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Ho considerato i fattori individuali (il genere sessuale, le caratteristiche di personalità,
l’orientamento sessuale), familiari (famiglie disgregate, genitori abusanti o affetti da disturbi
psichiatrici, precedenti di suicidio nella famiglia), gli eventi stressanti o paranormativi (lutti,
separazioni, trasferimenti, abusi, incidenti) e i problemi di comorbilità psichiatrica (soprattutto
con i disturbi della condotta alimentare).
Nel terzo capitolo ho passato in rassegna la letteratura psicodinamica concentrando la mia
ricerca su autori che hanno studiato ed affrontato le dinamiche adolescenziali e il problema
del tentato suicidio. In particolare gli autori che ho trattato sono:
François Ladame, direttore dell’Unité de Psychiatrie de l’adolescent di Ginevra, un servizio
ambulatoriale nato nel 1973 che accoglie anche ragazzi sopravvissuti a tentativi di suicidio.
Philippe Jeammet, direttore del Servizio di Psichiatria dell’Ospedale Internazionale
dell’Università di Parigi e responsabile di un servizio per l’adolescenza.
Xavier Pommereau, direttore dell’Unitè mèdico-psychologique de l’adolescent e du jeune
adulte (UMPAJA), struttura creata nel 1992 presso il Centro Abadie della Clinica
Universitaria di Bordeaux specificatamente rivolta al trattamento dei giovani che hanno
tentato il suicidio.
Eglè e Moses Laufer, direttori del Brent Center di Londra, un centro di ricerche sul crollo
psichico negli adolescenti, dove vengono accolti molto spesso ragazzi con idee suicide o che
hanno tentato il suicidio.
Gustavo Pietropolli Charmet, direttore del Crisis Center di Milano, un centro di crisi rivolto
ad adolescenti reduci da tentativi di suicidio.
Il quarto capitolo della mia tesi è dedicato alla presentazione e all’analisi dei possibili
strumenti di prevenzione al tentato suicidio in adolescenza (interventi di formazione per il
personale scolastico, programmi di formazione per figure sociali, interventi di informazione di
base sul suicidio indirizzati agli studenti, programmi di screening, programmi per sviluppare
"il sostegno" tra coetanei , Centri di Crisi e Hotlines, strategie per limitare l'accesso a
strumenti usati a scopo suicidari, interventi post-suicidio) e il quinto si concentra
sull’esperienza di Pietropolli Charmet all’interno della struttura del Crisis Center.
Mi è sembrato importante approfondire la trattazione di un centro di crisi italiano, per avere
un esempio degli strumenti di prevenzione e intervento al tentato suicidio nel nostro paese e
per studiare l’approccio teorico e i metodi di trattamento utilizzati da Pietropolli Charmet, che
ho trovato molto concreti, appassionati ed efficaci.
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CAPITOLO 1
INQUADRAMENTO TEORICO
“Crescere è per natura un atto aggressivo”
Winnicott D.W.
1.1 Psicopatologia dello sviluppo
La classificazione dei disturbi psichici nelle diverse fasi dell’età adulta ha raggiunto risultati
soddisfacenti negli ultimi anni (come dimostrano gli importanti sistemi diagnostici DSM-IV e
ICD-10), mentre per quanto riguarda l’infanzia, in particolare i primi tre anni di vita, la
definizione dei disturbi è più problematica.
Innanzi tutto ci si deve chiedere se si può parlare di psicopatologia individuale nell’infanzia o
se è meglio inquadrare tale patologia come un disturbo della relazione con i genitori o con le
figure d’accudimento. In secondo luogo è molto difficile cercare di definire la psicopatologia
nel periodo preverbale, poiché il bambino non è ancora capace di esprimere e comunicare le
proprie difficoltà e ansie personali. La fonte privilegiata per riconoscere l’insorgenza e la
persistenza delle difficoltà psicopatologiche in questa fase di vita è l’osservazione del
comportamento infantile insieme alle informazioni che possono essere fornite dai genitori e
dagli adulti più vicini al bambino.
