6
tra l’autorità monetaria e gli investitori rilevanti ha ad oggetto il tasso
d’interesse monetario. È proprio dall’analisi di Keynes che emergono le due
prospettive che cercherò di mettere a confronto in questo lavoro: la prima,
presente nel capitolo XIII della Teoria Generale, che guarda al fenomeno
dell’interesse in quanto in grado di portare all’equilibrio la domanda e
l’offerta di moneta, anziché la domanda e l’offerta di prestiti; la seconda,
“abbozzata nel capitolo XV, secondo la quale il saggio dell’interesse dipen-
de in ultima analisi dall’interazione fra la politica delle autorità monetarie e
le aspettative del mercato sui saggi dell’interesse futuri, e dunque sul com-
portamento futuro delle autorità monetarie”.
2
Nel capitolo XIII Keynes analizza i moventi della preferenza per la li-
quidità, individuando nel movente speculativo la componente essenziale per
costruire una relazione inversa tra la domanda di moneta e il tasso
dell’interesse. In essa riveste particolare importanza il ruolo dell’incertezza
circa il futuro del tasso d’interesse, in conseguenza della quale sorge il de-
siderio da parte di alcuni soggetti di conseguire profitti speculativi
sull’andamento del prezzo dei titoli. L’analisi svolta in quel contesto pre-
senta tuttavia il limite di ipotizzare aspettative anelastiche rispetto alle va-
riazioni del tasso d’interesse. Dall’altro lato, come ben evidenziato da To-
bin, la domanda di moneta microeconomica di Keynes è del tipo “bianco o
nero”: data la struttura di aspettative, descritta da Tobin mediante il concet-
to di “tasso d’interesse critico”, il singolo operatore avrà in portafoglio o so-
lo moneta o solo titoli. La relazione funzionale inversa della domanda di
moneta con il tasso d’interesse scaturisce invece a livello macroeconomico,
allorché si ipotizzino opinioni differenti degli operatori circa il loro tasso
2
Bonifati G., Vianello, F., Il saggio dell’interesse come fenomeno monetario e il saggio di rendi-
mento del capitale impiegato nella produzione, in N. De Vecchi, M. C. Marcuzzo (a cura di), A
cinquant’anni da Keynes: Teorie dell’occupazione, interesse e crescita, Edizioni Unicopli, Mila-
no, p. 93.
7
“critico”. Nel momento in cui le aspettative degli operatori, per un certo li-
vello
3
del tasso d’interesse, fossero unanimi, la politica monetaria non a-
vrebbe nessuna efficacia nella manovra del tasso d’interesse, perché trove-
rebbe tutto il mercato disposto ad assorbire la quantità di moneta immessa
nel sistema. Le condizioni perché le operazioni di mercato aperto condotte
dall’autorità monetaria abbiano effetto sul tasso dell’interesse sono allora
che le aspettative degli operatori siano da un lato differenziate, dall’altro
anelastiche. Questi sono gli argomenti oggetto del secondo capitolo del pre-
sente lavoro.
L’insoddisfazione per l’anelasticità delle aspettative nella teoria keyne-
siana sta alla base della teoria delle scelte di portafoglio di Tobin. In essa la
questione viene risolta togliendo di mezzo le aspettative e riducendo
l’incertezza sul futuro del tasso d’interesse ad un concetto di rischio, espri-
mibile come una distribuzione normale di probabilità. Da questo deriva la
relazione decrescente tra domanda di moneta e tasso d’interesse, che a dif-
ferenza di quella di Keynes è valida anche a livello microeconomico, e non
solo per l’intero sistema. Una volta chiarito che è l’atteggiamento verso il
rischio a determinare la preferenza per la liquidità, gli ulteriori sviluppi di
questa teoria hanno indirizzato l’analisi verso le caratteristiche di liquidità
delle varie attività presenti nei portafogli degli operatori, ponendo un forte
accento sulla mancanza di sostituibilità tra il complesso delle attività finan-
ziarie (tra cui la moneta) e le attività reali. Saranno questi i temi trattati nel
terzo capitolo di questa tesi.
