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to see the variability of plant and mushroom names, specially when
each of them is called in different ways: usually the Latin form is the
most specific one, while the Greek is the secondary form. They are
also names deriving from other languages, such as Arabic and
Norman French (more northerly varieties than Francien), but they are
less in number than Latin and Greek terms and items. The study
continues with an attempt to represent, graphically, cognitive
knowledge. That permits us to realize how man relates and perceives
what surrounds him, how he classifies the natural world, relating
different aspects of life, for example natural and familiar, natural and
magic or also plants named with reference to animal characteristics.
The work ends with language analysis. It offers, in the first part, a
dialect phonological and phonetic description: what are the phonemes
which compose the phonemic register: the study is supported by
minimal pair tests. The second part of this last chapter deals with
grammar. The grammatical analysis is based above all on the specific
Taurianova dialect, but, in specified cases, it includes reference to
other dialectic forms used in nearby villages. A verb scheme is also
proposed, followed by the irregular verbs conjugation. To render this
study more complete, a dialect word list will be found at the end,
where the items are specified as to meaning and etymology.
3
Capitolo 1 - La Calabria Bizantina
1.0 Notizie storiche
Le notizie storiche sulla Calabria sono di difficile reperimento in
quanto molti documenti sono andati distrutti o trafugati nel corso dei
secoli a causa delle continue lotte per il dominio della regione.
I diversi dominatori apportarono mutamenti politici, linguistici e
religiosi, spesso ancora evidenti nel parlato popolare e soprattutto
nella toponomastica. Presentiamo ora le vicende che hanno come
sfondo la Calabria ponendo in primo piano l’attuale Piana di Gioia
Tauro, un tempo detta Turma delle Saline o Aulinas, dove il centro più
importante fu Taureana, sede vescovile fino all’arrivo dei Saraceni
(951).
1.1 La Brezia e la Calabria
A partire dal IV fino alla caduta del regno Ostogoto la Calabria fu
latina per assetto polico, religioso e linguistico. Dopo la disfatta degli
ostogoti, avvenuta nel 553, divenne provincia Bizantina, rimanendo
tale per i cinque secoli successivi, sebbene, a causa delle molteplici
incursioni, molti territori vennero loro tolti per poi essere
riconquistati. Da alcune lettere di Cassiodoro sappiamo che la Brezia,
come si chiamava allora l’attuale Calabria, e la Lucania costituivano
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l’ottava delle diciotto province in cui era divisa l’Italia.
1
A meta del VI
secolo i confini di questa provincia subirono dei mutamenti, i
Longombardi guidati da Autari, percorsero tutta l’Italia giungendo
fino a Reggio. La scorreria longobarda portò scompiglio nella
provincia. In una lettera del 591 inviata da s. Gregorio Magno a Pietro,
suddiacono regionario della Sicilia, egli scrive di aver saputo da
Paolino, vescovo di Tauriana, che i monaci della sua diocesi erano
andati a cercare rifugio nella vicina Sicilia a causa delle scorribande
dei Longobardi
2
, i quali distrussero buona parte della città di
Taureana. Pare comunque che questi riuscirono a tenere sotto il loro
controllo la Lucania e solo parte della Brezia, quella settentrionale,
mentre i Bizantini riuscirono a riconquistare il lato meridionale. In
questo periodo vediamo che la provincia prende due denominazioni: i
territori nelle mani dei Longobardi continuarono a portare il nome di
Brezia, mentre quelli conquistati dai Bizantini assunsero il nome di
Calabria. Molto probabilmente furono gli stessi Bizantini ad introdurre
questo nome dopo aver perso gran parte della vecchia Calabria, così
costituirono un’unica provincia composta dai pochi territori, della
Calabria, che erano rimasti sotto la loro guida e la parte meridionale
della Brezia. Il documento più antico che attesta la duplice
1
Paolo Diacono (De Gest. Longob. Lib II, cap. 17: “Porro octava Lucania, que nomen a quodam luco
accepit, a Silere fluvio incoat com Brutia, quae ita a reginae quondam suae nomine appellata est, usque
ad fretum Siculum per ora maris Tyrrheni, sicut et duos superiores, dextrum Italiae cornu tenens,
pertingit, in qua Pestus, et Lainus, Cassianum, Consentia, Rhegiumque sun positate civitates.
2
Gregorio Magno lib.I, epi. 41: Nobis asserit monachos suos occasione dispersos barbarica, eosque nunc
per totam vagari Siciliam.
