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Nel lessico della lingua greca antica, epinikion rientra nel campo
semantico, molto ampio, dei termini attinenti alla vittoria. Accanto ad
esso, ci sono molti altri vocaboli riconducibili alla stessa radice, i più
comuni dei quali sono nikaion, nikema, niketerion, niketes, niketor,
nikephoron. Di questa famiglia lessicale, il termine epinikion appare,
di sicuro, come il più versatile, in quanto usato in ambiti differenti, e il
più ricco di sfumature semantiche.
Da questa considerazione iniziale ha preso l'avvio la mia ricerca,
tenendo conto anche della possibilità, che mi si presentava, di trovare
elementi eterogenei, su cui costruire una trattazione abbastanza
completa e variegata dell'argomento. Inoltre, ho potuto constatare che,
anche se raccolte e studi sugli Epinici, soprattutto letterari, si sono già
susseguiti numerosi nel tempo, nessuno di essi ha preso mai in esame,
insieme, tutti gli usi che si sono fatti del termine epinikion, nel corso
dell'antichità greca. Difatti, accanto alle numerose opere di studio e di
critica dei più conosciuti Epinici di Pindaro, posso ricordare soltanto
lo studio del Mie
1
, sull'Epinicio come dia panton, e quello del
Graindor
2
, sulle Epinicie, quali feste per la vittoria.
1F.Mie,Über dia panton und o epinikios in agonistischen Inschriften,in MDAI(A) 34 (1909),pp.1-
17
2 P. Graindor, Musée Belge XXVI (1922),pp.165-228.
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Nella prima fase del mio lavoro, ho cercato di compiere una raccolta
sistematica di quanto più materiale possibile di documentazione del
termine, non limitandomi ad un solo genere di fonti e ad un solo
periodo storico. Nella ricerca delle fonti, mi è sembrato opportuno
partire da quelle letterarie, per avere una visione iniziale, abbastanza
completa. Difatti, le fonti letterarie, per loro stessa natura, non sono
costrette entro i limiti angusti di una stele, e sono parte di un contesto
ben definibile. Essendo, in sostanza, la mia, una ricerca lessicale-
semantica, il punto di partenza sono stati i dizionari della lingua greca,
quali il Thesaurus Linguae Graecae e il Greek-English Lexicon di
Liddell-Scott-Jones, dai quali ho ricavato una prima suddivisione dei
diversi ambiti semantici, in cui veniva usato il termine epinikion. Dal
punto di vista cronologico, le testimonianze letterarie del termine
abbracciano, si può dire, tutti i secoli della grecità, con un uso
continuato del vocabolo, nelle due forme coesistenti di aggettivo e
sostantivo. Se ci soffermiamo a considerare la provenienza geografica
degli autori antichi, che hanno utilizzato questo termine e di cui ci
sono giunte le opere, possiamo parlare di una Koinè linguistica, al di
là dell'ovvia prevalenza di fonti attiche.
La seconda e la più importante fase della mia ricerca si è concentrata
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sulla documentazione epigrafica. Per le epigrafi, ho usato, come testi
di riferimento, il Corpus Inscriptionum Graecarum (CIG) e
Inscriptiones Graecae (IG). Per le regioni non incluse in questi
cataloghi, ho utilizzato raccolte parziali di iscrizioni, come Inschriften
griechischer Städte aus Kleinasien (IK), dove ho trovato materiale
molto prezioso per il mio lavoro. Poiché il termine epinikion ha,
evidentemente, un legame profondo col mondo dello sport e dei
concorsi, mi sono state utili anche raccolte epigrafiche tematiche,
come quella del Moretti, Iscrizioni Agonistiche Greche.
