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I N T R O D U Z I O N E
Col titolo proposto "Il tema dell'eros nella fenomenologia come prassi di
Enzo Paci" riteniamo possibile riprendere l'opera di Paci (1911-
1976) da un'angolazione differente rispetto alle letture che
tendono ad esibirne una schematica ripartizione in fasi
(Esistenzialismo - Relazionismo - Fenomenologia - incontro con
l'umanesimo marxista). Va, d'altra parte, rigettata l'idea di una
totale ed eclettica asistematicità del nostro autore: alla ricerca
quindi di un filo conduttore, partiamo dalla fenomenologia
dell'eros del '61 per ritrovarvi enucleata buona parte dei temi
affrontati nella riflessione paciana.
Se nel titolo proposto non ritroviamo la dizione fenomenologia ma
tema dell'eros, è perchè:
(a) Il tema dell'eros si sviluppa in un arco complessivo della
produzione paciana che va dall'anno della tesi di laurea (1934) agli
ultimi articoli del '73-'74. Espungere da questa una fase più
specificatamente fenomenologica, ci sembra confliggere con
l'interpretazione che qui cerchiamo di dare, che cioè Paci sia stato
fenomenologo dall'inizio alla fine, nella misura in cui intendiamo
per fenomenologia l'esercizio di una prassi.
(b) Rispetto a questa oscillazione di significato, l'uso paciano del
termine tema indica sempre l'oggetto della mia analisi attuale, del
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mio inter-esse e della mia prassi, come ciò che le permette la
mediazione tra mezzo e fine, l'organizzazione e il progetto.
Questa dimensione teleologica e intenzionale del tema, tra origine
e prassi, pertiene all'uomo in un tempo specifico: il tempo della
riflessione fenomenologica come tempo della maturità. Essa si
collega al disoccultamento di quell'esperienza corporea
fondamentale che è il sesso.
(c) In Paci, l'esperienza fenomenologica è il continuo mutarsi e
collegarsi dei temi. L'orchestrazione del tema dell'eros da modalità
emblematica dell'esistenza a metafora della relazione, a figura
originaria dell'alterità e dell'intersoggettività, rimanda, nella sua
mobilità, al movimento continuo dell'esperienza fenomenologica
tra il piano della vita e il piano del significato. L'eros si presenta
allo stesso modo punto di massimo avvicinamento e insieme
scarto incolmabile, punto dove la temporalità della riflessione si
arresta e si fa azione nel tempo, prassi.
La possibilità che Paci ha, di usare eros sia come metafora che
come modalità relazionale dell'esistenza, dipende dal fatto che
eros è privo, mancante (Penia), di un significato proprio: è anzi ciò
che dà significato, un significante. Esso ha quindi la funzione di
rinviare ad altro o di mettere in relazione gli esclusi, ma non di
formulare giudizi. Ciò che era precluso a Socrate si trasforma, per
la fenomenologia, nell'astensione da giudizi astratti e non fondati
su operazioni concrete.
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Il termine prassi, inoltre, viene più volte utilizzato da Paci per
indicare quell'atteggiamento che accomuna, e in cui confluiscono
come esercizio, l'epochè husserliana e la maieutica socratica.
Ripercorrere le ragioni di questo accostamento significa rinunciare
alla possibilità di leggere il pensiero di Paci separato dalla sua
opera e dal suo magistero. Allo stesso tempo, la traccia di questa
nostra trattazione non segue un percorso cronologico legato alla
sua biografia, non cerca, nella sua storia, una storia della filosofia
di Paci: indaga, piuttosto, il ruolo giocato dall'eros nella
costituzione dello stile di Paci e dello stile della fenomenologia
come sua prassi. Chiarito il nesso fenomenologico tra la capacità
di tematizzare e la costituzione di uno stile proprio, affronteremo
la critica, per poi riprendere nuovamente Paci, consapevoli che
quel nesso e il suo sbocco finale (la costruzione di una prassi),
come pure la persistenza di un tema mobile come l'eros,
renderanno sensibile la presenza di un dispositivo di orientamento
esistenziale nell'opera di Paci e nelle domande che egli le rivolge.
