5
lunga l’indicatore più utilizzato nella  misurazione della soglia di povertà, 
non costituisca un elemento determinante ai fini dell’esclusione? 
In altri termini: Si possono individuare soggetti “esclusi” tra le fasce di 
popolazione ad alto reddito ed “inclusi” tra quelle a basso reddito? 
Nelle riflessioni seguenti lo sviluppo di questo lavoro si cercherà di 
rispondere a tale quesito. 
 6
 
 
DEFINIZIONI E CRITERI DI ANALISI DELLA POVERTA’ 
1.1 Cittadinanza sociale e percorsi di poverta’ 
La relazione tra cittadinanza e povertà può essere facilmente compresa 
attraverso la ricostruzione dell’evoluzione del dibattito sulla definizione e 
sulla misurazione della povertà, che nel dibattito internazionale viene 
sempre più identificata con un processo di esclusione sociale. 
Definire il concetto di povertà significa aver operazionalizzato una 
definizione del fenomeno che sta a monte all’interno di uno specifico 
contesto sociale. 
Eric J.Hobsbawn
1
 sostiene che: ”la povertà ha sempre avuto significati 
diversi non interamente scindibili ed è sempre definita in accordo con le 
convenzioni della società cui si riferisce”. Anche Mollie Orshansky
2
 è di 
questa opinione quando afferma che:”La povertà come la bellezza, sta 
negli occhi di chi guarda. La povertà è un giudizio di valore, non è 
qualcosa che uno può verificare o dimostrare, se non per inferenza o 
suggestione, neppure con un margine di errore. Dire chi è povero è usare 
                                                           
1
Hosbawn E.J., 1968, La povertà, enciclopedia internazionale delle scienze sociali 
2
Orshansky M., 1969,Misurazione della Povertà  
 7
ogni sorta di giudizi di valore. Il concetto deve venir limitato dallo scopo al 
quale la definizione serve”. 
Altrettanto fa T.H.Marshall
3
 quando scrive che nel concetto di povertà è 
implicito un giudizio di valore e anche la dizione “livello di sussistenza” 
che suona più oggettivo è legato a definizioni culturalmente determinate. 
A definizioni differenti si accompagnano, poi, metodologie differenti tutte 
esposte ad una certa vulnerabilità. La complessità del fenomeno, la sua 
multidimensionalità, variabile nel tempo e nello spazio, infatti, lo rendono 
irriducibile anche a procedimenti di misurazione e di indagine 
estremamente raffinati. L’assunto di partenza della ricostruzione teorica è 
che le modalità in base alle quali il concetto è stato definito e le 
operazionalizzazioni che queste hanno comportato sono mutate in relazione 
al mutamento dei contesti sociali di riferimento. Questa dipendenza 
(relativa e non assoluta) dal contesto, e soprattutto la necessità di 
sviluppare concetti più complessi, può venire riconosciuta con facilità 
considerando le definizioni che hanno caratterizzato nel tempo le ricerche 
sulla povertà. 
1.2 Dal minimo di sussistenza alla relativita’ della poverta’ 
I primi studi sulla povertà sono stati condotti in Inghilterra verso la fine del 
secolo scorso, quando gli effetti della prima rivoluzione industriale 
                                                           
3
 Marshall T.H., 1981, Povertà e deprivazione 
 8
mostravano sempre più che la povertà era una semplice condizione 
strutturale alla quale non ci si poteva sottrarre semplicemente attraverso 
uno spostamento verso l’uso di altre risorse disponibili. Le altre risorse, 
quali il lavoro domestico, l’uso comune della terra, ecc. erano state travolte 
dall’affermazione del lavoro produttivo industriale e dalle relazioni di 
dipendenza salariale e, quindi, dal mercato. Charles Booth
4
 a Londra e 
Seeboom Rowntree
5
 a York danno una definizione molto pragmatica e 
definiscono poveri coloro che non riescono ad assicurarsi la sopravvivenza 
fisica. Il lavoro di Rowntree cercava di stabilire un criterio fisso con il 
quale misurare la povertà, differenziandosi da quello di Booth per il fatto 
che si basava su di un paniere di beni ritenuti necessari per mantenere la 
salute e l’efficienza fisica. 
Dare un prezzo a questi beni permetteva di stabilire una soglia, la 
cosiddetta linea di povertà. La definizione veniva data, dunque, 
considerando povero chi poteva disporre di risorse al di sotto di questa 
soglia, identificando il concetto di povertà con quello di minimo di 
sussistenza. E’ questa identificazione tra un minimo di sussistenza stabilito 
scientificamente e la povertà, che caratterizza ciò che è stata definita la 
“povertà assoluta”. 
                                                           
