6
21 della cost., che tutela la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di essere
informati (profilo attivo e passivo), e viene interpretato sia nella accezione di “pluralismo
interno”, consacrata dalla giurisprudenza costituzionale nelle sent. n. 59 del 1960 e nn. 225 e
226 del 1974 e che si manifesta all’interno dell’impresa pubblica incaricata di svolgere il
servizio pubblico radiotelevisivo, concretizzandosi nel principio di imparzialità e nell’obbligo
di apertura del mezzo di informazione alle diverse tendenze sociali, politiche, culturali e
religiose, sia in quella di “pluralismo esterno”, consacrata dalla giurisprudenza costituzionale
nelle sent. n. 202 del 1976, n. 153 del 1987, n. 826 del 1988, n. 112 del 1993 e n. 420 del
1994 e che si realizza cioè quando in un mercato si trovano a concorrere una pluralità di
soggetti diversi tra loro e tendenzialmente equivalenti sotto il profilo tecnico ed economico.
Proprio sviluppando il concetto di pluralismo, ne discende che il sistema
radiotelevisivo si fonda sulla contemporanea presenza di soggetti pubblici e privati.
Il capitolo secondo si apre infatti con una riflessione, che passa attraverso la
giurisprudenza applicativa della corte costituzionale, la dottrina e la legislazione nazionale e
comunitaria, riguardante la definizione della natura del servizio radiotelevisivo.
Si giunge alla conclusione che il servizio radiotelevisivo si configura come un servizio
pubblico a prescindere dal soggetto erogatore pubblico o privato (teoria oggettiva), perchè, in
entrambi i casi, esso si rivolge a tutti i membri della comunità, da qui l’espressione
“pubblico”, quali portatori di diritti sociali inerenti a diritti fondamentali e garantiti (in questo
caso l’etere riconosciuto come bene pubblico o res communis omnium) e perché, in entrambi i
casi, è limitato nei fini e nei risultati dallo stato e dalla legge (art. 41, comma 3 cost.). Si tratta,
quindi, di “un servizio per il pubblico”, rivolto a tutti i cittadini senza alcuna discriminazione
e destinato al soddisfacimento dei bisogni ritenuti essenziali per la collettività.
7
Dopo aver configurato l’attività radiotelevisiva come servizio pubblico, nel testo si
passa ad esaminare la struttura, l’organizzazione e i compiti generali prima della
concessionaria pubblica e poi di quelle private che esercitano attività radiotelevisiva.
In primo luogo, si analizzano i dibattiti dottrinari che si sono susseguiti intorno alla
natura giuridica pubblica o privata del gestore pubblico, assestatisi alla fine sulla soluzione di
tipo privatistico, che configura cioè la concessionaria pubblica come una società per azioni di
diritto privato a partecipazione pubblica (la Rai – radiotelevisione italiana s.p.a.) anche se
viene messo in evidenza come, a seguito del referendum popolare svoltosi l’11 giugno del
1995 che ha abrogato le norme che imponevano la proprietà pubblica delle azioni della Rai, si
è fatto attualmente più incisivo il concetto di “privatizzazione” della Rai, che infatti vedrebbe
più soggetti privati diventare azionisti della concessionaria in nome di un’esigenza di
ristrutturazione aziendale e di maggiore efficienza ed efficacia del servizio. Si passa
successivamente ad un’analisi nello specifico circa la composizione, gli organi (presidente,
consiglio di amministrazione, direttore generale), il funzionamento e il sistema di
finanziamento (canone di abbonamento, come fonte primaria, e pubblicità, come fonte
accessoria) dell’azienda pubblica radiotelevisiva.
Il capitolo terzo, invece, è interamente dedicato alle concessionarie private incaricate
di svolgere il servizio pubblico radiotelevisivo.
Ci si è soffermati sul regime giuridico-amministrativo della concessione
radiotelevisiva ed, in particolare, sul rapporto tra l’etere e l’atto amministrativo concessorio.
Si afferma in primo luogo come, essendo l’etere concepito dalla dottrina maggioritaria e dalla
giurisprudenza costituzionale (vengono citati una serie di riferimenti contenuti nelle sent. n.
