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2 Il recupero architettonico dei teatri
2.1 Il tema del restauro
In Italia sono più di 400 i teatri chiusi e/o bisognosi di urgente restauro, che condividono
lo stesso destino e le medesime condizioni del Teatro Verdi. Per comprendere e intuire
appieno il modo in cui andare a risolvere il dilemma del recupero di questo teatro, è bene
prima trattare brevemente il tema più generale del recupero architettonico, in particolare
dei monumenti e teatri storici, chiarendone ogni significato, tappa e tipo di intervento.
Quando si comincia a parlare di restauro architettonico, occorre innanzitutto chiarire il si-
gnificato etimologico di questo termine, apparentemente semplice ed erroneamente acco-
stato a quello della “conservazione”, tanto da essere quasi considerato un suo sinonimo. Le
due parole, in realtà, hanno significati differenti e denotano due modalità, storiche e di in-
tervento, assai lontane tra loro di studiare e recuperare gli edifici, sia nella stima dell’effetto
che l’intervento avrà nel tempo sul monumento, sia nella finalità e nei risultati dello stesso.
Il restauro, infatti, sta ad indicare quel complesso di regole che mira ad applicare un muta-
mento nell’opera presa in considerazione, cercando da una parte di mantenere la sua struttura
originaria nel rispetto delle stratificazioni storiche che si sono alternate su di essa, ma allo
stesso tempo dando la priorità ad un recupero funzionale e ad un riuso dell’architettura, che
può così tornare ad assumere il suo antico ruolo o essere impiegata in uno del tutto nuovo.
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D’altro canto, la conservazione ha come fine la sola preservazione dell’opera così come
è giunta ad oggi, operando interventi limitati nel tempo che mirano a mantenere il suo
stato attuale, vedendo i segni del degrado e del deperimento non in maniera negativa,
bensì come tracce dell’antica grandezza dell’edificio che in virtù di ciò non devono es-
sere cancellate. Può essere visto come un’operazione di pura manutenzione che deve
essere ripetuta regolarmente dopo un certo intervallo di tempo. Qui prevale quindi la
funzione museale del recupero, che intende salvaguardare l’esistente per consegnarlo alle
generazioni future. I conservatori, in genere, rifiutano la prassi del restauro poiché la
vedono come un massiccio intervento che va a modificare irrimediabilmente l’edificio,
restituendogli la sua forma originaria (creando così un “falso storico”) o modificandolo
eccessivamente a causa dell’impronta personale che il restauratore aggiunge all’opera.
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Tuttavia, pur essendo le definizioni dei due termini molto distinte tra loro,
una non va ad escludere o a contrapporsi completamente all’altra e, infat-
ti, non mancano connessioni e addirittura fusioni tra i due tipi di intervento.
Negli anni diversi esperti del settore hanno tentato di suddividere schematicamen-
te la teoria del restauro in tanti e precisi approcci operativi. Diverse sono, quindi, le
tecniche distinte dai diversi restauratori e critici dell’architettura. Un esempio è la ri-
31 Cfr. Luca Zevi, Manuale del restauro architettonico, ed. Mancosu, Roma, 2002
32 Cfr. Paolo Marconi, Dal piccolo al grande restauro. Colore, struttura, architettura, ed. Saggi
Marsilio, Venezia, 1988
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partizione teorizzata da Gustavo Giovannoni
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, che individua cinque tipi di restauro:
– di consolidamento (ovvero quelle operazioni che vogliono compiere il minimo suffi-
ciente senza intaccare l’autenticità del monumento);
– di ricomposizione, anche detto “anastilosi” (cioè quegli interventi che vanno a ripri-
stinare il monumento originario ricomponendone i pezzi mancanti, applicando in più
solo delle modifiche perfettamente distinguibili rispetto alla struttura originale);
– di liberazione (operazione che va ad eliminare le “masse amorfe” che danneggiano
la preesistenza);
– di completamento (ovvero che applica delle aggiunte, seppur limitate, senza
operare delle modifiche troppo moderne e innovative);
– di innovazione (con cui si va a produrre un vero e proprio radicale rinnovamento
della struttura originaria, nell’ottica di una visione più moderna).