4
 Booth C., 1889, Lavorare e vivere a Londra  
5
 Rowntree S.B., 1901, Lo studio della povertà nelle città 
  Rowntree S.B.,1941, Povertà e progresso a York, Osservazioni 
 9
Queste prime ricerche dipendono essenzialmente dalla loro impostazione 
metodologica che riflette la necessità di legittimazione culturale, prima 
ancora che scientifica, di un problema del quale fino ad allora si negavano 
le radici sociali. Rowntree ha deliberatamente adottato un criterio assoluto 
e rigido, per evitare qualsiasi critica di arbitrarietà al suo paniere di beni e 
ai risultati della sua ricerca e, quindi, alla denuncia sociale del problema 
che ne derivava. In fondo c’era un’intesa abbastanza diffusa su cosa fosse 
la povertà, il punto era scoprirne la dimensione quantitativa (basandosi su 
una dimensione rigorosa) e, soprattutto, le cause. La spiegazione 
convenzionale della povertà, comune alla classe media (ed alle classi 
medio-superiori), era che le persone erano povere perché non sapevano 
spendere oculatamente il loro denaro e non perché ne avevano troppo poco: 
la colpa, cioè, era del soggetto. Per mettere alla prova questo assunto,  
Rowntree doveva trovare un livello di reddito al quale l’ipotesi 
individualistica non reggesse più: un livello di sussistenza minimo che non 
desse adito a discrezionalità nella valutazione. I risultati delle tre ricerche 
che ha condotto hanno dato ragione a Rowntree, perché hanno identificato 
le cause principali di povertà nel reddito insufficiente, nella 
disoccupazione, nella vecchiaia, nella morte e malattia del capofamiglia e 
nell’insufficiente paga dei lavoratori occasionali. La natura strutturale di 
queste cause viene messa in evidenza dal fatto che il quadro muta 
                                                                                                                                                                          
  Rowntree S.B.,1951, Povertà e Welfare State 
 10
considerevolmente dopo la fine della seconda Guerra Mondiale: solo 
vecchiaia e malattia sembrano determinare ancora la povertà nella terza 
indagine (1951). L’importanza dell’intervento del Welfare State ( Stato 
assistenziale ) come risposta ai processi di  esclusione sociale determinati 
dal mercato e dalla sua logica di funzionamento diventa sempre più 
evidente e cominciano a delinearsi nei diversi paesi configurazioni di 
welfare peculiari, che distribuiscono i costi in modo differenziato sulla 
popolazione. 
Questa definizione assoluta di povertà e l’assunto che potesse essere 
utilizzata come criterio universale è però in se stessa contraddittoria ed è 
stata sempre più criticata. Differenti gruppi di popolazione, infatti, hanno 
bisogni diversi e la scelta dei beni da inserire nel paniere è altrettanto 
arbitraria e standardizza le modalità di consumo senza tenere conto dei 
gusti, delle abitudini, delle tradizioni culturali, del ciclo di vita, dell’età o 
delle tipologie familiari. 
Nella realtà i presupposti del modello non si realizzano visto che 
presuppongono un soggetto perfettamente razionale, sradicato da qualsiasi 
contesto. Non è casuale in questo senso che sia lo stesso Rowntree ad 
adattare il livello della linea di povertà nel corso dei suoi tre studi, 
considerando non solo il mutamento dei prezzi, ma anche la composizione 
del paniere. Lo scopo di questo adattamento era intenzionalmente quello di 
migliorare la corrispondenza tra il minimo di sussistenza teorico e la 
 11
situazione reale. Questa corrispondenza è anche alla base di Condizioni di 
vita adeguate, nel 1941, per tenere conto di più fattori che vanno al di là del 
reddito: le condizioni abitative, la salute, l’educazione e l’attività di 
ricreazione. Una condizione di vita determinata più da fattori sociali che 
fisici e, quindi, non solo relativa piuttosto che assoluta ,ma anche 
influenzata oltre che dalla regolazione della sfera del mercato anche dal 
fatto di vivere in un contesto di rapporti sociali strutturati dalle risorse che 
il sistema di welfare riesce a mettere a disposizione dei soggetti portatori di 
bisogno. 
L’importanza del contesto in quanto elemento che contribuisce a definire i 
confini dell’analisi emerge anche considerando lo sviluppo economico 
post-bellico e l’estensione crescente dell’intervento sociale dello Stato, che 
hanno modificato profondamente il contesto socio-economico dei processi 
di riproduzione sociale: la relatività del concetto di povertà è diventata il 
criterio fondamentale della maggior parte degli studi condotti a partire 
dagli anni ’70. Il contesto di maggior benessere, infatti, fa sì che gli studi si 
concentrino più sul problema dell’equità distributiva e sul fatto che, 
nonostante tale benessere, persistano situazioni di malessere e 
diseguaglianza. E’ soprattutto Townsend
6
 che sviluppa il concetto relativo 
di povertà, in base al quale vengono considerati poveri ”individui e famiglie 
                                                           
