VII
Introduzione
Il presente lavoro è una prosecuzione della dissertazione che ho svolto per la laurea
triennale, centrata sulla conoscenza d‟ordine generale dell‟autismo (definizione,
caratteristiche, teorie e interventi possibili). L‟interesse destato dal precedente lavoro ha
promosso l‟intenzione di approfondire il problema e le sue dinamiche, specificatamente nella
preadolescenza.
In particolare, ci interessava approfondire le caratteristiche dell‟inserimento nella scuola
di un soggetto con queste problematiche. Per questo abbiamo rivolto la nostra attenzione al
contesto scolastico, chiedendoci quali sono le tipologie d‟intervento di sostegno scolastico
offerte a un soggetto autistico con gravi deficit relazionali, comunicativi e sociali.
Normalmente nella scuola secondaria di primo grado, il punto focale sul quale
un‟insegnante di sostegno lavora con il diversamente abile si orienta sull‟apprendimento in
senso stretto, mentre gli aspetti emotivo-affettivi e relazionali passano in secondo piano.
Invece, nella scuola cui ci siamo rivolti, è stato portato avanti un esperimento
particolarmente interessante da parte di un‟insegnante che da circa venti anni si occupa del
sostegno all‟handicap. Il punto fondamentale di questo studio-pilota è la relazione ragazzo-
insegnante di sostegno. Partendo dall‟instaurare una relazione, con un soggetto preadolescente
autistico con una diagnosi severa proprio su questo aspetto, l‟obiettivo primario era quello di
tentare di far emergere una qualche forma di intenzionalità comunicativa e di condivisione
emotiva.
A questo scopo, è stato condotto un doppio lavoro parallelo: un‟attività con il gruppo-
classe in generale e una più specifica con il ragazzino autistico.
Il primo capitolo del nostro lavoro da una parte, ha preso in considerazione i ricercatori
che hanno rivolto un interesse particolare agli aspetti comunicativi e sociali dell‟autismo,
analizzandone i principi teorici; dall‟altra si è proposto di presentare un approfondimento
sulla conoscenza della comunicazione umana.
Nel secondo capitolo sono presentate la storia del soggetto osservato, la sua presa in
carico e la tipologia del doppio intervento, l‟uno rivolto al gruppo-classe e l‟altro individuale,
definendone la struttura e l‟andamento, con esempi di sessioni osservative.
Nel terzo capitolo sono trattati: il tipo di osservazione effettuata e la sua metodologia;
l‟analisi dei dati raccolti, evidenziando alcuni momenti particolarmente interessanti. Inoltre,
sono state esaminate le risposte al questionario semistrutturato somministrato al corpo docenti
VIII
della classe del soggetto al fine di conoscere il loro punto di vista rispetto ad eventuali
cambiamenti comportamentali emersi durante l‟anno scolastico. Infine abbiamo approfondito
il tema dell‟empatia, perché nella sindrome dello spettro autistico essa risulta carente.
Il quarto e ultimo capitolo approfondisce il follow-up osservativo svoltosi durante il
periodo del secondo anno scolastico, tra ottobre e dicembre 2010.
La parte riservata alle conclusioni finali riguarda una riflessione generale sul lavoro che
abbiamo seguito.
Infine, abbiamo inserito in Appendice i documenti relativi, alle due valutazioni
quadrimestrali sottoscritte dalle insegnanti di sostegno e l‟educativa territoriale, il
questionario semistrutturato rivolto ai docenti e un esempio del lavoro di scrittura al computer
associata a delle immagini, avente lo scopo di stimolare la comunicazione intenzionale di tipo
verbale.
1
Capitolo 1
Uno sguardo generale sull’autismo: teorie e aspetti
comunicativi
1.1– Breve accenno storico sull’autismo
Il termine autismo, dal greco αὐτός [aw'tos] “se stesso”, indica una complessa sindrome
dello sviluppo psichico umano, caratterizzata da un funzionamento deficitario, di differente
gravità, inerente le seguenti aree:
- qualità dell‟interazione sociale;
- qualità della comunicazione;
- modi di comportamento idiosincratici.
