2
stato predisposto uno strumento atto a supportare il processo di ammodernamento
delle pubbliche amministrazioni alla luce del nuovo quadro istituzionale e dei
mutamenti in atto nel contesto socio-economico.
Il lavoro si conclude con un’intervista al Prof. Renato Balduzzi, Presidente
dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, nonché insigne giurista.
3
INTRODUZIONE
1. Lineamenti storico legislativi della protezione sociale.
Da tempi remoti l’uomo ha avvertito il bisogno di essere tutelato contro
l’incertezza del futuro; da questo bisogno di tutela, è nata la necessità di organizzare
negli Stati un sistema di sicurezza e di protezione sociale, che ha preso il nome di
Stato sociale o Welfare State.
In Italia, gli interventi sociali hanno progressivamente perso il carattere
caritativo-discrezionale della beneficenza per assumere la veste di diritti sociali,
intesi come diritto del cittadino alle relative prestazioni.
La Costituzione italiana prevede tre distinte “forme” sociali (l’assistenza
sanitaria ed ospedaliera, l’assistenza sociale e la previdenza sociale), che
costituiscono lo Stato di benessere sociale inteso come sistema politico-
amministrativo cui spetta il compito di soddisfare i bisogni fondamentali dei
cittadini, riconosciuti, come si è detto, in quanto diritti sociali.
Il sistema di protezione sociale è, dunque, un complesso di attività regolate da
leggi dello Stato e delle regioni e organizzato dalle varie istituzioni pubbliche a
livello centrale e decentrato, in cui si prevede anche il contributo e l’apporto dei
soggetti privati.
Ognuna delle tre forme sociali suddette ha avuto nel tempo vicende ed
evoluzioni diverse.
Il presente lavoro, come anticipato in premessa, ha come obiettivo quello di
analizzare il sistema sanitario, sotto il profilo giuridico, organizzativo e finanziario
alla luce delle riforme degli anni Novanta, imposte per larga parte dal rispetto di
parametri macroeconomici-sopranazionali e, soprattutto, dalla scarsa funzionalità che
ha investito l’area dei servizi sanitari ed ospedalieri.
Risulta di fondamentale importanza, prima di entrare nel merito del settore
sanitario, ripercorrere, seppur brevemente, il settore dell’assistenza sociale dal punto
di vista storico-legislativo, al fine di avere un quadro generale della protezione
4
sociale e, soprattutto, per cercare di tracciare una linea di confine tra i due ambiti,
assistenziale e sanitario, per poi concentrarsi su quest’ultimo.
2. L’assistenza sociale.
Il grande risalto che è stato dato nel tempo all’ordinamento dei servizi sanitari
ha accresciuto la dicotomia sociale-sanitario: il sociale caratterizzato da una cultura
caritativo-discrezionale; il sanitario, invece, sempre più scientificizzato ed
oggettivabile
1
.
L’attuazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione e l’attivazione
dell’ordinamento regionale hanno aperto una fase importante per la storia della tutela
sociale, fase che vuole esprimere il continuo evolversi del fenomeno sociale in
generale e, sanitario, in particolare.
La dimensione delle prestazioni di protezione sociale ha assunto grande rilievo
ed ha imposto un’attenzione più accentuata negli ultimi anni di revisione del Welfare,
ma l’interveto sociale non è stato pienamente adempiuto in conformità ai principi
costituzionali che garantiscono il rispetto della persona umana.
Nei fatti, il cittadino bisognoso è stato considerato il destinatario di un sussidio
e non il titolare di un diritto ad un’adeguata prestazione; si tratta, quindi, di rivedere
l’attuale realtà assistenziale alla luce dei rilevanti principi costituzionali che
considerano la beneficenza non come concessione, ma come assistenza pubblica.
La dimensione sociale ha subito alterne vicende, tra aspettative e delusioni, tra
affermazioni di principio e loro sistematica disapplicazione, tra aspettative che ora la
esaltavano, ora la confinavano ai margini dei territori della sicurezza sociale.
Basti pensare al decreto delegato per la beneficenza pubblica (decreto del
Presidente della Repubblica 15 gennaio 1972, n. 9) che, invece di rimuovere le
difficoltà esistenti nel settore, le ha cristallizzate.
