6
quanto nel Seicento: il secolo del “Gran Teatro del Mondo”. E
del Sogno.
Nel corso dei secoli sedicesimo e diciassettesimo si assiste
all’esaltazione delle similitudini strutturali che accomunano
Sogno e Teatro.
Parlando del Seicento, Giovanni Macchia sostiene che:
«i sogni, la follia; sono grandi temi in cui
si esalta l’irrazionalismo del secolo.»
1
E prosegue:
«il tema classico del sogno ha così uno
sviluppo che l’antichità non conosceva.»
2
Tema classico quindi, che raggiunge una diffusione mai
raggiunta prima: il Sogno diventa, insieme alla follia e
all’illusione, simbolo del teatro barocco.
A volte si tratta di sogni meravigliosi, altre volte di incubi o di
terribili visioni; si passa man mano dai sogni raccontati nelle
opere teatrali, ai sogni messi in scena fino ad arrivare
all’invenzione di opere che altro non sono se non la
rappresentazione di sogni o la rappresentazione di una realtà
che però sembra un sogno. È il caso de La Tempesta, de La
1
Giovanni Macchia, La Letteratura Francese dal Rinascimento al Classicismo, Milano, Rizzoli,
2000, p. 200
2
Ibid.
7
vita è sogno, di Sogno di una notte d’estate, opere che
marcano la con-fusione tra le categorie di Realtà e Sogno.
Sogno, Realtà e Teatro sono gli elementi di un meraviglioso
corto circuito che ha raggiunto l’apice tra sedicesimo e
diciassettesimo secolo.
Per quanto il Barocco sia uno strumento inventato dal
Novecento per interrogare il Seicento e per quanto barocco sia
aggettivo riferito principalmente alle arti dello spazio
3
, ritengo
che il teatro, tanto quello scritto che quello agito, abbia pieno
diritto di essere accolto nella categoria.
Nel corso della ricerca, teatri, autori e letterature diverse sono
state inserite in quest’unica enorme casella.
Prendersi questa libertà presuppone un punto di partenza
preciso: considerare barocco tutto quello che, in un determinato
lasso di tempo, rispondesse alle esigenze di illusione,
meraviglia, visionarietà, ambiguità e doppiezza richieste
dall’estetica dell’epoca in questione. Non necessariamente tutto
insieme.
Il tema del sogno è, da questo punto di vista, un tema barocco
in assoluto e attraversa le principali letterature europee in gradi,
e momenti diversi.
Il sogno è ambiguo, specchio della realtà o specchio distorto
della realtà, proprio come il teatro. Una sorta di equivalenza che
3
cfr. Jean Rousset, Fine e persistenza del teatro barocco in Francia, in Chiarezza e
verosimiglianza. La fine del dramma barocco, a.c. di Silvia Carandini, Roma, Bulzoni, 1997, pp.
23-35.
8
segna le fortune del sogno nel teatro a cavallo dei secoli
barocchi.
In questi teatri, di sogni se ne possono raccontare e descrivere
diversi, forse nessuno di essi può dirsi uguale a un altro, ma è
possibile trovare delle costanti.
Il criterio di ricerca è stato quello di aggregare esempi attorno
ad alcune linee guida, senza le quali si rischiava di mescolare
tendenze effettivamente troppo diverse per stare le une accanto
alle altre.
Si è pensato, a tal proposito, di aggregare esempi attorno a tre
nuclei principali: sogni premonitori, sogni di evasione fantastica,
che indicano cioè la volontà di realizzare un desiderio, sogni
identitari, che permettono al sognatore – ma anche al
lettore/spettatore – di capire chi sia veramente.