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denominazione è la lettera sinodale di papa s. Agatone (680) in
occasione del VI concilio ecumenico che si sarebbe tenuto a
Costantinopoli, fu sottoscritta da 125 vescovi occidentali. Si tratta.di
una lettera scritta in latino con corrispondente traduzione in greco,
dove leggiamo che: Stefano di Locri, Teofane di Turio, Georgio di
Tauriana, Teodoro di Tropea ed Oreste di Vibona si sottoscrissero
come vescovi appartenti alla provincia di Calabria. Mentre Paolo di
Squillace, Pietro di Crotone, Abbondazio di Tempsa e Giuliano di
Cosenza come vescovi della Brezia. Tra le due copie, quella latina e
quella greca, si trovano delle incongruenze, per esempio nella
sottoscrizione di Oreste manca Provinciae Calabriae nel testo latino,
in quella di Giuliano manca invece nel testo greco ejparciva" brutivwn.
Dalle notizie fin qui date si può quindi affermare che il territorio che
prendeva il nome di Calabria si estendeva da Locri a Vibona. Il nome
poi fu esteso a tutta l’attuale Calabria man mano che i Bizantini
riuscirono a conquistare anche la zona settentrionale. Possiamo
quindi dire con certezza che nella prima metà dell’VIII la Calabria era
completamente sotto la guida di Bisanzio. Ad avvalorare quest’ultima
affermazione leggiamo nella diatiposi, registro delle chiese che
dipendevano dal patrircato di Costantinopoli, compilata nel 739 per
ordine di Leone III, che Squillace, Crotone, e Cosenza erano
sottoposte appunto alI’saurico, il quale espropriò il patrimonio che la
Santa Sede possedeva in Calabria, Sicilia e Puglia, ponendo queste
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province sotto la propria giurisdizione. Ciò avvenne in quanto le
province occidentali non volevano sottomettersi al suo ordine di
abolire il culto delle immagini
3
. La Calabria, però, non rimase a lungo
sotto il patriarcato bizantino, infatti nella seconda metà dello stesso
secolo i Longobardi riuscirono a riconquistare il lato nord,
approfittando del fatto che la flotta mandata dall’Isaurico per
sottomettere i ribelli fu affondata da una tampesta. Supponiamo che
in questo periodo i Bizantini e i Longobardi si allearono, perché,
nonostante i secondi non fossero iconoclasti, avevano un nemico
comune, il pontefice romano, cui entrambi gli schieramenti si
opponevano fortemente. I Longobardi tentarono per molti anni di
allargare i loro confini e di conquistare Roma. Ma nel 774 Carlo
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Leone III Isaurico fece un editto nel quale si dichirava contrario al culto delle immagini: fece distruggere
e rimuovere moltissime immagini Sacre causando rivolte popolari che furono da lui bloccate con dure
repressioni. L’iconoclastia cristiana scaturisce probabilmente dall’influenza mussulmana. I Mussulmani
infatti ancora oggi condannano la raffigurazione in forma umana della divinità. Papa Gregorio II credendo
che le immagini sacre avessero un ruolo educativo, cercò di opporsi a Leone III, il suo lavoro fu quasi
inutile. Ma bisogna ricordare che grazie a Papa Gregorio fu messa in crisi l’autorità imperiale in Italia. Fu
in questo periodo che i Papi cominciarono a considerarsi i “sovrani” del Ducato romano. A questo punto
la lotta s’infervorì, gli iconoclasti arrivarono a distruggere le reliquie dei santi. Alla morte di Gregorio II
(731) gli succedette Gregorio III, il quale continuò la battaglia contro gli iconoclasti. Anche quando morì
Leone Isaurico (741) non si fermò la persecuzione, infatti il figlio Costantino V Copronimo, convocato un
concilio a Costantinopoli, al quale non vollero partecipare il Papa e i patriarchi di Alessandria, Antiochia e
Gerusalemme, confermò la condanna delle immagini sacre e diede inizio a una persecuzione verso i
monaci che nn aveva precedenti. Solo col regno di Leone IV (775-780) l’iconoclastia perse vigore. Ma fu
grazie all’imperatrice Irene, reggente in vece del figlio Costantino VI, che furono riaperti i monasteri e
riammesse le immagini sacre nelle chiese. Nel 787 convocò il secondo concilio di Nicea che sancì
l’adesione al culto delle immagini. Papa Adriano I mandò una lettera all’imperatrice per puntualizzare che
le immagini andavano proskunhvsi" (venerate), mentre Dio latreia (adorato). La lotta iconoclasta riprese
sotto l’impero di Leone V l’Armeno,il quale impose nuovamente che venissero rimosse le immagini sacre
dalle chiese e dagli edifici pubblici. Leone V fu assassinato, ma i suoi successori , Michele II e Teofilo
continuarono a perseguitare i cattolici, visti come adoratori di immagini. Anche questa volta fu una
Donna a porre fine alle persecuzioni, toccò infatti a Teodora, moglie di Teofilo, far si che le immagini
sacre potessero essere di nuovo venerate e liberare i monaci che erano stati fatti prigionieri. Con il
concilio convocato a Costantinopoli nell’842 fu rinnovata la scomunica all’iconoclastìa
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Magno mise fine a queste lotte distruggendo completamente il loro
regno, tranne alcuni Ducati, che sotto la spinta di Adelchi, che si era
rifugiato a Costantinopoli, si organizzava con i Bizantini per
riappropriarsi del trono paterno caduto in mano franca, ma senza
riuscirvi. Alla fine del secolo VIII i Bizantini si allearono con i Franchi.
