Introduzione
L’analisi svolta è stata supportata da una verifica empirica realizzata mediante lo
svolgimento di uno stage della durata di tre mesi presso lo Stabilimento di
Martignacco durante la fase di implementazione del Sistema Qualità Aziendale.
Questo mi ha permesso di seguire da vicino l’iter che un’azienda deve svolgere
per dotarsi di un Sistema Qualità: dalla stesura delle procedure richieste dalla
normativa, alla loro implementazione all’interno dell’intera struttura organizzativa
fino alla verifica dei risultati ottenuti.
In particolare, affiancata dal Responsabile Assicurazione Qualità di Stabilimento,
mi sono occupata della stesura della procedura relativa all’Addestramento del
Personale al fine di soddisfare il punto 4.18 della norma UNI EN ISO 9002.
Inoltre, interagendo con Responsabile della Produzione, Responsabili di Area e
Capi Reparto, ho redatto le Istruzioni Operative, relative al piano di formazione
degli Attrezzisti e dei Certificatori Finali, suddivise per reparto produttivo ed
inserite in appendice.
Assieme al Responsabile Assicurazione Qualità di Stabilimento e di Prodotto ho
svolto anche delle verifiche ispettive interne per monitorare l’implementazione del
Sistema Qualità nei reparti produttivi.
Durante il periodo di stage, è stato poi creato un questionario per la valutazione
delle capacità (inserito in appendice) con il quale, insieme al Responsabile della
Produzione e al Responsabile di Area, abbiamo valutato tra diversi candidati,
quello che rispondeva meglio ai requisiti richiesti, in termini di abilità,
competenze tecniche e capacità manageriali, per diventare Capo Reparto.
L’esperienza dello stage mi ha permesso di confrontare la situazione precedente
all’implementazione del Sistema Qualità con quella successiva, passando per le
fasi necessarie per l’ottenimento della Certificazione. Terminato lo stage ho poi
effettuato delle visite periodiche allo Stabilimento per seguire l’evoluzione
dell’implementazione e i risultati ad essa associati.
Il presente lavoro deriva dunque dall’analisi sul campo, associata ad interviste ai
diversi Capi Reparto, ai Responsabili di Area, al Responsabile della Produzione
nonché a tutto lo “staff” dell’Assicurazione Qualità di Stabilimento e Qualità del
Prodotto.
Introduzione
Per contestualizzare l’Azienda, ho ritenuto opportuno svolgere un’analisi relativa
al Distretto degli occhiali, alla sua evoluzione, alle problematiche e prospettive
future di quest’ultimo; tutto questo mediante incontri ed interviste
all’Associazione degli Industriali della Provincia di Belluno, al Vice Presidente
della SIPAO di Tai di Cadore, il Signor Antonio Zandegiacomo C., alla dottoressa
Elena Zambelli della Camera di Commercio di Belluno e alla Signora Lucia
Tonini di Certottica con sede a Longarone.
Dalle verifiche empiriche e da tutti questi contributi deriva il seguente lavoro che
è strutturato in otto capitoli.
Nel primo capitolo si analizza l’evoluzione della qualità, passando dai concetti
tipici della qualità mercantile, a quella fordista e post-fordista; si presenta poi una
nuova visione del miglioramento continuo basata sull’approccio “esplorare ed
imparare” fino a giungere ad una visione integrata dell’organizzazione.
Nel secondo capitolo, dopo aver presentato la catena del valore e le funzioni di
gestione dell’impresa in un contesto di qualità, si focalizza l’attenzione sulla
Risorsa Umana, in particolar modo sull’importanza dei valori condivisi, sul
concetto di apprendimento organizzativo e di gestione della conoscenza in
un’ottica di qualità, sull’importanza della dinamica di gruppo e sui postulati tipici
dell’empowerment correlati ai Sistemi Qualità Aziendale.