Almeno fino agli anni Settanta i contributi di maggior interesse in questo settore sono scaturiti
dalla psicoanalisi. E’ Freud a proporre per primo una teoria dello sviluppo, del funzionamento
psichico e della psicopatologia. Secondo la sua prospettiva pulsionale, la psicopatologia è
provocata da due processi che comportano l’arresto dello sviluppo psicosessuale. Il primo
processo è la fissazione che provoca un blocco nello sviluppo pulsionale, per cui la libido non
raggiunge il primato genitale (il livello più maturo) e rimane legata a modalità parziali e
immature di soddisfazione. Il secondo processo è la regressione, il passaggio a piani
d’espressione e di comportamento di livello inferiore dal punto di vista della complessità della
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strutturazione e della differenziazione. Questo modello psicopatologico è molto lineare: lo
sviluppo normale avviene secondo una progressione sancita dall’acquisizione di nuove fasi
dello sviluppo pulsionale, nel caso della psicopatologia si verifica un’alterazione del substrato
biologico delle pulsioni per cui si determina un blocco e una regressione pulsionale.
Per quanto riguarda la classificazione psicopatologica, Freud differenzia tra le nevrosi attuali
(legate a disfunzioni nell’abituale vita sessuale con un conseguente blocco) e le psiconevrosi o
“nevrosi da difesa” (causate da un conflitto legato a un’incompatibilità di idee e al
conseguente fallimento della scarica dell’affetto). Inoltre Freud introduce il concetto di
meccanismi di difesa (in particolare rimozione, sublimazione e formazione reattiva), processi
capaci di attivare le forze psichiche portandole a reprimere le pulsioni. Nei contributi
successivi l’autore inserisce nelle nevrosi la nevrosi ansiosa e la nevrastenia.
Secondo Freud la differenza tra la nevrosi e la psicosi è nella relazione tra l’Io, l’Es e la realtà:
nella nevrosi l’Io risponde alle richieste della realtà rinnegando i bisogni dell’Es attraverso il
meccanismo della rimozione. Nella psicosi l’Io rinnega la realtà lasciandosi dirigere dall’Es
attraverso la negazione, una difesa contro le percezioni, diretta verso l’esterno. Centrale è il
ruolo dell’angoscia nella nevrosi, considerata da Freud il prodotto di un ingorgo libidico
generato dalla mancata possibilità di scarica pulsionale.
Il pensiero dell’autore ha fortemente influenzato quello di molti altri dopo di lui; un esempio è
l’importanza delle teorie freudiane nei lavori della psicoanalista austriaca Melanie Klein, nota
per i suoi studi pionieristici nel campo della psicoanalisi infantile: nei suoi primi scritti,
infatti, l’autrice descrive bambini in analisi che presentano nevrosi ossessive e fobiche, in cui
le angosce precoci invadono la mente. Mentre per Freud il punto di fissazione delle nevrosi è
da collocarsi nel periodo fallico, secondo la Klein esso si forma più precocemente, nei primi
anni di vita, nel periodo pregenitale.
Nel periodo successivo, il pensiero della Klein è caratterizzato dal superamento del concetto
di fase in favore di quello di posizione, schizoparanoide e depressiva. Ogni posizione
rappresenta un assetto e un’organizzazione mentale caratterizzata da diverse modalità di
relazione con l’oggetto a livello di fantasia e di realtà, dalla qualità delle angosce (paranoiche
e depressive) e da specifici meccanismi di difesa. Questa nuova prospettiva riduce di molto il
valore della nevrosi rendendola secondaria ai nuclei psicotici sottostanti e riconducendo lo
sviluppo infantile ad un’esperienza fortemente contrassegnata da dinamiche e angosce
psicotiche.
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Una concettualizzazione allo stesso tempo importante e problematica nelle teorie della Klein è
l’invidia primaria: già presente, secondo l’autrice, sin dalla nascita, legata all’istinto di morte,
in particolare nella genesi della psicopatologia. Molte critiche sono state mosse all’enfasi
posta dalla Klein sul ruolo dell’invidia primaria: è il sentimento centrale nelle forme
psicopatologiche in cui è in primo piano l’ostilità, ma è più problematico considerare la
presenza dell’invidia nelle prime fasi dello sviluppo; è infatti un affetto complesso, che
richiede maturità poiché è legata al riconoscimento di un oggetto diverso da sé, di cui ci si
vuole appropriare con ostilità fino alla distruzione dell’oggetto stesso.
