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appunto il cinema), che separano l’”emittente”dal“ricevente”, veicola un
“messaggio” (l’opera), che raggiunge un’“audience” (sempre una pluralità di
individui) che riceve interamente o in parte il messaggio. Il film così “aziona un
meccanismo, la narrazione, che viene attuato mediante tecniche particolari quali lo
stacco, la trasformazione continua e la ripetizione. La comunicazione infatti avviene
nel cambiamento ed è proporzionale all’originalità del messaggio” (Tessarolo). Così
il cinema e gli altri mezzi tecnologici hanno il compito di permettere la trasmissione
di informazioni, di avvenimenti, di conoscenze, di opinioni e, soprattutto, di
cultura, che possono così giungere in possesso di un numero molto ampio di
persone. Però, oltre a questa funzione, senz’altro la più immediata, il cinema si
colloca anche a un livello diverso, quello che Braga chiama “livello di
comunicazione culturale” dove abbiamo un “primo comunicante” (nel nostro caso
specifico il regista del film) che, attraverso la codificazione e la trasformazione del
materiale che ha scelto, crea un’“opera” (il film, appunto) che ha valore di
“consumo simbolico”. A questo punto interviene il “secondo comunicante”, che
per noi è lo spettatore, che deve attuare un processo di decodifica per interpretare
l’opera stessa, intesa proprio come un prodotto di cultura. Si deve quindi
considerare che un film viene realizzato pensando al fruitore, e, nel momento
stesso in cui viene proiettato, stabilisce un ruolo per lo spettatore nel quale ciascuno
può o meno riconoscersi o identificarsi. Come si può facilmente immaginare,
questo tipo di comunicazione non è caratterizzata dall’“immediatezza” e dalla
“reciprocità”, come nel caso di un’interazione faccia a faccia, ma si distingue per la
presenza di una dimensione di “temporalità” (il messaggio può essere recepito solo
quando l’opera è stata terminata e quando il fruitore, di fatto, entra in contatto con
essa), dove non è possibile una “retrocomunicazione diretta” fra i due comunicanti.
Infatti, come in ogni produzione artistica, anche nel cinema l’autore crea una
“trama” particolare di significati con uno specifico e preciso valore simbolico. Però,
questi significati non è detto che vengano recepiti allo stesso modo dal fruitore,
che, a sua volta, interpreta i segni presenti nell’opera secondo il suo schema mentale
di riferimento. É così possibile che il tutto assuma un significato diverso da quello
che aveva in origine per l’autore. In ogni caso si tratta sempre di rintracciare e
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scoprire qualcosa in più rispetto al semplice aspetto superficiale, di scavare al di là
delle banali apparenze; ed è in questo senso che la psicoanalisi ha svolto un ruolo di
primo piano aprendo nuovi orizzonti nella comprensione dei prodotti artistici in
genere e anche, e soprattutto, del cinema.
1.1 Catania città del cinema
Per poter parlare di una vera attività cinematografica realizzativa in Sicilia, fondata
su criteri organizzativi razionali e di ampio respiro, necessaria alla produzione in
serie, bisogna guardare al versante orientale dell’isola: a Catania, che fin dalle origini
del cinema si guadagnò la definizione di Hollywood del muto ai piedi del vulcano.
Sul finire dell’ottocento, la città, abbandonata a se stessa per circa un secolo, ebbe
un forte risveglio e visse tempi nuovi.
Arriva la luce elettrica. Arrivano i tram, rombano le prime macchine, si apre il
teatro Bellini, si inaugura la CircumEtnea, si amplia il porto. Arriva il cinema.
Sono gli anni di De Felice, di Martoglio, di Verga, di Capuana, di De Roberto.