Tutto il filone appena presentato, nel criticare l’assunzione di aspettative
anelastiche fatta da Keynes, non tiene però in conto il fatto che lo stesso
Keynes si era reso conto dei problemi che quest’ipotesi implicava per la sua
3
E non necessariamente per un tasso d’interesse particolarmente basso, come invece sostiene To-
bin (si veda il cap. 3di questa tesi).
8
teoria. Il capitolo XV della Teoria Generale abbozza una soluzione a queste
difficoltà, prendendo una strada completamente diversa. In quel contesto si
afferma che le operazioni di mercato aperto possono avere effetto sul tasso
d’interesse da un lato perché sono in grado di modificare la quantità di mo-
neta presente nel sistema, dall’altro perché riescono ad influenzare le aspet-
tative degli operatori sulla politica monetaria che sarà attuata in futuro. Di-
viene centrale allora il fatto che le aspettative non sono più date e anelasti-
che, ma si modificano in relazione all’operato della politica monetaria. Es-
sa, avendo la possibilità di influenzare le aspettative, può manifestare la sua
efficacia anche nel caso in cui tali aspettative siano unanimi.
Questa impostazione pone però nuovi problemi: il tasso d’interesse, e
con esso la domanda di moneta, dipende dalla politica monetaria corrente e
dalle aspettative sulla politica monetaria futura. In altri termini, la domanda
di moneta viene a dipendere da aspettative che a loro volta sono in relazione
con il comportamento dell’autorità monetaria, e quindi con l'offerta corrente
di moneta. Viene allora meno l’indipendenza delle schede di domanda e di
offerta di moneta, necessaria perché si possa condurre un’analisi in termini
di domanda e di offerta. È per questo motivo che Keynes getta le basi di
una teoria “convenzionalistica” del tasso d’interesse, secondo la quale “il
suo valore effettivo è governato dall’opinione prevalente su quello che sarà,
secondo le aspettative, il suo valore futuro”.
4
È questa la sostanza del mu-
tamento di prospettiva di cui tratterò nel quarto capitolo. Da essa deriva il
fatto che si possa considerare questo tasso d’interesse “convenzionale” co-
me una delle variabili indipendenti del sistema, al principio della catena di
relazioni che da esso conducono al livello degli investimenti e al reddito re-
ale (Bonifati, Vianello, op. cit., p. 95). Un tale mutamento di prospettiva
4
Keynes, 1936, ed. it. pp. 180-181.
9
spinge a fare un passo indietro e ad analizzare di nuovo come avviene la
scelta individuale in queste condizioni di incertezza “keynesiana”.
A questo punto diventa allora fondamentale determinare quali sono le
aspettative rilevanti per determinare il tasso d’interesse. Il quinto capitolo di
questa tesi cerca di presentare una delle possibili risposte a questa domanda:
quella di Hicks (1946), secondo la quale le aspettative rilevanti riguardano i
tassi d’interesse a breve termine, in base all’idea che il tasso a lunga è in re-
altà una media dei tassi a breve. L’argomentazione poggia sulla condizione
di indifferenza tra titoli a breve termine (bills) e titoli a lunga (bonds). Au-
tori successivi dimostrano come è possibile ricavare, attraverso la relazione
tra tasso a lungo termine e tassi attesi futuri a breve (approssimati mediante
i tassi quotati sul mercato a termine), una relazione funzionale tra
rendimento e vita residua dei titoli a parità di ogni altro fattore, in cui figura
anche un premio per il rischio. Questa relazione è rappresentabile da una
curva dei rendimenti il cui andamento dipende dalle ipotesi sui tassi attesi e
sul premio per il rischio. La trattazione includerà anche la teoria della
domanda di moneta di Hicks, secondo cui essa dipende dal tasso d’interesse
e dal volume della spesa pianificata in futuro in termini monetari, in
relazione anche alla fiducia con cui si prevede che il piano di spesa sia
corretto, ed il tentativo hicksiano di conciliazione tra la teoria della
preferenza per la liquidità e quella dei fondi prestabili. Esso presenta una
grave limitazione nel momento in cui considera simultaneamente variabili
stock e variabili flusso.