In ogni caso, quando ci si affaccia al tema del recupero di un edificio preesisten-
te, vi sono delle norme generali che ogni professionista, sia esso un conservatore
o un restauratore, al di là dei fini che questo si propone, deve rispettare metico -
losamente. Ciò è essenziale per evitare di incorrere in progetti mal sviluppati che
finiscono solo per deturpare ulteriormente gli edifici storici, per le più svariate ra-
gioni: una conoscenza limitata della storia e dell’architettura della struttura, di cui
non vengono rispettate le stratificazioni e la tradizione; l’uso di materiali di bassa
qualità o non adatti a quel tipo di edificio e di intervento (ciò dovuto spesso a ra -
gioni di praticità e risparmio economico); una volontà di ricostruzione finalizzata
unicamente a seguire le preferenze e le tendenze architettoniche di massa, aven-
do come risultato un edificio omologato e snaturato del suo significato, e così via.
Qualunque sia il tipo di intervento e le finalità che con esso si vogliono perseguire, il
punto di partenza corrisponde sempre all’operazione di rilievo geometrico dell’edificio
e all’analisi storica di esso, del suo contesto urbano e dei suoi materiali. Essi nella mag-
gior parte dei casi risultano sottoposti a numerose manutenzioni, modifiche o comun-
que a fattori quali l’erosione del tempo, danni provocati da umidità, sismi o incendi,
e molti altri. Chiaramente, questa fase necessita innanzitutto di una solida conoscenza
della storia dell’architettura, delle sue prassi operative e dei materiali da costruzione; ciò
per arrivare ad avere una visione il più possibile completa della struttura da restaurare,
raggiunta anche attraverso un’attenta documentazione fotografica, storica e d’archivio.
Tuttavia, poiché è l’edificio stesso ad essere il più importante testimone di sé, è fon-
damentale farne una lettura integrale attraverso l’osservazione e i disegni tecnici di
cui si è in possesso, sia del suo stato originale sia di quello attuale.
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Perciò, anche se
33 Gustavo Giovannoni (Roma, 1873 – Roma, 1947) è stato un architetto, urbanista, critico e stori-
co dell’architettura e restauratore italiano.
34 Cfr. Gianfranco Spagnesi, Esperienze di storia dell’architettura e di restauro, volume 1, ed.
Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1987
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il fine del restauro non è quello di ripristinare la forma originaria dell’edificio, qual-
siasi tipo di operazione non può comunque prescindere dalla più minuziosa prepa-
razione sulla sua evoluzione, sugli interventi che vi sono stati fatti in passato e sulle
vicissitudini che hanno lasciato delle tracce più o meno visibili sulla sua superficie.
Esclusivamente dopo aver acquisito una piena e scrupolosa conoscenza dell’e-
dificio si può procedere ad elaborare un’ipotesi restitutiva, che consta di diver-
si elaborati e fasi prima di arrivare ad un progetto finale, che può sempre subi-
re variazioni più o meno leggere in corso d’opera, e a un vero e proprio cantiere.
2.2 Esempi di teatri storici restaurati
Questo argomento, già enunciato e chiarito nelle sue linee generali, va poi fatto
restringere al campo più limitato del restauro degli edifici teatrali, in particolare di
quelli storici (soprattutto i teatri all’italiana dell’Ottocento). Quando si affronta il
problema del come ricostruire un teatro, con tutte le difficoltà annesse al recupero di
un monumento in uno stato più o meno avanzato di decadenza, si affaccia più acce -
sa che mai la questione della sua funzione. Il restauro di un teatro storico non può
non essere connesso al restauro del suo valore. Non basta ripristinarne l’architettura
originaria, adattandola alle norme di sicurezza correnti e aggiornate, ma bisogna in
special modo comprendere quale nuovo uso si vuole dare all’edificio e il motivo per
cui lo si vuole ricostruire. Appare chiaro che la sua funzione presente non può più
essere esattamente quella che aveva all’epoca, poiché i costumi e gli spettacoli non
sono rimasti statici nel tempo ma si sono modificati profondamente, e così anche le
ragioni per cui oggi si va a teatro. Per non farlo diventare una struttura imbalsamata
e senza valore, una scatola bella esteticamente ma troppo antica e fuori contesto per
la contemporaneità, inglobata in una realtà che è invece in continua evoluzione, il
teatro stesso si deve rinnovare, dimostrando di essere anch’esso al passo coi tempi.
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Perciò, a questo punto occorre andare ad esporre e analizzare singolarmente diversi ca-
si-studio in cui architetti, ingegneri e restauratori si sono trovati ad operare degli interven-
ti su teatri d’epoca ottenendo degli esiti soddisfacenti. Ciò è utile a comprendere il modo
in cui già in passato si sono affrontati questi problemi, con le varie tendenze operative, le
scelte compiute e i risultati che ne sono derivati, consegnando alla comunità dei teatri rin-
novati, siano essi più o meno fedeli alla loro forma primitiva, e nuovamente funzionanti.
