Il Talent Management
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L’espressione “guerra dei talenti” è comparsa per la prima volta in una
ricerca sul mercato del lavoro condotta su 77 grandi aziende americane,
datata 1997, della McKinsey&Co., nota società di consulenza manageriale
americana, per tentare di capire i motivi dell’eccellenza di alcune aziende a
scapito di altre.
Essa ha evidenziato che reperire e trattenere i migliori talenti è divenuta
una necessità sempre più sentita e difficile da soddisfare, tanto da
richiedere strumenti di branding al pari di quanto viene fatto per attrarre e
fidelizzare i clienti.
Per sintetizzare il cambiamento nella gestione delle risorse umane,
conviene citare una frase di Tim Gibbon, responsabile di una importante
agenzia di comunicazione, che fotografa l’attuale status quo: “The jobs
have to find the people wherever they are, not the people the jobs”.
Oggi dunque la situazione è ormai ribaltata: non sono più i candidati a
rincorrere le aziende, ma le aziende ad inseguire i talenti e, ai selezionatori,
è noto che per “catturare” i talenti migliori non basta puntare solo sulla leva
dello stipendio. È fondamentale offrire al lavoratore la sensazione che egli
lavora in determinato contesto perché ne condivide i progetti e la filosofia.
Le aziende, oggi, parlano di “guerra dei talenti” proprio per identificare il
continuo “fronte” che le vede confrontarsi per la ricerca e la retention dei
talenti. Insomma, ci troviamo davanti a una vera e propria guerra, con tanto
di tattica, strategia e «terreno di scontro».
Le cause di questo rovesciamento nei rapporti di forza tra imprese e
candidati sono da ricercarsi sia nel mutamento del mercato del lavoro, sia
nell’affermarsi di modelli gestionali dai quali emerge il ruolo del fattore
umano come driver principale del successo aziendale.
Le organizzazioni sembrano essere ormai consapevoli dell’importanza delle
persone che, in quanto detentrici di conoscenze, informazioni, esperienze e
capitale intellettuale, sono riconosciute un patrimonio fondamentale per la
prosperità dell’azienda, in grado, a tutti gli effetti, di creare valore e
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garantire quel vantaggio competitivo che le imprese devono mantenere per
stare sul mercato.
Nell’attuale mercato del lavoro, o meglio, in alcuni segmenti dello stesso,
sono emerse carenze quantitative (workforce shortage) e qualitative (skill
shortage) che lo rendono oggi equiparabile al mercato dei beni di consumo,
dove è infatti l’azienda a cercare il cliente, non viceversa.
Il problema del reperire le risorse migliori riguarda comunque tutte le
imprese, al di là del settore di appartenenza.
Quando gli uomini della McKinsey&Co. coniarono la famosa espressione
“guerra dei talenti” per indicare la frenesia con la quale le aziende
americane, nel pieno del boom economico clintoniano, cercavano di
accaparrarsi manager capaci e giovani di talento per realizzare i loro piani
di sviluppo, non immaginavano certo che questa espressione (e anche altre
definizioni come high potential, high flyer) sarebbe entrata così
prepotentemente nel gergo degli uomini delle risorse umane.
Ebbene, oggi, a dieci anni di distanza, questa espressione è più attuale che
mai. Dopo un periodo difficile per l’Italia, gli anni che vanno dal 2002 al
2005, caratterizzato da una crescita economica stagnante all’interno della
quale le aziende per far fronte alla crisi hanno pensato principalmente a
tagliare i costi laddove non sono state invece costrette a tagliare le persone,
gli uomini delle risorse umane sono di nuovo in campo per accaparrarsi i
collaboratori di maggiore talento.
Nell’era creativa è il sistema che deve elevarsi e adattarsi al talento, per
supportarlo, farlo emergere e integrarlo in modo da trarne tutti i benefici.
Solo attraverso un’attenta comunicazione interna ed esterna, l’azienda può
attrarre e fidelizzare gli individui che più si identificano nei suoi valori e nelle
sue idee fondanti.
E’ importante, quindi, saper gestire in modo rigoroso e sofisticato anche i
propri collaboratori, al pari di tutte le altre risorse tangibili, se si vuole
continuare a competere nel contesto attuale.
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Proprio da questo presupposto ha origine una contraddizione con cui le
imprese devono confrontarsi: se da una parte il capitale intellettuale diventa
il fattore competitivo per eccellenza, dall’altra è sempre più difficile attrarre e
trattenere le risorse di valore. L’espressione “guerra dei talenti”, indica
appunto questo fenomeno: la caccia ai migliori talenti capaci di trasformare
l’innovazione in progetti e prodotti da presentare al mercato.