Quasi nessuno dei sogni incontrati può essere rigidamente
inserito in una delle categorie prescelte, nella maggior parte dei
casi i sogni hanno più di un significato. Può capitare che un
sogno premonitore nasconda un desiderio represso, che un
sogno che indica chiaramente un desiderio si riveli essere
identitario o addirittura, è il caso però di un esempio tratto
dall’antichità – il sogno evocato da Giocasta nell’Edipo Re di
Sofocle – che un sogno indichi un desiderio represso e che sia
allo stesso tempo identitario e premonitore.
A queste casistiche, che rappresentano comunque la quasi
totalità dei sogni trattati, vanno aggiunte le opere teatrali che, in
linea con i dettami estetici barocchi considerano la scena e la
9
rappresentazione come un sogno o che addirittura organizzano
l’intera messa in scena come fosse un sogno.
Ai sogni vanno accomunate inoltre le visioni e le apparizioni
che, più che in ogni altra epoca, abbondano nel teatro barocco.
Le visioni arrivano al teatro attraverso le sacre
rappresentazioni ma non si limitano al teatro di argomento
sacro, di ombre e visioni sono popolate le scene europee.
Dalle ombre che popolano gli incubi dei protagonisti di
Macbeth e di Riccardo III, a quelle dei re tebani che sfilano
nell’Edipo di Emanuele Tesauro, a quelle che popolano le varie
versioni teatrali del mito di Fedra, spunta sempre fuori il lato
cupo del Barocco; un lato oscuro complementare allo scintillio e
alla meraviglia che dominano in quasi tutti i campi dell’arte.
Luci e ombre che si ritrovano già nelle didascalie delle opere
teatrali, una per tutte: La vita è sogno. L’opera inizia
nell’oscurità, in una strana atmosfera in cui l’assenza di luce
smorza e confonde i contorni del paesaggio e delle figure, la
luce arriverà gradualmente, con il dipanarsi dell’azione e sarà
una luce fortissima alla fine, quella della regalità e della volontà
divina. Ma sarà un percorso lungo, fitto di ombre e di ambiguità
mai dissimulate.
Il sogno, con la sua carica di ambiguità, si presta al gioco
barocco, alle sue metafore e all’apparenza fatta di specchi.
Uno di questi specchi, come detto, è quello del teatro: il “Gran
teatro del Mondo”.
10
CAPITOLO I
Il valore del sogno come sistema
di rappresentazione dall’antichità
al XVII secolo
11
«ogni tanto giura di cominciare una vita migliore. / Ma come viene la notte con i suoi
consigli /
Con i suoi mezzucci e con le sue malíe, / ma come viene d’impeto la notte, allora /
al corpo che esige e reclama, a quella / stessa fatale gioia egli, smarrito, fa ritorno.»
Costantinos Kavafis
1. Alle radici del sogno come sistema di rappresentazione.
L’universo teogonico della Grecia antica si ispirava ai
poemi omerici, a quelli esiodei e alle leggende che li hanno
preceduti.
In virtù di questa tradizione Hypnos, personificazione del sonno
e fautore dei sogni, veniva immaginato e descritto come un
giovane guerriero alato che percorrendo la terra e il mare era
intento ad assopire gli esseri viventi. Era spesso raffigurato con
suo fratello gemello: Thanatos, la Morte. Hypnos e Thanatos,
per questa tradizione, erano figli dell’Erebo, l’Oscurità e di Nix,
la Notte. Non una notte ristoratrice però, Nix apparteneva agli
elementi primordiali, era figlia del Caos e senza di essa la vita
non sarebbe stata possibile, una forza tutt’altro che mansueta.
Hypnos e Thanatos, i gemelli figli della Notte, venivano spesso
rappresentati insieme mentre trasportano il cadavere di un
eroe.
12
Alla stessa linea genealogica si attenevano Virgilio e Ovidio,
quest’ultimo collocava Hypnos presso un castello incantato nel
paese dei Cimmeri, luogo in cui non splendeva mai il sole, un
paese sotterraneo fatto di infinite gallerie: il Paese del Sonno.
Lo stesso Omero parlava di dêmos onéirôn, espressione che
indica tanto il Paese, quanto il Popolo dei Sogni.
