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INTRODUZIONE
Vent’anni fa, circa, mi trovavo a scrivere sul teatro approfondendo
concetti di parodia, riso, feste dei folli, saturnali, doppio, carnevale,
grottesco, commedia, ecc. Ero partita dallo studio della Commedia
Fliacica della Magna Grecia fino alla nascita della Commedia dell’Arte,
passando per tutti quei generi che contraddistinguono le forme
artistiche in quei secoli.
Dai greci all’Umanesimo, si può analizzare la coesistenza di elementi
teatrali ed artistici di cultura popolare con stili legati al grottesco,
insieme ed in contrasto con la cultura ufficiale imperturbabile ed aulica
sostenuta dal potere imperiale ed ecclesiale.
Tutto il Medioevo è intessuto dall’intreccio di feste e di tradizioni di
questi differenti generi che caratterizzano lo stesso periodo storico che
si sostenevano vicendevolmente nella partecipazione, riuscendo a far
continuare e trasformare quella cultura pagana popolare che il nuovo
potere ecclesiale cercava di trasformare in nuova tradizione cristiana.
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Essa non doveva smettere di essere partecipata dal popolo ma doveva
arricchirsi di nuovi contenuti spirituali.
La forza, la vitalità, la carica coinvolgente che era per tradizione legata a
certe manifestazioni popolari era un lievito fondamentale per dare
corpo a certe funzioni e parate delle feste religiose; che senza la
partecipazione delle folle sarebbero rimaste sterili e vuote, invece
intessute in certe usanze, credenze pagane, aspetti folkloristici, un po’
magici e superstiziosi potevano dare forza ed incisività a quel Credo
religioso a cui si asserviva la Chiesa per trasformare l’uomo nel suo
spirito più puro.
Oggi come allora ancora l’uso di un linguaggio che deve parlare a
quell’uomo. Da qui lo studio di un teatro privo di sovrastrutture che
ricerca nella sua comunicazione l’aspetto più profondo dell’animo
umano, forse perché avvenga quella trasformazione alchemica che dalla
vitalità della terra e della materia più gretta porti lo spirito dell’uomo al
livello aureo-celestiale delle sue emozioni. Queste devono essere vive
perché l’uomo è vivo e tale deve essere lo stile del suo teatro; che è un
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linguaggio del movimento e del divenire, che non può non prescindere
da questo uomo capace di emozionarsi, di pensare, di interagire di agire
dentro la società e la cultura che lo sostiene in questa ricerca.
Il Teatro del Carretto, un tentativo di questo linguaggio, di questa
ricerca, di questo parlare all’uomo partendo dalla fiaba fino alla
tragedia con la stessa volontà di dialogo, di voglia di rivitalizzare lo
spettatore ad uno spettacolo pensante, emozionante che riesce a
trasmettere a rivitalizzare quelle menti assopite da una monotonia del
vivacchiare inutile ed sterile che spesso è tipico del nostro pensiero
occidentale. Noi occidentali sappiamo arricchirci di tante cose inutili che
soffocano l’uomo e spesso non lo rendono più capace di cogliere
quell’essenziale che lo rende unico in tutte le sue forme e forse in
questo «simile a Dio»(Gn.27)
Ma il Teatro del Carretto risponde forse ad una indagine partita il secolo
scorso alla ricerca in Europa di un nuovo teatro che ha visto passare
regimi, guerre, ideologie risultate poi fallimentari ma che non hanno,
nella loro ricerca, perso l’uomo che, se ben stimolato, e invitato a
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pensare, riesce anche con il teatro (forse proprio “ancora” con il teatro
e l’arte) a essere capace di risvegliarsi e di comunicare e crescere nei
suoi valori, e nelle sue emozioni più vere, in quanto tengono vivo il suo
pensiero «cogito ergo sum» (Cartesio). Questa la nuova frontiera del
mio studio dopo vent’anni, e dopo diverse esperienze nel campo
artistico-teatrale che mi hanno messo in comunicazione, per strani
percorsi, in sintonia con il Teatro del Carretto e in questo caso con le
persone che da dietro le quinte muovevano questo Teatro, con
collaborazioni con chi lavorava nelle sue fila, e che al solito se fa
qualcosa di vivo, è vivo, e trasmette qualcosa di vivo. Da qui la scelta di
parlare di questo Teatro e di questa compagnia approfondendo lo
studio delle sue opere, in uno stile che sento vicino a me per certe
forme di un artigianato che sa costruire dal materiale più semplice e
povero cose meravigliose e toccanti l’anima. Un Teatro che si apre a
nuove ricerche di vitalità, di creatività, di arte come forme di crescita
per l’uomo nella sua dimensione interiore: sia intellettuale che
spirituale.