Questo quadro psicopatologico di natura eziologica multifattoriale ha un esordio
ravvisabile entro i primi tre anni di vita del bambino, con alterazioni della capacità
relazionale, dapprima ritenute normali, e poi sempre più gravi che provocano effetti nell‟area
cognitiva, affettiva e comportamentale. La sindrome autistica è attualmente inquadrata dal
DSM-IV TR come disturbi dello spettro autistico, o DSA
1
, oppure come Sindrome Autistica
definizione adottata dalla classificazione internazionale dell‟OMS, International
Classification of Disease, con i Codici ICD-10 appartenenti alla sottocategoria Disorders of
psychological development, F80 – F89.
I primi dati clinici circa l‟utilizzo della parola autismo risalgono al 1911; essa fu adottata
dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler, per indicare un fenomeno psicopatologico secondario
presente nei pazienti schizofrenici, i quali erano in uno stato di predominanza assoluta e
invasiva del loro mondo interno con conseguente distacco dalla realtà.
1
Nella sezione del DSM-IV TR (2001) l‟autismo rientra nei Disturbi Generalizzati dello sviluppo con
cinque categorie nosografiche di gravità crescente: Disturbo Generalizzato dello Sviluppo Non Altrimenti
Specificato; Disturbo di Asperger; Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza; Disturbo di Rett; Disturbo
Autistico.
2
In seguito, nel 1943 Leo Kanner, e nel 1944 Hans Asperger, indipendentemente uno
dall‟altro, pubblicarono una descrizione dettagliata di un gruppo di bambini non rientravano
in altri quadri patologici e che presentavano le seguenti caratteristiche:
- desiderio d‟immutabilità (sameness
2
);
- comunicazione idiosincratica;
- difficoltà nella sintonizzazione emotiva;
- aderenza a routine;
- isolotti di capacità;
- inadeguate abilità verbali e non verbali;
- presenza d‟interessi molto particolari;
- mancanza del contatto oculare;
- goffaggine;
- assenza di dimorfismi;
- utilizzo non funzionale degli oggetti inanimati;
- buone capacità di memoria e apprendimento;
- genitori molto dotati intellettualmente.
Kanner, che aggiunse al sostantivo autismo l‟aggettivo infantile, ipotizzò per questi
pazienti un inquadramento psicodiagnostico definito come disturbo autistico del contatto
affettivo a eziologia innata; Asperger invece pose l‟enfasi sugli aspetti sociopatici della
sindrome definendola come disturbo precoce di personalità o disturbo di personalità
autistica.
Nel periodo che va dai primi anni del „50 fino a circa il 1962, Bruno Bettelheim insieme ai
suoi collaboratori della Scuola Ortogenica Sonia Shankman dell‟Università di Chicago,
portarono avanti degli studi sull‟autismo applicando in seguito le loro teorie rispetto alla
tipologia più idonea di trattamento
3
. Il punto di partenza della teoria di Bettelheim traeva
spunto dalla sua personale esperienza nei campi di concentramento tedeschi, che l‟aveva
portato ad ipotizzare una simmetria tra l‟autismo e i danni, fisici e psicologici, causati dalla
permanenza in una situazione simile: “L’unico elemento che, io credo, rende un’esperienza
estrema è il fatto di non potervisi sottrarre ... è precisamente l’ineluttabilità più che la
prospettiva della tortura e della morte a distruggere la personalità” (2001, pag.17).
2
Intolleranza a qualsiasi cambiamento brusco.
3
L‟idea centrale era di offrire a questi bambini un ambiente umano in cui sperimentare cure di tipo materno,
che si riteneva fossero state loro negate nei primi anni di vita.
3
Nella prospettiva di Bettelheim la condizione autistica è data dalla reazione “giustificata e
accettabile della loro collera come lo sono anche i conseguenti desideri distruttivi poiché
sono le manifestazioni adeguate dei loro sentimenti” (ibidem, pag. 231) rispetto al tipo di
ambiente, caratterizzato da esperienze continue in cui le cure materne sono state carenti o
assenti, oppure il bambino è stato rifiutato per qualche motivo, e si è visto negare le risposte ai
suoi bisogni primari (sia fisici che affettivi).
