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interdisciplinarietà
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e offre al lettore una nuova prospettiva con la quale
considerare un patrimonio letterario troppo spesso legato ad un canone
tradizionale e poco flessibile. I rischi di questo approccio sono molteplici in primo
luogo quello di vedere nella tematizzazione una scorciatoia, indubbiamente
riduttiva, per analizzare un patrimonio letterario molto vasto. Per ovviare ad un
tale impoverimento lo studio tematico dovrebbe delineare e approfondire il
momento storico, culturale e ideologico che accompagna la composizione dei
singoli testi o opere in modo da non estraniarli completamente dal contesto in cui
sono stati generati.
Uno dei grandi temi che percorre la letteratura sin dall’antichità è certamente il
tema dell’animale. A partire dalle Fabulae di Fedro nelle quali gli animali
divengono dei personaggi umanizzati perché assumono connotati e psicologia
umani, la presenza animale arriverà, in forma sempre più tangibile, sino alla
letteratura dell’Ottocento e Novecento. A testimoniare come l’animale abbia
nutrito nel corso del tempo l’immaginario letterario vi è una folta schiera di testi
che trovano nella presenza animale un denominatore comune.
I testi che si occupano dell’animale possono essere divisi in due tipologie:
6
1) testi
scritti da autori che hanno osservato l’animale, lo hanno analizzato e descritto,
ma non si sono mai sentiti visti dall’animale. Esso ha dunque in questa tipologia
di testi il carattere di una cosa che “viene vista”, ma non ha la capacità di vedere,
osservare. 2) Testi di autori che si sentono osservati dagli animali e hanno avuto
la capacità di assumere lo sguardo animale su di sé arrivando in questo modo ad
una rappresentazione non solo dell’uomo, ma anche dell’animale che va oltre la
semplice descrizione. Per la seconda tipologia di testi si parla di una vera e
propria <<zoopoetica>>.
7
L’ esempio principe e più memorabile della presenza animale nella letteratura
“recente” è senza dubbio Gregor Samsa che nell’opera kafkiana subisce la
5
“La critica letteraria in quanto arte dell’interpretazione, presuppone l’uso di una rete di concetti
e di categorie interpretative”. R. Luperini, op. cit. , pag 119.
6
Per un approfondimento maggiore vedi: J. Derrida, L’animale che, dunque, sono, in Rivista di
estetica, XXXVIII 1998, n. 8, pag. 29-69.
7
P. Trama, Animali e fantasmi della scrittura. Saggi sulla zoopoetica di Tommaso Landolfi, Salerno
Editrice, Roma, 2006.
5
metamorfosi
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straziante da uomo ad animale. Gregor è una creatura ambigua,
difficile da definire perché a metà strada tra l’essere uomo e l’essere animale. Egli
non riesce ad incarnare appieno nessuna delle due condizioni esistenziali,
trovandosi per questo motivo in un limbo, una zona d’ombra. L’anomalia nella
trasformazione di Gregor, incompiuta sia in una direzione che nell’altra, ha dato
adito a numerose interpretazioni sul significato stesso di questa metamorfosi. A
differenza della metamorfosi tradizionale nella quale l’identità del soggetto
trasformato rimane invariata, Gregor non solo ha sembianze dello scarafaggio, ma
sente e si sente come uno scarafaggio.
A partire dall’uomo-scarafaggio di Kafka, la tematica animale è stata declinata
nella letteratura con una frequenza sempre maggiore. La Metamorfosi ha dato
inizio ad un nuovo modo di vedere l’animale nella letteratura che ora si annida in
tutti i risvolti del testo fino a diventare un tramite che conduce la parola oltre la
sfera comunicativa tradizionale, verso orizzonti linguistici poco esplorati.
La presenza dell’animale è nello specifico associata al “ritorno del represso”:
9
a
fronte di una realtà quotidiana nella quale l’incontro empirico con l’animale è
sempre più raro, esso si ripresenta all’inconscio umano manifestandosi nel testo
sottoforma di fantasma.
Posteriore a quella kafkiana è la presenza dell’animale nell’autore Federigo Tozzi,
in particolare in Con gli occhi chiusi e Bestie. Nella prima opera di ispirazione
autobiografica,
10
scritta nel 1913 ma pubblicata nel 1919, l’autore tematizza un
complesso edipico,
11
il rapporto conflittuale con il padre che lo considera un
inetto a causa della sua debolezza caratteriale e nel percorso scolastico. Nel
romanzo Pietro (proiezione di Federigo Tozzi) incarna alternativamente il ruolo,
più frequente, della vittima e del crudele carnefice nei confronti degli animali che
sostituiscono il padre-padrone Domenico, vero bersaglio dell’ aggressività. Il
8
Per una maggiore chiarezza è bene delineare la differenza tra metafora e metamorfosi. Nella
metafora lo schema seguito è x è (come) y dove la distinzione tra i due elementi rimane salda
grazie al come, nella metamorfosi invece x è (divenuto) y anche se il soggetto, creando ambiguità,
continua a mantenere la sua identità anche dopo la trasformazione.
9
Il concetto di ritorno del represso nella letteratura è stato formalizzato da Francesco Orlando.
