II
eccezioni) degli studi esistenti sull’argomento trascuri questo gruppo
specifico di spot, forse perché costituisce materiale poco
esemplificativo essendo il canovaccio in genere ripetitivo e banale, le
strategie di persuasione piuttosto ingenue e le ambientazioni molto
simili tra loro (quasi sempre casa, scuola, cortile o giardino). Le
indagini svolte sugli spot per adulti, come vedremo più avanti, proprio
per la complessità delle scene consentono di mettere in luce un maggior
numero di aspetti riguardanti la dimensione affettiva e sociale, una più
ampia gamma di emozioni e sensazioni, una rassegna di tecniche
retoriche sicuramente più raffinate, una maggiore polisemia nelle
immagini e nei gesti. A questo si aggiunge una conoscenza superficiale
delle caratteristiche psicologiche del destinatario.
È opinione comune che, in una fascia di età come quella dell’infanzia,
non esista ancora una frammentazione del target in una complessa
varietà di stili di vita (e di consumo), come avviene invece per gli
adolescenti e gli adulti. Per rendersene conto basta dare un’occhiata alla
suddivisione del pubblico televisivo secondo l’Auditel
1
o altre agenzie
per le ricerche di mercato. Mentre dopo i 14 anni si tende a suddividere
1
I dati Auditel sono raggruppati in maniera diversa a seconda del periodo di rilevamento
(giornaliero, mensile, annuale); la popolazione viene suddivisa in fasce di età (la più bassa è 4-7
anni), livello di scolarizzazione, zona di provenienza e classificata, in collaborazione con Eurisko,
anche attraverso 16 target psicografici (stili di vita). La psicografia individua, all'interno di una
determinata popolazione, gruppi di consumatori che hanno in comune un certo modo di vivere e di
consumare. La ricerca si basa su indagini campionarie continuative, condotte in Italia dall'Eurisko,
che chiama"Sinottica" la propria indagine, e dalla G.P.F. & Associati che la chiama "Monitor 3SC".
Per l’Eurisko (campione di circa 5000 individui) i gruppi sono:
- i "liceali", i "delfini", gli "spettatori" (giovanili)
- gli "arrivati" e gli "impegnati" (centrali superiori)
- gli "organizzatori" e gli "eseguitori" (centrali maschili)
- le "colleghe", le "commesse", le "raffinate", le "massaie" (centrali femminili)
- gli "avventati", gli "accorti", le "appartate" (marginali).
La “Monitor 3SC” si basa invece su un campione di circa 2500 individui, che suddivide in: arcaici,
puritani, cipputi, conservatori, integrati, affluenti, emergenti, progressisti.
Come è facile notare, la fascia giovanile è differenziata solo dall’Eurisko e parte da un’età di circa
14 anni.
Per maggiori informazioni consultare il sito www.auditel.it
III
il pubblico in base alle condizioni socio-economiche, al livello di
istruzione, ai modelli di comportamento, alla zona di provenienza e via
dicendo, i bambini sono visti come una massa indifferenziata o sono
ignorati del tutto, supponendo che molti di loro non dispongano di
denaro proprio e dando per scontato, quindi, che nelle decisioni
riguardanti gli acquisti per loro giochino un ruolo determinante i
genitori. Si tratta di una visione un po’ semplicistica della situazione in
quanto, se è vero che ciascun bambino dispone di un budget limitato
2
ed
è fortemente condizionato dall’ambiente nel quale si trova a crescere,
tendendo ad identificarsi con i modelli di comportamento delle persone
che gli vivono accanto ogni giorno, è anche vero che le esigenze del
bambino sono ben diverse da quelle dell’adulto.
