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Capitolo I - Il Teatro comico di Carlo Goldoni
«E in casa mi concedeste di potervi leggere
alcuna di esse Opere mie, e questa
precisamente, che ora ardisco di presentarvi, il
Teatro Comico intitolata, prima di esporla
sulle Scene (dubitando io con ragione
dell’esito, per essere prefazione di Commedie,
più che Commedia)»
1
Con queste brevi parole, Goldoni riassume i suoi propositi (e dubbi) nei confronti della lettura
del Teatro comico, tenuta presso la casa milanese della marchesa Margherita Litta Calderari
nell’estate del 1750, sede degna in terraferma per provare una nuova messinscena che si
sarebbe tenuta al teatro Sant’Angelo di Venezia all’apertura della nuova stagione teatrale. Il
1750 è stato per Goldoni un anno decisivo, diviso fra la preoccupazione meramente
commerciale di rimediare all’insuccesso dell’Erede fortunata, nella passata stagione,
lanciando una scommessa per la nuova stagione con ben sedici commedie nuove in cartellone,
e la volontà di rispondere alle critiche dei suoi detrattori e di raccogliere il guanto di sfida per
una “riforma” del teatro che ormai si riteneva sempre più urgente. Goldoni, uomo di teatro di
solito considerato poco avvezzo alle questioni teoriche
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, volle così rispondere con una
commedia-Prefazione che potesse fungere anche da testo e manifesto programmatico della
sua riforma. Nasce il Teatro Comico, testo metateatrale, inteso non come commedia di teatro
nel teatro, ma secondo la definizione di Pino Fasano, di «teatro del teatro, o di teatro sul
teatro»
3
. In questo percorso, si vuole analizzare il testo nelle sue fasi salienti e, alla luce della
temperie culturale che Goldoni stava vivendo come protagonista, si cercherà di inserire delle
macroaree che possano puntualizzare ciò che il Nostro si prefisse di spiegare nella sua
“poetica in azione”.
1
Dedica alla marchesa Donna Margherita Litta Calderari, in Carlo Goldoni, Tutte le opere, a cura di G. Ortolani,
14 voll., Milano, Mondadori, 1935-56, vol. II, pp. 1041-1043.
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La figura di Goldoni è stata recentemente riabilitata nella sua portata teorica: cfr. ad esempio Anna
Scannapieco, Goldoni tra teoria e prassi del teatro comico (appunti proemiali), in Carlo Goldoni in Europa, a
cura di I. Crotti, «Rivista di letteratura italiana» XXV (2007), 1, pp. 13-37. La studiosa rimarca l’importanza
delle Prefazioni e dei «corredi paratestuali» del Nostro, quali supporto teorico scelto per le sue tesi, a conferma
di una prassi che “teorizza” il suo pensiero.
3
Cfr. Pino Fasano, Il comico onorato, in Idem, L’utile e il bello, Napoli, Liguori,1984, pp. 53-83: 59. In effetti
sarà presente anche il teatro nel teatro, con la “piccola farsa” inserita nella principale, ma verrà vista come la spia
dell’effettiva mancanza di azione teatrale nella commedia principale.
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1.1 «e io, che fin da ora sembrerà forse a taluno che voglia far da maestro»
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Nel 1749, l’abate Piero Chiari, drammaturgo presso la compagnia Imer - Casali, porta in
scena al Teatro San Samuele La scuola delle vedove, chiara parodia della Vedova scaltra di
Goldoni, successo della compagnia di Girolamo Medebach nel dicembre del 1748 al
Sant’Angelo. E Goldoni risponde alla satira chiariana con un Prologo apologetico, dove
Polisseno (nome arcadico di Goldoni) e Prudenzio (verosimilmente Medebach), si qualificano
l’uno come poeta e l’altro come riformatore dei teatri
5
. Polisseno difende la commedia dagli
attacchi chiariani, la coerenza dei personaggi e l’esigenza del verisimile, scevra però da
pedanteria e riproduzione sterile del reale
6
. La polemica si è fatta così aspra che si è reso
necessario l’intervento del Tribunale degli Inquisitori ed entrambe le commedie sono state
proibite. Questo caso emblematico ci fa comprendere quanto il clima fosse incandescente nei
teatri pubblici della Serenissima: a Venezia la concorrenza si giocava anche sul fronte del
profitto e i tre teatri di commedia, il San Luca, il San Samuele e il Sant’Angelo si
contendevano autori (è di questo periodo la pratica di stipendiarli) e compagnie, ma
soprattutto pubblico pagante
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. Le polemiche facevano quindi anche da cassa di risonanza tra
fazioni che parteggiavano o per Goldoni (e le sue commedie riformate), o per Chiari, aiutando
ad incrementare le finanze delle varie compagnie. E gli echi dei teorici di fine Seicento ed
inizio Settecento della riforma, non potevano passare inosservati a chi, come Goldoni, calcava
le tavole dei teatri tutti i giorni. Egli non poteva restare sordo dinanzi alle accuse che da più
parti arrivavano, invocando un ripensamento del teatro comico. Si pensi a Scipione Maffei o a
Martello, i quali auspicavano una riforma complessiva del teatro, ma il più delle volte la
teoria è rimasta impantanata tra sterili regole. Maffei, ad esempio, nel rispondere alla totale
condanna del teatro da parte del religioso Daniele Concina, riteneva che non tutto il teatro
fosse da condannare, ma solo quello scandaloso delle «sconce Arlecchinate», che attirava le
risa della gente ignorante e scostumata e che «anziché correggere il vizio, lo fomentava»
8
. Il
verosimile, l’abolizione del barocchismo, la ricerca di moralità, erano già stati teorizzati anche
4
L’autore a chi legge, in Carlo Goldoni, Tutte le opere, cit. p. 1045.