Sonno e Morte si muovevano dunque in uno strano orizzonte
che accomunava cielo, il volo perpetuo di Hypnos, e abisso, la
Morte, il paese sotterraneo dei Cimmeri. Come se Sogno e
Realtà fossero in qualche maniera affini, diversi ma affini, come
se una categoria completasse l’altra e la compenetrasse.
Spostando l’analisi dal piano mitico teologico a quello
psicologico e filosofico il primo a porre il problema della
distinzione/opposizione tra Sonno e Veglia è il filosofo
presocratico Eraclito di Efeso. Lo fa in più frammenti, alcuni dei
quali di difficile interpretazione.
Pur operando una distinzione tra le due categorie Eraclito non
arriva mai a decretare una frattura irrimediabile tra Sonno e
Veglia, o Realtà. Sembra che per lui i due mondi, seppure
distinti, comunichino tra loro, come se uno, a un certo punto,
subentrasse all’altro.
Nel Frammento n. 23 Eraclito rappresenta, organizza, tutta
l’esistenza umana come un chiasmo in cui la veglia, che sta al
13
centro del sistema, è racchiusa tra Sonno e Morte, i due gemelli
figli della Notte
4
:
«Morte è quanto desti vediamo e quanto
dormienti è Sonno»
5
Quanto vediamo mentre dormiamo è sonno; quando ci
destiamo dal sonno ciò che vediamo è morte.
Si direbbe che Eraclito arrivi a negare il valore della veglia e
dell’esistenza umana, non è così. Il frammento va inserito in un
ampio logos filosofico.
Ciò che appare invece evidente è il fatto che Eraclito pensi questo sistema di
rappresentazione inscindibile dalla vista o, se si vuole, dalla visione.
Il nodo centrale del frammento sta nel verbo «vediamo», tutto il senso ruota attorno a una
visione.
La visione, “vediamo”, è il centro esatto della rappresentazione dell’esperienza umana che,
per quanto fallace e illusoria, non può fare a meno di essa. La vita insomma non può fare a
meno della rappresentazione e tanto il Sonno, quanto la Veglia sono rappresentazioni della
realtà. La visione è conoscenza e la conoscenza passa necessariamente attraverso una
visione; non importa che si sia desti o dormienti, vedere è comunque una forma di
conoscenza (magari fallace ma è pur sempre esperienza).
Dal punto di vista strutturale Eraclito organizza la rappresentazione del mondo in una
visione continua racchiusa tra Sonno e Morte. Comunque due abissi, o se si vuole, un abisso,
la Morte, e un “anticosmo”
6
, il Sonno.
4
Chiasmo perché i due elementi laterali della rappresentazione – Morte e Sonno – sono gemelli e
quindi identici. Comunque si tratta di un chiasmo dal punto di vista morfo-sintattico: sostantivo -
participio - verbo - participio - sostantivo.
5
Eraclito, I Frammenti e le Testimonianze, Milano, Mondatori, Fondazione Lorenzo Valla, 1980,
Fr. n. 23
6
Patricia Cox Miller, Il Sogno nella Tarda antichità, Roma, Jouvence, 2004, p. 26
14
Altri frammenti indicano come Eraclito pensi le categorie
Sonno e Veglia, Realtà, non in netta opposizione ma, al
contrario, in comunicazione tra loro.
Occorre tenere presente che il Sonno, per Eraclito, rimane
sempre e comunque una questione privata e non assume mai
una dimensione pubblica, cosa che invece avverrà in seguito.