A questa età i gusti e le aspirazioni dei bambini si formano a partire dal
confronto con il proprio ambiente familiare, ma anche con altri adulti e
con i coetanei, senza dimenticare le caratteristiche individuali. Appare
quasi scontato osservare che, ogni giorno, il bambino si trova esposto
ad una quantità di stimoli e modelli di comportamento a volte molto
diversi fra loro, e che tra questi egli sceglierà probabilmente di
conservare quelli che maggiormente si accorderanno con l’immagine di
sé che egli si sta pian piano formando, con le abilità che egli ritiene di
possedere, con le attività che gli procurano maggior gratificazione. È un
meccanismo presente anche nell’adulto e che lo porta a reagire in
maniera diversa quando si trova davanti ad un messaggio che conferma
la propria immagine di sé (o di ciò che vorrebbe essere) rispetto ad un
2
Già a partire da un’età di 7-8 anni, tuttavia, possiamo riscontrare una certa autonomia nella
decisione sui propri acquisti da parte del bambino, che già dispone di denaro proprio da utilizzare
come crede. Stando ai dati del rapporto finale Doxa – Junior 2002 quasi il 60% dei ragazzi italiani si
troverebbe in questa condizione (cfr. paragrafo 1.2). Anche il Terzo Rapporto Eurispes sull’Infanzia
e sull’Adolescenza, condotto in collaborazione con Telefono Azzurro, conferma questo dato
(Eurispes-Telefono Azzurro, Terzo Rapporto Nazionale sull’Infanzia e l’Adolescenza, Novembre
2002).
IV
messaggio che abbia poco a che fare con tale immagine. Un differente
coinvolgimento emotivo influenzerà inevitabilmente la memorizzazione
del messaggio. La costruzione della nostra identità, tuttavia, non
avviene soltanto attraverso la conservazione di modelli che ci sono
affini, ma anche con l’assimilazione di modelli differenti, che per
qualche motivo riteniamo desiderabili (quasi sempre perché
garantiscono la soddisfazione del bisogno di sentirsi socialmente
accettati), che tendiamo ad integrare con i vecchi modelli già
interiorizzati, fino alla manifestazione del nuovo comportamento, senza
alcuna conflittualità con “ciò che eravamo prima”. Queste osservazioni,
ispirate alla teoria piagetiana dell’apprendimento, possono aiutarci a
comprendere come sia possibile che la pubblicità susciti sempre nuovi
bisogni nell’individuo, a dispetto dell’indole abitudinaria dei
consumatori più refrattari al “nuovo” e sicuri di sé. Secondo lo studioso
ginevrino, in effetti, di fronte ad una nuova conoscenza o ad un nuovo
comportamento il soggetto farà seguire ad un processo attivo di
selezione ed integrazione del dato all’interno dei propri schemi mentali
(assimilazione), un processo di trasformazione di tali schemi
(accomodamento) in funzione della nuova esperienza giunta
dall’esterno. Si ha, in sostanza, una continua ricerca di equilibrio tra
mondo esterno e strutture interne, un continuo aggiornamento delle
informazioni e del modo in cui queste sono organizzate. Si può dire che
in una comunicazione pubblicitaria efficace abbia luogo un vero e
proprio processo di apprendimento da parte del consumatore, il quale
manifesterà non solo nuovi comportamenti d’acquisto, ma anche un
atteggiamento favorevole verso messaggi dello stesso tipo, una
maggiore capacità di riconoscerli, interpretarli ed apprezzarli.
V
Non dobbiamo pensare, tuttavia, che questo processo di adeguamento
avvenga solo dal lato del consumatore; chi produce i messaggi
pubblicitari, infatti, opera un continuo monitoraggio su gusti e tendenze
del pubblico, per individuare le motivazioni su cui far leva per
raggiungere più facilmente i propri scopi. Si tratta di una relazione
complessa nella quale intervengono non solo i due attori della
comunicazione pubblicitaria (ideatore del messaggio e potenziale
acquirente), ma anche altri elementi presenti nella realtà sociale, veicoli
di valori e credenze, come ad esempio le istituzioni educative, i gruppi
religiosi, i movimenti politici, gli “opinion leaders” (intellettuali,
giornalisti, persone del mondo dello spettacolo o della politica), i gruppi
informali (le gangs giovanili), i canali di contro-informazione, le
comunità formate da persone che svolgono la stessa professione o
condividono interessi e passioni, gli stessi avvenimenti di cronaca. È
per questo che i target individuati dalle agenzie pubblicitarie o dagli
istituti di ricerca non costituiscono affatto dei modelli definitivi, ma
sono soggetti a continua revisione e spesso necessitano di ulteriori
suddivisioni al proprio interno. La pubblicità, come ha osservato
Puggelli (2003) “…non solo crea le mode ed istituisce punti di
riferimento culturali da seguire, ma è anche straordinariamente capace
di appropriarsi di tutte le contro-mode che le si oppongono”
3
. Con i
bambini è sempre più difficile individuare e classificare queste
modificazioni: un po’ perché le loro capacità comunicative, ancora poco
sviluppate, non permettono di raccogliere dati quantitativamente e
qualitativamente soddisfacenti circa i loro desideri ed aspettative;
bisogna ricorrere a tecniche proiettive per cercare di “carpire” queste
informazioni in forma indiretta, nella speranza di interpretare i dati
3
F.R. Puggelli, Spot generation. I bambini e la pubblicità. Milano, Franco Angeli 2003; p. 101.