Nel terzo capitolo si analizza il ruolo della qualità nell’evoluzione dei rapporti di
fornitura e l’impatto di quest’ultima sui costi di produzione e costi di transazione.
Viene poi, nel quarto capitolo, presentata la realtà del Distretto degli occhiali
confrontandola anche con altre realtà produttive del Nord-Ovest. Vengono fatte
quindi delle considerazioni in riferimento alla situazione attuale, presentate inoltre
le problematiche e gli interventi possibili per un rilancio dell’intero Distretto.
Particolare attenzione è stata rivolta agli influssi che la qualità può avere sui
principali meccanismi di coordinamento all’interno del Distretto e l’andamento
dei costi di fornitura per le aziende del Distretto certificate, in relazione anche al
diverso grado di internazionalizzazione.
Nei capitoli cinque, sei e sette viene presentato il Gruppo Safilo (storia aziendale,
localizzazione stabilimenti, ciclo di vita del prodotto, rapporto con il mercato,
Introduzione
barriere all’entrata, competitors, ecc.), in seguito, poi, l’attenzione si sposta sullo
Stabilimento di Martignacco.
In questi capitoli sono stati analizzati gli impatti, che l’implementazione del
Sistema Qualità Aziendale ha avuto sugli assetti organizzativi, sui processi di
acquisizione, formazione, addestramento e valutazione della Risorsa Umana e
sulle relazioni di fornitura. Sono stati evidenziati i cambiamenti indotti dalle
pratiche della qualità sulle variabili organizzative, gestionali e relazionali.
Nel capitolo ottavo si presentano le considerazioni relative a tutta la nostra analisi
ponendo l’attenzione sull’importanza di un collegamento tra qualità e assetti
organizzativi. Infatti non è la qualità in sé che genera dei miglioramenti, ma è la
combinazione dinamica qualità/assetto organizzativo che stimola il processo di
arricchimento delle risorse dell’impresa.
Vengono poi presentati in appendice i lavori svolti durante il periodo di stage.
Un ringraziamento particolare va alla Professoressa Cristiana Compagno per la
collaborazione e l’aiuto prestato nella realizzazione di questo lavoro.
Ringrazio il Responsabile Assicurazione Qualità dello Stabilimento di
Martignacco, Cristian Cavallo, il Responsabile Assicurazione Qualità di Prodotto,
Ermanno Bonamini e lo staff Assicurazione Qualità, Katia Vuerich e Romina
Calligaro, che mi hanno consentito, durante il periodo di stage, di fare
un’esperienza lavorativa e di raccogliere il materiale necessario per svolgere
l’analisi presentata in questo lavoro. Inoltre, sono stati disponibili, anche dopo
l’implementazione del Sistema Qualità, affinché verificassi i risultati raggiunti.
Inoltre ringrazio il Vice Presidente della SIPAO di Tai di Cadore, Signor Antonio
Zandegiacomo C., la dottoressa Elena Zambelli della Camera di Commercio di
Belluno e la signora Lucia Tonini di Certottica per la collaborazione ed il
materiale fornitomi.
Capitolo primo
1.1 DALLA QUALITA’ MERCANTILE ALLA QUALITA’ FORDISTA
Nel primo secolo dopo la rivoluzione industriale la divisione del lavoro cognitivo
è realizzata attraverso un processo di specializzazione che separa la produzione di
beni strumentali (macchine, materiali, componenti) dalla loro utilizzazione per
produrre i prodotti finiti. Gli specialisti che producono beni strumentali
riforniscono di macchine, di materiali, gli specialisti che producono beni di
consumo.
L’interdipendenza che nasce da questo modo di organizzare la divisione del
lavoro è affidata allo scambio di prodotti sul mercato (tra imprese indipendenti): è
questo ciò che A. Smith descrive agli albori della scienza economica. Per
governare efficacemente quest’interdipendenza ciò che occorre è una garanzia
della qualità dei mercati, che riguarda:
• la qualità dei beni scambiati, dal punto di vista degli standard merceologici;
• la qualità delle transazioni, dal punto di vista concorrenziale.