«Non intendono gli uomini questo
Discorso che è sempre né prima di udirlo
né quando una volta lo hanno udito, e per
quanto le cose si producano tutte
seguendo questo Discorso, è come se
non ne avessero nessuna esperienza,
essi che di parole e di opere fanno pure
esperienza, identiche a quelle che io
espongo distinguendo secondo la natura
ogni cosa e mostrando com’è: ma agli
uomini sfugge quello che fanno da svegli,
e di quanto fanno dormendo non hanno il
ricordo»
7
«per i desti il mondo è uno e comune, ma
quando prendono sonno si volgono
ognuno al proprio»
8
7
Eraclito, Op. cit., Fr. n. 1
8
Ibid., Fr. n. 9
15
«i dormienti sono operatori e cooperatori
degli eventi del mondo»
9
«non bisogna operare e parlare come
dormendo»
10
Frammenti anche in netta contraddizione tra loro. Ciò che qui
interessa è l’importanza attribuita dal filosofo al Sonno, Sonno
come momento di conoscenza per gli esseri umani, una
conoscenza fallace. D’altronde, gli uomini “pur facendo
esperienza di parole e opere è come se non avessero nessuna
esperienza”.
In ogni caso, la visione è centrale, proprio come nel teatro. Non
c’è sogno senza visione, non c’è teatro senza visione; la vista è
l’elemento primordiale che congiunge teatro e sogno.
Dopo Eraclito ancora un filosofo, questa volta ateniese e
allievo di Socrate, si occupa di sogni e di visioni: Platone.
Quanto detto per Eraclito vale per l’ateniese: Platone non
organizza le proprie speculazioni sul Sogno in un discorso
organico – cosa che avverrà soltanto con Aristotele. Le
osservazioni di Platone sono sparse e spesso contraddittorie.
Lo scarto rispetto a Eraclito consiste nell’affrontare non più
soltanto l’opposizione tra Sonno e Veglia ma nel parlare anche
di sogni e di visioni.
9
Ibid., Fr. n. 11
10
Ibid., Fr. n. 12
16
Platone coglie la consuetudine del mondo antico di associare i
sogni e la loro interpretazione alla divinazione: scienza occulta
che comprendeva la predizione del futuro, l’interpretazione del
passato e che indagava verità nascoste.
La divinazione era una sorta di:
«forma di psicoterapia: aiutava la gente
ad affrontare le ansie relative al futuro e
la costringeva a prendere decisioni, una
volta che tutti gli aspetti razionali fossero
stati esplorati.»
11
Una specie di analisi collettiva della realtà.
Nel Timeo, Platone indica il sonno come la parte della vita
destinata alla divinazione, che è possibile soltanto in assenza di
intelletto e che annunzia attraverso le immagini vedute un bene
o un male passato, presente o futuro.
Non tutti però potevano interpretare i sogni, chi era preso da
furore – condizione essenziale per sognare e avere visioni –
non era in grado di giudicare né le immagini inviategli dal dio né
le proprie parole, doveva necessariamente affidarsi agli
interpreti: i giudici della divinazione ispirata.
12
In Teeteto il sonno e i sogni sono posti all’inizio della
dissertazione su sensazione e conoscenza.
11
Georg Luck, Arcana Mundi. Magia e occulto nel mondo greco e romani, Milano, Mondadori,
Fondazione Lorenzo Valla, 1997 p. 257
12
cfr. Platone, Timeo, in Dialoghi, nella versione di Francesco Acri, a.c. di C. Carena, Torino,
Einaudi, 1970, 72 a
17
«Nulla vieta di credere che i discorsi che
ora facciamo siano tenuti in sogno; e
quando in sogno crediamo di raccontare
un sogno, la somiglianza delle sensazioni
nel sogno e nella veglia è addirittura
meravigliosa»
13
«Il tempo in cui dormiamo è uguale a
quello in cui siamo desti e nell’uno e
nell’altro la nostra anima afferma che solo
le opinioni che ha in quel momento
presente sono vere; sicché per un uguale
spazio di tempo noi diciamo che sono
vere ora le une ora le altre e le une e le
altre sosteniamo con lo stesso vigore»
14
Sembra quasi che tra Sonno e Veglia non ci sia alcuna
differenza, che i due momenti si equivalgano.