VI
correttamente. Un po’ perché, nei bambini, prevalgono spesso dei
comportamenti imitativi dell’adulto che ci portano a concludere
(senz’altro frettolosamente) che anche i loro desideri si identifichino
appieno con il raggiungimento di tutti quegli aspetti (indipendenza,
sicurezza di sé, disponibilità di mezzi, conoscenza del mondo, prestigio
sociale…) che caratterizzano ai loro occhi la vita adulta. Il risultato è la
persistenza di ruoli stereotipati legati soprattutto al sesso negli spot per
bambini, mentre negli spot destinati ad un target diverso sembra che vi
si ricorra sempre meno ed in forme sempre più sottili, specie in questi
ultimi anni.
Anche se, come vedremo, l’uso di stereotipi non caratterizza proprio
tutti gli spot per bambini, questa strategia è ritenuta particolarmente
efficace nei soggetti in età evolutiva proprio perché la loro identità è
ancora in fase di costruzione, attraverso la ricerca di elementi di
differenziazione dall’altro. È chiaro che, maggiore sarà l’evidenza di
tali elementi e la loro contrapposizione schematica, maggiori saranno le
probabilità che essi vengano rapidamente riconosciuti ed assimilati.
In realtà i desideri e le motivazioni dei bambini costituiscono un
panorama ben più vario di quello rappresentato in tv. Sembra
un’affermazione quasi scontata, in quanto una delle caratteristiche della
pubblicità è la tendenza a banalizzare e semplificare drasticamente le
idee e i sentimenti umani, dovendo rivolgersi al maggior numero
possibile di persone. Eppure noi crediamo che non sempre questa si
riveli la strategia adeguata; citiamo, a proposito, la ricerca di Statera,
Bentivegna e Morcellini (1990)
4
, condotta su ragazzi fra i 6 e i 14 anni,
nella quale si evidenzia, pur con notevoli differenze tra le varie fasce
4
G. Statera, S. Bentivegna, M. Morcellini, Crescere con lo spot. Pubblicità televisiva e
socializzazione infantile. Torino, Nuova Eri 1990.
VII
d’età prese in esame, una certa insofferenza nei confronti degli spot,
non soltanto perché interrompono i loro programmi: per il 33,5% dei
ragazzi intervistati essi sarebbero “noiosi”, per il 23% “insopportabili”,
per il 16% “indifferenti”, per il 19,9% “divertenti” e per il 7,6% (ma
44,3% della fascia al di sotto degli 8 anni) “molto divertenti”.
Le motivazioni del mancato gradimento sarebbero, nell’ordine: noia,
ripetitività, inutilità (63,9%); costruzione poco divertente e poco
piacevole (15,8%); presenza di personaggi antipatici (9,3%);
disinteresse per il prodotto (10,9%). È interessante notare come lo spot
giudicato “peggio costruito” sia quello della Barilla, notoriamente
ambientato in un contesto di “famiglia ideale”, dove regna un’armonia
perfino eccessiva e i ruoli dei personaggi sono piuttosto stereotipati;
quello con personaggi antipatici sarebbe invece “Danito” (in cui è
presente un draghetto animato nel ruolo di aiutante dei personaggi
reali), quello più noioso “Dixan”.