L’imperatrice Irene mandò dei suoi legati, Michele e Teofilo, per
creare un’alleanza con Carlo Magno. Il trattato fu sottoscitto ad
Aquisgana nel 789. Deposta Irene, Niceforo mandò tre suoi delegati
da Carlo per rassodare la pace che intercorreva tra Bizantini e Franchi,
che perdurò fino all’ 839. Nell’840 Redelchi chiama in aiuto i Saraceni
per sconfiggere Siconolfo, il quale era alleato con Londolfo. I Saraceni
si occuparono solo dei loro affari e s’impadronirono di Bari. Solo
Ludovico II fu in grado di placare la forza distruttrice saracena. Per
porre rimedio alla battaglia nata per la supremazia di Benevento
dovette dividere il ducato in tre parti: Benevento, Salerno e Capua. La
parte settentrionale della Brezia rientrava nel ducato di Salerno. I
Bizantini affontarono i Saraceni, riuscendo ad allargare i loro
possedimenti nella Calabria settentrionale, e riconquistando Bari,
sconfiggendo il popolo barbaro nello scontro navale tenutosi presso
Ellade. La Calabria si trovò nuovamente tutta in mano ai greci. Anche
questa volta però il dominio non durò a lungo. Le numerose scorrerie
dei Saraceni da un lato, che conquistarono prima la Sicilia e da lì
partirono alla volta della Calabria, saccheggiando e distruggendo
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molte città, prima fra tutte Reggio, i Longongobardi dall’altro, con i
quali per un secolo si contesero la parte settentrionale della regione.
Questa situazione durò fino all’arrivo dei Normanni che avvenne
intorno all’anno mille. Questi abolirono il rito greco istituendo quello
latino per tutte le province.
1.2 Il rito greco
La maggior parte delle notizie pervenuteci le dobbiamo alle biografie
dei santi che vissero in questa zona nel periodo bizantino. Nei secoli
VI e VII d.C., prima gli Slavi, poi i Persiani, portarono scompiglio nei
territori dell’impero bizantino, causando la migrazione di molti
monaci che si videro costretti a scappare e cercare rifugio in luoghi
più nascosti e sicuri. Videro come meta ideale l’Italia meridionale, che
in quel periodo era dominio bizantino e le diocesi erano guidate dai
patriarchi di Costantinopoli. Nell’827 i Musulmani iniziarono
l’occupazione della Sicilia, questo comportò una nuova ondata
migratoria di monaci in Calabria, che culminò nel X secolo. Così
nacque il monachesimo italogreco. Tutta la zona che va
dall’Aspromonte al Pollino era disseminata di grotte dove i monaci si
rifugiavano e pregavano in solitudine o riuniti in celle monastiche. Nel
X secolo la Calabria era considerata un centro religioso molto
importante, la sua fama giunse fino a Costantinopoli e a
Gerusalemme.