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CAPITOLO PRIMO
Analisi delle opere citate e recensioni della critica più
significativa
Le opere del Teatro del Carretto che analizzerò sono sei e
appartengono a generi letterari diversi, quali: fiaba, Biancaneve e
Pinocchio; mito, Iliade ed Odissea; romanzo d’amore, Romeo e
Giulietta; tragedia, Amleto.
BIANCANEVE
L’opera di Biancaneve, appartiene alla tradizione letteraria della fiaba
popolare europea
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. Il genere della fiaba è una narrazione originaria della
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La versione più conosciuta è quella dei Fratelli Grimm (Jacob e Wilhem) ispirato a molti aspetti al folklore
popolare dei quali i fratelli Grimm, erano profondi studiosi. Sembra sia nata nella città di Lohn in Bassa
Franconia con il nome di .Schueewittchen.
La trama più popolare è quella che vede un giorno una regina intenta a cucire vicino a una foresta, sulla neve. Si
punge un dito e guardando il sangue sul terreno innevato, desidera d’avere una figlia con i capelli scuri come
l’ebano, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue; dopo qualche tempo la regina ebbe una
figlia, alla quale dà il nome Biancaneve, ma nel darla alla luce la regina muore. Il re, per assicurare una figura
materna alla figlia, decide di risposarsi. La seconda moglie del re, una bellissima donna che possedeva uno
specchio magico, invidiosa della bellezza della giovane figliastra, incarica un cacciatore di portare la ragazza nel
bosco, ucciderla e riportarle i polmoni e il fegato (il cuore in alcune versioni) come prova della conclusione del
suo compito. Il cacciatore, però, impietosito dell’implorare della fanciulla e dalla sua bellezza, decide di lasciarla
nel bosco e di uccidere un cinghiale portando alla regina gli organi di questo animale, convinto che comunque
Biancaneve verrà uccisa da qualche belva feroce. La regina, dopo aver ricevuto il fegato e i polmoni, li mangia,
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tradizione popolare caratterizzata da racconti medio-brevi e centrati su
avvenimenti e personaggi fantastici (fate, orchi, giganti e così via)
coinvolti in storie con un sottinteso intento formativo o di crescita
morale. L'intento allegorico e morale è molto esplicito; la presenza
dell’elemento fantastico o magico è proprio una caratteristica peculiare
della fiaba.
«È diffusa l'opinione per cui le fiabe siano tradizionalmente pensate per
intrattenere i bambini, ma non è del tutto corretto: esse venivano
convinta che siano quelli della figliastra. Biancaneve, dopo aver vagato per un po’ nel bosco, si imbatte in una
casa costruita proprio nel cuore della foresta nella quale abitano sette nani, che lavorano in una vicina miniera
per guadagnarsi da vivere. La casa è vuota e Biancaneve, affamata e stanca, si nutre con parte del cibo e del vino
già preparato dai nani, prendendone un poco di ogni porzione, per poi addormentarsi nell’unico dei sette letti
della propria misura. I nani, dopo un primo attimo di sgomento per l’intrusione, sono felici di ospitare la dolce
Biancaneve, che in cambio li accudisce nelle faccende domestiche.
La vita scorre tranquilla fino a quando la regina cattiva, grazie allo specchio fatato, scopre che la ragazza è viva e
in salute.
Travestitasi da vecchia venditrice, cerca perciò per due volte di uccidere Biancaneve, prima stringendole una
cintura in vita fino a toglierle il respiro, poi con un pettine avvelenato. In entrambi i casi la giovane viene però
salvata dall’intervento dei nani, che riescono a farle riprendere i sensi, ammonendola ogni volta di non far
entrare nessuno in casa. A questo punto la regina, travestita da vecchia contadina e venditrice di frutta, si avvia
nuovamente verso la casa dei nani con l’obiettivo di far assaggiare a Biancaneve una mela avvelenata. Per
convincere Biancaneve ad accettare almeno una mela in dono la taglia in due, assaggiandone la metà che non
era avvelenata. Biancaneve al primo morso della parte avvelenata, cade in uno stato di morte apparente da cui
nessuno degli sforzi compiuti dai nani riesce a svegliarla. Gli stessi nani, convinti che sia morta, la pongono in
una bara di cristallo e la sistemano sulla cima di una collina in mezzo al bosco. Per molto tempo Biancaneve
resta vegliata dai nani finché un giorno non viene notata da un principe che passava di lì. Il principe, vorrebbe
portarla nel suo castello, per poterla ammirare e onorare per tutti i giorni della sua vita. Dopo molte insistenze i
nani, impietositi dai sentimenti del giovane, acconsentono alla sua richiesta. Avviene però che uno dei servitori
del principe, arrivati per trasportare la bara al castello, inciampi su di una radice sporgente, facendo cadere la
bara giù per il fianco della collina. Durante la caduta esce dalla bocca di Biancaneve il boccone di mela
avvelenato e così la ragazza si risveglia. Biancaneve s’innamora subito del principe e vengono organizzate le
nozze a cui viene invitata anche la matrigna di Biancaneve. Questa, che non conosceva il nome della sposa, ma
era stata avvertita dallo specchio che era più bella di lei, rimane impietrita riconoscendo Biancaneve. Nel
frattempo erano state fatte arroventare sulle braci due scarpe di ferro che la strega viene costretta ad
indossare. A causa del dolore procuratole dalle calzature incandescenti la strega è costretta a ballare finché
cade a terra, morta. Da: versione dei fratelli Grimm Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Biancaneve_e_i_sette_nani
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narrate anche mentre si svolgevano lavori comuni, per esempio filatura,
lavori fatti di gesti sapienti, ma in qualche modo automatici, che non
impegnavano la mente. Erano per lo più lavori femminili, ed è anche per
questo che la maggior parte dei narratori è femminile; oltre al fatto che
alle donne era attribuito il compito di cura e intrattenimento dei
bambini. Le fiabe tutto sommato erano un piacevole intrattenimento
per chiunque, e "davanti al fuoco" erano gradite ad adulti e bambini di
entrambi i sessi. In Europa esiste una lunga tradizione orale legata alle
fiabe, che riveste un grande interesse per la scienza etnoantropologica.
