La metafora dello spazio e del tempo
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aristotelica, si può parlare in molti modi: per un filosofo analitico interrogarsi
sulla natura del tempo significherebbe essenzialmente interrogarsi sulla QDWXUDGHO
OLQJXDJJLRWHPSRUDOH mentre nell’ambito della scienza empirica si partirebbe da
una nozione di tempo apparentemente unitaria, per poi approdare ad una
frammentazione del concetto in tanti “tempi” quanti sono le scienze naturali e
sociali, da quello della fisica a quello della biologia, dal tempo della psicologia a
quello della storia e della sociologia, fino ad arrivare a quello della finzione
letteraria. Partiamo, come andrebbe fatto, dall’inizio. Dal Dizionario della lingua
italiana il tempo viene definito come la “ successione continua di istanti in cui si
svolgono gli eventi e le variazioni delle cose” (Dizionario Italiano, Garzanti,
2000), evidenziando la relatività del fenomeno e costringendoci tra due modalità
diverse e conflittuali di rappresentare il tempo: da un lato un tempo “interno”,
caratteristico di ciascun essere umano, ma strettamente individuale e
quantitativamente non paragonabile con quello degli altri, dall’altro un tempo
“esterno”, scandito dagli orologi e definito dalla fisica come una successione di
istanti tutti uguali, indipendente dalla percezione umana e legato, tuttavia, alla
presenza di masse gravitazionali o alle relative velocità di movimento degli
osservatori, in ogni caso trascurabili nell’esperienza quotidiana. Si parla quindi di
un tempo “soggettivo” e di uno “oggettivo”,oppure, definendoli meglio, di un
tempo “ psicologico” e di uno “fisico”, nell’ambito dei quali separando le
proprietà statiche da quelle dinamiche si può sostenere che solo gli eventi mentali,
e non quelli fisici, sono esemplificativi delle proprietà dinamiche dell’essere
passato, presente e futuro, e che gli eventi fisici e quelli mentali condividono il
loro ordine temporale perché sono causalmente connessi. Questo dato ordine
temporale viene smentito dalla fisica, in quanto Einstein condannò l’ostinazione a
voler distinguere tra passato e futuro nell’ambito di tale scienza, basandosi sul
fatto che le sue leggi non contemplavano l’irreversibilità dei processi fisici.
Nonostante questo, una direzione privilegiata del tempo dal passato a futuro
comunque esiste, almeno nella nostra percezione, come descriveremo in seguito, e
questa idea è strettamente connessa con il concetto di evoluzione e dei primi studi
della termodinamica: il termine “freccia del tempo” fu infatti coniato da
A.S.Eddington nel contesto dei suoi studi di termodinamica, in considerazione
La metafora dello spazio e del tempo
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dell’aumento di entropia dei sistemi ordinati e del conseguente aumento nel tempo
del loro disordine,ed è inevitabile accostare il concetto della direzionalità del
tempo con quei vettori del movimento, di cui in seguito tratteremo. La freccia del
tempo distingue il passato dal futuro, dando al tempo una direzione ben precisa, e
nell’ambito di questo concetto si distinguono ben tre frecce del tempo diverse, una
termodinamica (la direzione del tempo in cui aumenta l’entropia), una
cosmologica (la direzione del tempo in cui l’universo si sta espandendo) ed infine
una psicologica, che indica la direzione in cui noi sentiamo che passa il tempo,,,
per la quale noi ricordiamo il passato e non il futuro. Sarà quest’ultima tra le tre,
chiaramente, quella per noi più significativa.
Tornando alla distinzione tra tempo psicologico e tempo fisico, rilevante è
indubbiamente la posizione di H.Bergson, filosofo francese che sostenne la teoria
secondo cui la dimensione qualitativa in cui si sviluppano gli eventi psichici non
ha legami con la dimensione quantitativa degli eventi fisici e, quindi, il tempo
effettivamente vissuto nella nostra coscienza e’ un amalgama di stati psichici in
continua evoluzione e senza legami reciproci di causa ed effetto, che non può
essere spiegato dalla scienza attuale con i suoi concetti rigidi ed astratti. In questo
senso Bergson e’ d’accordo con Einstein : il tempo e’ “fuori dalla fisica”.