La definizione di qualità mercantile è un problema fondamentale nel capitalismo
industriale dell’Ottocento, infatti, garantire efficienza al meccanismo degli scambi
significa ampliare la divisione del lavoro e realizzare economie di replicazione.
In particolare l’economia politica, con la centralità data al mercato e al concetto di
“concorrenza perfetta” assume la qualità mercantile come oggetto primario delle
sue riflessioni. Inoltre si sviluppa, in parallelo, il libero scambio a livello politico
(unificazione degli Stati nazionali e conseguente riduzione dei dazi nel commercio
internazionale); si organizza la logistica dei trasporti, del commercio e delle
comunicazioni; si forma una cultura mercantile, necessaria per rendere
“trasparenti” i mercati.
Un buon livello di qualità mercantile costituisce la condizione necessaria perché
un’impresa possa affidarsi al mercato per una parte consistente dei propri processi
di apprendimento. La scelta tra produrre in proprio o comprare dall’esterno (make
or buy) dipende, infatti, dalla qualità del mercato disponibile per le diverse merci
e conoscenze. Dove l’evoluzione industriale ha messo a disposizione mercati
ampi e stabili, le convenienze giocano a favore della specializzazione e dunque
La Qualità: evoluzione, prospettive future e nuove visioni strategiche
dell’acquisto dall’esterno; laddove i mercati sono ristretti o fluttuanti, sarà più
conveniente scegliere il make.
Lo sviluppo di una migliore qualità mercantile costituisce un elemento essenziale
di progresso nella produttività e nell’apprendimento. Due sono le direzioni
possibili:
• fissare e garantire certi standard merceologici, definiti a livello di settore e
possibilmente validi a scala internazionale;
• fissare e garantire certi standard competitivi, attraverso una legislazione di
tutela della concorrenza e la progressiva apertura dei mercati internazionali.
Una parte notevole della dottrina economica rimane legata a questo concetto
mercantile di qualità e di divisione del lavoro anche dopo che, nel nostro secolo, si
avviavano le metodologie della produzione di massa, che imponevano un altro
tipo di qualità e di divisione del lavoro.
L’intuizione fondamentale della produzione di massa è di tipo scompositivo: la
complessità di un prodotto può essere affrontata industrialmente se viene
scomposta in elementi semplici.
L’idea dalla scomposizione del prodotto in parti semplici (parcellizzazione)
permette di superare questa barriera tra i prodotti di consumo e il modo industriale
di produzione.
Decisiva in questa fase è la capacità di governare in modo efficace il gran numero
di operazioni interdipendenti che devono confluire, in tempi e modi determinati,
verso il prodotto finito. La soluzione che Ford e Taylor elaborano per la gestione
di questa forma di interdipendenza è quella della progettazione e programmazione
centralizzata delle singole operazioni, secondo sequenze prestabilite, spesso
materializzate in una linea mobile di produzione (catena). L’enorme complessità
viene così ridotta ad una situazione di dipendenza di ciascun punto della linea dal
centro, che disegna e governa le relazioni tra i singoli punti; ciascuna operazione
s’integra con le altre senza tempi morti e senza attriti.
Questo modo di governare l’interdipendenza che nasce dalla parcellizzazione
fordista non può però essere affidato alle relazioni di mercato dove le parti restano
autonome e dove non c’è nessun centro che decide il progetto. La qualità
Capitolo primo
mercantile non è più sufficiente a reggere la nuova complessità affrontata dalla
produzione di massa.
La divisione del lavoro, appoggiata ad un’autorità in grado di fissare un progetto e
un programma valido per tutti gli specialisti elementari, non può avvenire
all’interno della stessa impresa. La grande impresa fordista che organizza molti
lavoratori dipendenti deve disporre di un concetto di qualità che permetta di
garantire la corrispondenza dei singoli punti del ciclo al progetto e al programma
stabilito centralmente.