Un altro importante contributo alla psicopatologia evolutiva ci viene da Margaret Mahler,
psicoanalista e psicoterapeuta della psicologia dell’Io: i suoi primi studi si indirizzano in
particolar modo alle psicosi infantili. L’autrice distingue tra psicosi autistica e psicosi
simbiotica utilizzando l’approccio psicoanalitico. Le osservazioni cliniche portano la Mahler a
tracciare le fasi iniziali dello sviluppo infantile identificando una fase autistica, corrispondente
ai primi 3-4 mesi di vita, e una successiva fase simbiotica che si colloca tra il 3° e il 6° mese.
Proprio in queste fasi si creano i punti di fissazione che danno luogo alle psicosi infantili:
nell’autismo infantile si stabilizza e accentua il guscio autistico tipico dei primi mesi, che
difende il bambino dal mondo esterno; nel caso della psicosi simbiotica è invece mantenuta
l’indifferenziazione tra il bambino e la madre, normale durante la fase simbiotica (M. Mahler,
1968).
Le osservazioni dirette dei bambini portano la Mahler a studiare il processo di separazione-
individuazione, che inizia dal quinto mese con la sottofase della differenziazione, quando il
lattante comincia ad emergere dallo stato simbiotico che lo unisce alla madre. A questa
sottofase segue la sperimentazione, durante la quale il bambino mette alla prova le nuove
acquisizioni psicomotorie (la posizione eretta e la deambulazione). Le sottofasi del
riavvicinamento e del consolidamento vedono le capacità relazionali del bambino ampliarsi,
mentre affronta il distacco dalla figura materna verso cui manifesta una forte ambivalenza: ne
ricerca da una parte la rassicurazione, ne rifiuta dall’altra la dipendenza (M. Mahler, 1978).
L’impostazione della Mahler ha avuto fortuna negli Stati Uniti fino ai primi anni Ottanta,
quando alcune delle sue concettualizzazioni sono state fortemente criticate dagli esponenti
dell’Infant Research.
L’Infant Research, la ricerca nel campo dello sviluppo infantile orientata da quesiti clinici, ha
permesso di chiarire i processi evolutivi del bambino e, specificatamente, di identificare le
forze motivazionali che indirizzano lo sviluppo e organizzano le tendenze alla base di pattern
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stabili. La ricerca evolutiva sottolinea che la spinta a creare e a mantenere relazioni è centrale
nell’uomo, e come tale organizza l’esperienza psicologica.
Stern nel 1985 elabora una teoria secondo cui il cervello umano è programmato per
sintonizzarsi con la realtà intorno a lui e che il bambino è in grado sin da piccolo di costruire
modelli mentali relativamente a se stesso e al mondo con cui è in rapporto e, allo stesso
tempo, di sperimentare uno stato di disagio quando si verifica una discordanza tra la realtà e i
propri modelli mentali.
In questo ambito il legame d’attaccamento che il bambino stabilisce con i suoi caregiver
assume un’importanza fondamentale perché gli consente di regolare le relazioni con le figure
significative in modo adattivo, arricchendo e modificando, attraverso lo scambio di affetti ed
intenzioni, i modelli rappresentazionali del bambino.
Bleiberg ipotizza che si possano sviluppare disturbi della personalità sin dai primi anni di vita,
caratterizzati proprio da pattern distorti nell’organizzazione dell’esperienza personale, nei
meccanismi adattivi e nell’area della relazionalità (Bleiberg, 1994).
A queste concettualizzazioni va aggiunto il contributo della Developmental Psychopathology
(psicopatologia evolutiva) che insiste sull’importanza di studiare la psicopatologia in
relazione ai cambiamenti più significativi che avvengono nel corso del ciclo vitale
(Achenbach, 1990).
La teoria di Freud ha avuto certamente un ruolo decisivo nell’evidenziare l’inter-relazione tra
il funzionamento normale e quello patologico ma nella prospettiva evolutiva i contributi più
significativi sono stati quelli di Bowlby che ha messo in risalto l’importanza della
deprivazione materna e delle relazioni madre figlio a rischio durante l’infanzia nell’insorgere
della psicopatologia (Sroufe, 1986). Alla luce di queste teorie è chiara l’importanza di inserire
le sindromi comportamentali e psicologiche dell’infanzia nell’ambito delle dinamiche delle
relazioni familiari.
