nella pratica i dati che sono desumibili dai catasti storici possono apportare:
1) la possibilità, attraverso la comparazione della loro successione cronologica, (per il
territorio comasco, ad esempio si dispone oltre al Teresiano del 1722, del Cessato
Catasto in aggiornamenti successivi, oltre che del Nuovo Catasto, oggetto di ulteriori
aggiornamenti dalla data del suo impianto (1936-’40) ad oggi). Dell’individuazione
esatta delle mutazioni riguardanti la struttura produttiva agricola, la struttura della
proprietà fondiaria, le espansioni e modificazioni dei nuclei urbani e insediativi, la
lettura della progressione dei sistemi viari e ferroviari, e più genericamente
infrastrutturali, inducenti le essenziali trasformazioni soprattutto nell’ultimo secolo, da
leggersi tuttavia in coesione con le permanenze strutturali antecedenti;
2) la possibilità d’individuare le fasi strutturali antecedenti alla data del primo dei
catasti storici, avvalendosi di questo come riferimento per la restituzione in forma
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geometricamente esatta e coerente delle carte, mappe, vedute prospettiche dei secoli
precedenti in modo da renderle leggibili e comparabili i dati;
3) infine, la possibilità di leggere e ricostruire le fasi antecedenti alle prime
rappresentazioni topografiche note, stabilendo un insieme di fondate ipotesi con
l’avvalersi del “sistema di segni” che ciascuna fase strutturale lascia come traccia nel
tessuto catastale del territorio e della città: certamente meglio rilevabile nei catasti
storici che non nel catasto attuale, ove spesso si mostra celata dalle successive
sovrapposizioni dovute all’epoca contemporanea.
Se si considera la mole di dati desumibili dai tre generi di operazioni sopradette, e si
compara con la povertà dei dati statistico-economici e sociologici ricavati, dai
censimenti degli ultimi decenni, si comprende bene l’indispensabilità della ricerca sui
catasti al fine di giudicare delle sorti degli organismi urbani e territoriali di oggi.
E’ ovvio che tra i problemi di una pianificazione così fondata, quello del recupero
organico dei centri storici non può non considerarsi preminentemente necessitante di
una accurata analisi storico catastale.
Sembra utile concludere accennando ai problemi che possono derivare da una affrettata
analisi dei catasti, e porre in guardia coloro che si vorranno servire di questi per il
futuro.
Intanto, nella comparazione tra catasti storici, occorre essere ben certi dell’omogeneità
dei criteri di rappresentazione.
I territori montani compaiono nel Catasto Teresiano come scarsamente suddivisi,
mentre nel Cessato Catasto è evidente un gran numero di suddivisioni spesso
estremamente minute.
In alcuni casi si tratta di risuddivisioni livellarie di territori precedentemente demaniali:
ma in molti altri ciò si deve ad una diversità di rappresentazione grafica, poiché il
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Catasto Teresiano lascia a livello descrittivo le suddivisioni delle aree a pascolo o a
bosco, non annotandone graficamente le confinazioni.
Altra cosa sulla quale porre attenzione è l’effettiva data della mappa storica della quale
si dispone.
Di norma i fogli catastali sono stati ricorretti, spesso senza mutarne la data.
Così che se è da ritenersi certa la data dell’impianto, occorre prestare attenzione alla
data della reale cessazione nell’uso di quel foglio, e della sua sostituzione con un
aggiornamento datato.
Ciò implica una maggior attenzione valutativa di quel che può la logica prettamente
antropica consistente nel disporre differenziatamene, ma nell’ambito di mutazioni
organiche, del proprio habitat e della propria eredità strutturale.
Certi che l’esame del Catasto Teresiano può ben darci la misura del consumo
parassitario del nostro territorio da allora avvenuto, ma anche del sistema di
permanenze, che devono investire gli architetti di un ruolo di pianificazione del
divenire organico del territorio.
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1.3 - Ipotesi per una lettura del catasto
E’ nostra intenzione evidenziare i limiti più che non le potenzialità del Catasto inteso
come strumento conoscitivo di un territorio.
Prima di essere un suo modello esemplificativo, il Catasto è uno strumento fiscale:
l’opera di rilevamento, i contenuti stessi che esprime, sono finalizzati al censimento
delle potenzialità economiche immobiliari.