Nella città etnea, per iniziativa di alcuni uomini d’affari locali, decisi ad investire i
loro capitali nella nuova industria cinematografica e incoraggiati dai successi che la
produzione nazionale riscuoteva in tutto il mondo, specie nei mercati latino-
americani e statunitensi, tra il 1914 e il 1915 sorsero quattro grandi case di
produzione cinematografica, che diedero vita al capitolo più esaltante della storia
del cinema isolano, e in primis catanese, creando un indotto che spingeva
all’apertura di nuove sale cinematografiche, alla nascita di riviste specializzate
(Chantecler siciliano, cine varietà, Lalba cinematografica), al passaggio degli attori di
prosa negli stabilimenti di prosa, alle collaborazioni ai letterati della nuova “arte”, in
realtà non troppo ben vista. Ad aprire la strada del nuovo fenomeno produttivo
catanese fu l’<<Etna Film>>, fondata l’ultimo giorno del 1913 dal cav. Alfredo
Alonzo, industriale dello zolfo siciliano, che convertiva così la ormai poco redditizia
industria mineraria, in manifattura cinematografica. Gli stabilimenti della casa di
produzione, che sorgevano nelle nere lave di Cibali, allora un po’ fuori città, erano
talmente enormi e tecnologicamente avanzati, da far considerare l’<<Etna Film>>,
come una delle più grandi industrie cinematografiche d’Europa.
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Essi disponevano di due spaziosi teatri di posa, di laboratori per lo sviluppo e la
stampa delle pellicole, di magazzini, depositi, camerini, garage, scuderie e spazi
esterni ricchi di aiuole fiorite e di verde. I propositi della casa furono ambiziosi fin
dall’inizio: scrittura artisti e registi di importanti case a livello nazionale, come
Orlando Vassalli e Giuseppe De Liguoro; intraprende contatti con gli scrittori e gli
attori catanesi, tra cui Capuana, Verga, Martoglio, e Musco, anche se poi,
sfortunatamente, non andarono in porto; realizza film in costume con imponenti
masse di comparse; parte subito alla conquista di mercati stranieri, primi tra tutti la
Spagna e l’America latina. La casa catanese si cimenta con buoni risultati in tutti i
generi cinematografici, dal comico al sentimentale , dal drammatico ai film di
guerra, che andavano forte durante il periodo bellico. Ma il momento per la
cinematografia nazionale non è dei più felici: la tassa sugli spettacoli
cinematografici, la chiusura dei mercati esteri, la crisi di maestranze e attori che
partono per la guerra, gli animi depressi e le difficoltà economiche buttano
l’industria cinematografica nazionale sul lastrico. L’<<’Etna Film>> a metà del
1916 si vide costretta a chiudere i battenti. Numerosi sono i titoli di film che
restano di questa casa. Di essi i più importanti sono: Christus o la sfinge dello
Ionio, di grande rilevanza spettacolare, La danza del diavolo, primo film della casa,
Paternità, Poveri figlioli, a carattere sentimentale, La guerra, patriottico, Pulcinella
di ambientazione realistica. Intanto nel 1915, all’apice dell’espansione, dell’<<Etna
Film>> erano sorte in città, una alla volta, altre case di produzione, che lasciarono
anch’esse un segno pur nella loro breve attività.
Sorta per volontà dell’avvocato Gaetano Tedeschi dell’Annunziata, la <<Sicula
film>>, in considerazione delle forze economiche di cui disponeva si distingue per
l’ottimo cast di attori che vi fecero parte. Tranne Elvira Radaelli erano tutti catanesi,
e di grande talento: Attilio Rapisarda, Mariano Bottino, Virginia Balestrieri,
Giovanni Pastore, Ferdinando Lanzerotti. Della <<Sicula Film>> restano pochi
titoli, forse gli unici realizzati: con cortometraggio dal vero su L’alluvione del 22
novembre a Catania, due dei film a soggetto patriottico Alba di libertà e
Present’arm! e un dramma passionale Il vincolo segreto, che commosse le platee
cittadine.
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Nel febbraio del 1915, con sede in via Lincoln (l’attuale via Di Sangiuliano) inizia
l’attività la <<Katana Film>> per opera di due intraprendenti catanesi Alfio Scalia
e Giuseppe Coniglione. Come direttore atistico venne chiamato l’eclettico avv.
Raffaele Casentino, figura di spicco del panorama culturale catanese e come
operatori della fotografia l’eccellente Carlo Quadroni e il quasi esordiente Gaetano
Ventimiglia, che successivamente diverrà un apprezzato professionista a carattere
internazionale, stimato pure dal celebre Hitchock, con cui collaborerà in tre film.