225 e n. 226 del 1974; n. 202 del 1976; n. 148 del 1981; 153 del 1987; 102 del 1990, n. 112
8
del 1993 e n. 420 del 1994 ) come res communis omnium o bene comune, è necessario
l’intervento dello stato sia a livello nazionale che a quello internazionale (spazio aereo
atmosferico e cosmico), avente la funzione di agire su di esso per consentirne un uso razionale
ed ordinato, evitando disturbi, interferenze e sovrapposizioni delle frequenze. Tale intervento
dello stato si articola in una pianificazione delle frequenze a livello internazionale, in un piano
nazionale di ripartizione delle frequenze, un piano nazionale di assegnazione delle frequenze
e, quindi, sulla base di tali piani, nel rilascio dei provvedimenti amministrativi per permettere
agli operatori radiotelevisivi di utilizzare l’etere a scopo di radiodiffusione. Tali
provvedimenti consistono specificatamente in concessioni amministrative proprio perchè,
essendo l’etere un bene comune, non fruibile da tutti, il provvedimento di assegnazione delle
bande di frequenza non può che avere carattere costitutivo, cioè deve far nascere in capo al
soggetto destinatario un quid novi, un diritto soggettivo nuovo.
Segue poi una dissertazione nello specifico sulla struttura (requisiti, criteri, oneri),
sull’evoluzione della normativa sul rilascio delle concessioni (viene spiegato come si è giunti
al rilascio delle nuove concessioni in ambito nazionale e locale attraverso la decretazione
d’urgenza), sul funzionamento e sul sistema di finanziamento, dominato quest’ultimo
interamente dalla pubblicità commerciale, inerente le concessionarie radiotelevisive private.
Il sistema radiotelevisivo si realizza quindi con il concorso di soggetti pubblici e
privati, infatti, sia la concessionaria pubblica che quelle private devono svolgere la loro
attività perseguendo un interesse pubblico e tenendo conto di quei principi di obiettività,
pluralismo, completezza e imparzialità dell’informazione garantiti dalla legge che comportano
tutta una serie di obblighi e di doveri comuni a loro carico: si pensi ai particolari requisiti di
garanzia previsti dalla legge per il rilascio delle concessioni a soggetti privati, al divieto di
9
posizioni dominanti, ai limiti riguardo alla pubblicità, alla tutela dei minori, ecc., su cui
vigilano appositi organi di controllo, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni in
collaborazione con la commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza sui servizi
radiotelevisivi.
In riferimento in particolare a questi ultimi organi di controllo citati, nel testo ne viene
fornita una dettagliata analisi inquadrabile nel più vasto complesso sistema di organi e di
soggetti che esercitano competenze nella materia della radiotelevisione (parlamento, governo,
comitati regionali delle comunicazioni, organi di garanzia) ai quali è dedicato il quarto
capitolo.
Nella complessa tematica degli organi di governo e di garanzia del sistema
radiotelevisivo, viene sottolineato principalmente lo spostamento del baricentro dal
parlamento al governo, che rappresenta un ritorno indietro rispetto alla riforma del 1975 che
aveva avviato la cosiddetta “parlamentarizzazione” del settore radiotelevisivo, e che si coglie
nel ruolo decrescente della commissione parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi dovuto ai poteri più incisivi svolti dal governo ed, in particolare, dal ministro
delle comunicazioni attraverso l’approvazione del piano di ripartizione delle frequenze, il
rilascio delle concessioni radiotelevisive e le numerose competenze in ordine all’applicazione
delle sanzioni amministrative, ma soprattutto per l’accrescimento dei poteri dell’autorità per
le garanzie nelle comunicazioni, istituita dalla recente l. n. 249 del 1997 in sostituzione dell’ex
garante per la radiodiffusione e l’editoria previsto dall’art. 6 della l. n. 223 del 1990, quale
autorità amministrativa indipendente che, collaborando e interagendo con gli altri organi
istituzionali del paese ed, in particolar modo, con il parlamento, il governo, i comitati
regionali delle comunicazioni e le altre autorità indipendenti, tra cui l’autorità antitrust,
10
svolge attualmente un ruolo di assoluta centralità all’interno del settore radiotelevisivo con
ampi poteri di regolazione, vigilanza, ispettivi e di controllo.
L’ultimo capitolo del testo è poi dedicato ad un’interessante riflessione riguardante il
processo di liberalizzazione, che ha investito il settore generale delle telecomunicazioni a
partire dagli anni ’80 e che ha determinato il passaggio da un sistema di ingerenza pubblica a
un sistema di tipo concorrenziale, e i nuovi profili antitrust con riguardo in particolare al
settore radiotelevisivo, partendo dalla politica comunitaria per poi passare ad un’analisi della
disciplina a livello nazionale.