10
La matrice autobiografica dell’opera è confermata dalla corrispondenza dei personaggi Pietro-
Federigo e Ghisola-Isola e dai luoghi del romanzo descritti in modo accurato come il podere Poggio
a’ Meli (in realtà il podere Castagneto che Tozzi aveva ereditato dal padre) e la trattoria Pesce
Azzurro. La prova definitiva dell’autobiografismo si trova in Novale, il romanzo-epistolario scritto
dalla moglie Emma nel quale viene narrato l’epilogo del rapporto tra Federigo e la giovane
contadina.
11
G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento, Milano, Garzanti , 1971, pag 248-355.
6
rancore e la rabbia repressi in Pietro si manifestano con violenza contro gli
animali e la natura, ad esempio in questo modo:
Sbarbava con una stratta tutte le piante che gli capitavano sotto mano, strappava i tralci
alle viti; o con un palo batteva un albero finché si fosse sbucciato. Staccava le zampe e le
ali ai grilli, e poi li infilzava con uno spillo.
12
La scena più importante dell’intera narrazione è quella della castrazione
indiscriminata di tutti gli animali di Poggio a’ Meli operata dal padre Domenico:
Domenico faceva castrare tutte le bestie di Poggio a’ Meli; e gli assalariati ci si divertivano
con un’ironia che Giacco e Masa credevano per la loro nipote:
<< E’ bene: così non si muoveranno da casa! E poi ingrasseranno di più >>.
Qualche volta ci erano dieci o dodici galletti accapponati, mogi, che beccavano di
mala voglia, con le penne insanguinate; nella stalla, i vitelli intontiti dalla castratura,
afflitti, con gli occhi più scuri e più tetri.
[…]
Il castrino lo [un gatto] prese e lo mise con la testa all’ ingiù dentro a un sacco
stretto tra le sue ginocchia; e con un coltellaccio tagliò di colpo.
13
L’episodio irrompe nel testo come un corpo estraneo e assume un forte valore
simbolico legittimando l’evocazione del mito edipico.
Il titolo stesso dell’opera allude ad una duplice castrazione: gli ‘occhi chiusi’
rappresentano l’incapacità e il rifiuto a vivere la vita, ma sono anche il bersaglio
spostato della castrazione che rievoca l’autoaccecamento di Edipo.
14
Già in precedenza l’animale era stato protagonista della scrittura tozziana
in Bestie, la prima opera narrativa
15
dell’autore pubblicata nel 1917. Bestie è una
raccolta di brevi prose, micronarrazioni, scritte tra il 1910 e il 1915 la cui
composizione è contemporanea alla stesura del romanzo Con gli occhi chiusi e
testimonia l’incisività e la permanenza del tema dell’animale nella produzione
letteraria di Tozzi.
12
F. Tozzi, Con gli occhi chiusi, Milano, Garzanti, 2006, cit. pag. 12.
13
Ibidem, pag. 72.
14
Secondo l’interpretazione di Freud vi è un meccanismo primitivo che sostituisce gli occhi al fallo
creando un’equivalenza tra accecamento e castrazione.
15
In precedenza aveva pubblicato a proprie spese due volumi di poesia: La zampogna verde e La
città della vergine.
7
L’opera si compone di 68 racconti nei quali la presenza animale è un elemento
quasi fisso che compare nella maggior parte dei casi alla fine dei racconti come
un’ apparizione tanto inaspettata quanto indecifrabile e misteriosa. Gli animali
che compaiono lungo lo snocciolarsi delle brevi prose sono oltre 55, per lo più
legati al mondo contadino e alla sua quotidianità: tra questi insetti e uccelli,
lucertole, topi mucche e altro ancora. Accanto alle brevi e misteriose apparizioni
finali uno stralcio più lungo narra le torture inflitte ai rospi e rivela la potenza
dello sguardo animale sull’uomo:
Una volta, veduto un rospo, insegnò come si uccidono: si prese di bocca con un dito, la
cicca che biascicava; e, messala in cima al coltello, gliela cacciò dentro la gola. Il rospo
cominciò a tremare doventando quasi giallo: apriva e chiudeva gli occhi che parevano più
piccoli e più lucidi.
[…]
Ma come mi s’empì la bocca di saliva, che pareva bava, quando vidi una rospa che
pareva un grande involto! E poi che ella mi guardava con quei suoi occhi di ragazza
brutta, forse più acuti dei miei, mi sentii venir male.
16
In questo passo lo sguardo dell’uomo incontra quello dell’animale e stabilisce una
comunicazione primitiva, preumana. Guardare negli occhi un animale e
riconoscergli tale capacità ci riconduce al tempo in cui egli faceva ancora parte
della vita quotidiana dell’uomo e uomo e animale erano accomunati da un’unica
natura.
In Tozzi la presenza dell’animale ha origine nel rovesciamento della visione
antropocentrica della realtà: tutto può rivoltarsi contro il soggetto, dagli oggetti
più comuni e domestici alla natura, gli eventi atmosferici ed infine gli animali. Le
bestie di Tozzi non provengono propriamente dalla realtà, ma dallo spazio della
visione, dell’allucinazione, del sogno ad occhi aperti, da uno spazio che lo stesso
autore chiama ripetutamente anima.