Accanto al materiale letterario e a quello epigrafico, alcune
testimonianze del termine epinikion sono emerse da materiale
numismatico. Fondamentale è stata la consultazione dei cataloghi di
monete più completi, come quello di Eckhel, il Catalogue of the
Greek Coins in the British Museum (BMC), la Sylloge Nummorum
Graecorum (SNG). Le testimonianze numismatiche prese in
considerazione si collocano in un periodo ristretto, tra il II e il III d.C.,
e provengono, come le epigrafi, per lo più, dall'Asia Minore.
Nonostante questi limiti, le testimonianze monetali del termine
epinikion hanno offerto elementi molto utili, senza i quali,
sicuramente, il quadro complessivo sarebbe risultato incompleto.
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Alla ricerca del materiale, ha fatto seguito una catalogazione precisa:
per tutti e tre i tipi di fonti, ho scelto di redigere schede complete di
bibliografia, testo, traduzione e commento, per poter rendere più
agevoli i confronti tra testimonianze di genere diverso.
Riesaminando tutto il materiale raccolto e le informazioni che da esse
emergono, ho cercato di articolare l'esposizione, in modo da darne una
visione chiara e lineare, aiutandomi, in ciò, anche con delle tabelle
riassuntive. Ho diviso le fonti, a seconda del significato di epinikion
che documentano; e ho trattato ognuna di queste sfumature
semantiche in un capitolo diverso.
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CAP. I: La gara e la Nike
per i Greci
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Il termine epinikion è strettamente legato alla sfera della gara, della
competizione e del successo, che ne può derivare. Esso è riferito sia
alle vittorie sportive, sia a quelle militari: due tipi di successo, per
alcuni aspetti, molto simili tra loro. Il nostro vocabolo è inserito,
sempre, nei contesti di festa, di gioia che seguono un successo
agonistico o una vittoriosa campagna militare. Quindi esso si collega,
con le sue numerose sfaccettature di significato, all'idea che gli antichi
Greci avevano della gara e della vittoria. Lo spirito di competizione è,
certamente, innato nell'uomo, se riflettiamo sulla lotta infinita che egli
ha dovuto sostenere contro le forze della natura e contro i suoi simili,
per la propria sopravvivenza. Ha dovuto, sempre, sfidare l'avversario
con tutta la forza che aveva in sé, per non soccombere. Questo
bisogno e necessità di gareggiare si è conservato nel tempo ed è giunto
fino a noi. Di certo sono mutate le circostanze, i mezzi e gli scopi, ma
la sfida e il desiderio di primeggiare sono rimasti immutati.
I passaggi, fondamentali, dalla concezione della gara come lotta per la
sopravvivenza, a quella della competizione, vista come gioco e
divertimento, e poi, come sport fine a se stesso, sono propri del mondo
greco antico. E' noto che l'attività fisica è stata sempre una
componente importante della vita dei Greci, come mostra, anche, il
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culto della prestanza fisica, espresso solennemente nelle grandi opere
della scultura greca classica. Ma, diversamente, da quello che accade
oggi, l'atletismo greco svolgeva un ruolo di primo piano, e presentava
sfumature di carattere religioso, sociale ed economico.
Già, in Omero, nell'Iliade, abbiamo in nuce il programma dei grandi
giochi dei secoli successivi, anche se, in quel tempo così remoto,
l'ambito in cui si celebravano i giochi era quello prettamente funerario
e aristocratico-guerriero.
Successivamente, i Greci organizzarono grandiosi concorsi sportivi,
come i giochi olimpici, che coinvolgevano tutto il popolo e
rafforzavano il senso di appartenenza ad un'unica realtà etnica. In esso
l'elemento guerresco si conservò a lungo, visto che, per esempio, le
corse a piedi potevano essere assunte come criterio di selezione per il
servizio di leva
1
.
I grandi giochi, come quelli panellenici, erano sempre legati al culto di
una divinità e rientravano in un'atmosfera prettamente religiosa. Le
Olimpie e le Nemee erano sotto la protezione di Zeus; le Pitiche di
Apollo; le Istmiche di Poseidone. Si compivano sacrifici per essi,
1H.W.Pleket, Per una sociologia dello sport antico, in P.Angeli Bernardini (a cura di), Lo sport in
Grecia, Roma- Bari 1988, pp.35-seg.