Oggi si ha un ritorno alla dimensione soggettiva dello spettatore, quindi
anche del consumatore, che non apprezza sempre la sensazione di
vedersi appiattito in un cliché. Ciò che maggiormente pungola
l’interesse e la partecipazione emotiva del pubblico sono le storie di vita
autentica, la presa diretta di emozioni genuine, comportamenti
spontanei. Ne è la dimostrazione il successo di trasmissioni come
“Grande Fratello”, ovvero come essere sicuri che il pubblico si
identifichi nelle persone che vede senza la necessità di un copione
studiato a tavolino. Come è noto, i protagonisti di simili trasmissioni
sono selezionati secondo criteri di scelta ben precisi, con la certezza che
possano “funzionare” garantendo il processo di immedesimazione; le
situazioni da loro vissute sono spesso provocate artificiosamente; ma il
VIII
tutto riesce a dare una sufficiente impressione di realismo, di
autenticità.
La pubblicità non è mai realistica; essa deliberatamente non contempla
l’autenticità come scopo della sua comunicazione. Gli addetti ai lavori
continuano a ripetere che in questo genere di messaggi la
rappresentazione del mondo non solo “può”, ma “deve” essere distorta,
esagerata, al fine di garantirne l’efficacia. Si intenda qui l’esagerazione
nelle due opposte direzioni di una eccessiva semplificazione,
tipizzazione di personaggi e situazioni o, al contrario, della creazione di
scenari paradossali, surreali, nei quali agiscono personaggi dagli
attributi eccezionali.
La “complessa normalità” della vita umana non attira, non coinvolge;
non lascia intravedere vie di evasione dal quotidiano, non è dotata di
tratti riconoscibili in maniera abbastanza immediata per provocare
un’attenzione empatica verso il sentire dell’altro (nella fattispecie, il
personaggio televisivo).
La realtà è che la tv non educa a cogliere queste sfumature; nei bambini,
i quali non hanno ancora sviluppato una sufficiente competenza
interpersonale per potersi “mettere nei panni dell’altro”, essa non
facilita certo tale acquisizione; negli adulti, invece, tale competenza è
come neutralizzata, spostata ad un livello più basso di comprensione.
L’uomo televisivo ha bisogno di stimoli che presentino una sufficiente
polarizzazione, altrimenti non li considera neppure; di contro, le
trasmissioni televisive sono costruite tenendo conto di tale
abbassamento di soglia. Si crea un circolo vizioso difficile da spezzare.
IX
Una possibile via d’uscita sembra intravedersi nel moltiplicarsi dei
canali di comunicazione, con un conseguente allargamento di
prospettive non solo verso una classificazione meno banale delle
dinamiche socio-affettive, ma anche verso l’esplorazione
dell’interiorità. Non è da escludere che, con la formazione di strutture
interpretative sempre più complesse nei fruitori, vi sia uno sforzo
maggiore nel rappresentare meglio la complessità della vita reale da
parte dei mass-media. Allo stato attuale questa evoluzione sembra
coinvolgere ancora pochi aspetti, per lo più relativi alla sfera esteriore
delle relazioni interpersonali. È già qualcosa. Purtroppo, sembra
trattarsi di un’evoluzione riservata alla programmazione per adulti.
D’altronde, se lo spettatore adulto diventa meno ingenuo grazie alla
pluralità di fonti di informazione a cui è esposto, il bambino, specie se
in età prescolare, non ancora ha a disposizione tale varietà di fonti: non
è in grado di navigare in Internet seguendo strategie autonome di
ricerca o di leggere i giornali, per esempio. Le sue principali fonti di
informazione sono la famiglia, la scuola (se già ne frequenta una), il
gruppo dei pari e, naturalmente, la televisione.
Abbiamo finora parlato di una caratteristica, la scarsa complessità
nell’organizzazione di forme e contenuti, sicuramente tipica della
pubblicità per bambini, che ha determinato spesso il disinteresse verso
di essa da parte delle numerose ricerche sul rapporto pubblicità-
bambini. Parlare di tale rapporto senza specificare quale tipo di
pubblicità e quali bambini considerare ci è sembrato non garantire un
risultato soddisfacente.