Una risposta diversa al problema delle aspettative rilevanti è quella forni-
ta da Richard Kahn nel suo saggio Some Notes on Liquidity Preference del
1954. Egli muove dall’intento di criticare la posizione di Hicks secondo cui
le aspettative rilevanti sono quelle sul saggio a breve, evidenziando che
l’argomentazione di Hicks presuppone un contratto indissolubile stipulato
10
dall’individuo marginale tra titoli a lungo e titoli a breve. In esso egli si vin-
cola a rimanere in perpetuo su un tipo di titolo. Invece, chi sceglie oggi tra
il titolo a lungo termine e i titoli a breve, lo fa sapendo che domani potrà
cambiare la sua posizione. Gli operatori di Hicks, che orientano le loro a-
spettative su una lunga sequenza di saggi a breve, sono individui che com-
prano un’attività a lungo termine e vogliono sentirsi costretti a mantenerla
per tutta la sua maturazione. Si può affermare invece che, una volta dato il
margine di indifferenza, le aspettative che lo compongono riguardano il tas-
so a lungo termine di domani piuttosto che la sequenza dei tassi futuri a
breve. Per Kahn quindi, chi è in grado di influenzare il tasso a lungo termi-
ne non sono le aspettative sui tassi a breve, ma quelle sul tasso a lungo ter-
mine ad influenzare le quali è orientata la politica bancaria. Da un lato è ve-
ro che i due tassi si muovono insieme, l’aumento del tasso a breve ingene-
rando aspettative su un tasso a breve elevato anche in futuro, che a sua volta
fa rivedere le aspettative anche sul tasso a lunga. Però il nesso causale è in-
vertito: non si è modificato il tasso a lungo termine in quanto sono variate le
aspettative sul tasso a breve; bensì, in conseguenza di una variazione del
tasso a breve sono variate le aspettative sul tasso a lungo termine. Kahn ri-
balta la prospettiva di Hicks: i termini rilevanti non sono il tasso a lunga e le
aspettative sui tassi a breve, ma le aspettative sul tasso a lungo termine e il
comportamento dell’autorità monetaria.
L’altro aspetto fondamentale del contributo di Kahn è costituito dalla sua
analisi della compenetrazione tra i moventi precauzionale e speculativo
della domanda di moneta, che ne rendono difficile una rappresentazione in
termini funzionali. Il primo ha come determinante fondamentale
l’incertezza, il secondo la previsione al meglio (best guess), ed entrambi co-
esistono nello stesso individuo, rendendo praticamente impossibile discer-
nere quanta parte della domanda di moneta deriva dal primo e quanta dal
secondo. La domanda di moneta è il risultato della loro complessa intera-
11
zione. Ciò contrasta certamente con la rappresentazione in forma additiva
data da Keynes, ma è una conclusione a cui si giunge assumendo fino in
fondo l’incertezza che emerge da una lettura attenta della Teoria Generale.
Essa non può essere ridotta ad una distribuzione di probabilità, né riguarda
le divergenze di opinioni tra gli individui. L’incertezza qui appare in forma
di puro dubbio individuale. Due “punti di vista” coesistono all’interno degli
individui secondo Kahn, uno perfettamente certo (complete convicted) e
uno incerto.