In particolare, nei capitoli successivi verranno elencati e presi in esame una serie di teatri
il cui recupero si è posto come un restauro conservativo che è andato a ripristinare e a man-
tenere l’assetto originale dell’edificio, riproponendolo in tutti i suoi elementi ottocenteschi
e antichi, come accaduto a molti teatri dell’Umbria e a quelli di Fano e di Rimini. Tutta-
via, verranno anche proposti esempi di teatri dove invece sono state apportate modifiche
più o meno radicali, come nel caso del Teatro Carlo Felice di Genova, dove alla struttura
35 Cfr. Lidia Bortolotti, Luisa Masetti Bitelli, Teatri storici. Dal restauro allo spettacolo, Istituto
per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, ed. Nardini, Firenze, 1997
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principale è stata affiancata una torre scenica dalle dimensioni inusuali e monumentali,
che svetta imponendo la propria mole sul contorno urbano e modificando così comple-
tamente la percezione che gli abitanti avevano dell’edificio e il loro rapporto con esso.
2.2.1 Teatri restaurati in Umbria
La questione del recupero dei teatri storici danneggiati o inagibili si è iniziata già
a porre nella regione Umbria sin dalla metà degli anni Settanta, con la redazione
di un primo Piano di Sviluppo, cui fece seguito negli anni Ottanta un progetto di
restauro ufficiale di diciannove teatri storici umbri, possibile soprattutto grazie al
“Fondo per gli Investimenti e l’Occupazione” (FIO)
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. La decisione venne presa in
seguito alla catalogazione il più possibile completa e aggiornata della situazione di
tutte le strutture teatrali (sia che si trattassero di teatri all’italiana, sia di sale, an-
fiteatri o auditorium) della regione, da cui emerse il grande numero di richieste di
interventi di recupero. Poiché in molti di questi casi non potevano bastare i finan -
ziamenti dei Comuni e della Regione per portare a termine questa grande quantità
di operazioni, si scelse dunque di dare vita ad un progetto più ampio e complesso
che cercasse di ridare vita ad una catena di edifici di grande importanza storica e
artistica bisognosi di restauro. Nello sviluppare questo programma di lavori si cer-
cò il più possibile di raggiungere tre obiettivi fondamentali, al di là delle situazioni
specifiche e delle eccezioni dei singoli casi: la conservazione dell’architettura, il mi -
glioramento della funzionalità teatrale e l’elevazione delle condizioni di sicurezza.
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Ad oggi, i teatri restaurati con successo e resi nuovamente agibili sono 16 e tutti hanno
ripreso a praticare la loro attività teatrale. Tra questi figurano: il Teatro Civico di Norcia, il
Teatro Francesco Morlacchi di Perugia, il Teatro Sociale di Amelia, i teatri di Spoleto (Car-
lo Melisso e Nuovo Gian Carlo Menotti), il Teatro Comunale di Todi, il Teatro Clitunno di
Trevi, il Teatro dei Riuniti di Um-
bertide, il Teatro della Concordia
di Montecastello di Vibio, il Tea-
tro Comunale di Gubbio e altri.
Molte di queste strutture hanno
subito la stessa sorte del Tea-
tro Verdi, dapprima trasformato
in cinematografo e in seguito,
a causa di una mancata manu-
tenzione, lasciato in rovina. È
il caso del Teatro Comunale di
Todi (fig. 2.1) e del Teatro dei
Riuniti di Umbertide (fig. 2.2).
36 Il FIO venne istituito nel 1982 con lo scopo di sostenere gli investimenti pubblici, soprattutto
tramite l’analisi di progetti di rapida esecuzione e di importante impatto sociale.
37 Cfr. Giovanna Chiuini, Teatri storici in Umbria: l’architettura, ed. Electa, Milano, 2002
Fig. 2.1 - Interno del Teatro Comunale di Todi
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Per quanto riguarda il primo dei due, il Teatro Comunale era stato riaperto dopo la
Seconda guerra mondiale nella nuova forma di sala cinematografica. Arrivato fino agli
anni Settanta in pessime condizioni, venne inserito nel programma di recupero dei
teatri storici e i lavori di restauro iniziarono nel 1989, dopo l’arrivo dei finanziamenti
regionali. Si permise così di recuperare l’unità di impianto originale dell’edificio, con
il reinserimento di altri ambienti che anticamente appartenevano al teatro, ma anche di
dotarlo di nuovi spazi funzionali. La maggior parte dei lavori vennero dedicati al ripri-
stino delle decorazioni, specialmente quelle del plafond, dei palchi e dell’arco sceni-
co. Si andò così gradualmente
a ricostruire l’immagine ori-
ginale del teatro ottocentesco,
che venne riaperto nel 1992.