X
Alcune caratteristiche peculiari della pubblicità (in generale), che la
rendono efficace specialmente nei confronti di un pubblico infantile,
sono schematicamente riassunte da Puggelli:
- “La brevità spazio-temporale dei messaggi, che consente una
fruizione intensa in un arco di tempo estremamente ridotto;
- “la semplicità delle situazioni, che sono quasi sempre familiari e
facilmente riconoscibili, tali da renderle immediatamente
distinguibili dalle complesse strutture comunicative messe in
scena dagli spettacoli veri e propri;
- “la semplicità verbo-iconica degli spot, che contengono spesso
poche parole, ripetute e associate in maniera stretta alle
immagini, cosa che ne facilita al massimo la comprensione e
l’assimilazione;
- “l’attrazione dei modelli proposti, legati a modalità di
comportamento largamente diffuse e la cui assimilazione viene
ritenuta tale da poter offrire un miglior grado di inserimento e
accettabilità nel gruppo dei pari.”
5
In particolare, tra le varie forme di pubblicità, quella televisiva, sempre
secondo l’autrice:
- "Richiede continuamente attenzione, attraverso i continui
movimenti dello schermo che evocano una altrettanto continua
risposta dello spettatore; il sistema nervoso si attiva infatti ad
ogni cambio di scena, di inquadratura, all’aumento del volume
della musica, etc.;
5
F.R. Puggelli, op. cit., p. 84.
XI
- La brevità delle singole sequenze televisive, in cui i rapporti
spazio-temporali sono vividi e ben delineati, trova la sua
applicazione migliore nelle sequenze pubblicitarie;
- La mancanza di elementi di interferenza cognitiva: non c’è
alcuna possibilità per i bambini di riflettere su quanto hanno
appena visto, in quanto le immagini e i suoni successivi
sommergono immediatamente quelli precedenti;
- La complessità di presentazione plurisensoriale, tipica del mezzo
televisivo, in cui vista, udito e parola scritta agiscono
simultaneamente, sollecitando il sistema nervoso;
- L’orientamento visuale della televisione, che minimizza
l’attenzione ad altre sorgenti di informazione, impedendo quindi
la distrazione durante la visione stessa;
- Il forte range emozionale che la televisione è in grado di evocare;
ogni azione presentata in televisione è molto più forte che in
qualsiasi altro media.
6
- Si tratta di un elenco niente affatto esaustivo, ma che può esserci
d’aiuto per comprendere come, anche solo a livello degli aspetti
formali, valga la pena di condurre un’analisi più mirata.
Alle caratteristiche formali della pubblicità televisiva in generale, in
effetti, andrebbero aggiunte quelle tipiche della pubblicità destinata ai
bambini. Per ora ne diamo una descrizione sommaria, che riprenderemo
nei dettagli nel cap. 4.
- La pubblicità per bambini è maggiormente centrata sui prodotti,
svolge prima di tutto un ruolo informativo sulle modalità, sui
6
Idem.
XII
contesti ideali per l’uso di essi, sugli svantaggi in cui si può
incorrere se ne si è privi (situazioni problematiche in cui il
prodotto rappresenta l’oggetto magico di salvezza, l’unica
soluzione possibile).
- Essa è inoltre più ricca di situazioni esemplificative di modelli di
interazione sociale e di valutazioni morali dei comportamenti.
- Esaspera tutte le tecniche a disposizione per catturare
l’attenzione: stimoli visivi e sonori sono intensi, i cambi di
immagine frequenti.
- Privilegia forme narrative, vicine alla struttura e alle condizioni
di fruizione della fiaba (ripetizione; ascolto attento, ma associato
ad un’attività di svago; situazione iniziale problematica seguita
da un lieto fine; ruoli dei personaggi – antagonista, aiutante,
protagonista – ben delineati, tradizionali, rigidi; trasformazioni di
cose, animali o persone; virtù magiche degli oggetti…).