1
Cfr. A. SERENI, La riforma dell’assistenza sociale. La legge-quadro n. 328/2000 e le norme di
attuazione, Firenze, ed. It.Comm., 2003, pagg. 18-19.
5
In particolare, dal predetto decreto si attendeva un ordine sistematico delle
funzioni previste dalla legislazione, ancorata, in gran parte, alla legge 17 luglio 1890,
n. 6972 (c.d. legge Crispi); nonché, l’affermazione di una competenza piena della
regione su ogni istituzione pubblica e privata ed il riassetto organico di tutto lo Stato
assistenziale che, esprimendo, sia pure implicitamente, una critica ai metodi e criteri
di gestione, di controllo e di azione dei servizi assistenziali operanti, ponesse al
contempo le basi per un sistema di sicurezza sociale, lasciando alle leggi successive
il compito di superare alcune fondamentali carenze strutturali e funzionali e,
definitivamente, il concetto dell’assistenza pubblica intesa come elargizione.
Anche l’uso dell’espressione “beneficenza pubblica” -per quanto conforme alla
lettera dell’art. 117 della Costituzione- è stato fin dall’origine fonte di perplessità,
poiché l’espressione costituzionale ha fondamento logico se utilizzata nella sua
interezza, cioè “beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera”.
Il termine adottato separatamente giustifica, invece, proprio le perplessità circa
il nuovo orientamento dell’intervento assistenziale, che deve abbandonare il carattere
discrezionale di tipo caritativo in relazione allo stato di povertà, per assumere il
carattere di un diritto soggettivo dei cittadini alle prestazioni del servizio sociale.
Successivamente, con l’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica
24 luglio 1977, n. 616 si è affermata una visione più ampia e organica dei servizi
sociali, anche sotto il profilo dell’integrazione con i servizi sanitari; il Titolo III del
decreto è, infatti, dedicato ai servizi sociali ed individua le materie più significative:
sanità, assistenza, formazione professionale, musei e biblioteche di interesse locale,
attività relative al diritto allo studio e i servizi culturali.
Si deve dire, però, che il decreto non consente di realizzare l’integrazione delle
varie funzioni e competenze, ma persegue il loro decentramento attraverso una
rivalutazione dell’ente locale.
Limitando l’attenzione alla sanità e all’assistenza nel d.P.R. n. 616/1977, si
nota l’affermarsi del concetto di salute come benessere fisico e psichico della
persona; per avere rilievo anche la valenza sociale, invece, bisognerà attendere l’art.
1 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.
6
Nel decreto si avverte anche l’esigenza di ridefinire la materia assistenziale;
l’art. 22, infatti, la individua in “tutte le attività che attengono, nel quadro della
sicurezza sociale, alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti o a
pagamento, o di prestazioni economiche, sia in denaro che in natura, a favore dei
singoli, o di gruppi, qualunque sia il titolo in base al quale sono individuati i
destinatari, anche quando si tratti di forme di assistenza, a categorie determinate,
escluse soltanto le funzioni relative alle prestazioni economiche di natura
previdenziale”.
La complessiva ridefinizione della materia assistenziale e l’attribuzione delle
competenze all’ente locale introducono il concetto di “territorialità”, che si
dimostrerà fondamentale per l’esercizio delle funzioni e per i futuri sviluppi
dell’integrazione dei servizi. L’analisi del bisogno, la ricognizione delle risorse, la
programmazione degli interventi saranno, infatti, saldamente ancorati al territorio,
alle sue caratteristiche ed alle sue potenzialità.
Lo stesso d.P.R. n. 616/1977 demanda alle regioni il compito di determinare,
sentiti i comuni interessati, gli ambiti territoriali adeguati alla gestione dei servizi
territoriali; inoltre, affinché la valutazione e la programmazione siano coerenti con
caratteristiche, bisogni e risorse dei territori, le regioni sono tenute a promuovere, se
necessario, forme obbligatorie di associazione tra gli enti locali
2
.
Una svolta decisiva nell’evoluzione del concetto stesso di servizi sociali si ha,
come suddetto, con il dettato del primo articolo della l. n. 833/1978, istitutiva del
Servizio sanitario nazionale (di seguito Ssn)
3
e, con l’acquisizione dell’accezione di
“salute” formulata dall’Organizzazione mondiale della sanità, secondo la quale, per
salute si intende non solo lo stato di assenza di malattia, ma lo stato di benessere
fisico, psichico e sociale dell’individuo.