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Anche il Teatro dei Riuniti
subì una simile sorte: negli anni
Trenta del Novecento venne tra-
sformato nel cinema “Teacine”,
per poi arrivare agli anni Ottanta
in gravi condizioni a causa dei
mancati restauri. Venne quindi
inserito nel progetto di recupero
del 1985 e nel restauro che ne se-
guì dal 1988 in poi si scelse di ripristinare l’antico aspetto ottocentesco, cercando di riuti-
lizzare il più possibile materiali tradizionali, ma operando anche modifiche laddove ve ne
fosse il bisogno. Il problema principale che si presentò fu quello dell’insufficienza di spazio
destinato al palco e alle zone ac-
cessorie, che non erano in grado
di garantire un giusto impianto
scenico e scenotecnico. Perciò,
l’Amministrazione Comunale
acquistò un ulteriore locale per
ampliare il palcoscenico e do-
tarlo di tutte le nuove tecnologie
richieste dagli odierni teatri.
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Vi è poi il Teatro Civico di
Norcia (figg. 2.3 e 2.4), il cui
interno venne interamente
distrutto da un incendio nel
1952, lasciando intatti della struttura ottocentesca solo l’involucro murario e la
facciata. I cittadini, perciò, si posero il quesito se ricostruirlo così com’era prima o
proporre un progetto più contemporaneo. Infine, negli anni Sessanta si optò per un
38 Cfr. ibidem
39 Cfr. ibidem
Fig. 2.2 - Interno del Teatro dei Riuniti di Umbertide
Fig. 2.3 - Esterno del Teatro Civico di Norcia
39
tipo di intervento che ricostruì
la copertura del teatro e intro-
dusse nell’involucro storico
una sala teatrale e cinemato-
grafica in cemento armato e
acciaio con una platea e una
balconata aperta, eliminando
l’impostazione del teatro all’i-
taliana. Si trattava di un con-
troinvolucro interno all’edifi-
cio storico, mentre le murature
esterne e la copertura rimane-
vano completamente indipen-
denti dalla struttura situata
dentro. Il teatro venne quindi riaperto nel 1996, con una capienza di 366 spettatori.
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Tra i teatri umbri che tuttora necessitano di urgente restauro, oltre al Teatro Verdi di Ter-
ni, si contano il Teatro di San Giovanni di Montecastrilli e il Teatro Turreno di Perugia.
2.2.2 Teatro Galli di Rimini e Teatro della Fortuna di Fano
Emblematici ai fini di questa ricerca sono in particolar modo i tea-
tri di Rimini e di Fano: la ragione sta soprattutto nel fatto che anch’es-
si furono progettati dall’architetto Luigi Poletti e ne condividono quindi lo
stesso stile appartenente al neoclassicismo purista; in più, hanno subito un’evolu-
zione simile al teatro di Terni, sebbene con esiti diversi e decisamente più positivi.
Ciò che guidava la poetica di Poletti nell’edificazione dei suoi teatri era la volontà
di modificare con una variante più moderna la struttura classica del teatro all’ita -
liana, inquadrandone i palchetti nella tipica architettura greco-romana, più monu-
mentale. Nel fare ciò egli si ispirò alla visione del teatro che aveva Vitruvio, che
aveva distinto sei categorie del bello architettonico: l’ordinatio (l’ordine), la di-
spositio (l’elegante e armonica esecuzione dell’edificio in tutte le sue parti), l’ eu-
rytmia (la bellezza estetica e soggettiva), la symmetria (la proporzione), il decor
(il gusto e il rispetto della tradizione) e la distributio (la giusta scelta dei mate-
riali e l’abilità nel non eccedere nelle spese). Vitruvio, inoltre, considerava il te-
atro come “tempio della musica”, luogo ideale per ascoltare la voce e il suono.
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Per Poletti l’apparato decorativo non rappresentava solo un abbellimen-
to fine a se stesso, ma era la caratteristica fondamentale che regalava maestosi-
tà e monumentalità alla struttura, oltre a garantire una buona acustica. Egli, per-
40 Cfr. ibidem
41 Cfr. Bernardino Sperandio, Il restauro del pronao del Teatro Verdi di Terni, Tipografia Trevana,
Trevi, 2012
Fig. 2.4 - Interno del Teatro Civico di Norcia