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1.2 Psicopatologia dell’adolescenza
La psicopatologia dell’adolescenza, un’area specialistica della psicopatologia dello sviluppo,
è, come quella evolutiva, un campo vasto e ricco di contributi, teorie e interpretazioni
differenti. L’adolescenza è una fase del ciclo vitale affascinante, sicuramente tra le più
complesse, piena di caratteristiche uniche e sconvolgenti: è l’età del passaggio, del
cambiamento, come implica la stessa etimologia della parola, adolescere, che significa
crescere.
Numerosi sono dunque i modelli che si occupano dell’adolescenza; è importante ricordare il
modello fisiologico, che evidenzia le basi fisiologiche delle trasformazioni dell’adolescenza, e
quello sociologico, che studia l’adolescenza da un duplice punto di vista, come periodo di
inserimento nella vita sociale adulta e come gruppo sociale con delle caratteristiche
socioculturali particolari.
Il modello su cui voglio concentrarmi maggiormente è quello psicoanalitico, che
tradizionalmente sottolinea l’importanza della pubertà, del ruolo svolto dall’accesso alla
sessualità e della riorganizzazione delle pulsioni parziali sotto il primato genitale come
compiti adattivi per questa fase evolutiva.
Inoltre l’adolescente deve allontanarsi dai propri genitori, la cui presenza riattiva i conflitti
edipici e la minaccia di un incesto che ora è realizzabile: egli arriva a rifiutare le
identificazioni di base dell’infanzia, le proprie immagini parentali. La scoperta di
un’identificazione da adulto, tuttavia, può avvenire solo se l’adolescente è inserito nella
propria discendenza familiare; da ciò deriva la ricerca disperata di un’immagine di sé nelle
radici culturali, nel gruppo sociale e nei ricordi familiari. Alla base di tutta l’adolescenza c’è
dunque un assassinio delle immagini parentali, condensato fantasmatico dell’aggressività
legata alla crescita (D. Marcelli, A. Bracconier, 2003).
Messo di fronte a questo paradosso l’adolescente deve sperimentare i propri conflitti, prima di
trovare una soluzione, e i mezzi di difesa di cui dispone (sia che egli ne utilizzi di già noti,
ritornando ai processi difensivi del periodo edipico, sia che ne scopra di nuovi, specifici
dell’adolescenza) hanno lo scopo di rendere sopportabile l’angoscia e la depressione sottesa
ad essi.
Tra i meccanismi difensivi ce ne sono tre di particolare rilevanza durante l’adolescenza:
l’intellettualizzazione, la scissione e la messa in atto. L’intellettualizzazione, secondo Anna
Freud, è una difesa dell’Io volta ad un migliore controllo delle pulsioni al livello del pensiero:
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è il caso degli adolescenti che passano ore interminabili in discussioni e ricostruzioni del
mondo, o che aderiscono in modo totale a teorie politiche o filosofiche. L’autrice pone
accanto all’intellettualizzazione l’ascetismo, come meccanismo di difesa dell’Io utilizzato per
controllare le pulsioni al livello del corpo (A. Freud, 1958).
La scissione rappresenta la ricomparsa in adolescenza di meccanismi arcaici spesso
abbandonati nel corso del conflitto edipico, in favore di meccanismi di difesa più adatti, come
l’inibizione e la rimozione: l’adolescente usa la scissione per proteggersi dal conflitto
d’ambivalenza centrato sul legame con le sue immagini parentali. La messa in atto è una
difesa molto importante, caratteristica della fase adolescenziale, che raggiunge il suo livello
massimo nel quadro della psicopatia. Il passaggio all’atto protegge l’adolescente
dall’interiorizzazione del conflitto e della sofferenza psichica, ma ostacola qualsiasi
possibilità di progressiva maturazione, al punto tale che la ripetizione incessante di tale messa
in atto rimane spesso l’unica via d’uscita (D. Marcelli, A. Bracconier, 2003).
L’inizio della pubertà è segnato da preoccupazioni e cambiamenti profondi e significativi per
l’adolescente, come la scoperta dell’eccitazione sessuale e le problematiche incentrate sul
corpo. C’è un’esplosione libidica, un’eruzione pulsionale genitale e un movimento di
regressione verso le pulsioni pregenitali: l’improvvisa comparsa di energia non legata, libera,
spinge l’individuo alla ricerca di una scarica della tensione. A questi cambiamenti economici
si associano anche dei cambiamenti nella prospettiva dinamica: il conflitto interno vissuto
dall’adolescente non è una replica del conflitto edipico ma un vero e proprio riproporsi di
tematiche più arcaiche, come il conflitto tra l’Io ideale riattualizzato e l’Io destabilizzato. Il
rapporto tra l’urgenza del desiderio sessuale e la vicinanza della possibilità di realizzazione è
fonte di profonda e intensa angoscia per l’adolescente.