2
Tuttavia, la stessa territorialità, se concepita esclusivamente come area geografica per la erogazione
di servizi, non è di per sé sufficiente a realizzare l’integrazione tra il sociale e il sanitario, ma al più la
contestualità della gestione.
3
In particolare, l’art. 1 della l. n. 833/1978 dispone che: “La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il Servizio sanitario
nazionale”.
7
La salute, così, cessa di essere un bene strettamente individuale per diventare
un bene sociale e non viene più rapportata alla malattia, ma diviene un più
complessivo status di benessere; nello stesso tempo, l’individuo viene riconosciuto
come parte del più grande organismo sociale e vengono portati ad unità tutti i fattori
capaci di determinare o influire sulla condizione di benessere della singola persona e,
quindi, della società.
In quest’ottica l’integrazione dei servizi sociali e sanitari diviene un’impellente
esigenza di vita e ciò che resta problematico è come realizzarla, non la sua necessità
sociale.
La stessa legge di riforma sanitaria del 1978 avverte l’importanza
dell’integrazione dei servizi in un contesto territoriale unitario; l’art. 11, infatti,
dispone che: “Le regioni, sentiti i comuni interessati, determinano gli ambiti
territoriali delle Unità sanitarie locali, che debbono coincidere con gli ambiti
territoriali di gestione dei servizi sociali”.
Il vero “salto di qualità” si ha, però, con l’art. 15, ultimo comma della
medesima norma, che recita: “La legge regionale stabilisce altresì norme per la
gestione coordinata integrata dei servizi dell’Unità sanitaria locale con i servizi
sociali esistenti sul territorio”. Viene così superato il concetto della semplice
contestualità della gestione dei due servizi previsto dall’art. 25 del d.P.R. n.
616/1977.
Nel nuovo modello di salute, l’elemento di indubbia novità è costituito dalla
presenza della dimensione sociale che induce a nuove riflessioni nella cultura
sanitaria, la quale, tradizionalmente intesa, si occupava solo marginalmente di detta
dimensione.
Per poter legiferare in materia sanitaria, le regioni hanno dovuto superare
difficoltà connesse alla mancata riforma dell’assistenza sociale, determinando una
pluralità di comportamenti e norme che hanno reso disomogeneo il panorama
nazionale e più problematica l’integrazione reale ed effettiva dei servizi.
Per esempio, alcune regioni hanno incluso il servizio sociale tra le attività
proprie delle Unità sanitarie locali (di seguito Usl) o istituendo un apposito Servizio
8
o individuando aree funzionali, ma sempre nell’ottica della compresenza tra sociale e
sanitario, finalizzata alla loro integrazione; altre regioni hanno, invece, tenuto il
sociale distinto dall’articolazione dei servizi propri dell’Usl; altre, infine, ne hanno
dato rilevanza con la disciplina di problematiche e/o interventi a favore di particolari
categorie di persone.
In sostanza, le regioni pur prendendo atto dei limiti della legislazione
nazionale, hanno rinunciato alle “lamentele” su quanto lo Stato non aveva fatto e,
individuati gli spazi di operatività che c’erano, hanno dimostrato e tentato di voler
superare il vigente sistema settoriale di interventi nel campo dei servizi sociali.
Un’ulteriore evoluzione si è avuta con il decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 502, che riordina la materia sanitaria e razionalizza il Ssn configurato dalla l. n.
833/1978.
Alla luce di questo provvedimento, l’Usl può assumere la gestione di attività o
servizi socio-assistenziali per conto degli enti locali con oneri a carico degli stessi -
ivi compresi quelli relativi al personale- e con contabilità separata procedendo alle
erogazioni di servizi solo dopo l’effettiva acquisizione delle necessarie disponibilità
finanziarie.
Si ripristina, così, la separazione tra “sanità” ed “assistenza e beneficenza
pubblica”, affidate rispettivamente alla regole della l. n. 833/1978 e del d.P.R. n.
616/1977.
In tal modo, e considerando altresì la facoltà dell’Usl di assumere la gestione di
attività o servizi socio-assistenziali, le regioni che avevano legiferato l’integrazione
nelle strutture territoriali dei servizi socio-sanitari hanno avuto l’obbligo di fare un
passo indietro e lasciare agli enti locali l’“autonomia di convenzionamento” con le
Usl al fine di ottimizzare i servizi.