5
Cfr. Valeria Tavazzi, Per una rilettura del Teatro comico, in Eadem, Carlo Goldoni dal San Samuele al Teatro
comico, Torino, Accademia University Press, 2014, pp. 192-248: 210-211.
6
Cfr. Walter Binni, La poetica del Goldoni in Idem, Goldoni, scritti 1952-1978, (Opere complete), 10, Firenze,
Il Ponte, 2015, pp. 71-256: 125.
7
Cfr. Ginette Herry, Il teatro comico o il prezzo della riforma, in «Studi goldoniani», n. 4, 1976, pp. 4-47: 11.
8
Cfr. Giorgio Padoan, L’esordio di Goldoni: la conquista della moralità, in Id., Putte, zanni, rusteghi. Scena e
testo nella commedia goldoniana, a cura di I. Crotti, G. Pizzamiglio, P. Vescovo, Ravenna, Longo, 2001, pp. 11-
44: 37.
4
da Muratori, ma tutto si infrangeva tra gli scogli del nozionismo
9
. Goldoni, uomo di teatro e
pragmatico, capì che era giunta l’ora di ridare dignità al “suo” teatro e cercò una forma, un
ordine da restituire agli sfilacciati canovacci, ormai svuotati di ogni tradizione “alta”. Egli
conosceva bene la quotidianità, aveva esperienza di vita e di teatro e scrivere commedie affini
alla natura umana gli era facile. Goldoni approfittò delle premesse teoriche riformatrici, per
rendere manifesto il suo progetto riformatore del teatro comico e darsene la paternità. Ecco la
sua vera “riforma”: spiegare al suo pubblico, attraverso i suoi testi e paratesti, la sua visione
del mondo e le novità che si accingeva a proporre. La volontà, dunque, di mettere nero su
bianco questo nuovo intento programmatico e di spiegare agli spettatori (d’ora in poi anche
lettori), le “nuove” regole da adottare, senza la pretesa di dare lezioni, ma con l’intento e il
desiderio di essere seguito anche dagli altri
10
. La riabilitazione della commedia, doveva
partire dall’eliminazione della sciatteria e della volgarità della comicità deteriore
11
. Anche
l’improvvisazione avrebbe dovuto lasciare il campo al premeditato: Goldoni stesso aveva
iniziato a portare in scena commedie scritte interamente già dal 1742, con La donna di garbo.
Questa prima prova risultò rigida e schematica, dovuta proprio all’assenza del canovaccio e
della libertà fino ad allora concessa agli attori improvvisatori. Nel 1743, il drammaturgo
lasciò Venezia per problemi economici ed approdò in Toscana, dove esercitò il suo mestiere
di avvocato a Pisa. Qui fu accolto in Arcadia e maturò le sue idee riformatrici, ma sebbene a
contatto con i poeti arcadici, interessati più al punto di vista teorico della riforma, egli cercò di
rivoluzionare la drammaturgia; innanzitutto cercò di farsi portavoce della riabilitazione della
nobile tradizione della Commedia dell’Arte e portò in scena, a tal proposito, il Servitore di
due padroni nel 1745, per la compagnia di Antonio Sacco per il teatro San Samuele di
Venezia
12
. In questo periodo l’incontro risolutivo con Cesare D’Arbes, attore della compagnia
di Girolamo Medebach, gli fece prendere la decisione di lasciare Pisa e l’avvocatura, per
seguire il suo lavoro a tempo pieno di autore teatrale al Teatro Sant’Angelo.