Per quanto riguarda la critica, dunque, si tratta di isolare quei
contributi che permettono di delimitare un campo d'indagine. Tra
di essi, emergeranno, in forma non esclusiva, due linee
interpretative:
(d) Logico-strategica, che interpreta l'opera di Paci nell'ambito di una
sorta di strategia psico-storica della ratio occidentale, culminante in un
progetto pratico-politico di trasformazione della terra. Questa
linea cercherebbe la sua conferma nello stesso Paci: nella lettura di
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uno dei suo ultimi articoli (Sulla fenomenologia del negativo del '74)
interpretato sostanzialmente come una palinodia.
(e) Retorico-strategica, che tenta di rinvenire, in Paci, un impianto di
costante traduzione di un gergo, continuamente riadeguato alle
fasi e alle esperienze del nostro autore, e consistente per lo più
nell'indicare la costruzione di uno stile e, nella strategia discorsiva,
i suoi effetti retorici.
Pur assumendo, della seconda, una accezione strategica più vicina
a una retorica della trasmissione (e quindi all'eros), che a una
retorica della persuasione, ad esse opporremo:
(f) L'opzione decisa di Paci, tra due modelli-base del pensiero
occidentale (parmenideo e protagoreo), per quello più capace di
contrapporre alla costellazione morte-chiusura-occultamento, la
costellazione creazione-apertura-disoccultamento. In questa opzione, la
scelta trasforma la fenomenologia nel luogo di una prassi. Poichè
questa prassi non è mera attività, ma è sentire il bisogno di un
cominciamento decisionale, di una scelta, (poichè è nella scelta
che il pensiero si fa azione), è qui che il dispositivo di
orientamento esistenziale incarnerà il senso dell'eros in una
strategia. Una scelta, infatti, non è per sempre, ma, sempre di
nuovo, va rinnovata come aut-aut, sì da diventare ben presto una
strategia d’urto e attrito ai bordi del sapere, di una filosofia come
attività interstiziale.
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(g) La possibilità di ritrovare questa strategia, è data dalla presenza
costante di un metodo e della sua applicazione. Esso consiste
nella liberazione dall'errore come riscatto dalla morte. Potremmo dire
che l'errore consiste nel pretendere di porre qualcosa fuori della
relazione e nell’entificare e sostanzializzare questo qualcosa
trasformandolo appunto in sostanza, nella sostanza chè è in sé e
non ha bisogno dell’altro. In questo senso, il passaggio epocale dal
sostanzialismo al relazionismo si accompagna, in Paci, ad una
ritematizzazione di questo estraneo come campo d'azione della
fenomenologia, intesa come educazione alla relazione e
all'assunzione di responsabilità dell'essere-per-la-verità nei confronti
della polis, della comunità intersoggettiva e intercorporea. La
strategia di Paci, dunque, incarna il senso demonico della filosofia,
nella misura in cui l'eros presente in essa, non permette una
completa identità tra metodo di liberazione dall'errore e strategia
di riscatto dalla morte: l'identità tra i due è, infatti, qualcosa di
diverso da una dialettica. In questo senso, il tema dell'eros
permette di non considerare la problematizzazione della dialettica
emersa dall'articolo del '74, come un episodio a sé stante o
revisionista, ma come un ulteriore traccia dello stile della
fenomenologia come sempre di nuovo ripresa. Inoltre, permette di
riformulare il problema dell'istante, anch'esso avvertito
problematicamente nell'articolo del '74, secondo due coordinate:
la prima tiene conto dello sviluppo di una linea platonico-
husserliana-antidualista in Paci; la seconda, di una linea socratico-
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kierkegaardiano-relazionista. Entrambe confluiranno in un
interpretazione dell'istante come poiesis e poros (soglia di a-poria), la
cui concretezza, sempre legata alla fenomenologia dell'eros e ad
una critica dell'esperienza corporea ne fanno il luogo dell'incontro
per antonomasia e di una possibile distinzione tra lo stile
relazionista e lo stile estetista (Don Giovanni).