Si è così creata una situazione nuova anche in quelle regioni dove la cultura dei
servizi socio-sanitari aveva costituito oggetto di lunghe elaborazioni.
Con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (di attuazione della legge
delega 15 marzo 1997, n. 59 sul decentramento amministrativo) le materie attribuite
alle regioni vengono individuate non più per competenze, ma per settori omogenei
9
con riferimento alla comunità ed al territorio regionale; le regioni, pertanto, sono
tenute a trasferire ai comuni le competenze amministrative relative ai servizi sociali
sotto il profilo della erogazione dei servizi.
Successivamente, il decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 riserva ampio
spazio all’integrazione socio-sanitaria ed alla definizione delle relative prestazioni.
Al Distretto sanitario viene, infatti, attribuito il compito dell’erogazione delle
prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, connotate da specifica ed elevata
integrazione, nonché delle prestazioni sociali di rilevanza sanitaria, se delegate dai
comuni; vi è anche una più puntuale definizione delle prestazioni socio-sanitarie, che
vengono precisate come tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi
assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente
prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel
lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione.
Le prestazioni socio-sanitarie, nello specifico, comprendono:
- prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione
della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti
degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite;
- prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che
hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di
disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.
Con Atto di indirizzo e di coordinamento, previsto dalla legge 30 novembre
1998, n. 419, si devono individuare le prestazioni da ricondurre alle tipologie
suddette precisando i criteri di finanziamento delle stesse per quanto compete alle
Usl ed ai comuni; con il medesimo atto di indirizzo, inoltre, si devono individuare le
prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria e definire i livelli
uniformi di assistenza per le prestazioni sociali a rilievo sanitario.
Le prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria, caratterizzate da
rilevanza terapeutica ed intensità della componente sanitaria, sono assicurate dalle
Aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria, secondo le
10
modalità individuate dalla vigente normativa, dai piani nazionali e regionali, nonché
dai progetti-obiettivo nazionali e regionali.
Le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza dei comuni che
provvedono al loro finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale, ai sensi
dell’art. 3, co. 2, d.lgs. n. 112/1998.
La regione determina, sulla base dei criteri posti dall’Atto di indirizzo e di
coordinamento, il finanziamento per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale; con
decreto interministeriale, di concerto con il Ministro della Sanità, il Ministro per la
Solidarietà sociale e il Ministro per la Funzione pubblica (ora Riforme e innovazioni
nella P.A.), è individuata all’interno della Carta dei servizi una sezione dedicata agli
interventi ed ai servizi socio-sanitari.
Le regioni, infine, disciplinano i criteri e le modalità mediante i quali i comuni
e le Aziende sanitarie garantiscono l’integrazione, su base distrettuale, delle
prestazioni socio-sanitarie di rispettiva competenza, individuando gli strumenti e gli
atti per garantire la gestione integrata dei processi assistenziali socio-sanitari.
Con il già citato d.lgs. n. 229/1999 viene disciplinata l’istituzione all’interno
dell’Azienda Usl dell’“Area socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria” e,
sono individuate le relative discipline della dirigenza sanitaria ed i profili
professionali.
Il processo legislativo tendente a dare una disciplina uniforme all’assistenza
sociale, e meglio definire l’integrazione socio-sanitaria, ha subito forti accelerazioni
che vanno di pari passo con il ruolo sempre più significativo che questa materia va
assumendo nella società.
Dalle opere di carità e dalla beneficenza si è arrivati ai servizi sociali in un
contesto di sicurezza sociale; dagli interventi discrezionali mirati a sanare una
condizione di indigenza o di momentaneo disagio, si è passati alla concezione del
“servizio” a disposizione di tutta la popolazione, indipendentemente dallo stato di
bisogno, e, più in generale, al c.d. “sociale”
4
.
4
Cfr. A. SERENI, La riforma dell’assistenza sociale, cit., pag. 25.
11
Attualmente si parla sempre più insistentemente di “sociale allargato”, cioè di
una dimensione sociale che superi la semplice funzione riparatoria, per porsi come
elemento di stimolo per la ricerca del benessere del cittadino.