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prima delle gare e, alla fine di esse, nei templi, i vincitori ricevevano i
premi, i niketeria, che poi dedicavano agli stessi dei. Questo legame
della gara greca, di qualsiasi tipo essa sia, con la religione, è
spiegabile sia con l'idea antropomorfica che i Greci avevano degli dei,
che li portava a pensare che essi provassero piacere per le stesse cose
che facevano gioire gli uomini, come la musica, le rappresentazioni
teatrali o lo sport; sia con la concezione religiosa della vittoria
2
. Per
quanto riguarda questo secondo aspetto, se ci soffermiamo a
considerare gli onori, attribuiti, nella Grecia antica, ad un vincitore in
un concorso, notiamo che egli era visto quasi come un dio sulla terra.
Gli si erigevano statue, gli si conferivano cittadinanze, lo si premiava
con denaro e con la gloria e la fama, che si diffondevano in tutto il
mondo greco, e che si sono conservate per millenni nelle iscrizioni
onorarie su pietra. Quest'esaltazione smisurata del vincitore derivava
dal fatto che si attribuiva il suo trionfo ad un intervento divino, a volte
della stessa dea Nike. Addirittura, si riteneva che fosse il dio stesso ad
incarnarsi nel vincitore e a riempirlo della sua energia. Quest'idea
passerà dal mondo greco al mondo romano, se alcuni imperatori si
faranno adorare, in quanto incarnazione di dei. La Nike, presente
2A.Piganiol, Recherches sur les jeux romains, Strasburgo 1923, pp.116-seg.
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anche nell'iconografia funeraria, è, nello stesso tempo, dea della
vittoria e dea della morte: quasi ad affermare che in qualsiasi
competizione o gara, in gioco c'è sempre, comunque, la vita, il
prevalere sui propri simili; e, quindi, la vittoria è, anche, e soprattutto,
sconfitta della morte. Anche la corona, simbolo del trionfo in gara o in
guerra, è molto frequente nell'iconografia funeraria. Anche nei
concorsi drammatici, il poeta era visto come un invasato, e il dio
parlava per lui, durante i concorsi drammatici. L'elemento religioso fu
determinante per lo sviluppo di questi concorsi, ma la vera fonte dei
giochi antichi era lo sport
3
. Per i Greci, lo sport, praticato nei ginnasi,
era considerato come momento fondamentale dell'educazione e dello
sviluppo dei giovani. L'attività fisica era vista non solo come
allenamento del corpo, ma anche dello spirito dei giovani. Da essa
derivava, quindi, la perfetta formazione anche del carattere
dell'individuo.
Se consideriamo il mondo romano, l'atletica era vista soprattutto come
un esercizio militare. D'altronde, quello spirito di competizione che i
Greci esprimevano soprattutto nello sport, i Romani lo manifestarono
3H.Harris, Sport in Greece and Rome, Londra 1972, p.16-seg.; R.Patrucco, Lo sport nella Grecia
antica, Firenze 1972; B.Bilinski, Agoni ginnici, Varsavia 1979; P.Angeli Bernardini (a cura
di), Lo sport in Grecia, Bari 1988; W.Decker, Sport in der griechischen Antike, Monaco 1995.
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nel loro smodato e infinito desiderio di sopraffazione militare. Per
questo, anche il generale trionfatore, con l'acclamazione dei soldati,
vede riconosciuto il suo carattere divino di capo, che spesso diventa
ereditario per la sua famiglia. La vittoria è un'occasione per la divinità
di manifestarsi e la vera ricompensa del vincitore è l'identificazione
della sua persona con la divinità. Ritroviamo il nostro termine
epinikion, nel periodo del dominio romano sul mondo greco, nei
contesti che esaltano gli imperatori vittoriosi nelle campagne militari,
vittorie celebrate con feste solenni e costose soprattutto dalle città
dell'Asia.