Nelle fulminee apparizioni di Bestie gli animali non sono portatori di valori morali,
anzi sono riusciti a liberarsi dei significati allegorici, dall’interpretazione simbolica
forzata. Essi sono, come le persone e le cose, fenomenologia di una vita che a
16
Ibidem, pag. 22
8
volte non si può spiegare ma semplicemente appare, trascorre rimanendo molto
spesso un enigma.
Nella letteratura novecentesca italiana Tozzi non è stato l’unico a rendere gli
animali protagonisti della pagina scritta: sia contemporaneamente, sia dopo di lui
altri autori hanno sviluppato il tema dell’animale. Tra questi Pirandello, Levi,
Calvino, Tommaso Landolfi, autore quest’ultimo meno noto dei precedenti ma tra
i più prolifici in questo campo. Egli è uno scrittore poco conosciuto perché come
pochi altri ha voluto e saputo creare attorno a sé un’aura di mistero, preferendo
lasciar circolare “leggende” sulla propria vita anziché divulgare dati biografici
certi.
17
La sua personalità insondabile però non ha impedito di indagare la
produzione letteraria e riscontrare come l’intera opera landolfiana sia attraversata
dalla metafora animale nell’ambito della narrazione e della scrittura, sino a
giungere all’animalizzazione della parola.
La presenza dell’animale è così evidente da non poter essere ignorata dalla critica,
che si è largamente dedicata all’interpretazione di questo tema persistente nella
produzione di Landolfi. Alla pluralità dei critici che si sono cimentati in questa
analisi corrisponde una molteplicità di punti di vista. La comprensione
dell’animale può essere vincolata alle vastissime influenze letterarie dell’autore,
sondata attraverso la psicanalisi, intrecciata alla crisi del linguaggio, supportata
dalle riflessioni dell’autore: ogni analisi è frutto dall’applicazione di strumenti
diversi e di prospettive personali e soggettive. Le interpretazioni possono
affondare le radici su un terreno comune o giungere a visioni discordi, rimanendo
isolate l’una dall’altra; oppure hanno la possibilità di confrontarsi e interagire per
trovare un orizzonte comune o una visione che oltrepassi le prospettive
unilaterali.
17
L’autore a questo scopo aveva precluso il libero accesso ai dati certi della propria biografia.
9
- I –
La presenza dell’animale nella scrittura di Tommaso Landolfi
I.1. Lo scrittore di Pico
Fin troppo semplicemente Tommaso Landolfi è stato più volte definito
“romantico”, senza tener conto che dietro il suo atteggiamento misterioso e ostile
si nascondeva una refrattarietà alla vita. L’incertezza sui dati biografici inizia sin
dalle origini (delle quali l’autore si vergognava) e dall’infanzia travagliata, culla di
un dramma che segnò l’intera vita di Landolfi. L’autore nasce a Pico (Frosinone)
nel 1908 da una famiglia molto prestigiosa e meno di due anni dopo irrompe nella
sua vita la tragedia della morte della madre, il 24 maggio 1910, che egli ricorda
così all’inizio di Prefigurazioni:Prato :
Io (ma quante volte ho scritto questo dannato pronome?) , io ero un bambino che a un
anno e mezzo avevano portato davanti a sua madre morta, colla vana speranza che i
lineamenti di lei gli rimanessero impressi nella memoria; e che aveva detto: lasciamola
stare, dorme. Ciò può spiegare molte cose della mia infanzia (quasi tutto) e ad ogni modo
le condizioni generali di essa.
18
Dopo la morte della madre Tommaso viene affidato alle cure delle cugine
Tumulini fino al momento in cui il padre sceglie di metterlo in collegio
19
dando
inizio a una tormentata carriera scolastica. La tendenza a seguire un percorso
tortuoso troverà conferme nel periodo universitario: iscritto a Lettere, prima a
Roma e poi a Firenze, entrambe città decisive per la sua formazione culturale non
accademica, concluderà gli studi con la tesi sulla poetessa russa Achmatova.
Nella fitta schiera delle influenze landolfiane occupano un posto di rilievo gli
scrittori russi che alimenteranno la sua attività di slavista, traduttore di testi
letterari russi e critico per molte riviste letterarie. Forse proprio dagli autori russi
egli ha appreso un modo di raccontare consapevole della possibilità di un numero
quasi infinito di interpretazioni. Questa consapevolezza si riflette in una scrittura
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T. Landolfi, Opere I 1937-1959, Milano, Rizzoli, 1991, pag. 743.
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Il padre sceglie per lui il classico Cicognini di Prato e Tommaso ricorda così il primo giorno di
collegio: “Non saprei descrivere l’angoscia di quel distacco. […] Rammento e rammenterò sempre
quell’ultima passeggiata per un desolato corridoio del collegio, a pianterreno verso il portone,
esortandomi egli a farmi forza e a riconoscere la necessità di tale separazione (esortando me e se
stesso), mentre io piangevo disperatamente né volevo sentir ragioni”.