Abbracciata la prospettiva Keynes-Kahn, l’ultimo capitolo della tesi mira
a presentare una rilettura dell’opera di Kahn mettendone in luce gli elementi
di ausilio alla comprensione di Kahn e gli sviluppi che da essa possono de-
rivare. Il contributo di Dardi (1994) presenta l’interazione tra i moventi pre-
cauzionale e speculativo (e quindi tra best guess e incertezza) in termini di
multiple self: una sorta di schizofrenia all’interno dell’individuo, in cui è
come se coesistessero un individuo perfettamente certo (complete convic-
ted) e uno incerto, le cui opinioni si contraddicono a vicenda. Ogni scelta
individuale è il frutto di questa lotta interiore, ed è centrale per la vittoria
dell’uno o dell’altro sé quello che Keynes chiamerebbe peso di un
argomento (weight of an argument). Questa rilettura ribadisce il senso
dell’analisi che parte da Keynes e prosegue con Kahn, secondo la quale il
compito principale della politica monetaria è quello di influenzare le aspet-
tative.
Capitolo 1
La teoria classica del tasso di interesse con particolare
riguardo alla formulazione di Wicksell. La teoria dei
fondi prestabili.
1.1 Introduzione.
Un aspetto importante della teoria della preferenza per la liquidità di Ke-
ynes è il suo carattere di critica alla teoria ortodossa della domanda di mo-
neta. Elemento fondamentale di essa è il fatto che gli individui, al momento
di scegliere la forma in cui detenere la loro ricchezza, non optano mai per la
moneta, dal momento che essa è sterile, non frutta un rendimento.
In questo capitolo esporrò la teoria classica della domanda di moneta con
riferimento a due versioni. Una per così dire “semplice”, nella quale il mer-
cato dei prestiti ha un funzionamento analogo a quello di tutti gli altri mer-
cati, il tasso d’interesse essendo il prezzo che equilibra domanda e offerta di
prestiti. L’altra più elaborata, nella quale si introduce un mercato per la ri-
vendita dei titoli: in essa le variazioni della quantità di moneta si fanno sen-
tire maggiormente attraverso il canale del mercato finanziario, piuttosto che
attraverso la spesa primaria dei possessori di moneta inoperosa. Nella prima
versione il tasso d’interesse non può essere altro che un fenomeno reale,
nella seconda invece si riesce a darne conto anche come fenomeno moneta-
rio.
Nella teoria dei fondi prestabili elaborata da Wicksell precedentemente a
quella di Keynes, poi, gli aspetti fondamentali sono due: da un lato la gene-
13
ralizzazione della teoria quantitativa intesa come teoria della domanda ag-
gregata, attraverso l’introduzione di un mercato secondario dei titoli;
dall’altro la focalizzazione sui concetti di tesoreggiamento e di detesoreg-
giamento, e sugli aspetti di disequilibrio del sistema.
1.2 La teoria classica
1
del tasso dell’interesse.
Keynes afferma che gli individui, avendo di fronte un orizzonte inter-
temporale di scelta, al momento di formulare le loro preferenze prendono
due ordini di decisioni: il primo riguarda la quota di reddito destinata a sod-
disfare i consumi correnti, e quindi la quota che verrà accantonata per con-
sumare in futuro. Il secondo tipo di decisioni riguarda la scelta della forma
in cui l’individuo conserverà la disponibilità che ha accantonato per il con-
sumo futuro. L’accusa mossa da Keynes alla teoria ortodossa è quella di
dedurre il tasso d’interesse solo dal primo tipo di scelte; la sua teoria
dell’interesse, si fonda invece sul secondo.
Nella teoria tradizionale, su cui “si è basata la nostra educazione scienti-
fica”,
2
l’ipotesi sottostante all’assenza di una preferenza per la liquidità è
quella secondo cui un individuo razionale non detiene reddito intertempo-
rale in forma monetaria, perché la moneta è sterile, non assicurando alcun
rendimento. Allora, le possibilità di effettuare azioni di risparmio, per
l’individuo, sono due: comprare direttamente i beni strumentali, cioè i beni
d’investimento, o acquistare titoli. L’acquisto diretto da parte dei risparmia-
tori di beni capitali è un fenomeno che si verifica molto raramente, e dun-
que correntemente la scelta di risparmiare viene compiuta in forma di titoli.