- È condizionata dalle abilità cognitive ancora in fase di sviluppo
dei diretti destinatari, per cui non procede per salti logici o
temporali che potrebbero comprometterne la comprensione; non
utilizza, in genere, riferimenti a situazioni ed eventi lontani nello
spazio e nel tempo a meno che la conoscenza di essi non sia
notoriamente diffusa tra i bambini (dinosauri, antichi Egizi, etc.);
non fa uso di un’ironia troppo sottile, limitandosi ad un
umorismo più legato al ridicolo, al buffonesco, alle gag da
fumetto, al capovolgimento dei ruoli; il lessico è ristretto a
pochissimi vocaboli o ad un gergo familiare (per esempio, parole
di fantasia utilizzate in una serie televisiva ben nota).
XIII
- A livello affettivo-emotivo, si avvale di atmosfere tendenti a
soddisfare i maggiori bisogni affettivi del bambino, ad esempio il
bisogno di rassicurazione, sia mediante situazioni prive di
conflittualità sia mediante quelle opposte di scontro fisico e non,
di sfida o di tensione negativa in genere, in cui l’elemento di
rassicurazione è il possesso del prodotto che rende irresistibili,
imbattibili, oppure costituisce un rifugio dalle preoccupazioni
quotidiane (tutti ricordano lo spot di Ciobar in cui il bambino, al
ritorno da una giornata scolastica poco gratificante, trova una
bella tazza di cioccolata calda con cui può almeno consolarsi).
- Ancora, ricorre a strategie grossolane per differenziare gli spot
rivolti ai maschi da quelli indirizzati alle femmine (è su questi
che hanno focalizzato maggior attenzione gli studi aventi per
oggetto specifico le pubblicità per bambini, ad esempio Griffiths
(2001)
7
; Johnson e Gannon (?)
8
, tentando di individuare elementi
che andassero a rafforzare gli stereotipi di genere);
- Fa leva su motivazioni differenti a seconda dell’età dei
destinatari: se molto piccoli, prevalgono motivazioni “interne” (il
piacere del gioco, il possesso dell’oggetto); se sono già grandi,
punterà su aspirazioni prevalentemente “esterne” (integrazione in
un gruppo, identificazione con uno status sociale, risoluzione di
problemi nelle relazioni interpersonali per mezzo del prodotto).
7
M. Griffiths, Children Toy Advertisements, Aberystwyth, University of Wales, 2001.
8
E. Johnson, J. Gannon, “The Rape of our Youth. A sociological analysis of children television
advertising”. St. Lawrence University, Canton, NY (data non disp.; reperibile al sito:
http://it.stlawu.edu/~advertiz/children/intro.html)
XIV
Un’ultima osservazione che ci preme fare per sostenere la necessità di
dedicare una speciale attenzione agli spot espressamente rivolti al target
infanzia è la diversa partecipazione con cui i bambini la guardano:
l’attrazione esercitata dal prodotto li tiene incollati allo schermo. Non
dimentichiamo che la maggior parte di loro ritiene che la pubblicità,
anche se non completamente veritiera, sia utile in quanto fornisce
informazioni sui prodotti. Inoltre, esporsi ripetutamente a messaggi in
cui viene mostrato il proprio giocattolo preferito, l’oggetto del
desiderio, rappresenta sicuramente un fonte di piacere per loro;
difficilmente approfitteranno dell’interruzione del programma per
distrarsi, alzarsi a prendere una merenda o andare in bagno, come fanno
invece durante i break pubblicitari dei prodotti destinati agli adulti,
verso i quali l’interesse è evidentemente minore.
Infine, le tecniche d’indagine adottate dai vari studi presi in
considerazione ci sono sembrate utili, ciascuna per un aspetto diverso,
ma una loro integrazione sarebbe sicuramente più fruttuosa, ed è su tale
approccio che tenteremo di basare un’ipotesi di lavoro.
XV
Struttura.
La prima parte del nostro lavoro è stata una ricerca di tutti quegli
elementi che ci potessero permettere di avere una visione completa,
problematica e multiprospettica del fenomeno pubblicità, in particolare
quando questa è esplicitamente rivolta ai bambini.