6
 Townsend P, 1974, Il concetto di povertà 
   Townsend P ,1979, Povertà nel Regno Unito   
 12
o gruppi di persone….quando non possiedono le risorse che consentono 
loro di ottenere quei tipi di diete, di partecipare alle attività e di vivere 
nelle condizioni di vita, che sono consuetudine, o per lo meno sono 
incoraggiate o approvate ,nella società alla quale appartengono”. 
 Townsend identifica sessanta indicatori quali il tipo di dieta, vestiario, 
luce, gas che  permettano di descrivere lo stile di vita della popolazione, il 
deficit dei quali determina uno stato di deprivazione relativa, il tutto 
chiaramente in aggiunta a un livello di reddito reputato minimo. Questa 
differenza da Townsend a Rowntree nell’identificare il termine di 
riferimento può dipendere dal fatto che gli stili di vita e l’identificazione a 
vista dei poveri erano meno problematiche al tempo di Rowntree, che dal 
canto suo aveva una visione semplice e non articolata della deprivazione 
intesa in termini relativi. 
Townsend critica Rowntree per la sua visione assoluta della povertà, ma le 
sue critiche sono solo parzialmente adeguate, perché in fondo anche 
Rowntree non considerava la povertà in un vacuum morale, quando 
piuttosto come una condizione che nasceva dalla disparità del controllo 
sulle risorse. Il punto era che egli utilizzava la sua definizione come un 
heuristic device, perché voleva convincere i suoi lettori della qualità della 
povertà con un linguaggio scientifico che essi rispettavano. Voleva cioè, 
mostrare che alcuni poveri disponevano di risorse monetarie insufficienti 
addirittura per garantirsi la sussistenza fisica. 
 13
La differenza tra le concezioni della povertà di Townsend e Rowntree non 
sta, quindi, nella assolutezza o nella relatività della definizione, quanto nel 
fatto che la definizione di deprivazione di Townsend si basa sulla 
percezione degli attori sociali del fenomeno stesso, mentre quella di 
Rowntree viene definita dagli esperti. 
In ogni caso l’importanza del contesto diventa, per la definizione di 
Townsend, fondante e per poterla operazionalizzare egli utilizza due 
concetti chiave: quello di privazione relativa e quello di gruppo di 
riferimento. Questi due concetti, introdotti da Runciman
7
 negli anni ’60, 
allo scopo di spiegare come mai spesso esista una discrepanza tra 
disuguaglianza e scarsa consapevolezza della stessa, vengono ripresi anche 
da Townsend. 
Questi sottolinea la necessità di basare l’analisi sul confronto 
intersoggettivo rispetto agli specifici standard di vita ed alla disponibilità di 
risorse dei contesti socio-economici oggetto d’analisi, perché solo così si 
può identificare la popolazione povera evitando la soggettività della 
valutazione. Riuscire a scindere le due dimensioni non è comunque molto 
semplice, anche adottando l’indice di Townsend, perché lo stesso livella ad 
una media fittizia stili di vita differenti e crescentemente eterogenei. Si 
pone allora la questione se intendere la povertà come deprivazione sia 
considerare l’impossibilità di partecipare allo stile e  alle condizioni di vita 
                                                           