Inoltre, diversi autori hanno raccolto fiabe tradizionali o ne hanno
create di nuove riprendendo gli stilemi di quelle tradizionali. Le fiabe
sono state tramandate a voce di generazione in generazione per lunghi
secoli e chi narrava le fiabe spesso le modificava o mescolava gli episodi
di una fiaba con quelli di un'altra, dando a volte origine ad un'altra fiaba
diversa.
Esse hanno un’origine popolare: descrivono la vita della povera gente,
le sue credenze, le sue paure, il suo modo di immaginarsi i re e i potenti
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e venivano raccontate da contadini, pescatori, pastori e montanari
attorno al focolare, nelle aie o nelle stalle; non erano considerate, come
ora, solamente racconti per bambini, ma rappresentavano un
divertimento anche per gli adulti ed avevano grande importanza per la
vita della comunità.»
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Caratteristica delle fiabe: 1) indeterminatezza: personaggi, epoca e luoghi sono quasi sempre indefiniti (e
remoti), quasi mai nominati e non sono descritti (si dice «C'era una volta...», «In un paese lontano...», ma non si
dice né dove né quando);
2) inverosimiglianza: i fatti che si presentano nel racconto sono spesso fatti impossibili e i personaggi
inverosimili o inesistenti nella realtà quotidiana (molti fatti narrati possono accadere solo per magia e molti
personaggi esistono solo nella fantasia popolare o mitica, e non di rado sono personificazioni di concetti astratti:
il bisogno, il male, il dolore, ecc.);
3) manicheismo morale: si rappresenta sempre un mondo nettamente distinto in due (i personaggi sono o
buoni o cattivi, o furbi o stupidi e non esistono vie di mezzo, la ragione sta sempre da una sola parte);
4) reiterazione e ripetizione: i motivi sono sempre ricorrenti (gli elementi e gli episodi sono spesso presenti
anche in altre fiabe). Esiste anche una ricorrenza narrativa di frasi o formule magiche;
5) apoteosi finale: c'è sempre un lieto fine (i buoni, i coraggiosi e i saggi vengono premiati, le ragazze povere
diventano principesse, i giovani umili ma coraggiosi salgono sul trono, la virtù premiata, la bontà vince, ecc.).
Nelle fiabe di magia, l'apoteosi è immancabile; è solo nelle fiabe letterarie che il finale può essere tragico.
6) scopo didattico: c'è sempre una morale, anche se non espressa chiaramente come nella favola, che insegna a
rispettare gli anziani e la famiglia, ad onorare le istituzioni (le persone che le incarnano sono degne di rispetto
solo se "buone"), ad essere generosi con i poveri e gli umili, e coraggiosi con i prepotenti (fino a sfidare le
autorità) per migliorare il proprio destino.
Il linguaggio:
Il linguaggio della fiaba è quello dei narratori del popolo, in genere molto semplice e a volte un
po'sgrammaticato, ma ricco di modi di dire e di formule popolari. Viene solitamente utilizzato il discorso diretto,
perché le battute del dialogo permettevano al narratore di cambiare la voce e di tener viva l'attenzione di chi
ascoltava.
Sono frequenti e quasi obbligatorie le ripetizioni («Cammina, cammina...», «Cerca, cerca...», «Tanto, tanto
tempo fa...», «C’era una volta …») e le triplicazioni, perché raccontare tre volte lo stesso fatto aveva lo scopo di
allungare la storia, di renderla più chiara e di prolungare la sensazione di mistero. Le formule d'inizio e le
formule di chiusura sono quasi sempre le stesse («C'era una volta...», «In un paese lontano...», «... così vissero
felici e contenti»), numerose le formule magiche e le filastrocche.