Innanzitutto si chiarisce che per disciplina antitrust (letteralmente dall’inglese
“antimonopolistica” o “antioligopolistica”) s’intende quella particolare disciplina che mira a
contrastare i monopoli e gli oligopoli economici ritenuti incompatibili con un mercato
concorrenziale e pluralista. Vengono quindi elencate tutta una serie di direttive comunitarie
che hanno giocato un ruolo fondamentale sul terreno della liberalizzazione e della
armonizzazione dei servizi di telecomunicazione a partire dagli anni ’80 e, tra queste in
particolare, ne vengono analizzate due: la dir. 89/552/CEE, soprannominata direttiva
“Televisione senza frontiere”, e la dir. 97/36/CE, che ha modificato la precedente, le quali
hanno infatti dettato una serie di disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
concernenti l’esercizio delle attività televisive finalizzate a rompere con il sistema di
monopolio statale in nome di uno spazio audiovisivo europeo senza frontiere e attento agli
sviluppi tecnologici.
Sotto la spinta della normativa comunitaria, lo scenario del sistema radiotelevisivo
italiano risulta quindi oggi inserito in un mercato che tende sempre più verso la
liberalizzazione, dominato dalla prospettiva del mutamento tecnologico legato
11
all’introduzione dei nuovi mezzi di trasmissione e ricezione del segnale radiotelevisivo oltre
all’etere (come il cavo in fibra ottica, il satellite, la pay-tv e i servizi da essa derivati, quali la
pay- per- view e il recente video on demand) e all’imminente avvio della tecnologia digitale,
di sostituzione di quella analogica fino ad ora usata (il passaggio dall’analogico al digitale è
fissato al 2006 dopo una lunga fase di transizione secondo la recentissima l. n. 66 del 2001, di
conversione del d.l. n. 5 del 2001).
In particolare, lo standard digitale rappresenta un passaggio destinato ad arricchire lo
spettro frequenziale, ponendo fine al problema della scarsità delle frequenze (la tecnologia
digitale, riducendo in numeri i segnali radiotelevisivi, consente di occupare uno spazio
notevolmente più ridotto rispetto a quello utilizzato dalla tecnologia analogica e di servirsi di
un’unica frequenza d’onda, prima utilizzabile per un solo canale, per una pluralità di canali), a
migliorare la qualità dei servizi e ad orientare l’uso del mezzo radiotelevisivo in direzione
della interattività e della multimedialità.
Tali innovazioni hanno quindi reso il servizio radiotelevisivo un servizio “universale”,
accessibile a una pluralità di soggetti per lo sviluppo di una piena e libera concorrenza ed
inserendolo in una dimensione sempre più europea e mondiale, nel senso che si assiste pian
piano non solo al formarsi di concentrazioni che operano in più settori (informatica,
televisione, telecomunicazioni, editoria, ecc.) e che costituiscono o inglobano società in ogni
parte del mondo (si pensi alla cosiddette piattaforme digitali di cui si parla nel testo), ma
anche al fatto che oggi giorno gli operatori radiotelevisivi possono servire l’utente con servizi
di migliore qualità e quantità, superando gli operatori nazionali (si pensi al recente sviluppo
dei sistemi satellitari, di internet e della futura web-tv).
12
Con riguardo all’utente, nel testo si afferma come il processo di liberalizzazione e lo
sviluppo delle nuove tecnologie di diffusione e distribuzione del segnale radiotelevisivo
(cavo, satellite, pay-tv) hanno creato da un lato un mercato radiotelevisivo più libero e
competitivo offrendo agli utenti scelte alternative in termini di costi, di qualità e di quantità
dei servizi e dall’altro hanno però anche dato maggiore attenzione alle esigenze di controllo e
di tutela giuridica ed economica dell’utente, giungendo alla conclusione che oggi si può
parlare di un vero e proprio status dell’utente.
Vengono citate a questo proposito alcune significative sentenze della corte
costituzionale (sent. n. 231 del 1985; n. 826 del 1988 e n. 112 del 1993) nelle quali è stato
espressamente riconosciuto un diritto alla tutela “dell’utente-consumatore”, tutela che
discende direttamente da quel diritto sociale e costituzionale all’informazione (art. 21) che si
articola anzitutto nel diritto “ad un’informazione pluralista, obiettiva, corretta e completa” e
vengono, in particolar modo, analizzati i compiti e le funzioni del consiglio nazionale degli
utenti quale organo specifico che si occupa della salvaguardia degli interessi diffusi degli
utenti radiotelevisivi.