La qualità fordista deve quindi garantire:
• l’intercambiabilità dei pezzi e dei lavori, in modo da autonomizzare ogni fase
elementare;
• la corrispondenza delle lavorazioni e dei lavori a standard definiti
centralmente ed ex ante.
La grande “invenzione” tecnico-produttiva di Ford consiste nella definizione di
metodi e tecniche di lavorazione che rendono possibile l’intercambiabilità dei
pezzi: ossia la corrispondenza di ogni pezzo ad uno standard. Lo stesso vale per
Taylor: l’organizzazione scientifica del lavoro realizza l’intercambiabilità tra
lavori, o meglio, tra lavoratori. Essa si basa sulla definizione di standard astratti di
lavoro (tempi e metodi) a cui devono adeguarsi le operazioni lavorative
concretamente eseguite. La divisione verticale del lavoro nella fabbrica taylorista
si realizza a tre grandi livelli. A livello operativo vi è l’esecuzione materiale del
lavoro e la specializzazione è massima sia in senso orizzontale che verticale. A
livello intermedio vi è l’analisi dettagliata delle procedure lavorative e la continua
ricerca dei miglioramenti di efficienza (tempi e metodi, programmazione,
manutenzione, collaudi, ecc.). Nella visione tayloristica anche per i livelli direttivi
la specializzazione è alta. Al terzo livello, infine, i massimi organi direttivi hanno
compiti di tipo strategico ed intervengono solo per eccezioni sul funzionamento
operativo dell’impresa. La dimensione orizzontale presenta criteri di
specializzazione per tecniche e per fasi produttive, la parcellizzazione si porta fino
alla definizione di compiti elementari non ulteriormente scomponibili dati i
vincoli tecnologici (Compagno, 1999).
La Qualità: evoluzione, prospettive future e nuove visioni strategiche
Il processo di parcellizzazione, su cui si fonda dunque la possibilità di
meccanizzare produzioni complesse, passa attraverso una “rivoluzione” della
qualità in particolare:
• si definisce uno standard astratto di qualità per ciascuna operazione
elementare. Lo studio “scientifico” delle lavorazioni meccaniche e del lavoro
permette di identificare il modo ottimale (the one best way) di realizzare
ciascuna operazione elementare, premiando in questo modo la
semplificazione;
• le operazioni complesse possono essere costruite integrando in diverse
combinazioni le operazioni, i lavori, le macchine elementari, rendendo in
questo modo facile ed automatico il coordinamento tra le operazioni
parcellizzate. L’efficacia dei sistemi che integrano in modi determinati le parti
è proporzionale al rispetto degli standard di qualità astrattamente determinati,
che rendono possibile passare, nella progettazione e nel controllo delle
operazioni, dal livello elementare a quello aggregato senza alcuna perdita di
informazione.
La qualità “garantita” dalla intercambiabilità dei pezzi e dallo studio scientifico
del lavoro è dunque un modo di governare, nella fabbrica fordista, la grande
interdipendenza che si viene a creare per effetto della divisione del lavoro tra tante
operazioni specializzate, parcellizzate. Ciascun lavoratore, ciascuna macchina
deve avere la “garanzia” che pezzi ricevuti dalle lavorazioni a monte sono
conformi agli standard predefiniti. In mancanza di questa garanzia, l’elevata
interdipendenza produrrebbe problemi di compatibilità enormi e un
coordinamento lento e difficile. La “linea” fordista può scorrere da monte a valle
senza interruzioni perché la qualità è predefinita senza incertezze e varianze. Alla
fine del processo, si potrà porre un apposito check col compito di rilevare se si sia
commesso qualche errore in questa catena automatica di affidamenti.