In quanto tale, il “sociale allargato” si propone e persegue un diverso rapporto
uomo-società-ambiente e determina un nuovo concetto di sviluppo coinvolgendo la
politica economica.
L’evoluzione in corso trova fondamento tanto in una più appropriata analisi
culturale, quanto in alcune normative nazionali che hanno reso più agevole e
generalizzata l’evoluzione stessa, creando i presupposti per una diversa e più
moderna concezione dei servizi sociali e, tramite la conseguenti leggi regionali, una
più articolata e puntuale normativa locale.
L’evento fondamentale del settore è la riforma dell’assistenza sociale approvata
con la legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali”.
Sul versante normativo è, infine, da ricordare l’approvazione della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 di riforma del Titolo V della Parte seconda della
Costituzione che, nel modificare l’art. 117 Cost., ha ampliato le potestà legislative
regionali, nel senso che possono esercitarsi in modo diretto ed immediato con
riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato,
fermo restando il rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e degli obblighi internazionali.
Il settore dei servizi sociali e, più in generale quello dei servizi alla persona,
risulta tra le materie riservate alla competenza legislativa esclusiva delle regioni,
essendo riservata allo Stato la sola competenza legislativa in ordine alla
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art.
117, co. 2, lett. m), Cost.
12
Questo conferma la regionalizzazione dell’assistenza sociale e la promozione
del ruolo degli enti locali che, in concreto con la regione, verranno ad operare nel
rispetto del principio di sussidiarietà
5
.
3. Caratteri essenziali e struttura della legge-quadro n. 328/2000.
L’approvazione della legge-quadro sulla riforma dell’assistenza sociale
rappresenta un momento storico in quanto, dopo lunghi anni di discussione
parlamentare, anche la c.d. “terza sorella” del sistema di protezione sociale dei
cittadini ha trovato il suo “accasamento”
6
.
La riforma in esame è determinata in parte da connotazioni economiche nel
senso di accrescimento delle risorse da destinare al settore, ma essenzialmente è
imposta dall’evoluzione sociale che pretende il passaggio da un Welfare riparatore
della povertà e semplice garante dei grandi rischi ad un Welfare che sia di
promozione delle opportunità.
Questo passaggio si porta dietro una molteplicità di motivazioni: la crescita dei
fenomeni di incertezza e precariato che ampliano e diversificano i rischi sociali
rispetto a quelli cui il Welfare tradizionale riusciva a rispondere; la polarizzazione
della società tra un segmento alto, sempre più ricco, ed una base sociale in via di
progressivo impoverimento; la crescente diffusione delle malattie cronico-
invalidanti, che viene oggi affrontata prevalentemente dalla famiglie che
internalizzano i costi diretti e indiretti dell’assistenza socio-sanitaria; lo sviluppo del
lavoro atipico, che riduce le capacità dei soggetti di costruire una solida posizione
contributiva indebolendoli di fronte ai rischi della vecchiaia e della malattia; i
fenomeni migratori, che sfidano i meccanismi di inclusione legati alla cittadinanza,
alimentando forme inedite e cumulative di esclusione e di marginalizzazione sociale,
5
Al fine di valutare le concrete modalità di esercizio della competenza legislativa delle regioni in
materia di assistenza sociale, alla luce del nuovo assetto delle competenze delineato dalla riforma del
Titolo V, v. F. DI LASCIO, La legislazione regionale in materia di assistenza sociale dopo la riforma
del Titolo V, in Giornale di diritto amministrativo, 2003, 7, pagg. 679-689.
6
Cfr. A. SERENI, La riforma dell’assistenza sociale, cit., pag. 25.
13
nonché di devianza; il sistema di redistribuzione diacronico delle risorse che
comporta difficoltà per i giovani che non potranno godere, in termini di prestazioni
sociali, del medesimo trattamento che oggi loro finanziano, attraverso le
contribuzioni, alle generazioni precedenti.
La l. n. 328/2000 si caratterizza per l’obiettivo di passare dalla beneficenza
pubblica, ovvero da un’assistenza di tipo caritativo-discrezionale ad un’assistenza
che è vero e proprio “servizio sociale”, rivolto a tutti i cittadini.