Il concetto di tempo nella storia del pensiero scientifico a volte prende il
sopravvento su quello dello spazio, poiché quest ultimo e’ più facilmente
osservabile e misurabile e di conseguenza si presta meno alle speculazioni di
ordine filosofico, rientrando piuttosto nell’ambito matematico e, quello più vicino
alle argomentazioni di questo scritto, in ambito psicologico .
Presupponendolo come fondamentale e imprescindibile in quanto rende l’uomo
parte indiscussa del mondo fisico,lo spazio può essere definito come “ estensione
indefinita, luogo (privo di vuoto) senza limiti che contiene a sua volta estensioni
finite e in cui appaiono collocati i corpi” (Enciclopedia Rizzoli-Larousse). Da
questa definizione si evince che lo spazio viene considerato come una componente
fondamentale per l’uomo in quanto ne esprime il suo rapporto con gli oggetti e in
particolar modo con gli stati degli oggetti, che vengono esperiti tramite gli organi
naturali oppure quelli artificiali (l’orologio, l’alternarsi delle stagioni) di cui
l’essere umano e’ dotato. Nella sua accezione filosofica, lo spazio viene indicato
La metafora dello spazio e del tempo
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come un’entità illimitata e indefinita nella quale i corpi sensibili sono contenuti e
si muovono e nella quale si propagano le interazioni tra i corpi stessi (Democrito,
Aristotele), un concetto di spazio come luogo geometrico a tre dimensioni che
consente anch’esso la descrizione di molte proprietà degli oggetti , e che ingloba
l’uomo come soggetto in esso incluso e che grazie ad esso può conoscere; Kant
definiva lo spazio come forma a priori della conoscenza empirica, sottolineando
l’importanza del suo ruolo preminente nella trasformazione dell’esperienza in
conoscenza, assieme al tempo. Si tratta di uno spazio assoluto, rappresentabile
grazie ad una pura intuizione, di cui gli oggetti e la loro geometria, che esistono di
per sé, ne rappresentano il presupposto.
In matematica, il termine spazio indica un insieme di elementi rappresentabili
come punti, tra i quali siano definite delle relazioni espresse da certi postulati, che
formano la struttura dello spazio, e il concetto si complica ulteriormente se si
prendono in considerazione le distinzioni tra lo spazio astratto, quello euclideo e
quello proiettivo… ma queste nozioni, fortunatamente, non riguardano da vicino il
tema qui trattato!
Possiamo tranquillamente affermare che il termine “spazio”, non diversamente da
quello di “memoria” o “linguaggio”, e’ un concetto complesso, con il quale
vengono descritti, solo per comodità , attività cognitive e comportamenti molto
diversi tra loro, e di questo modo di intendere lo spazio se ne trovano tracce in
ogni ambito del sapere così come nell’esperienza quotidiana individuale, in cui il
contesto socio-culturale influenza il concetto stesso di spazio, come l’individuo lo
costruisce e lo analizza, mettendo in discussione ogni rappresentazione che
consideri la realtà come qualcosa di nettamente distinto dall’osservatore.
Lo spazio, dunque, così come il tempo soggettivo, e’ strettamente correlato
all’individuo che lo esperisce e a come egli lo rappresenta, come interpreta le
informazioni oggettive ottenute dall’esterno tramite i canali sensoriali e a come
queste interpretazioni a livello corticale vengono processate e memorizzate, per
poter meglio catalogare e definire in seguito l’esperienza e la conoscenza.