La ripetizione e la ridondanza permettono una migliore penetrazione dei contenuti ed una più persistente
memorizzazione ma, prima di questo, corrispondono ad un'esigenza propria della didattica infantile. Vedi
prefazione Morfologia della fiaba traduzione italiana di Lara Coisson 1949 Enaudi Torino - del libro Le radici
storiche dei racconti di magia di Vladimir Propp 1946 pubblicato in Russia. Fonte:http://it.wikipedia.org/wiki/Fiaba
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Il Teatro del Carretto fa una restituzione di questa fiaba secondo la
concezione del doppio: di umano e di burattino contemporaneamente.
La fiaba di Biancaneve, infatti, si apre si alla lettura del sogno, pur
rimanendo inserita nella realtà, la matrigna e il male sono nell’uomo e
non nel burattino, a cui è riservata un valore più positivo (lo vedremo
più avanti nel saggio di Von Kleist Sul teatro delle marionette).
« ….Simbolo stesso del male, la strega è l’unico personaggio in
carne ed ossa. E, con un bel gioco di contrasti incrociati, mentre le
marionette e i pupazzi inseguono freneticamente un’illusione
realistica, l’attrice assume le movenze di una bambola meccanica,
uno di quegli automi perfettamente congegnati»
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La soluzione scenica espressa dalla compagnia del Carretto è di uno
spazio particolare, inedito, un armadio, che a volte si apre e ci propone
attori che escono, a volte entrano, per poi magicamente trasformarsi
in una storia di marionette. Maria Grazia Cipriani che cura la regia ce la
presenta con queste parole:
«…(una) scatola teatrale che si apre come un magico armadio
dell’immaginario svelando scomparti, celando trabocchetti,
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Silvana Zanovello da:«IL SECOLO XIX», 5 marzo 1996 Genova
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rinnovando continuamente e simultaneamente l’idea di
palcoscenico, facendo apparire teste, paesaggi, personaggi veri,
oggetti misteriosi di grandezza spropositata: il tessuto narrativo si
fa gioco scenico, attraverso il contrasto di universi che nasce dal
rapporto tra attori e creature in cartapesta, personaggi veri ed
oggetti smisurati o lillipuziani, verità della materia e finzione del
corpo, elementarità della parola e potenza dei brani del
melodramma, rivelando sottilmente la sua natura di camera
dell’inconscio …..»
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Le soluzioni artigianali danno ancor più sapore a quel senso di fiaba
tradizionale dei boschi, espresso nell’uso delle materie prime così
abilmente trattate (legno, cartapesta, fili, stoffe) da farci sentire il
profumo delle cose antiche ed autentiche, colme di tradizioni, e di
sapori veri di meccanismi semplici, ma forti nell’esprimere messaggi di
arte teatrale di qualità.
« Messinscena che ci riporta ad una dimensione artigianale del
teatro, nel senso della ricerca più nobile e affascinante, e che rivela
intuizioni spesso geniali ….»
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Forse la descrizione più completa ed esauriente ci viene da Lele Luzzati
che dell’opera ci dice:
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Maria Grazia Cipriani Libretto opera:Biancaneve 1983 Lucca
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Simonetta Angrisani da settimanale:«Famiglia Cristiana», 6 novembre 2011
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«la Biancaneve del Teatro Del Carretto è forse lo spettacolo più
ambiguo che abbia visto negli ultimi anni. E quando dico
“ambiguo” voglio dire che ha raggiunto l’essenza del teatro:
ambiguo è l’Amleto, ambiguo è il miglior Carmelo Bene, ambiguo è
Mozart e il suo Flauto Magico, ambiguo è Fellini etc…
E ambigua è Biancaneve: uno spettacolo per bambini, ma anche
per tutte le persone intelligenti dai 5 agli 80 anni; ambigua è la
matrigna, talvolta personaggio reale, che raggiunge l’astratto;
ambigui sono i nani che arrivano dal fondo sala, grandi come veri
nani per poi diventare piccoli piccoli una volta entrati nel teatrino
di mezzo. Ambigua è anche quella meravigliosa scatola teatrale
che all’inizio si presenta come un normale teatro di marionette e
che poi a poco a poco si apre come un armadio magico, facendo
apparire teste, o paesaggi, personaggi veri, oggetti misteriosi di
grandezza spropositata, o la miniera dei nani, che sempre si
prendono l’applauso a scena aperta. E infine ambigua è la colonna
sonora, così raffinata, dove anche l’arcinoto coro a bocca chiusa
della “Butterfly” assume un significato, e pur con una sottile ironia,
torna a commuoverci per tutt’altre strade.»
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Lele Luzzati da Libretto opera: Biancaneve 1983 Lucca