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Cercheremo di capire come ha avuto inizio la venerazione dei santi,
che sono tanto importanti per la conoscenza degli eventi storico-
culturali di questa regione. Le prime figure che vennero venerate
furono i martiri, ricordati con celebrazioni liturgiche nel “dies natalis”,
giorno della “nascita” ultraterrena. Le cerimonie si tenevano nel
tempio innalzato sulla tomba del martire. Col passare del tempo il
culto iniziò a superare i confini della chiesa particolare, e si divulgò
prima nelle chiese vicine per poi arrivare a tutta la Chiesa (IV sec.). Il
diffondersi dei culti determinò la necessità di scrivere le biografie dei
martiri, in modo che fossero note a tutti le vicende che
caratterizzavano la vita terrena di ognuno di loro. Con la fine delle
persecuzioni religiose si iniziarono a venerare gli asceti. Come
avvenne per i martiri le cerimonie si svolgevano prima nelle chiese
d’appartenenza per poi divulgarsi a tutta la Chiesa. L’esistenza dei
santi italograci è testimoniata da manoscritti rinvenuti nei monasteri
più antichi. Sono giunti fino a noi diversi tipi di testi: i Calendari,
elenchi delle commemorazioni per ogni giorno dell’anno. I Menologi,
le vite dei santi disposte per mesi secondo i calendari, usati nella
lettura all’ufficio divino o al coro. I Sinassai, elogi abbreviati sistemati
secondo l’ordine del calendario, venivano letti nell’ufficio del mattino.
I Menei, inni per tutti i santi nel corso dell’anno. Osserviamo che i
santi Calabresi appaiono solo nei Sinassari, successivi ai menologi,
questo ci fa pensare che questi santi siano stati introdotti solo in
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seguito. Ma successivamente, tra il secolo X e il XVI, in Calabria e
nell’oriente bizantino vengono venerati gli stessi santi. Le raccolte dei
Bioi furono interrotte nel X secolo, in quanto vennero soppiantate
dall’iconodulia. In questo modo la memoria del santo tornò ad essere
circoscritta alla chiesa d’appartenenza. Con l’arrivo dei Normanni il
rito greco scomparve. Difatti i monaci italogreci, che avevano goduto
sempre della protezione degli imperatori bizantini, a partire dalla
comparsa in Calabria di Roberto il Guiscardo, che avvenne nel 1057, e
dopo il Sinodo di Melfi dello stesso anno, furono avversati, e
considerati come gli usurpatori dei diritti della Santa Sede. In più essi
tentavano di ridurre le diversità, per fare ciò furono cancellate le feste
dei santi italogreci e le loro reliquie furono disperse. Più tardi i
Normanni si resero conto che i monaci influenzavano la popolazione,
così iniziarono a proteggerli e diedero loro delle terre, altrimenti
rimaste incolte. In questo modo portarono notevoli vantaggi ai nuovi
conquistatori. Così cambiò il loro compito primario: i monasteri, che
prima erano luoghi dove trascorrere una vita cenobitica, da questo
momento divennero sede dove svolgere compiti di gestione e
amministrazione delle proprietà
4
. Ruggero II, con un diploma del
mese di febbraio 1133, abolì l’autonomia dei monasteri imponendo il
metodo praticato nei monasteri latini. Egli fece anche edificare diversi
4
Il grano coltivato in queste terre veniva conservato in magazzini, che venivano chiamati metovcion,
costruiti appositamente per depositarvi il grano. L’arcivescovo chiedeva il grano ai monasteri. I monasteri
latini non potevano invece svolgere queste stesse mansioni.
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monasteri basiliani, tra cui S. Maria di Polsi, S. Filippo Argirò di Motta
San Giovanni, S. Giovanni Vecchio di Bivongi. Per controllare
l’influenza esercitata dai manaci basiliani e sveltire il processo di
latinizzazione, seguendo gli accordi presi con la Santa Sede, i
Normanni fondarono delle abbazie latine, a Bagnara l’abbazia di Maria
Santissima dei dodici Apostoli, a Mileto l’abbazia Benedettina della
Santissima Trinità, Santa Maria della Matina nella valle del Mercurio a
est di S. Marco Argentano. Il rito latino fu imposto a tutte le diocesi,
solo l’arcivescovo di Reggio si oppose al cambiamento, e venne
sostituito (1078 ca) dall’arcivescovo latino Arnolfo, che fu il primo ad
introdurre il rito latino. Per imporsi maggiormente, i Normanni,
crearono le sedi metropolitane di Reggio con tredici diocesi
suffraganee e di S. Severina con quattro. Vennero anche fondate le
diocesi di Mileto, nella quale rientrarono quei territori che erano parte
delle diocesi greche di Vibona e Tauriana, di Catanzaro, di Martirano
e di S. Marco Argentano. Fu così che il rito greco fu soppiantato da
quello latino. Solo dopo Leone XIII, ma soprattutto dopo il Concilio
Vaticano II si ha un’inversione di rotta: si comprese che i santi
italogreci vissero seguendo i valori universali della chiesa e che il
parimonio spirituale orientale deve essere sostenuto per
salvaguardare la totalità della tradizione Cristiana e permettere la
riconciliazione tra Cristiani d’oriente e d’occidente.