La liberalizzazione del mercato radiotelevisivo e l’introduzione delle nuove tecnologie
digitali e interattive hanno poi avviato un processo di razionalizzazione del settore
radiotelevisivo, sulla base delle linee guida tracciate dalla recente l. n. 249 del 1997, che ha
portato ad una ridefinizione dello spettro radioelettrico, ponendo fine alla cosiddetta “era del
caos dell’etere” e trovando il suo punto d’arrivo nell’approvazione del nuovo piano nazionale
di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva, adottato dall’autorità per le
telecomunicazioni con la delibera n. 68 del 1998, integrato successivamente da una
13
pianificazione di “secondo livello”, adottata dall’autorità con la delibera n. 105 del 1999 e
finalizzata al reperimento di maggiori frequenze per l’emittenza locale.
La razionalizzazione dell’attività radiotelevisiva è stata poi completata da una
ridefinizione dei limiti antitrust a garanzia della concorrenza, della trasparenza e di un
effettivo pluralismo informativo e culturale, muovendo dalle indicazioni della corte
costituzionale contenute nella significativa sent. n. 420 del 1994, in cui la corte aveva
dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 15, comma 4 della l. n. 223 del 1990, il quale,
consentendo ad un soggetto privato di possedere non più del 25% del numero delle reti
nazionali previste dal piano di assegnazione delle frequenze e comunque non più di tre
concessioni, si poneva in contrasto con il principio pluralistico previsto dall’art. 21 della cost.
Nel capitolo vengono quindi analizzati i nuovi e più rigidi criteri per la determinazione
delle posizioni dominanti contenuti nella l. n. 249 del 1997 sia di natura “dimensionale”,
inerenti cioè alla titolarità del numero di reti possedute dai concessionari radiotelevisivi (non
più del 20%), e sia di natura “economica”, relativi alla raccolta dei proventi e delle risorse
economiche, ma anche, il che rappresenta una importante novità nel contesto radiotelevisivo,
viene data rilevanza a due precise misure deconcetrative volte a prevedere nel lungo termine,
da un lato, la creazione da parte della Rai di una rete senza pubblicità e, dall’altro, l’invio sul
satellite di una delle reti “eccedenti” i limiti antitrust da parte di Mediaset.
Da un tale quadro così evidenziato, si giunge alla conclusione che la realizzazione di
un sistema radiotelevisivo pienamente concorrenziale, pluralista, efficace ed efficiente, così
come voluto dagli ultimi sviluppi del mercato e della tecnologia, è lontana e c’è ancora molto
da fare. Il nostro sistema radiotelevisivo si trova infatti ancora in una fase di transizione,
destinata a conoscere ulteriori sviluppi.
14
Si profila pertanto la necessità di dare innanzitutto attuazione alle misure
deconcentrative prima richiamate, che devono infatti contribuire a superare la situazione di
incostituzionalità già sanzionata dalla corte costituzionale con la sent. n. 420 del 1994, rimasta
ancora disattesa, in quanto né Mediaset, né la Rai hanno ceduto una delle tre reti “eccedenti”
da loro possedute, facendo sì che la realtà del sistema radiotelevisivo italiano risulta ancora
caratterizzata dal predominio nel mercato radiotelevisivo di un duopolio tra Rai e Mediaset,
che ostacola la nascita di terzi poli radiotelevisivi e il consolidarsi di un sano sistema di
televisioni locali.
È poi necessario continuare ad indirizzare il servizio radiotelevisivo verso il processo
di internazionalizzazione dei mercati e i recenti sviluppi della tecnologia interattiva e digitale
(ai sensi della recente l. n. 66 del 2001, si prevede che l’autorità per le telecomunicazioni
dovrà adottare il piano nazionale di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale
ridefinendo nuovamente lo spettro radioelettrico entro il 31 dicembre del 2002, nel frattempo
è stato approvato il regolamento relativo alla radiodiffusione terrestre in tecnica digitale con la
delibera n. 435 del 15 novembre del 2001 dell’autorità) ed, inoltre, a seguito delle ultime
elezioni, venendosi a concentrare nelle mani del titolare di un munus publicum sia il potere
politico, che quello economico e mediatico, la situazione si è particolarmente aggravata
rendendo ancora più urgente anche una regolamentazione del conflitto di interessi, che incide
sul pluralismo dell’informazione che sin dall’inizio del testo viene definito come il valore
costituzionalmente più importante in materia di emittenti radiotelevisive e soprattutto in un
paese democratico e civile.