La <<KatanaFilm>> assorbì per intero il cast degli attori che precedentemente
avevano fatto parte della <<Sicula Film>>, scritturando in più Rosina Anselmi e la
madre Francesca Anselmi Quintavalle e qualche attore minore. La casa realizzò in
tutto cinque film, ma il pezzo forte resta Il Latitante dello stesso Casentino,
dramma di ambiente popolare dai toni forti ben realizzato, ben recitato e
soprattutto fotografato dal Ventimiglia. La <<KatanaFilm>> chiuse prima di poter
realizzare un grande progetto: la trasposizione cinematografica del romanzo
d’ambiente siciliano Pasquale Bruno di Alesando Dumas con Giovanni Grasso, la
Balestrieri e la Radaelli. L’opera, annunciata con grande clamore, non vide mai luce.
La panoramica su questa splendida stagione catanese si chiude con la brevissima
esperienza della <<Ionio Film>> di Filippo Benanti con stabilimenti in via
Quartiere militare, una traversa di via Plebiscito.
Le realizzazioni di questa casa furono principalmente riprese dal vero in occasioni
di eventi particolari come la festa della patrona e di sant’Alfio o i funerali del
ministro degli esteri Antonino Di Sangiuliano. Due soli film a soggetto: Gli
irredenti, un racconto patriottico, e Valeria,di ambientazione romana. Per
l’occasione gli ambienti antichi vennero ricostruiti nel boschetto della plaia e tra i
colonnati dell’orto botanico.
Anni in cui la cinematografia siciliana, e in primis quella catanese, parimenti a quella
nazionale stava allargando i propri orizzonti per incominciare a vedere con occhi
nuovi.
Un sogno interrotto bruscamente dal tuono del cannone.
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CAP. II
Il cinema sul lettino
In che modo i principi della psicoanalisi si applicano e si inseriscono nelle
dinamiche del cinema e dei film?
In quale maniera si caratterizza, a livello teorico, il rapporto fra queste due
discipline che a prima vista sembrano così diverse e distanti fra loro?
Secondo l’ipotesi di Francesco Casetti, in un primo contesto, la psicoanalisi nel
cinema si caratterizza come un “metodo critico”: in parole semplici si tratta di
individuare e riorganizzare una serie di segni in un determinato film per “cogliere,
sotto la superficie di ciò che appare perfettamente palese, un qualcosa di taciuto o
di appena accennato, che fissa una verità più profonda, più completa, più autentica”
(Casetti, 1993,). Cioè si tratta di svelare cosa sta sotto il contenuto manifesto del
film, che, in questo modo, viene considerato come una sorta di estensione di una
seduta analitica, dove il regista funge da “paziente”, il film da “materiale” e lo
spettatore accorto assume la veste di “psicoanalista”, che usa le sue conoscenze e i
suoi strumenti per dare un senso alle “informazioni cliniche” che ha raccolto e per
giungere a una conoscenza del “contenuto latente” della storia, sulla base del
“contenuto manifesto”.
Oltre a questo approccio, che senza dubbio è il più usato e il più diffuso, ne esiste
un altro in cui i film vengono utilizzati per “mettere in luce i tratti di pertinenza
della psicoanalisi” (Casetti, 1993), cioè si cerca di analizzare le analogie tra i film e
certi prodotti dell’inconscio (come nel caso dei sogni), per vedere se i processi
psichici possono spiegare il “funzionamento” dei film. Interessante, a questo
proposito, è la teoria di Lebovici (1949), il quale ipotizza un sostanziale parallelismo
fra cinema e sogno, in quanto entrambi si basano su un insieme visuale, dove i
legami spaziali e temporali vengono indeboliti, utilizzano la suggestività e l’uso dei
rapporti logici è ridotto.
Inoltre lo spettatore di film è paragonato al sognatore per quanto riguarda le
caratteristiche “fisiche” della sala di proiezione (oscurità, isolamento e l’abbandono
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dei corpi, irrealtà delle immagini, processi di identificazione e proiezione, ecc.), che
ricordano molto da vicino la condizione onirica.