Per concludere questo primo paragrafo introduttivo vorrei citare uno degli autori
che, al di là dell’ambito delle scienze fisiche e matematiche, ha considerato il
tempo e lo spazio come due nozioni inscindibili e sostanziali alla base del suo
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pensiero, e grazie al metodo della dialettica ha confermato l’esistenza di un
rilevante divario tra la ragione e la soggettività sensoriale nell’interpretazione di
questi due concetti . Inserito nella corrente filosofica dell’Eleatismo , discepolo di
Parmenide, Zenone di Elea (vissuto tra il 490 e il 430 a.C.) sviluppò i
ragionamenti del maestro mettendo in evidenza le contraddizioni tra ragione e
sensazione con una serie di paradossi logici che sostenevano l’impossibilità di
comprendere il molteplice mutamento del tempo e dello spazio proprio perché il
mutamento dello spazio e del tempo non esistono se non dell’ambito dell’illusione
percettiva. Con il suo paradosso della IUHFFLDVFRFFDWDGDXQDUFR e quello di
$FKLOOH H OD WDUWDUXJD dimostrò che l’istante, e il tempo come diretta
conseguenza, non sono altro che fenomeni prodotti dagli ingannevoli sensi, che ci
inducono a notare dei mutamenti che appartengono ad un nostro modo di
percepire che risulta falso come un sogno; così come lo spazio, divisibile in
oggetti distinti, genera paradossi che non ci permettono di ragionare logicamente.
La ricerca dell’oggettività e della legge che misura la natura a favore di un sapere
scientifico e matematico in questi scritti e’ sicuramente evidente, tuttavia occorre
sottolineare come la soggettività dello spazio e del tempo fossero concetti chiari
già allora, e come questa soggettività conduce a differenti interpretazioni della
realtà e, come vedremo in seguito, a diverse interpretazioni linguistiche e
motorie.
/HEDVLDQDWRPLFKH
/RVSD]LR
Gli oggetti che noi percepiamo sono collocati in uno spazio a tre dimensioni,
le cui caratteristiche ci vengono trasmesse nella percezione e che comporta una
serie di attività cognitive e comportamentali diverse tra loro .Le attività spaziali
possono essere classificate in base alle strategie senso-motorie che vengono messe
in atto quando i soggetti si muovono nel loro ambiente (O’Keefe e Nadel,1978).
Vengono così distinte:
La metafora dello spazio e del tempo
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OHVWUDWHJLHGLSRVL]LRQH (o egocentriche), in cui il soggetto usa il suo corpo come
riferimento
OHVWUDWHJLHLQGLUL]]DWHin cui i movimenti sono basati su un riferimento esterno,
come ad esempio nell’avvicinarsi o allontanarsi da un oggetto
OHVWUDWHJLHORFDOL]]DWH che conducono la persona ad un particolare luogo o
oggetto sulla base di relazioni reciproche fra riferimenti esterni, in particolare di
tipo visivo.
Diverse strategie spaziali sono usate nella vita di tutti i giorni, insieme o in
contrasto l’una con l’altra.
Il comportamento spaziale può essere inoltre classificato considerando lo spazio
attorno all’individuo come costruito da tre sottospazi funzionalmente distinti,
ciascuno dei quali potrebbe avere una sua rappresentazione neurale (Grusser,
1987): il primo è lo spazio della VXSHUILFLHFRUSRUHD, il secondo è lo VSD]LRGL
SUHQVLRQHRJUDVSLQJVSDFH, definito anche come VSD]LRSHULSHUVRQDOH, il terzo è
lo spazio che si estende oltre lo spazio di prensione, spazio GLVWDOHo
H[WUDSHUVRQDOH che coinvolge anche lo spazio temporale (il passato e il presente)
e lo spazio ordinale (la sequenza degli eventi). La percezione spaziale si riferisce
all’analisi delle relazioni spaziali fra stimolo ed osservatore e a quelle reciproche
esistenti fra diversi stimoli. Le informazioni spaziali possono essere ottenute
attraverso diverse modalità sensoriali. L’informazione visiva, ad esempio, giunta
alla corteccia calcarina, segue la via occipito-parietale (o dorsale) specializzata
nell’analisi delle relazioni spaziali tra gli oggetti e nell’esecuzione di movimenti
verso gli oggetti sotto controllo visivo. Eventuali lesioni a carico di questa via
sono associate a negligenza visuo-spaziale, atassia ottica, aprassia costruttiva,
aprassia dello sguardo, achinetopsia e in generale a deficit dell’analisi visuo-
spaziale. L’attivazione della corteccia occipito-parietale in alcuni studi condotti da
Haxby e coll.(1993) in compiti di localizzazione spaziale risultava bilaterale, ma
maggiormente evidente nell’emisfero destro. Lesioni del lobo parietale destro
producono infatti la sindrome dell’eminegligenza spaziale o neglect.