Con la pubertà si manifestano anche mutamenti fisiologici che comportano imponenti
ripercussioni psicologiche. Di recente l’insistenza sulle trasformazioni fisiche della pubertà ha
portato a descrivere un vero e proprio processo psichico puberale, caratterizzato da diversi
elementi: la pressione del vissuto puberale originale (la pressione della pulsione che trova la
sua meta attraverso il nuovo oggetto genitale), l’orrore per la tematica incestuosa, la messa
alla prova del Super-Io di fronte alla possibilità edipica, la ricerca del Super-Io di nuovi
appoggi perché si rompe l’alleanza fra l’Io e il Super-Io stabilite nel periodo di latenza; in
conseguenza a questi fattori l’esame di realtà vacilla e va a costituire la caratteristica centrale
di questa organizzazione puberale (Ph. Gutton, 1991; D. Marcelli, A. Bracconier, 2003).
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Un importante movimento intrapsichico si aggiunge ai cambiamenti fisiologici e pulsionali
della pubertà: il lutto, legato all’esperienza di separazione dalle figure autorevoli dell’infanzia
e al cambiamento nelle modalità di relazione. Il lavoro dell’adolescente, come quello legato
all’elaborazione del lutto, consiste dunque in una perdita dell’oggetto, nel senso psicoanalitico
del termine. Questa perdita degli oggetti infantili è prima di tutto perdita dell’oggetto
primario, che porta a paragonare l’adolescenza alla prima infanzia (riprendendo la Mahler si
parla di seconda fase del processo di separazione-individuazione), e in secondo luogo è
perdita dell’oggetto edipico investito d’amore, d’odio, d’ambivalenza; l’adolescente è spinto a
conquistare la propria indipendenza, liberandosi dall’ascendente che i genitori hanno su di lui,
e a liquidare la situazione edipica.
All’individuo, in questa fase del ciclo vitale, spetta anche un difficile e lungo lavoro che lo
porterà allo sviluppo e alla stabilizzazione del narcisismo adulto: egli deve scegliere nuovi
oggetti ma anche scegliere se stesso come oggetto d’interesse, di rispetto e di stima. Il modo
in cui certi adolescenti aggrediscono il proprio corpo è un segno, fra altri, delle loro difficoltà
narcisistiche. Kestemberg (1962) nota che gli adolescenti in questo periodo sono alla ricerca
di un Ideale dell’Io, di un’immagine soddisfacente di se stessi, che sia capace di fornire loro
un sostegno narcisistico. M. Laufer (1980) ha affrontato in profondità il tema del ruolo
dell’Ideale dell’Io in adolescenza teorizzando che compare contemporaneamente al Super-Io
con il declino del conflitto edipico.
L’autore ipotizza che l’Ideale dell’Io derivi da tre fonti principali: l’idealizzazione dei genitori
da parte del figlio, l’idealizzazione del bambino da parte dei genitori e l’idealizzazione di sé
del bambino; quanto alla funzione essenziale dell’Ideale dell’Io Laufer la identifica nel
compito di preservare l’equilibrio narcisistico. Al fine di ritrovare tale equilibrio,
temporaneamente perduto in adolescenza, a causa della messa in discussione delle
gratificazioni e delle risorse narcisistiche del bambino, l’Ideale dell’Io dovrà assumersi tre
compiti: aiutare a modificare le relazioni interne con gli oggetti primari, aiutare a controllare
la regressione dell’Io e favorire l’adattamento sociale.
L’adolescente si trova dunque a dover cercare continuamente un equilibrio e una propria
identità in un periodo in cui c’è un rigetto per le identificazioni precedenti e un desiderio di
oggetti nuovi d’identificazione (E. Kestemberg 1962). Più il sentimento d’identità sarà stabile
e sicuro meno l’antagonismo tra bisogno oggettuale e integrità narcisistica si farà sentire: in
questo caso il bisogno d’oggetto dell’adolescente non minaccerà le sue basi narcisistiche.