Nasce così la competizione per la conquista dei dipendenti migliori che,
portata agli estremi, assume le sembianze di una vera e propria relazione
bellicosa tra imprese, appunto una guerra per i talenti.
In un’economia, infatti, in cui le conoscenze e il capitale intellettuale sono le
fonti del vantaggio competitivo sostenibile, le imprese di successo
sembrano essere quelle che, tra l’altro, riescono ad attrarre e trattenere le
persone migliori. Per questo i talenti sono oramai un fattore critico all’interno
delle imprese.
La sintesi del panorama sta allora in queste parole piuttosto dirette di
Walter Passerini [W. Passerini, E’ partita la caccia ai talenti]: “alle aziende
tocca il difficile compito non solo di attrarre i migliori talenti (le cui
caratteristiche cambiano a seconda dell’azienda o del settore), rendendoli
rari e ricercati, e spesso introvabili, ma anche quello di tenerseli buoni (con
sofisticate politiche del personale, leva retributiva compresa) e, soprattutto,
di non farseli scappare. Sarebbe infatti un dramma, e una beffa se, dopo
averli conquistati a suon di aumenti di stipendio, motivati, formati e
coccolati, i talenti, diventati cacciatori del posto fisso, emigrassero altrove
attirati da altre e più irresistibili sirene aziendali”.
L’obiettivo principale di questo lavoro consiste proprio nell’indagare il reale
significato della gestione dei talenti, i presupposti da cui ha origine e le sue
linee di sviluppo.
Nel primo capitolo viene analizzato il panorama odierno dei mercati del
lavoro, dei nuovi scenari prodotti dalla globalizzazione e dall’avvento e
sviluppo delle nuove tecnologie.
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Nel secondo capitolo si cerca di dare una definizione al termine “talento” e
si analizzano le fasi in cui si articola il Talent Management System.
Negli altri capitoli si sviluppa una ricerca sperimentale dove si sono
confrontati i dati teorici con la realtà effettiva di un’azienda operante sul
nostro territorio che, comprendendo ed apprezzando il valore del talento, si
adopera al fine della sua identificazione, della sua crescita e, infine, del suo
trattenimento nell’organizzazione. Nel caso di studio si è in altre parole
cercato di individuare quale sia il ruolo del sistema aziendale nella gestione
dei talenti attraverso una verifica empirica delle argomentazioni esposte e
trarne quindi delle conclusioni.
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1 CAPITOLO PRIMO
1.1 GLI SCENARI EVOLUTIVI DEL MONDO DEL LAVORO: IL NUOVO SISTEMA
COMPETITIVO
Nei paragrafi seguenti verranno analizzati i cambiamenti avvenuti sul
mercato del lavoro negli ultimi anni, i quali hanno tutti determinato una
maggiore concorrenza per accaparrarsi le risorse migliori.
1.1.1 Il fattore demografico
A partire dalla metà degli anni Sessanta, con un accentuarsi nei decenni
successivi, tutti i paesi più industrializzati hanno fatto registrare un forte calo
delle nascite.
Gli effetti di questo fenomeno si stanno facendo sentire ora sul mercato del
lavoro; il fattore demografico è infatti la causa principale del workforce
shortage.
Le aziende stanno sperimentando difficoltà nel trovare appartenenti alla
cosiddetta generazione X (i nati tra il 1966 ed il 1977) da inserire nel proprio
organico in posizioni chiave per il successo. Nulla lascia presagire un
miglioramento per il futuro. Le previsioni ISTAT relative al numero di
residenti per i prossimi dieci anni, nella fascia d’età tra i 25 ed i 40 anni, non
lasciano spazio a dubbi circa la riduzione di questo segmento di
popolazione (FIG. 1).
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FIG. 1 Fonte: ISTAT
In Italia potrebbe inoltre presentarsi un altro problema: il trend decrescente
delle immatricolazioni ai corsi di laurea che si è verificato negli anni recenti
(FIG. 2), causato anch’esso dal calo costante del numero dei diciannovenni
in valore assoluto (nonostante un leggero incremento della percentuale di
iscritti sul totale dei diciannovenni, salita al 43% nel 1998 contro il 40% del
1993).
Questo dovrebbe bastare come campanello d’allarme per chi è sempre alla
ricerca di nuovi talenti. L’università è, infatti, il luogo dove le competenze
nascono, con la ricerca, e si riproducono con la creazione di laureati, quindi
di nuova forza lavoro altamente qualificata.