Dal raffronto dei vari provvedimenti normativi e delle politiche di
controllo e regolamentazione della comunicazione d’impresa (a livello
nazionale e internazionale) alle strategie di marketing; dalle critiche
anti-pubblicitarie di matrice sociologica agli studi sulle modificazioni
del comportamento e delle motivazioni indotte dai mass-media, fino al
dibattito sul livello di comprensione della pubblicità da parte dei
bambini e sul rapporto tra questa e l’acquisizione di comportamenti
devianti, nel primo capitolo abbiamo cercato di delineare uno scenario
entro il quale collocare la nostra riflessione.
Abbiamo quindi riportato, nel secondo capitolo, le principali tecniche
comunicative di cui si avvale la pubblicità televisiva e abbiamo
accennato allo studio dei meccanismi con cui i vari codici sono
utilizzati nella produzione e nell’interpretazione di significati, portato
avanti dalla scienza semiotica.
Sono stati confrontati, invece, nel terzo capitolo diversi approcci
metodologici – con diverse finalità di ricerca – allo studio del rapporto
che i bambini hanno con la pubblicità e viceversa. Ciò nel tentativo di
individuare i punti di maggiore forza o debolezza di ciascun metodo in
relazione all’oggetto di studio.
XVI
Nella seconda parte sono riportate alcune riflessioni scaturite dal
confronto diretto con gli spot trasmessi in televisione durante i
programmi per ragazzi.
Nel quarto capitolo si espongono e si commentano i risultati dell’analisi
dei contenuti di 174 spot trasmessi in un periodo di 7 mesi sulle reti
televisive nazionali, esclusivamente durante i programmi per ragazzi.
Per svolgere questa analisi abbiamo costruito una scheda di rilevazione
dei contenuti che consentisse di mettere in luce le caratteristiche
peculiari di questa specifica categoria di spot. I risultati dell’analisi dei
contenuti vengono integrati, in una seconda parte del capitolo, con la
descrizione dettagliata di alcuni spot, come esempi significativi di
alcuni aspetti che abbiamo voluto sottolineare.
Riportiamo, quindi, nel quinto capitolo, un’esperienza vissuta in una
scuola dell’infanzia con un gruppo di bambini di 4-5 anni, nella quale la
pubblicità televisiva è stata utilizzata come punto di partenza per due
attività di laboratorio distinte, una sul colore ed un’altra sulle
trasformazioni degli alimenti.
In conclusione cerchiamo di fondare sulle informazioni raccolte
un’ipotesi di ricerca sull’efficacia dei programmi di formazione
mediatica all’interno delle scuole, che tenga conto una visione ampia ed
articolata del rapporto pubblicità-bambini, della natura complessa e
mutevole di tale rapporto e dei mezzi con i quali è possibile delineare
un quadro chiaro, ma non riduttivo, del problema.
XVII
Obiettivi.
Nel compiere questo percorso attraverso il mondo della pubblicità
televisiva per bambini abbiamo sempre cercato di mantenere il fuoco
dell’attenzione sul target. Ci siamo chiesti, in sostanza, se e in quale
misura questa categoria di spot rifletta gusti, esigenze, caratteristiche
peculiari del pubblico al quale si rivolge. Non abbiamo adottato altro
punto di vista che questo; abbiamo perciò lasciato aperta la nostra
indagine, fin dall’inizio, a tutti i possibili ambiti di riflessione che ne
derivassero.
Il nostro intento è stato, pertanto, da un lato quello di legittimare uno
studio della pubblicità per bambini come un genere a sé, sia per i
contenuti che per i linguaggi utilizzati, sia per le condizioni di fruizione
da parte dei bambini, caratterizzate da un livello di partecipazione e da
una capacità di elaborazione delle informazioni diverse da quelle degli
adulti; dall’altro abbiamo cercato di scoprire se e come questa categoria
di pubblicità riesca effettivamente a rispondere alle esigenze del proprio
target, nella consapevolezza del fatto che saper comunicare ai bambini
non voglia dire semplicemente scarnificare e banalizzare, nel
linguaggio e nei contenuti, la comunicazione rivolta agli adulti.