7
 Runciman W.G.,1966, Deprivazione relativa e giustizia sociale 
 14
consuetudinarie e incoraggiate dalla società. La povertà sarebbe poi 
misurabile in termini di devianza da questo stile medio? Secondo T.H. 
Marshall è difficile sostenere che tale metodo sia obiettivo e, in fondo, 
anche Townsend lo ammette: ”Lo stile di vita di una società consiste più di 
elementi eterogenei piuttosto che di elementi omogenei. Ogni tentativo di 
definire e di rappresentare questo stile di vita in qualche indice operativo 
in modo tale da poter misurare statisticamente la conformità della 
popolazione, è condannato ad essere rozzo”. 
1.3 Gli studi sulla poverta’ in Europa, approcci metodologici e 
problemi di comparabilita’, il quadro europeo tra reddito e 
indicatori di deprivazione 
L’approccio oggi più diffuso, almeno a livello ufficiale, è probabilmente 
quello che misura la povertà esclusivamente sulla base del reddito 
(O’Higgins e Jenkins,1989)
8
.Tuttavia si è diffuso anche l’approccio che fa 
uso di indicatori di deprivazione, che si basa sull’analisi più o meno 
congiunta di tre aree di informazione: 
• Quantità di merci, beni, servizi, risorse possedute; 
• Possibilità di accedere a determinate attività; 
Condizione di stress dovuto a motivazioni economiche di varia natura; 
                                                           
8
 O’Higgins M., Jenkins S.,1989,  Povertà in Europa: stime del numero dei poveri nel 1975, 1980,1985   
 15
In definitiva, i parametri utilizzati sono in genere pensati come 
”beni/servizi primari” quindi necessari, la cui disponibilità o accesso è 
considerata normale nel contesto cui si riferisce. 
Pertanto la ricerca sulla povertà in Europa ha avuto negli ultimi anni un 
crescente e variegato impulso numerose sono le indagini, di natura 
campionaria, che a livello nazionale vengono realizzate anche da istituti 
statistici o di ricerca e, soprattutto sulla base delle diverse applicazioni che 
vengono fatte degli indicatori di deprivazione, sempre più ampio risulta il 
ricorso ad indicatori non monetari di tipo oggettivo e abbastanza frequente 
l’introduzione di indicatori anche di tipo soggettivo. Ciò nondimeno, 
nell’insieme il quadro europeo appare piuttosto confuso. Infatti per quanto 
riguarda il contesto teorico di riferimento, l’impressione è che la riflessione 
su questo piano, da una parte non si sia discostata in modo radicale da un 
approccio piuttosto tradizionale, che si rifà sostanzialmente ad una 
definizione di povertà intesa come manifestazione di privazione relativa 
(Townsend,1979); dall’altra ha dato luogo a una serie di rielaborazioni e 
ridefinizioni del concetto di povertà che hanno prodotto un panorama di 
ricerche qualitativamente molto disomogeneo. Tuttavia, bisogna 
riconoscere che, soprattutto sul piano dell’applicazione empirica, 
l’esperienza dell’ultimo decennio risulta senza dubbio essere ricca di 
spunti. In altre parole, in Europa è in atto un tentativo di esplorare una 
 16
misura e un’analisi della povertà al di là del semplice uso delle risorse 
monetarie. 
Non va trascurato neppure, sempre a livello europeo, quel filone 
rappresentato dalle indagini che propongono lo studio delle condizioni di 
vita o di well-being (benessere). 
Questo approccio, seguito da sociologi antropologi e psicologi, non si 
occupa di povertà in senso stretto, ma di stratificazione, segmentazione e 
disuguaglianza tra classi e gruppi sociali. L’interesse per questo tipo di 
ricerca, diffuso nei paesi scandinavi, sta da una parte nella considerazione 
che il concetto di well-being e quello di indicatori non-monetari, o 
indicatori sociali, sono concettualmente e metodologicamente correlati; 
dall’altra nel dover affrontare nell’esperienza empirica altre questioni, 
concettuali e di metodo, comuni alle ricerche sulla povertà. Vi sono in 
particolare due aspetti: l’uno relativo agli indicatori, per la costruzione 
delle scale; l’altro, connesso al problema dei pesi da assegnare ai diversi 
indicatori. Infine, sempre a proposito degli indicatori utilizzati, vale la pena 
sottolineare che molti degli sforzi dei ricercatori che si occupano di “qualità 
della vita” sono concentrati in misura crescente, oltre che sullo studio della 
significatività degli indicatori, anche sull’aspetto della loro comparabilità, 
soprattutto internazionale (Nussbaum e Sen 1993)
9
 