Per tutti questi motivi, che bisogna tenere in considerazione nello
stesso modo, la vittoria di un atleta, o di un musicista, in un concorso,
alla pari del successo ottenuto dal generale in battaglia, non era un
evento di poca importanza. Con essa, un semplice uomo diviene un
uomo eccezionale. Egli diviene un eroe di forza fisica e di grandezza
morale. In quest'atmosfera di celebrazione, di esaltazione, che è
comune sia al mondo greco che a quello romano, lì in ambito
prettamente agonistico, qui in quello militare, nel clima di
festeggiamenti che seguiva una vittoria importante, ritroviamo il
termine epinikion.
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CAP. II: epinikion come
canto
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GLI EPINICI DI PINDARO
17
Una ricerca sul termine epinikion non può non iniziare dall'uso e dal
significato del termine più conosciuto, ossia dal componimento che
serviva a celebrare la vittoria di un atleta. Tanti erano gli onori che un
vincitore dei concorsi greci più importanti riceveva al suo ritorno in
patria: grandi festeggiamenti, iscrizioni onorarie, statue
commemorative, assistenza economica a vita, e altro, tutto a spese
della propria città. Gli epinici rientrano nella celebrazione della
vittoria che si svolgeva nella città del vincitore. Egli vi veniva accolto
come un trionfatore; per lui venivano organizzati processioni, feste e
banchetti solenni, che potevano durare nel tempo. Il poeta, che aveva
ricevuto l'incarico di comporre un canto di vittoria, istruiva un coro o
un singolo cantore per celebrare il vincitore con inni, al suono del
flauto o della cetra. La performance poteva essere condotta di persona
dal poeta oppure lasciata nelle mani del corego locale. Invece che in
patria, a volte, questi inni di vittoria potevano anche essere cantati dal
coro, la sera stessa della vittoria, quando il vincitore compiva i
sacrifici agli dei o agli eroi, a cui aveva offerto la propria vittoria. In
origine, quando un atleta aveva ottenuto il premio, gli amici
intonavano, per lui, l'inno di Archiloco ad Eracle, quello che
cominciava con queste parole di incitamento e di gioia:
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TÆnella kall¤nike xa›re ênaj ÑHrãkleiw, “Evviva te vincitore,
salute a te, Eracle signore!”
1
. Con il primo compositore di epinici,
Simonide di Ceo, nel VI a.C, cominciarono i canti indirizzati proprio
al vincitore, ma che conservavano la digressione a Eracle e ai
Dioscuri
2
. Con Pindaro, nel V a.C., questo genere letterario arriva alla
perfezione, proprio in coincidenza con la nuova organizzazione degli
agoni sportivi. Le sue composizioni sono sostenute da una forma
stilistica perfetta, dall'espressione di idee e di sentimenti tramite delle
immagini insuperate e da una solennità tale, che risulta inevitabile,
quando si parla di epinici, parlare di Pindaro. L'occasione e
l'argomento di questi canti derivava dalla vittoria conseguita dall'atleta
in uno dei grandi giochi panellenici. Difatti, gli epinici di Pindaro si
suddividono in Olimpici, Pitici, Istmici e Nemei. I canti di vittoria
erano chiamati con vari termini, tra cui:
§pin¤kia, §pik≈mia, §pik≈miow Ïmnow, oppure §gk≈miow teymÒw
3
.
Pindaro chiama gli inni per il vincitore anche
stefãnvn §gk≈mion teymÒn
4
.
1Arch., Framm.120 D.
2Schol. Pind., Nem. IV,60.
3J.H.Krause, Olympia, Vienna 1838, p.181, nota 11.
4Pind., Olimp. XII,28.