Il confronto con la critica e l'emergere di una nostra variabile
interpretativa, ci permette inoltre lo sviluppo di alcuni temi:
(h) La relazione vita-verità, presente in Paci come in Kierkegaard,
non può non rinviare a un accostamento tra il tema del
cominciamento, implicito in Paci, e quanto scriveva Kierkegaard:
"Come la filosofia inizia col dubbio, così una vita degna d'essere chiamata
umana inizia con l'ironia".
(i) L'analogia tra l'impianto di Paci e quello psicoanalitico, nella
ritematizzazione del demoniaco (da una parte il demoniaco
kierkegaardiano, dall'altra l'Unheimliche freudiano), e nel rifiuto del
ritorno all'identico (che in Paci è rifiuto tanto del sostanzialismo
metafisico, quanto della negazione di ogni mediazione
rappresentata dall'antimetafisica).
(j) La differenza tra l'esistenzialismo di Paci e l'esistenzialismo
negativo. Se è vero che, dopo Husserl non si potrà più essere
esistenzialisti nel senso ortodosso del termine e che l'esistenza del
mondo non rappresenta un problema filosofico, è anche vero che
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sarà il negativo rappresentato dall'esistenza a richiedere una
fenomenologia che lo disocculti e che liberi dall'ambiguità il
negativo per ricondurlo a quella dialettica in cui, essere e non
essere, valore e bisogno, essenza ed esistenza, sono legate da un
nesso di implicazione e relazione. A questo livello, l'eros apparirà
come metafora capace di simbolizzare questo nesso
d'implicazione dialettica, ma il percorso di Paci finirà per legare
inscindibilmente la presa di coscienza dell'eros e la trasformazione della
società (1973), delineando, proprio nella fenomenologia dell'eros,
la possibilità di ripensarne la dialettica fondativa. La critica
dell'esperienza corporea guarderà, infatti, ad una dialettica del
riconoscimento più originaria di quella signore-servo e più
consapevole dei limiti insopprimibili tra gli ego, come limiti nei
quali l'altro diventato cosa, non rende più possibile l'amore. "
L’accordo impossibile costringe a superare l’eros mondano".
(k) L'analogia tra la crisi del legame dell’Atene del V secolo a.C. e la
moderna crisi della democrazia: i continui richiami al senso, al
mito, all’eros, in Platone come in Paci. La questione del legame
come ricerca di un fondamento dell’agire comune, intendendo per
questo, il nodo filosofico di Platone e del suo tempo e quello che
l’Atene democratica si trovava ―costretta‖ ad affrontare, in un
certo senso, non dissimile da quello che ―costringe‖ il sistema
delle grandi democrazie del nostro secolo. Da una parte, quindi, il
nodo strategico in cui si associano il programma relazionista e
l’immagine della democrazia è quello del consenso razionale e del
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pluralismo; dall'altra parte, ad una critica dell'esperienza sessuale
corrisponde l'intuizione di un intersocialismo che dipenda dal
continuo rapporto tra l'uomo e l'uomo, da una prima coppia, o
Paarung, dalla quale hanno origine dei gruppi costituenti, dei
gruppi che pur essendo delle parti comprendono in sé
potenzialmente una nuova società e possono costituire, nel senso
di fondare, completamente nuovi rapporti tra soggetto e soggetto.
Se la fenomenologia è paideia, se è un'educazione, lo è perchè
capace di portare a quella maturità su cui si fonda
l'intersoggettività come relazione libera dall'errore: come società di
soggetti. Come possibilità di una maggiore e più giusta armonia,
problema che si propone ad ogni uomo in forma diversa,
esplicitandosi come telos, come relazione potenziale rispetto alla
relazione attuata, che, solo per questo è non relazione: perchè, nel
ricercare e ricostituire una relazione tra gli eventi e tra le cose, io
ne costituisco una nuova. Allo stesso modo, l'enigma del sesso
non svela la mia origine ma origina la mia prassi teleologica.