Negli anni successivi (anni ‟70) gli studi si allontanano notevolmente da questa posizione.
Due sono le direzioni. La prima si focalizzò sugli aspetti cognitivi dell‟autismo enfatizzando
la peculiare intelligenza del bambino autistico (isolotti di capacità presenti nella sindrome di
Asperger). A questo orientamento appartengono le ricerche condotte dal gruppo di M. Rutter
(Lockyer e Rutter, 1970), le quali posero attenzione sulla diversità di prestazione tra le
competenze visuospaziali/mnemoniche e le capacità comunicative-relazionali, dove le ultime
sono spesso scarse o assenti.
Alla seconda posizione appartengono le teorie psicodinamiche, come gli studi di F. Tustin
(1991, 1997, 2000), il cui focus d‟interesse è sulle prime relazioni del bambino con le sue
figure di accudimento. Alcuni di questi ricercatori hanno tentato di elaborare un‟ipotesi sugli
stadi arcaici dello sviluppo psichico umano con lo scopo di costruire una classificazione
diagnostica dei vari tipi di autismo (incapsulato,confusionale, ecc.). Questo è però rimasto un
tentativo di eccessiva semplificazione rispetto a un fenomeno assai eterogeneo, che si è
rivelato in seguito poco utilizzabile sul piano della clinica e della terapia.
Rimanendo in quest‟ambito, ricordiamo i lavori di M. Fordham (2003) e di M. S. Mahler
(1968). Il primo studioso definì l‟autismo come uno stato d‟integrazione disturbato causato
dal fallimento relativo al processo di deintegrazione del Sé. Per Fordham è fondamentale
comprendere il vissuto soggettivo del bambino e il tipo di relazione che egli è in grado di
stabilire con l‟adulto di riferimento, tenendo in considerazione anche le proprie capacità
relazionali di base.
La Mahler condusse molte osservazioni sulla coppia madre-bambino, ritenendo la
sindrome autistica, una situazione deficitaria innata del bambino unita a difficoltà della madre
nello svolgere la sua funzione.
La ricercatrice elaborò un modello di sviluppo mentale composto di tre stadi, ipotizzando
l‟esistenza di una fase autistica normale (il primo mese di vita neonatale), poi disconfermata
da successive teorizzazioni e ricerche (vedi Stern, 1985).
4
La sua teoria si basava sull‟assunto che nello stato di autismo patologico è attiva una
sopraffazione della sensorialità tale che il bambino non è in grado di differenziare tra il suo
mondo interno e il mondo esterno, tra oggetti animati e oggetti inanimati.
Da queste esperienze soggettive si svilupperebbe un‟angoscia talmente elevata da causare
un ritiro dal contatto con il mondo esterno e soprattutto con le persone.
I soggetti autistici utilizzerebbero un meccanismo di mantenimento
4
, per ridurre, o attutire,
la sensazione altamente angosciante d‟imprevedibilità circa le relazioni umane, per difendersi
dalla percezione minacciosa di stimoli esterni, mettendo in atto forme peculiari d‟interazione
(stereotipie, estraniamento dello sguardo, uso particolare degli oggetti, comportamenti
idiosincratici, ecc.).
Altri studi di un certo rilievo riguardano la ripresa delle ricerche di Asperger. L. Wing
(1981) fece una distinzione tra autismo e psicosi, individuando una continuità tra i diversi
gradi delle manifestazioni autistiche, arrivando a proporre la definizione di spettro autistico.
A livello nosografico scomparve il termine autismo infantile sostituito da quello di disturbo
autistico tipo long life (Ballerini, Barale, Gallese e Uccelli, 2006) questo perché è una
psicopatologia che dura tutta la vita, pur avendo una sua specifica evoluzione.