15
CAPITOLO PRIMO
I PRINCIPI COSTITUZIONALI IN MATERIA RADIOTELEVISIVA
1. IL FONDAMENTO COSTITUZIONALE DELL’ATTIVITÁ RADIOTELEVISIVA.
1.1. La libertà di manifestazione del pensiero.
L’attività radiotelevisiva trova il suo principale fondamento costituzionale nell’art. 21
della costituzione. La suddetta norma costituzionale che tutela la libertà di manifestazione del
pensiero, pur riferendosi esplicitamente al solo mezzo della stampa, alla quale dedica una
particolare attenzione nei commi 2, 3, 4 e 5, offre una “copertura
1
” nel suo primo comma
anche al mezzo radiotelevisivo, al quale i costituenti non ritennero peraltro opportuno fare
esplicito riferimento.
In particolare si può convenire con chi ha affermato
2
che il costituente, nel delineare
questo articolo, avrebbe tenuto un atteggiamento prevalentemente “retrospettivo”, avrebbe
guardato piuttosto indietro che in avanti, si sarebbe fatto carico di preoccupazioni passate
anziché affrontare i problemi nella loro dimensione complessiva. Nell’art. 21, infatti, si parla
in modo particolare solo della stampa, mentre della televisione e della radio, dei due mezzi
destinati a diventare egemoni nel corso di pochi anni, non vi è neppure cenno.
1
Cfr. R. ZACCARIA (1996), Radiotelevisione, 15.
2
Cfr. L. PALADIN (1979), La libertà d’informazione, 3-8.
16
Questo atteggiamento si può giustificare forse, in parte, per quanto riguarda la
televisione, dato che in Europa questo mezzo non esisteva ancora o era appena agli inizi del
suo sviluppo.
Nell’art. 21 risultano omessi anche una serie di profili concettuali della libertà di
informazione che si possono trovare in alcuni testi costituzionali o in accordi internazionali
più o meno contemporanei.
Nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’assemblea generale
dell’ONU il 10 dicembre 1948, l’art. 19 aggiunge alla libertà di espressione “il diritto a non
essere molestato per la propria opinione” e quello “di cercare, ricevere e diffondere
informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”; nella costituzione
tedesca, approvata soltanto pochi mesi dopo la nostra, esattamente il 23 maggio 1949, l’art. 5
parla di un “diritto di informarsi, senza ostacoli da fonti accessibili a tutti” ed aggiunge,
accanto alla libertà di stampa, quella di “informare mediante radio e film” ed infine nella
convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, approvata nel 1950 dagli stati
membri del consiglio d’Europa e ratificata dall’Italia nel 1955, l’art. 10, oltre ad evidenziare
accanto alla libertà di espressione, “la libertà di ricevere o di comunicare le informazioni e le
idee, senza ingerenze da parte di pubbliche autorità e senza considerazione di frontiere”,
aggiunge che la norma “non impedisce agli Stati di sottoporre le imprese di radiodiffusione, di
cinema e di televisione ad un regime di autorizzazione”.
L’aver rilevato tali lacune nella formulazione dell’art. 21 della costituzione non
significa però sminuire la valenza sostanziale della nostra norma costituzionale rispetto ai testi
sopra citati. Nel corso degli anni, infatti, la giurisprudenza applicativa, in particolare della
17
corte costituzionale, ha contribuito a fornire una lettura ricca e aggiornata della libertà di
manifestazione del pensiero soprattutto in riferimento al settore radiotelevisivo.
1.2. La libertà di informare e il diritto ad essere informati.
Il primo comma dell’art. 21, nell’affermare che “tutti hanno diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di manifestazione
del pensiero”, offre una tutela a tutti coloro che in forma singola o associata, occasionale o
professionale, intendono manifestare la propria opinione anche attraverso il mezzo
radiotelevisivo
3
.
Questa tutela, che si identifica con quella di chi utilizza un qualsiasi altro mezzo,
incontra tutta una serie di limiti sia in termini particolari, con riferimento al buon costume
esplicitamente menzionato nell’art. 21, sia in termini generali, con riferimento ai doveri
costituzionali o agli altri diritti e interessi tutelati dalla costituzione, facendovi rientrare i
limiti a tutela dell’onore, della riservatezza e quelli a tutela dei vari tipi di segreto ammissibili
nel nostro ordinamento
4
.