Esula quindi dal suo interesse tutto quanto non sia direttamente misurabile e definibile
in termini economico-fiscali; sfugge tutto ciò che non può essere ricondotto nell’ambito
di questi limiti perché presenta caratteristiche di autonomia, particolarità individue,
come nel nostro caso, il confronto tra realtà di diversa natura : da un lato la terra che il
Catasto misura, dall’altro il lago di Como ed il corso del fiume Adda, considerando
l’acqua come elemento di disordine e disordinato, che con le sue correnti, l’erosione, le
esondazioni, modificando continuamente il paesaggio rivierasco, svuota di certezza
l’ordine geometrico delle mappe sempre imperfette alla misura.
Sembra anzi che esista un’incompatibilità tra il Catasto ed il fiume che bene è
evidenziata dall’incapacità grafica del Catasto Teresiano di descrivere l’alveo fluviale
con le due caratteristiche e i suoi attributi: la costa nettamente delineata, rivela
l’intenzione di usare dell’acqua come linea di confine o quella di indicare il limite tra
due elementi vicini ma materialmente divisi.
L’unica soluzione possibile è la moltiplicazione nel tempo delle misurazioni dei terreni
posti sul e nel fiume.
E una volta accertato il dato, la sua interpretazione si presenta dubbia, incerta, in
particolare laddove sul territorio il moltiplicarsi o il diminuire dell’indicazione di
particolari strutture o elementi esprimono l’evoluzione o l’involuzione di realtà socio-
economiche.
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Ad esempio la moltiplicazione del segno “casa” esprime l’urbanizzazione di una certa
area situazione questa generalmente legata a fenomeni economici.
Nelle periodiche revisioni dei terreni ai bordi di un lago o di un fiume, le variazioni
quantitative accertate indicano solo la maggiore o minore labilità di un terreno legata a
situazioni contingenti nel breve periodo (es. piogge eccezionali) oppure a modifiche
sostanziali del corso del fiume nel lungo periodo.
La situazione diviene più complessa se alle modifiche del suolo in dipendenza di
fenomeni naturali, si aggiungono gli interventi operati dall’uomo.
E’ opportuno citare il Rebuschini che nella sua Storia del lago di Como e
principalmente della parte superiore di esso detta Tre Pievi recita : L’Adda cambia
corso e mentre prima si immetteva nel lago di Mezzola, ora si scarica nel Lario e ciò
per lunghe e dirotte piogge nel Tirolo e nella Valtellina.
Non è il caso di ricordare qui tutta la problematica relativa all’interpretazione del
paesaggio umanizzato discussa dai geografi; è opportuno però evidenziare come la
modificazione attuata dall’intervento dell’uomo sul paesaggio del fiume in oggetto sia
stata lenta e sia iniziata già ab antiquo : a questo proposito sono d’estremo interesse le
osservazioni fatte dai Lodigiani quando, alla meta del secolo XVIII, si oppongono ad
un progetto d’intervento sul fiume proposto dalla città di Como.
Esso era teso ad aumentare il deflusso delle acqua dell’Adda al fine di ovviare ai danni
prodotti alla città da periodici allagamenti: sarebbe sterminio della provincia … e al di
più i terreni del Lodigiano, dovrebbero considerarsi tutti nella quota del carico come
asciuti e detrare dal censimento anche tutta quella quantità di terreno laterale al fiume
che resterebbe continuamente inondata.
La distanza che divide le due comunità non esclude che entrambe insistano sullo stesso
territorio e anzi nella gestione di questo verifichino interessi contrastanti o addirittura
antagonistici.
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Ma anche all’interno di una medesima comunità fluviale può verificarsi il caso per cui
economie diverse siano in concorrenza all’uso della stessa acqua.
Il mappale teresiano d’Imbersago, ad esempio riporta tratteggiata nell’alveo del fiume
l’indicazione di una guglia, che scompare poi nella rettifica del 1853.
Non è facile interpretare tale scomparsa, individuare se essa dipenda da una piena o se
invece indichi la fine di un’economia.
Verso quest’ultima ipotesi, però, ci spinge un’indagine che prende le mosse da quanto
nel 1676 viene risposto da Battista Longo, abitante e console di Brivio, al magistrato
che lo interroga circa il valore e la proprietà degli edifici di pesca nel lago omonimo:
“bisogna che Vostra Signoria faccia riflessione alli carichi che si portano sono infiniti,
perché il territorio di Brivio consiste in milleottocento in circa, compreso li boschi, li
paduli, li vidori e altro siamo cottizzati in quarantotto stara di sale e tre quarti, e
questo a contemplazione del lago perché il solo territorio non permetterebbe una cotta
così rilevante. Paghiamo poi cinquanta scudi all’anno al commissario che viene eletto
dal Tribunale di Provvisione, perché lasci pescare senza scrupoleggiare ne sopra de’
tempi ne sopra la qualità delle reti” .