Questo, sottolinea Ackley, nonostante che il risparmio sia considerato dai
1
Classica nel senso di Keynes. D’ora in poi userò il termine teoria “dominante”, “ortodossa”.
2
J. M. Keynes, Occupazione, Interesse e Moneta. Teoria Generale, UTET, Torino, 1953, p. 155.
14
classici come funzione diretta del tasso d’interesse, non è necessariamente
equivalente a dire che gli individui risparmino per ottenere un rendimento,
o che la scelta di differire l’atto del consumo sia orientata dalle variazioni
del tasso d’interesse: semplicemente, se esistono forme di risparmio che
danno un rendimento, esse saranno preferite a forme sterili come la moneta.
Sul mercato dei titoli, dunque, la domanda di prestiti degli imprenditori,
che sono unità in deficit di risparmio, incontra l’offerta dei risparmiatori,
che sono invece unità in surplus. Ora, poiché chiunque preferisce ottenere
un rendimento positivo, piuttosto che detenere denaro ozioso, è assicurata
l’uguaglianza tra risparmio e prestito concesso. Dall’altro lato, poiché gli
imprenditori ragionevolmente non si indebiterebbero sopportando il tasso di
interesse, se non avessero la possibilità di destinare i loro fondi presi a pre-
stito a qualche impiego produttivo, è verificata anche l’uguaglianza tra pre-
stito contratto e investimento.
La teoria afferma che, eliminando talune interferenze, questo mercato ha
un funzionamento analogo a quello di tutti gli altri: il tasso di interesse è il
“prezzo” che assicura l’uguaglianza tra prestiti concessi e prestiti contratti.
La validità di questa uguaglianza poggia su tre ipotesi:
a) entrambi i lati del mercato debbono trovarsi in condizioni di
concorrenza;
b) la scheda di risparmio è inclinata positivamente rispetto al
tasso d’interesse, mentre la scheda di investimento ne è funzione ne-
gativa;
c) esiste un saggio dell’interesse maggiore di zero in cui rispar-
mio e investimento sono uguali.
Ipotizzando che la scheda del risparmio consti soltanto dei dati del ri-
sparmio netto, la richiesta di prestiti avverrà solo per effettuare investimen-
ti. L’elasticità della scheda d’investimento al tasso di interesse è assicurata
dalla “produttività marginale del capitale”. Dall’altro lato, l’elasticità della
15
funzione del risparmio può essere spiegata in vari modi: con la time prefe-
rence, con il fatto che la decisione di risparmiare una qualsiasi quantità di
denaro costituisce un sacrificio (e quindi con la disutilità marginale del ri-
sparmio), ecc. Questo vuol dire che per indurre la gente a risparmiare è ne-
cessario un tasso maggiore di zero, e che per sopportare un sacrificio cre-
scente è necessario che il tasso d’interesse aumenti.
Dunque, data la presenza di forze che agiscono sia dal lato della doman-
da sia dal lato dell’offerta, il tasso di interesse sarà tale da equilibrare queste
forze, stabilizzandosi nel punto in cui risparmio ed investimento siano u-
guali. In quel punto esso sarà uguale sia alla produttività marginale del capi-
tale, sia alla disutilità marginale del risparmio.
Se il tasso d’interesse è libero di fluttuare ogniqualvolta l’eguaglianza
non sia verificata, in modo da riportare il mercato in equilibrio, l’esistenza
del risparmio non modifica la teoria quantitativa intesa come teoria della
domanda aggregata. Infatti, tutta la moneta in circolazione viene impiegata
per l’acquisto di merci, la velocità di circolazione della moneta è costante:
esiste allora una relazione diretta dal livello dei prezzi al reddito nazionale.