Si affaccia sempre più l‟ipotesi teorica che l‟autismo sia un problema di neurosviluppo,
riconoscibile entro i primi tre anni di vita del bambino, di diverso grado, non causato da
stimoli ambientali inadeguati o traumatici.
La sua comparsa si manifesta attraverso alterazioni primarie rispetto alle competenze
interpersonali e sociali dell‟individuo. Specifici trattamenti, soprattutto se la diagnosi avviene
precocemente (è possibile farla già entro l‟anno e mezzo del bambino), possono migliorare le
future condizioni di vita del soggetto.
L‟autismo, inoltre, non ha un‟evoluzione psicotica ma il 90% dei casi diagnosticati come
disturbi dello spettro autistico, diverranno adulti autistici.
Tra gli anni ottanta e novanta furono elaborate quattro differenti prospettive teoriche di
una certa importanza sull‟autismo: i ricercatori che sostengono che l‟autismo è un problema di
teoria della mente (A. Leslie, S. Baron-Cohen, U. Frith e J. Perner); la teoria socio-affettiva
(fondata da P. Hobson) e il modello del deficit imitativo (A. Meltzoff, A. Gopnik e L. Capps).
Esponiamo di seguito un breve accenno dei modelli citati.
Gli studiosi della prima prospettiva sostengono che esista un deficit specifico della teoria
della mente, equiparabile a un‟agnosia degli stati intenzionali complessi che renderebbe
4
Questo meccanismo consiste nella negazione delirante degli stimoli percettivi del mondo esterno.
5
impossibile sia l‟interazione sociale, sia l‟abilità di acquisire le competenze necessarie per
interagire con le menti ed esperienze altrui.
Tali anomalie sono dimostrabili attraverso i test della falsa credenza (Baron-Cohen, 1997).
Secondo Baron-Cohen (Howlin, Baron-Cohen e Hadwin, 1999) le funzioni della lettura
della mente, oltre alla comprensione sociale e alla comunicazione, sarebbero rivolte
all‟inganno, all‟empatia, alla consapevolezza di sé, alla riflessione su di sé ed infine alla
persuasione al fine di modificare le opinioni altrui.
Il secondo orientamento concepisce l‟autismo come un deficit primario, di tipo socio-
affettivo. Hobson
5
(1989a) riprendendo ed estendendo l‟intuizione di Kanner, intende
sottolineare che esiste un‟alterazione dei meccanismi innati del legame affettivo e
dell‟intersoggettività primaria (causate da alterazioni patologiche del cervello o da
deprivazioni sensoriali di una certa gravità) la quale causa deficit cognitivi della teoria della
mente.
Il penultimo modello, di tipo simulazionista, ritiene che alla base dell‟autismo vi sia un
deficit delle abilità imitative precoci
6
e della capacità innata di trasferimento transmodale
dell‟informazione. Da queste abilità dipenderebbe lo sviluppo del social referencing, base
della mente sociale e delle capacità metarappresentative.
Secondo Meltzoff (1990), i soggetti autistici sarebbero preclusi dai processi imitativi,
aventi la funzione di rilevare informazioni riguardanti come e cosa gli altri fanno, in rapporto
a ciò che noi stessi facciamo.
Sarebbe questa capacità di collegare i propri sentimenti interni al comportamento altrui, a
essere la base per lo sviluppo della comprensione empatica di ordine complesso.
Per terminare, consideriamo l‟ipotesi neuropsicologica del modello del deficit di funzioni
esecutive o EF (Damasio e Maurer 1978).
Essa afferma che nell‟autismo alcune funzioni neuropsicologiche (localizzate nei lobi
frontali del cervello) sono compromesse e, siccome sovraintendono a specifici processi
(pianificazione, controllo, monitoraggio, coordinamento ed esecuzione di azioni/sequenze di
azioni finalizzate), questi non seguono il percorso normale o sono compromessi gravemente.
5
Hobson riprende le idee di Kanner, secondo il quale l‟autismo ha cause innate.
6
Evidenziabili già in neonati di diciotto ore di vita.