In realtà per Socrate, che è il protagonista del Dialogo, dai
sogni scaturirebbero soltanto sensazioni fallaci:
«Ci rimane da dire dei sogni e delle
malattie e, fra queste, massimamente
della pazzia, e cioè insomma di quel
13
Platone, Teeteto, a.c. di M. Valgimigli, Bari, Laterza, 1974, 158 c
14
Ibid., 158 d
18
traudire o travedere o comunque
trasentire che si dice appunto [di coloro
che sognano, o dei malati, o dei pazzi.]»
15
Ci si trova di fronte a una sostanziale assimilazione tra sonno,
malattia e pazzia.
Assimilazione di cui il teatro abuserà, in particolare quello di
XVI e XVII secolo.
Altrove Platone dà invece alla visione – una visione molto
simile al sogno – un grande valore di conoscenza. La visione
diventa in tal caso mezzo utile all’uomo per attingere alla fonte
della vita e quindi strumento di conoscenza, così nel Fedro.
16
Il primo grande filosofo a occuparsi in maniera strutturata e
organica del sonno, dei sogni e della divinazione è Aristotele,
nei Parva Naturalia, trattati minori in cui si interroga sui rapporti
che intercorrono tra anima e corpo.
Aristotele ha una posizione molto chiara: sostiene che il sonno
sia una semplice privazione della veglia e quindi della
sensazione. Quanto alla divinazione, pur mantenendo un certo
rispetto per la tradizione, ne esclude l’attendibilità, partendo
dall’assunto che i sogni non sono affatto inviati da un dio e
sostenendo al contrario la loro assoluta casualità.
15
Platone, ibid., 157 d
16
«Insomma: ciò che [l’uomo] ricorda della visione e della contemplazione degli esseri nella
pianura della verità. Di tutto questo l’anima trattiene dentro di sé una traccia indelebile (sorta di a
priori metafisico). La somiglianza che le cose di quaggiù hanno con quelle di lassù può richiamare
per anamnesi la memoria della realtà di lassù.» da Fedro a.c. di G.Reale, Milano, Rusconi, 1993 -
introduz. pp. 25-26 § 13
19
I sogni erano per Aristotele “immagini” per lo più legate a
processi fisiologici, tracce residuali delle immagini viste durante
la veglia.
17
Con l’eccezione di Cicerone la teoria psicobiologica di
Aristotele non raccolse però molti consensi nell’antichità,
seppure sia sopravvissuta come branca dell’onirologia.
Artemidoro di Daldi, infatti, interprete e catalogatore di sogni
vissuto nel II secolo d. C. e autore di un importante trattato
sull’interpretazione dei sogni, utilizzava una teoria molto simile
a quella del filosofo per descrivere un determinato genere di
sogno: l’enûpnion, un sogno legato a disturbi fisici e quindi privo
di significato ai fini interpretativi.
D’altronde gli stessi medici antichi partivano da presupposti
che non vedevano i sogni necessariamente legati alla fisiologia.
Al contrario, ai sogni veniva dato molto spesso, è il caso di
Galeno, un certo rilievo diagnostico.
In opposizione alla teoria psicobiologica, la filosofia stoica
considerava il corpo come un impedimento all’attività onirica:
per gli stoici la parte dell’anima dotata di ragione era in grado di
recepire l’impulso divino soltanto se disgiunta dal corpo.
18
Anche gli stoici, quindi, consideravano l’origine divina dei
sogni: durante la notte l’anima umana entrava in contatto con
un “principio cosmico” – che poteva anche essere chiamato
“fato” – e da questo si lasciava istruire.
17
cfr. Aristotele, Parva Naturalia, a.c. di A. L. Carbone, Milano, Bompiani, 2004, 453 b - 464 a
18
cfr. Cicerone, De Divinatione, introd., trad. e note di S. Timpanaro, Milano, Garzanti, 1998, 1.64