Anche complicando il modello con l’introduzione di un mercato secondario
dei titoli, le conclusioni non cambiano: vediamo perché.
Ipotizziamo di trovarci in una situazione nella quale esista un mercato
secondario dei titoli, nel quale possano essere scambiati i titoli già in essere.
Avremo che il livello dei prezzi dei titoli sarà determinato dalla domanda e
dall’offerta di tutti i titoli che possono essere scambiati, ivi compresi i titoli
di vecchia emissione. Consideriamo l’offerta corrente di titoli: essa è forma-
ta dalle obbligazioni di nuova emissione, che vengono vendute al fine di fi-
nanziare progetti di investimento, e dalle obbligazioni emesse in preceden-
za, che sono vendute dai soggetti che le posseggono nel loro portafoglio.
Questa seconda categoria di operatori (appartenenti alla prima sono infatti
prevalentemente le imprese), possono essere:
16
a) consumatori che offrono i titoli in loro possesso per fi-
nanziare risparmio negativo; le obbligazioni vendute assorbono il
risparmio positivo di altri operatori-consumatori che acquistano
tali titoli. Anche se si verificasse un aumento netto del totale del
risparmio negativo, si avrebbe una diminuzione del prezzo dei ti-
toli, in conseguenza del fatto che un maggior numero di vecchi ti-
toli è riversato sul mercato; tuttavia l’eguaglianza tra risparmio ed
investimento non viene intaccata, grazie alle variazioni del tasso
d’interesse (che in caso di aumento del risparmio negativo saran-
no maggiori di zero);
b) imprese che utilizzano i titoli per finanziare i loro pro-
getti d’investimento, analogamente a quanto fanno con i titoli di
nuova emissione. Perciò, un aumento netto dell’offerta di obbliga-
zioni già in essere ha l’effetto di far scendere i prezzi di tutte le
obbligazioni presenti sul mercato, e conseguentemente di far au-
mentare il tasso d’interesse. Anche in questo caso l’egualgianza
tra risparmio netto ed investimento netto è assicurata tramite va-
riazioni del tasso d’interesse;
c) individui o imprese che hanno aspettative differenti da
quelle del resto del mercato, in particolare sui premi per il rischio
relativi alle diverse emissioni dei titoli. Se ad esempio un indivi-
duo possiede un titolo che secondo il mercato ha un basso premio
per il rischio (e quindi, dato che la relazione tra premio per il ri-
schio e prezzo di mercato è inversa, un valore elevato), ma ritiene
che il titolo sia più rischioso rispetto ad un altro titolo di prezzo
inferiore, egli venderà il titolo in suo possesso per acquistarne
l’altro, che giudica meno rischioso. Anche se il volume di questo
tipo di transazioni può essere anche considerevole, non vi è moti-
vo di supporre che esso comporti modificazioni nel livello genera-
17
le dei prezzi dei titoli. Se qualcuno sopravvaluta un titolo, sarà di-
sposto a pagare per quel titolo un prezzo che può essere più eleva-
to di quello “corretto” per chi invece lo giudica di minor valore:
verrà quindi effettuata la transazione, punto.
È importante sottolineare nuovamente che, anche in questo caso,
l’elemento chiave di questa concezione è il fatto che la moneta “brucia”
3
nelle mani degli operatori. Nessuno desidera detenere moneta inoperosa,
quindi il risparmio non avrà consistenza liquida ma verrà piuttosto indiriz-
zato verso una qualche forma redditizia: la teoria quantitativa come spiega-
zione della domanda aggregata non subisce modificazioni rilevanti neanche
introducendo risparmio e investimento. In assenza di risparmio e investi-
mento, tutto il denaro che gli individui ricevono viene speso. Con
l’introduzione del risparmio e dell’investimento, gli individui, se sono ri-
sparmiatori, di per sé non possono spenderlo tutto; ma poiché il risparmia-
tore desidera destinare i propri risparmi ad una forma redditizia, il tasso
d’interesse si stabilizza a quel livello al quale qualcun altro (un investitore)
desidera spendere esattamente l’ammontare che il risparmiatore aveva deci-
so di non spendere. Il flusso totale di denaro in cambio di beni non viene in-
terrotto. La spesa aggregata in beni, espressa in termini monetari, è un mul-
tiplo costante della quantità di moneta. Il rapporto costante tra spesa (do-
manda) aggregata in termini nominali e la quantità di moneta è proprio la
velocità di circolazione: vale allora la ben nota relazione PYVM =
_
.