9
Cfr. Epifanio Ajello, Carlo Goldoni. Leggere il teatro, in Carlo Goldoni, «Il teatro comico» e altri scritti
teatrali, a cura di Epifanio Ajello, Roma, Archivio Guido Izzi, 1992, pp. V-XLIII: XXXII-XXXIII.
10
«Io perciò non intesi di dar nuove regole altrui, ma solamente di far conoscere, che con lunghe osservazioni, e
con esercizio quasi continuo, son giunto al fine di aprirmi una via da poter camminare per essa con qualche
specie di sicurezza maggiore [..]», in L’autore a chi legge, in Carlo Goldoni, Tutte le opere, cit., p. 1045.
11
Oggi si direbbe «avanspettacolo», cfr. Giorgio Padoan, L’esordio di Goldoni, cit., p. 38.
12
Cfr. Siro Ferrone, La vita e il teatro di Carlo Goldoni, Venezia, Marsilio, 2011.
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1.2 «L’autore che somministra a noi le commedie, ne ha fatte in quest’anno sedici, tutte
nuove, tutte di carattere, tutte scritte», ovvero delle novità pubblicizzate
Eccoci giunti al Teatro comico, la cui prima rappresentazione si svolse la sera del cinque
ottobre del 1750, quale introduzione per quella stagione teatrale, che prometteva ben sedici
nuove commedie della compagnia di Medebach. Questo manifesto di poetica in commedia ha
almeno un precedente nell’Impromptu de Versailles di Molière; Goldoni avrebbe sfruttato la
struttura metateatrale come l’illustre collega francese per fini auto difensivi. Ma studiose
come Anna Scannapieco e Ginette Herry
13
, hanno recentemente sottolineato la differenza tra
la pièce difensiva di Molière e quella di Goldoni, intenta più a spiegare e mostrare al pubblico
le novità introdotte per il nuovo teatro comico italiano
14
. Mentre l’autore francese è in scena a
interpretare sé stesso, Goldoni affida il ruolo di suo portavoce a Girolamo Medebach, il
capocomico e capo di compagnia. Questa scelta potrebbe semplicemente spiegarsi con le
mutate condizioni dell’autore settecentesco, stipendiato dal capocomico e con un ruolo ben
definito, diverso dai meccanismi del mecenatismo di corte; ma forse potrebbe dipendere
anche dal fatto che Medebach fu disponibile a farsi eco delle idee dell’autore, mantenendo la
sua individualità di capocomico
15
. La stagione si apriva con grande affanno per la compagnia
di Medebach, dopo l’insuccesso dell’Erede fortunata della precedente stagione e la partenza
del famoso Pantalone Cesare Darbes per Dresda; Goldoni, quindi, si accingeva a mostrare le
novità dell’opera che avrebbe aperto l’anno teatrale, non senza timori, ma conscio del fatto
che una simile “trovata pubblicitaria” potesse dar voce alle sue idee riformatrici, ma anche,
più prosaicamente, rilanciare la sua compagnia, facendo ad esempio conoscere il nuovo
Pantalone, Antonio Mattiuzzi, detto Collalto. Il suo era anche un intento didattico e
snocciolando precetti per il nuovo teatro comico, avrebbe dato anche consigli agli attori sul
nuovo corso da intraprendere durante la recitazione e sull’inevitabile allontanamento dai
canovacci e dai lazzi volgari della commedia dell’Arte. Egli non perse mai di vista i gusti del
pubblico, sebbene apparentemente possa sembrare che Goldoni abbia dato credito solo agli
interessi e ai valori di una classe borghese emergente, che chiedeva in quel momento storico
di essere rappresentata attraverso le regole di buon senso e buon costume di cui si riteneva
13
Cfr. A. Scannapieco, Goldoni tra teoria e prassi del teatro comico cit., p. 21. La studiosa, avallando un’idea di
Piermario Vescovo, ipotizza un pregresso goldoniano nel Teatro alla moda di Benedetto Marcello, libello
ironico che attraverso l’antimodello teatrale, darà lo stimolo a Goldoni per costruire un vero modello di
rappresentazione teatrale. Ginette Herry, Carlo Goldoni. Biografia ragionata. Tomo II 1744-1750, Venezia,
Marsilio, 2009, pp. 335-348: 336-338.
14
Valeria Tavazzi, Per una rilettura del Teatro comico, cit., pp. 204-208.
15
Ivi, pp. 212-213.