Quello che facciamo o sentiamo o pensiamo è dunque ipotetico,
condizionato, da una parte, dai limiti strutturali e, dall'altra, dal
rischio che incombe su chi non si muove sull'orizzonte
privilegiato di certezze definitive o di verità assolute. Per questo il
relazionismo non può non apparire, a mio parere, il campo
d'azione privilegiato per la metis. La mia tesi è che la strategia del
riscatto dalla morte è, in Paci, (1) metodo di liberazione dall'errore
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(e qui l'influenza di Platone è notevole) che, (2) nella sua ripetuta
applicazione sarà identificabile come modalità principale dello stile
o, tout-court, lo stile di Paci, ma che, (3) come meccanismo che
spezza la ripetizione, - ove questa si proponga come ripetuta fuga
dall'errore che si cerca di evitare e quindi, ancora, isolamento, esclusione dal
contrario - tale meccanismo avrà tutti i connotati della metis. Sarà,
diremmo, metide nel metodo di Paci. La metide è appunto la
genealogia logo-mitica, che fa risalire eros a poros, e poros a metis.
Se il compito della fenomenologia come prassi è quello di vivere
la crisi nelle sue opposizioni, di oltrepassare l'aporia, di trovare
una via d'uscita (poros), una direzione, un telos, oggi più che mai
essa ha bisogno di un'intelligenza che sia capace di trovare uno
sbocco nuovo, forte, e non si riduca alla traduzione, in nuovi
linguaggi, di uno sforzo. Lo sforzo costante di sintesi positiva
delle antinomie, alla ricerca di un orientamento a valore, di una
misura comune per la polis: la scena originaria del pensiero
europeo inaugurata da Platone. La fenomenologia come prassi ha
il compito di educare questa intelligenza. L'opera di Paci si rivela
propedeutica a questo compito, ma s'interrompe alla prima tappa
di questa educazione. L'educazione alla scelta, l'aut-aut, sembra
ridursi ad essere tra la volontà di riprendere e quella di obliare, tra
disoccultare e occultare, tra un'intenzionalità positiva, in un certo
senso, ed una negativa rispetto telos, all'intenzionalità filosofica: un
aut-aut tra la presa di coscienza che "è necessario assumersi il negativo, farlo
proprio per togliergli la negatività" (l'eroismo della ragione), e il
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diventare "strumenti della perdita al servizio della stanchezza". In realtà,
l'eros come prassi è invece la scelta (sempre e di nuovo incerta) per la
Sinngebung, per la donazione di significato. È la costanza nella
speranza di trovare un senso mio nel legame originario, temporale
e teleologico con l'intersoggettività; consapevoli che la possibilità
reale dell'eros di chiudersi nella difesa dello squilibrio e della
disarmonia (demoniaco), riporta nel mondo la doppiezza
(caratteristica appunto di eros) e con essa la falsificazione La presa
di coscienza dell'eros e delle sue forme, occultate "anche perchè, come
direbbe Freud, fanno parte dell'inconscio dove domina la libido intesa come
impulso originario e fondamentale", è presa di coscienza "di noi stessi e di
quello che facciamo. L'eros è una praxis, un fare e un agire che si ritrova in
tutte le azioni umane. Richiamando l'attenzione su questa prassi vogliamo far
capire che abbiamo bisogno di una trasformazione dei nostri rapporti umani,
dei nostri costumi, di tutta la nostra etica e di tutta la nostra società".
Questo significa che la doppiezza a cui rimanda l'eros è qualcosa
di estremamente umano e relegarlo all'inconscio, che è una
dimensione sempre legata all'attività originaria socio-poietica, non
può significare toglierlo alla propria responsabilità, pena il perdere
la responsabilità anche dell'opera di falsificazione del movimento
di rioccultamento. L'uomo che disocculta la propria doppiezza, il
proprio eros, non è l'uomo che cerca il proprio significato per
possederlo come res, ma l'uomo che cerca il proprio significato
per esserne responsabile. La fedeltà all'immer wieder significa oggi
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riprendere questa ricerca: come una nuova sfida. Come un nuovo
amore.