Questa trasformazione, correttamente, si esplica in un contesto di marcato
decentramento amministrativo che affida il nuovo sistema integrato di interventi e
servizi sociali al comune, in qualità di ente locale più prossimo al cittadino, ma che
nel contempo riconosce il concorso partecipativo di tutti i soggetti che operano nel
campo della solidarietà, del volontariato e dell’associazionismo sociale.
Anche le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (di seguito Ipab)
disciplinate dalla ultracentenaria legge Crispi, e sorte sotto la spinta dell’invito
evangelico “quod superest date pauperibus” (date ciò che rimane ai bisognosi),
vengono inserite funzionalmente nel nuovo sistema, portando in dote la loro
tradizione di solidarietà e la loro esperienza di servizio al prossimo sofferente e
bisognoso.
La l. n. 328/2000 individua poi, nell’ambito della programmazione di settore,
alcuni obiettivi prioritari mirati a realizzare le responsabilità familiari, a rafforzare i
diritti dei minori, a potenziare gli interventi di contrasto della povertà, a sostenere le
persone non autosufficienti e, in particolare, gli anziani ed i disabili gravi.
Tuttavia, il soggetto che la riforma in esame include a pieno titolo nella rete dei
servizi di protezione sociale è la famiglia, che ha costituito e costituisce la più grande
istituzione di assistenza del nostro Paese.
La legge di riforma dell’assistenza ricompone l’assetto del sociale nella sua più
vasta accezione e si propone di promuovere interventi per garantire pari opportunità,
non discriminazione e diritti di cittadinanza e di eliminare o ridurre le condizioni di
disabilità, di bisogno e di disagio, individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza
del reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia.
14
Si tratta, dunque, di un disegno ambizioso che si propone di gettare le basi per
quel compiuto sistema di sicurezza sociale che ha già trovato nell’ordinamento della
previdenza e dell’assistenza sanitaria le prime definizioni; un disegno ambizioso che
si sviluppa attraverso i suoi principi ispiratori che sono l’universalità dei destinatari,
l’eguaglianza di trattamento, la libera scelta dei servizi, la partecipazione ed il
pluralismo organizzatorio.
Quest’ultimo concetto, relativo al pluralismo organizzatorio, si presenta sotto
un duplice profilo: soggettivo, per l’attribuzione delle funzioni sociali in capo ai
comuni, province, regioni e Stato, che postula una prospettiva di coordinamento-
concertazione-collaborazione tra questi soggetti per abbattere la storica gerarchia
originata dai decreti di trasferimento delle funzioni intervenuti, come si è avuto modo
di vedere, nell’ultimo trentennio, ed oggettivo, per il confluire di più attività di natura
diversa contestualmente chiamate a realizzare un fine unitario.
Questo pluralismo si incardina e si compenetra nel principio della sussidiarietà
verticale tra le istituzioni pubbliche e della sussidiarietà orizzontale tra le istituzioni
pubbliche e società civile.
In sostanza, al pluralismo organizzatorio istituzionale si associano, per la piena
operatività del sistema, sia pure in modi ed in termini diversi, le istituzioni sanitarie
pubbliche, le Ipab, le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale ed i soggetti del
Terzo settore; questo pluralismo, con la sua ampia dimensione partecipativa, non fa
altro che confermare la vocazione pluralistica dello Stato sociale voluto dalla nostra
Costituzione.
3.1. Definizione degli interventi e servizi sociali.
L’art. 1, co. 2, l. n. 328/2000 richiama la definizione di servizi sociali contenuta
nel d.lgs. n. 112/1998 attraverso il quale è stato compiuto il più incisivo e
qualificante decentramento delle funzioni amministrative alle regioni ed agli enti
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locali con specifica ed espressa indicazione delle materie che sono rimesse alla
potestà normativa esclusiva di ciascun livello.
Per “servizi sociali” -così come individuati e definiti dall’art. 128 del d.lgs. n.
112/1998- si intendono “tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione
di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche, destinate a
rimuovere e superare le situazioni di bisogno e difficoltà che la persona incontra nel
corso della sua vita, escluse quelle assicurate dal sistema previdenziale, da quello
sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”.
Il successivo art. 22, in modo più esplicito, indica come si realizza il sistema
integrato di interventi e servizi sociali (mediante politiche e prestazioni coordinate
nei diversi settori della vita sociale) e quali sono gli interventi che costituiscono il
livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi
secondo le caratteristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale,
regionale e zonale, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali
(di seguito Fnps).