L’esperienza visiva e’ senza dubbio la più importante fonte di informazioni
spaziali di cui un soggetto può disporre, tuttavia anche attraverso il tatto si può
ottenere una buona percezione di configurazioni spaziali, sia con una esplorazione
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attiva dell’ambiente circostante, sia con l’analisi di informazioni tattili provenienti
dalla stimolazione contemporanea di diverse porzioni della superficie cutanea
(tatto passivo). Molti autori hanno notato una certa superiorità di un lato, quello
sinistro, nella capacità di analizzare informazioni spaziali di ordine complesso e,
di conseguenza, una superiorità dell’area sensomotoria controlaterale alla mano e
dell’emisfero destro che si verifica ogni volta che i fattori spaziali di
direzionalità, orientamento delle stimolazioni e le loro relazioni sono importanti
per l’esecuzione del compito.
A differenza della visione e del tatto, l’informazione spaziale uditiva non è
rappresentata topograficamente a livello periferico, e questo elemento porta a
dover ricavare l’informazione che permette la localizzazione di uno stimolo
uditivo dalla differenza inter-aurale di intensità e di tempo di stimolazione. La
convergenza di informazioni dalle due orecchie si osserva a livello del tronco
cerebrale,dove viene effettuata la prima elaborazione delle informazioni sulla
differenza inter-aurale di tempo e di intensità di stimolazione. A livello corticale
l’informazione sulla provenienza spaziale di un suono è invece rappresentata
topograficamente, quindi la corteccia uditiva è la struttura che svolge il ruolo più
importante nella localizzazione delle sorgenti sonore, i cui deficit sono
significativamente più frequenti in seguito a lesione emisferica destra. Questo
risultato conferma che i soggetti normali localizzano le sorgenti sonore con
maggiore precisione nell’emispazio sinistro piuttosto che nel destro, e concorda
con l’attribuzione della generale superiorità dell’emisfero destro nell’elaborazione
delle informazioni spaziali.
Tra i disturbi che si possono presentare a seguito di lesioni a carico delle strutture
neurologiche di cui abbiamo parlato, come l’atassia ottica o la sindrome di Balint-
Holmes, occorre soprattutto ricordare quelli che possono interessare la memoria
spaziale sia a breve che a lungo termine, in seguito a lesioni che interessano in
particolare la corteccia prefrontale dell’emisfero destro (area di Brodman 47) per
la prima , in seguito ad ischemia o anossia a carico dell’ippocampo destro per la
seconda.
La capacità di orientarsi nello spazio è un requisito fondamentale per muoversi
nell’ambiente circostante, e questa funzione è localizzata nella regione mediale
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del lobo temporale di destra, in particolare in una porzione ristretta del giro
paraippocampale, posteriore rispetto all’uncus e rostrale rispetto alla regione
subspleniale, la cui lesione porta a disturbi come il disorientamento topografico
puro, l’agnosia topografica e l’amnesia topografica.
La capacità di formare immagini e di manipolarle (immaginazione) è parte
essenziale del pensiero umano, e più in generale della capacità dell’uomo di
risolvere problemi. Per mezzo dell’immaginazione possiamo infatti utilizzare
informazioni che non erano state codificate esplicitamente e che non sono
immediatamente ricavate dalle nostre conoscenze esplicite. Immaginare un
oggetto è molto simile all’atto di vederlo. Molti autori (Finke, 1985; Hebb, 1968)
hanno sostenuto che immaginare fosse il risultato dell’attivazione (detta WRS
GRZQdi rappresentazioni percettive da parte di processi cognitivi superiori, e che
durante le attività immaginative si attivassero le stesse aree che sono coinvolte nei
processi percettivi. Goldenberg e coll. (1987) hanno ad esempio riscontrato un
aumento di flusso nelle regioni occipitali quando ad un soggetto era presentata
una lista di parole e gli veniva chiesto di cercare di immaginare visivamente gli
oggetti corrispondenti. Alcuni casi clinici hanno consentito di effettuare una
distinzione tra i due sistemi visivi dell’immaginazione mentale, uno prettamente
strutturale che segue la via occipito-temporale, ed uno interessato delle
caratteristiche visuo-spaziali nella via occipito-parietale. L’immaginazione visuo-
spaziale segue dunque le direttive della normale attività corticale presente nei
processi percettivi non-immaginativi, e lo stesso fenomeno si ritrova durante la
trasformazione di immagini mentali, che ci permette di spostare mentalmente
degli oggetti oppure trasformarli nello spazio fisico. Numerosi dati sperimentali
(Moyer e Bayer, 1976, Kosslyn e coll.,1978) hanno dimostrato che il tempo
impiegato a trasformare un’immagine mentale e’ funzione della trasformazione
reale da compiere, come se dovessimo ruotarla davvero nello spazio. In questo
processo sono coinvolte l’area 8, il precuneo e il solco occipitale-laterale,
globalmente attivati in modo bilaterale.