Tutte queste argomentazioni hanno fatto giungere Casetti e numerosi studiosi alla
conclusione che il cinema è un qualcosa modellato direttamente sul nostro apparato
psichico: “più che un mezzo per arrivare a certi nodi segreti, o più che un
equivalente di certe manifestazioni del nostro inconscio, appare un fenomeno che
prolunga e ingloba le strutture e le dinamiche studiate dalla psicoanalisi. Ecco allora
che nella situazione cinematografica si scopre una riproposta dei momenti chiave
che presiedono la formazione del nostro Io” (Casetti, 1993). Si scopre, così, una
sorta di “inconscio del cinema” che deve essere svelato, ed anche in questa
prospettiva lo scopo principale è quello di trovare nuovi significati più profondi e
più complessi, dove la psicoanalisi diventa la chiave di volta per interpretare e per
capire il significato e il significante del fenomeno cinematografico. Direttamente
connessa con questo aspetto esiste un’altra corrente molto interessante che lega il
cinema e la psicoanalisi. In questo caso l’interesse si focalizza sul “processo di
significazione” attivato dai film e cioè sul meccanismo attraverso cui vengono
prodotti certi significati; ogni evento comunicativo presuppone un atto di
significazione, ovvero una scelta fra una opzione e un’altra di un codice semiotico
(S.Vero, 2006); si studia l’intrecciarsi, il combinarsi e il ricombinarsi dei significati
che portano alla costituzione di un “significato manifesto”, che tuttavia rimanda
sempre a un “significato latente”. In questo caso, parliamo di “lavoro filmico”,
chiaramente modellato sul concetto di “lavoro onirico”, in cui ritroviamo tutti i
meccanismi attivati per la produzione dei sogni: rimozione, censura, spostamento,
condensazione, ecc., un’ulteriore prova del parallelismo e dello stretto legame tra
cinema e funzionamento psichico. Infine possiamo anche soffermarci brevemente e
sottolineare l’uso che la psicologia, e in special modo l’approccio cognitivista, ha
fatto del cinema per evidenziare gli effetti delle immagini sulla psiche e per la
verifica dei processi mentali e delle dinamiche psicologiche che si dispiegano nella
situazione cinematografica, quali, ad esempio, la percezione, la comprensione, la
memorizzazione e la partecipazione, riducendo, per certi versi, il film a una
semplice situazione test da somministrare al soggetto in esame (Casetti, 1993 pag.
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110 e seguenti). I produttori continuano a realizzare sempre più film di
introspezione ed a stampo psicologico-psicoanalitco. Il pubblico è incuriosito e
attratto da quello che percepisce come strano, come “perturbante”, come diceva
Freud. Forse questo “mistero” può essere in parte chiarito facendo riferimento alla
teoria di Metz del “significante immaginario” che si costruisce quando un individuo
assiste alla proiezione di un film.
2.1 Ma perché un film potrebbe essere d’aiuto alla psicoterapia?
Dalla nascita del cinema sono moltissimi gli studi effettuati sulla funzione dello
spettatore, alcuni vengono segnalati da Francesco Casetti nel libro Dentro lo sguardo.
Il film e il suo spettatore: "Nel 1916 Hugo Munsterberg evidenzia i fili che legano
indissolubilmente il film allo spettatore, non solo studiando i "mezzi mentali" con
cui il primo cattura il secondo, ma anche insistendo sui compiti che il secondo è
chiamato a eseguire perché il primo possa funzionare (è lo spettatore che attribuisce
all’immagine i caratteri della realtà. Caratteri che questa non possiede e che tuttavia
deve fingere di avere). Nell’ambito dell’esperienza formalista Boris Ejchenbaum
propone la nozione di "discorso interiore" con cui spiega come una serie di segnali
che appaiono sullo schermo trovino la loro definizione e il loro completamento
nella "mente" di chi segue il film...Negli anni cinquanta Edgar Morin definisce il
cinema come "simbiosi", e, cioè come una macchina che allinea e integra delle
componenti linguistiche e delle componenti psichiche (è lo spettatore che a partire
dai propri bisogni e dalla propria disponibilità affettiva riscatta l’apparente
freddezza dell’immagine rivelandone l’azione in profondità). L’elenco potrebbe
continuare, ma ci fermiamo qui, giusto per dare un’idea di come la funzione e il
ruolo dello spettatore al cinema sia da anni oggetto di teorie e di analisi, quello che
manca per completare questi studi è l’allargamento del campo all’ effetto
terapeutico che si potrebbe ottenere dalla visione di alcuni film. D’altronde Cinema
e psicoanalisi sono coevi e sul loro rapporto sono particolarmente interessanti gli
studi effettuati da Christian Metz (iniziatore dell’indagine semiologica sul cinema).
L’atto di vedere un film molto semplice in apparenza, ci mostra appena si comincia
ad analizzarlo, un complesso gioco di incastri, spesso "annodati" fra loro, delle