A questo punto ci si puo’ domandare se un diverso approccio metodologico nell’uso dei
documenti catastali non possa fornire considerazioni piu’ interessanti.
Il catasto, alla stregua di ogni altro modello, e’ una rappresentazione semplificata della
realta’ con la quale si rapporta in corrispondenza biunivoca, in modo tale cioe’ che le
proprieta’ dell’uno riflettano quelle dell’altra.
Tale modello viene generalmente interrogato secondo una serie di codici binari: l’essere
o il non essere, il prima e il dopo i tanti e i pochi.
La risposta esprime la funzione della corrispondenza della mappa con il territorio.
Considerato solo e unicamente come il prodotto di una raffinata tecnica di rilevazione,
totalizzante di una realta’ complessa, il Catasto e’ sempre esaltato nella sua capacita’ di
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essere strumento articolato per l’indagine sulla struttura sociale, economica,
urbanistica.
Per quanto legittimo e necessario, tale uso puo’ forse apparire limitato se si consideri
che il Catasto non puo’ essere interrogato sottovalutando la fitta rete di segni che lo
caratterizzano.
Anche l’illustrazione, infatti, e’ considerata in funzione della corrispondenza del
modello con la realtà , una anticipazione grafica di quanto poi ci sara’ detto nella
tavola: il segno dell’albero ripetuto varie volte indica il bosco fitto, il segno di fitto
tratteggio equivale all’arativo e così via.
Esaurito agli occhi di chi guarda questa funzione simbolica di rappresentazione ( della
coltura, degli edifici, ecc..) il segno scade immediatamente a decorazione, a mero
ornamento della tavola.
Cio’ che piu’ raramente si considera e’ come all’interno di una stessa tavola, o di piu’
mappe dello stesso sistema catastale, l’intensita’ del segno varii, sottolineando
fortemente alcune aree, alleggerendosi o scomparendo in altre, secondo una scelta fatta
a priori e che necessariamente deve rappresentare una scala di valori.
Si considerino i fogli numero 4 e 9 della mappa Teresiana di Imbersago e quelli della
sua rettifica al 1853.
Dal confronto appare come la descrizione del medesimo territorio segua canoni
profondamente diversi.
Le parti destinate ad uso agricolo sono, nella prima, illustrate minuziosamente con
alberi, cespugli, viti, contrasti di colore secondo le diverse colture.
In opposizione a tanta ricchezza troviamo la strada genericamente delineata e gli edifici
che sono nella forma geometrica del rettangolo.
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Nella rettifica invece, sul fondo bianco dei campi di cui e’ delineato solo il confine,
risalta la coloritura ocra della strada ben definita nel contorno e precisata nella scritta
“strada provinciale per Bergamo” e risaltano gli edifici descritti minutamente.
Il segno grafico ne delinea ogni particolare evidenziandone la collocazione fra terra,
acqua e, in più, la descrizione degli argini, delle ruote, ne esprime la destinazione:
l’osservatore ad esempio evince quando si tratta di un mulino o di qualche altro edificio
ad uso industriale.
Pur non trascurando la considerazione che la rettifica del 1853 gia’ preannunci
l’astrazione descrittiva che sarà caratteristica dei Catasti successivi in cui la mappa
definirà le forme particellari e insediative secondo un progresso delle tecniche di
rappresentazione, cio’ non e’ sicuramente sufficiente a spiegare la simmetrica diversità
delle due tavole: dove nella Teresiana il tratto e’ dettagliato nella rettifica e’ nullo,
anodino e viceversa: rappresentazioni omologhe di segno contrario.
La cura del disegnatore in questo caso, e’ stata quella di focalizzare l’attenzione sul
corso d’acqua.
Senza possibilita’ di dubbio tutto il sistema di rappresentazione e’ modulato e asservito
alla funzione di navigare: carico di significato economico e quindi solo accuratamente
descritto e’ solo lo spazio delineato dall’acqua e cioe’ il fiume Adda.