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,OWHPSR
Nell’ambito delle basi neurobiologiche del concetto di tempo,non sono
presenti, o meglio lo sono in minore quantità, argomentazioni che rilevino una
diretta percezione dello scorrere del tempo a carico di organi sensoriali o di
strutture corticali, con l’eccezione della rilevazione di evidenti ritmi
comportamentali ripetuti in maniera regolare: gli esseri viventi mostrano infatti
una serie di comportamenti sistematicamente ripetuti, ad esempio alimentarsi
durante il giorno e dormire di notte (oppure il contrario), riprodursi in particolari
momenti dell’anno e così via. Gli esseri umani, così come gli animali e le piante,
sono soggetti a ritmi detti circadiani, cicli fisiologici con una frequenza di circa
ventiquattro ore regolati da vari elementi ambientali. Il comportamento ritmico è
basato su marcatempo di origine esogena oppure endogena, o su entrambi i tipi di
segnali, e a questo riguardo sono stati compiuti numerosi studi. Ne e’ emerso che
i ritmi circadiani di regola hanno una forte componente endogena, riferibile ad una
sorta di RURORJLR ELRORJLFR, ma poiché un ritmo endogeno non corrisponde
esattamente a quello ambientale, è necessario un segnale di natura esogena per
mantenere un simile ciclo in fase con quello esterno. Lo stimolo esogeno viene
talora definito PDUFDWHPSR. Nel caso dei ritmi circadiani, la luce è certamente il
più comune marcatempo, costituisce dunque un importante fattore esterno di
regolazione, anche se un essere umano posto in una situazione di luce o di buio
costante non perde la sua attività ritmica, che si conserva per circa un mese. I ritmi
circadiani nella specie umana sono stati studiati mediante esperimenti condotti su
volontari, che si sono isolati in ambienti sotterranei forniti di tutto l’occorrente per
vivere ma senza alcun collegamento con l’esterno. In queste condizioni a decorso
libero, l’orologio biologico dei volontari ha dimostrato una periodicità di circa
venticinque ore, se pur con variazioni individuali.
Assai meno si conosce sull’importanza di un orologio biologico interno nei
comportamenti ritmici basati su cicli più lunghi. In molte specie animali
comportamenti circannuali come il corteggiamento o l’ibernazione sono regolati
almeno in parte da cambiamenti fisiologici ed ormonali direttamente correlati a
fattori esogeni come il ciclo luce-buio. Nell’uomo non sono stati rilevati altrettanti
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fenomeni circannuali legati allo scorrere del tempo, ad eccezione della
sottocategoria diagnostica del disturbo depressivo sia unipolare che bipolare
prevista dal DSM-IV detta GHSUHVVLRQHVWDJLRQDOH, che si presenta nel momento in
cui si rileva una relazione regolare fra la comparsa degli episodi clinici e una
particolare stagione dell’anno. Le ricerche sul carattere stagionale dei disturbi
dell’umore sono state per lo più condotte su pazienti che soffrivano di depressione
durante l’inverno e di mania in primavera o in estate (Rosenthal e coll. 1986) .