L’art. 21 non si limita però a tutelare solo la libertà “attiva” di manifestazione del
pensiero (libertà di dare e divulgare notizie, opinioni, commenti), ma tutela anche il profilo
“passivo” di questa libertà, e cioè quello che è stato definito l’interesse o più specificamente il
“diritto soggettivo” del singolo, cittadino o non, ad essere informato.
3
Cfr. S. FOIS (1957), Principi costituzionali e libertà di manifestazione del pensiero, 97-120; C. ESPOSITO
(1958), La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, 1-23.
4
Cfr. L. PALADIN (1987), “Libertà di pensiero e libertà di informazione: le problematiche attuali”, 5-12.
18
E’ stata la corte costituzionale, nella sent. n. 105 del 1972 a riconoscere, per prima, ai
destinatari della manifestazione del pensiero e in maniera più specifica delle trasmissioni, un
interesse generale, anch’esso indirettamente protetto dall’art. 21, all’informazione; interesse
che, in un regime di democrazia, “implica pluralità di fonti di informazione, libero accesso
alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione
delle notizie e delle idee
5
”. Successivamente, la stessa corte costituzionale ha aggiunto nella
sent. n. 348 del 1990 (e prima ancora nella sent. n. 826 del 1988) che l’informazione, nei suoi
risvolti attivi e passivi (libertà di informazione e diritto di essere informati), rappresenta infatti
una condizione preliminare per l’attuazione ad ogni livello dello stato democratico. La corte è
poi ritornata su tale impostazione nella sent. n. 112 del 1993, non soltanto richiamando,
accanto al diritto di informare, “il diritto ad essere informati”, ma ricollegando quest’ultimo ai
“principi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione
6
” e nella sent. n. 420 del
1994 in cui ha affermato che “…il legislatore deve favorire il pluralismo (“esterno”) delle
voci nel settore televisivo, così da garantire il diritto all’informazione e la libertà di
manifestazione del pensiero
7
”.
Di fronte a questa impostazione vi sono stati dei dibattiti in dottrina e perplessità in
diversi autori, soprattutto sulla base della considerazione che, riconoscendo un diritto del
destinatario dell’informazione all’obiettività e alla completezza di essa, si devono
conseguentemente riconoscere degli specifici limiti nel “contenuto” o comunque nelle
“modalità” dell’attività informativa posta in essere dal soggetto informatore; si introdurrebbe,
cioè, un profilo funzionale nella configurazione della libertà di espressione, venendosi così a
5
Cfr. R. ZACCARIA (1977), Radiotelevisione e Costituzione, 55.
6
Cfr. P.A. CAPOTOSTI (1993), “L’emittenza radiotelevisiva tra concessione e autorizzazione”, 2120.
7
Cfr. O. GRANDINETTI (1995), “Il commento alla sent. n. 420 del 1994”, 50.
19
snaturare e degradare la garanzia costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero e
della libertà di informare, che invece sono riconosciuti proprio dall’art. 21 come diritti
assoluti di libertà
8
.
Secondo questa impostazione, la libertà di informare (da parte del soggetto attivo) e il
diritto all’informazione (da parte del destinatario della notizia) si eliderebbero a vicenda se
riconosciuti contemporaneamente
9
.
L’ottica di ragionamento cambia sensibilmente se si collega il diritto all’informazione
con il principio pluralistico
10
contenuto nel primo comma dell’art. 21 e soprattutto nel
combinato disposto dell’art. 21 e dell’art. 41 della costituzione.
Infatti, l’esigenza di un’informazione dotata di alcune caratteristiche (imparzialità,
completezza, apertura alle diverse tendenze politiche, culturali, ecc.) appare il risvolto del
principio della pluralità delle fonti informative costituzionalizzato nell’art. 21. Queste
caratteristiche si sostanziano non in un vincolo contenutistico generalizzato alla libertà di
informazione (che sarebbe difficilmente compatibile con quei principi di libertà di contenuti
che l’art. 21 solennemente proclama), bensì appaiono il risultato cui il pluralismo delle fonti
di informazione dovrebbe condurre.
Da tali considerazioni, larga parte della dottrina ritiene realizzato “l’interesse generale
all’informazione” sulla base di un effettivo pluralismo informativo.
8
Cfr. N. LIPARI (1978), “Libertà di informare e diritto ad essere informati”, 1-11.
9
Cfr. L. PALADIN (1979), La libertà d’informazione, 23.
10
Cfr. L. PALADIN (1987), “Libertà di pensiero e la libertà di informazione: problematiche attuali”, 19-27.