                                                           
9
 Nussbaum M.C., Sen A., 1993, Qualità della vita 
 17
1.4 Da Townsend a…:le principali teorie 
Il lavoro di Townsend suscita grandi apprezzamenti, ma anche molte 
critiche e tentativi di correzione, che hanno riguardato sia il problema della 
selezione degli indicatori, sia quello dell’esistenza di una soglia di 
deprivazione (economica) per definire chi povero è e chi non lo è. A 
proposito del primo punto, l’insieme delle critiche si concentra grosso 
modo su tre aspetti: il primo ha riguardato la questione relativa a quali 
criteri debbano essere usati per determinare gli items da inserire nella scala 
e, in particolare, se la valutazione della necessità di un bene debba avvenire 
sulla base di un criterio sociale oggettivo piuttosto che di quello soggettivo 
del ricercatore. La seconda osservazione si è focalizzata sulla 
considerazione che una larghissima parte della popolazione faceva  a meno 
o non disponeva di molti dei beni previsti da Townsend per la costruzione 
dell’indice di deprivazione. Infine, il terzo e forse più rilevante punto si è 
concentrato sul problema relativo a quanto la disponibilità di certi beni 
dipenda dalla messa in atto di una libera scelta, dall’applicazione di una 
scala di valori e di priorità diverse piuttosto che da una scarsità di risorse, 
dal momento che i risultati di più ricerche mostravano che molti 
capifamiglia non poveri risultavano privi di una notevole quantità di beni 
ritenuti necessari. In sostanza, Townsend viene accusato di avere 
completamente trascurato il ruolo della libera scelta, quindi della scala 
soggettiva di valori cui ogni individuo fa riferimento nel processo 
 18
decisionale, dando importanza e rilievo determinante solo all’elemento 
oggettivo della scarsità delle risorse. 
Dal complesso di queste critiche, e da quest’ultima soprattutto, prendono 
l’avvio diversi tentativi di revisione del “sistema Townsend”, la 
discussione teorica ha finito con il confrontarsi più che altro sul terreno 
della sperimentazione empirica ed applicativa. 
Come si evince dalla letteratura sull’argomento, la misurazione del 
benessere può essere posta in un contesto di tipo oggettivo, oppure in uno 
di tipo soggettivo. Il primo suppone che sia un agente esterno (il politico, il 
tecnico, il cittadino rappresentativo) ad individuare una rappresentativa 
funzione del benessere sociale esprimendo valutazioni che provengono più 
o meno direttamente da analisi statistico-economiche: in generale scale di 
equivalenza stimate in base al comportamento delle famiglie in fatto di 
consumi e, quindi, di una disponibilità o meno di una serie di ”merci”. A 
tale proposito, tuttavia, alcuni studiosi osservano che i ”metodi oggettivi 
sono basati su un concetto di funzione di benessere determinata da un 
qualche Grande Fratello. Se tale funzione non coincide con la percezione 
individuale del benessere, si corre il rischi che gli individui siano definiti 
poveri sebbene essi non si sentano tali e viceversa” (Van Praag,1984)
10
. 
                                                           
10
 Vaan Praag B.M.S., 1984, Comparazione dei criteri soggettivi ed oggettivi nella misurazione della  
   povertà