L’ipotesi prevalente è che queste forme dei disturbi dell’umore siano associate al
cambiamento di ore di luce diurna; difatti la terapia delle forma di depressione
invernale prevede l’esposizione dei soggetti a fonti di vivida luce bianca (Blehar
e Rosenthal,1989).
Ad ogni modo, persino nel caso di ritmi a breve termine, nei quali sono
chiaramente presenti componenti endogene, i meccanismi interni di calcolo del
tempo sono sconosciuti: ipotesi accreditate fanno riferimento ad una sorta di
orologio biochimico, forse derivato da interazioni molecolari che si verificano con
regolarità, ma fino ad ora nessun modello soddisfacente è stato proposto e tanto
meno verificato sperimentalmente.
/DFRPSUHQVLRQHGHOWHPSRDWWUDYHUVROHPHWDIRUHVSD]LDOL
Come si arriva alla rappresentazione ed alla comprensione di concetti astratti
come il tempo, la giustizia, l’amore o ancor meglio le idee? Come riusciamo a
coordinare le nostre rappresentazioni mentali di questi concetti in modo da
renderle concordi con la correttezza di una decisione, con l’intensità del
sentimento di qualcuno, oppure con l’espressione di un’idea? Come potenziale
soluzione, Lakoff e Johnson (1980) hanno proposto una teoria secondo la quale il
sistema umano dei concetti astratti è strutturato intorno ad un unico piccolo
insieme di concetti legati alle esperienze, che da esse vengono generati e definiti
con i loro stessi termini. Questi basilari domini legati alle esperienze contengono
una serie di relazioni spaziali primarie ( ad esempio sopra/sotto, avanti/indietro),
un insieme di concetti ontologicamente fisici (ad esempio entità, contenuto), ed
infine un insieme di esperienze primarie o azioni ( come muovere, mangiare).
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Secondo questa teoria, tutti i concetti che non emergono direttamente dalle
esperienze fisiche devono necessariamente essere considerati metaforici per
natura. Lakoff successivamente ha ipotizzato che queste metafore, o concetti
astratti, vengano strutturate e comprese attraverso delle vere e proprie mappe
metaforiche da un piccolo insieme di concetti esperienziali primari (Lakoff,
1987).
A sostegno di questa teoria, gli autori hanno indicato che comunemente gli
individui utilizzano le metafore per riferirsi a concetti astratti, e che per una
grande maggioranza di queste metafore convenzionali viene utilizzato un
linguaggio tipico del concetto concreto per riferirsi al concetto astratto.
Tale modello linguistico suggerisce che ci potrebbero essere delle relazioni
metaforiche sistematiche tra il concetto astratto ed il concetto concreto.
Successivamente, la teoria della Rappresentazione Metaforica è stata oggetto di
accesi dibattiti e rigorose critiche. Una prima critica avanzata (Gibbs, 1996;
Murphy, 1996, 1997) riguardava le prove fornite a sostegno della
rappresentazione metaforica, che vennero definite di forma puramente linguistica.
Una prova esclusivamente linguistica, prosegue la critica, può avere
un’importanza limitata per una teoria della rappresentazione mentale, come
sarebbe altrettanto imprudente scientificamente assumere che i patterns nel
linguaggio siano necessariamente dei patterns del pensiero. In secondo luogo, la
teoria non era stata, secondo i critici, esposta in maniera sufficientemente
dettagliata da essere utilizzata come modello psicologico testabile.
Un articolo pubblicato nel 2000 nel n. 75 della Rivista Specializzata
Cognition e redatto da L. Boroditsky riprende la teoria di Lakoff e Johnson con
l’obiettivo di fornire un’argomentazione empiricamente rigorosa della
rappresentazione metaforica. A questo scopo, l’Autrice propone una nuova teoria,
la Teoria Strutturale Metaforica, derivata da quella delle Rappresentazioni
avanzata da Lakoff ma valutata indipendentemente. Questa teoria riferisce che le
metafore vengono utilizzate per organizzare un’informazione relativa ai concetti
astratti, e che questo aspetto è provato dal fatto che l’esperienza verbale può
essere rappresentata dalle stesse metafore. Il ruolo della metafora, infatti, è quello
di fornire una struttura relazionale ad un concetto astratto importandola, attraverso