3
Ackley, Teoria Macroeconomica, Einaudi, p. 165.
18
1.3 La formulazione di Wicksell: tasso d’interesse “naturale” e
tasso prevalente sul mercato monetario.
Nel paragrafo precedente ho accennato al fatto che l’introduzione di un
mercato per la rivendita dei titoli in un modello “classico” della domanda di
moneta non ne modifica le conclusioni. Tuttavia, pur se il risultato è lo stes-
so, vi è una certa differenza nel concetto di fondo: prendiamo la nostra e-
quazione degli scambi PYVM =
_
e vediamo cosa succede se aumenta la
quantità di moneta.
Se la velocità di circolazione della moneta è costante, cioè se la domanda
di moneta è una frazione costante del reddito monetario, in conseguenza di
un aumento della quantità di moneta, non vi sarà equilibrio finché non vi sia
stato un aumento dei prezzi proporzionale all’aumento della quantità di
moneta, appunto.
4
La differenza tra la versione semplice e quella modificata
del modello è che in quest’ultima le variazioni della quantità di moneta ma-
nifestano i loro effetti più attraverso il canale del mercato finanziario che
non attraverso la spesa primaria dei possessori di moneta inoperosa. Non
solo: la versione di Wicksell della teoria classica della determinazione del
tasso dell’interesse riesce a darne conto anche come fenomeno monetario,
cosa che invece nella versione tradizionale non era possibile. Resta il fatto
che, secondo questa formulazione, il tasso d’interesse resta determinato
prevalentemente dalle forze reali; tuttavia, gli aspetti monetari concorrono
anch’essi alla sua determinazione, da un lato per il modo di operare del si-
stema bancario nel modello, dall’altro per la presenza di fenomeni di teso-
reggiamento e di detesoreggiamento. In questo paragrafo mi occuperò del
primo aspetto, lasciando la trattazione del secondo al paragrafo successivo.
4
Supponendo ovviamente che i salari monetari siano flessibili e che la situazione precedente fosse
di equilibrio di piena occupazione.
19
Chiariamo subito la differenza tra tasso naturale e tasso che si forma sul
mercato monetario: il primo è determinato da quelle che possiamo chiamare
“le forze reali della produttività e della parsimonia”, ed ha il compito di de-
cidere la quantità di risparmio che si forma, di liberare i fattori produttivi al-
trimenti impiegati nella produzione dei beni di consumo e di spostarli verso
la produzione di beni capitali. Tali beni capitali vengono scelti sulla base
del loro rendimento atteso. Il tasso d’interesse che si forma sul mercato mo-
netario dipende invece dal fatto che in questo processo “reale” di trasferi-
mento di risorse interviene il sistema bancario.
Uno dei modi principali in cui le variazioni della quantità di moneta pos-
sono aver luogo riguarda proprio le modifiche nel volume dei crediti che le
banche concedono alle imprese. Facciamo l’ipotesi che le banche abbiano
disponibilità di riserve e che possano anche prestare alle imprese moneta
bancaria, creata attraverso il processo moltiplicativo dei depositi, per effet-
tuare investimenti. Supponiamo inoltre che nella situazione iniziale si abbia
pieno impiego delle risorse, sia per la produzione di beni di consumo sia per
quella di beni di investimento.
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1
Grafico 1.1. Aumento della quantità di moneta in conseguenza
di un eccesso di domanda di investimenti.