Il problema dell’interdipendenza sociale che nasce dalla parcellizzazione può
essere quindi ridotto ad un problema di rispetto di certi standard di qualità:
qualcuno definisce in anticipo gli standard a cui tutti devono conformarsi. La
definizione degli standard e la garanzia del loro rispetto è fondamentale in quanto
Capitolo primo
dal centro il prodotto e il processo vengono smontati e rimontati; il meccanismo è
rigido, ma offre una soluzione poco costosa del problema dell’interdipendenza.
La produzione di massa, dunque, nasce da un suo concetto di qualità che in
mancanza di standard di qualità ben definiti sarebbe stata impossibile, infatti,
questi ultimi rendono possibile la divisione del lavoro che favorisce la
meccanizzazione e la scientificazione delle operazioni lavorative.
Il tipo di standard di qualità richiesti dipende dal tipo di interdipendenza da gestire
e dalle tecniche disponibili per farlo:
• nella produzione di massa si badava a rendere possibile la divisione del lavoro
all’interno della grande fabbrica fordista, ricorrendo a macchine semplici e a
lavoratori poco qualificati;
• oggi la divisione del lavoro non si rivolge tanto all’interno, quanto all’esterno,
coinvolgendo una serie di fornitori esterni ed anche l’utilizzatore finale, quindi
lo standard deve essere adatto a creare interdipendenza tra tutti gli anelli della
catena del valore. Inoltre la divisione del lavoro utilizza macchine polivalenti,
che possono gestire autonomamente una certa varianza di processi, prodotti e
relazioni. I lavoratori non apportano più alla produzione solo un contributo
materiale (lavoro manuale) ma anche un contributo intellettuale, consistente
nella produzione di conoscenze e nel governo della complessità (varietà-
variabilità) attraverso le conoscenze. Anche in fabbrica gli operai svolgono
compiti di programmazione e controllo delle macchine. E’ quindi assurdo
pensare di “centralizzare” le conoscenze di cui dispongono i lavoratori in linea
per assegnare la progettazione del lavoro ad uffici centrali che sono lontani
dall’operatività.
La Qualità: evoluzione, prospettive future e nuove visioni strategiche
1.2 LA QUALITA’ POST-FORDISTA
Nella produzione di massa la qualità è una variabile endogena, interamente
governabile dall’organizzazione. La supremazia della variabile tecnologica-
produttiva sulla variabile umana ma anche sulla variabile ambientale definisce, in
questa fase storica, il contesto e il ruolo della qualità. Il contesto è la nuova
funzione di produzione standardizzata e parcellizzata, il ruolo è il governo del
processo produttivo, attraverso l’integrazione efficace ed efficiente delle diverse
fasi sulla base delle conformità agli standard. La qualità, quindi, è lo strumento
attraverso il quale ottimizzare le complesse relazioni fra le varie fasi del processo
produttivo che attorno ad esso si generano. In questa fase il management della
produzione è anche il management della qualità (Compagno, 1999).
La qualità fordista, che funzionava in base a standard rigidi (definiti per ogni
prodotto e mantenuti invariati nel corso del suo ciclo di vita) e interni (specifici
della singola fabbrica) era funzionale alla parcellizzazione fordista; ma diventa
disfunzionale quando si deve organizzare la produzione su una nuova base.
Infatti la separazione delle due attività si ha quando, trovate le soluzioni
organizzative della produzione di massa che minimizzano i costi di
coordinamento e di produzione, il mercato diventa più esigente e selettivo
richiedendo una qualità di prodotto differenziale.
Il primo grande cambiamento riguarda il ruolo del prodotto. Nel fordismo si parte
dalla complessità del prodotto (finale) da ottenere, che viene scomposta in
operazioni semplici; tutto ha nel prodotto il punto di partenza, ogni linea di
produzione, ogni insieme di competenze, ogni progetto e programma nasce con
l’introduzione di un nuovo prodotto e muore quando questo viene eliminato dalla
gamma. Di conseguenza, ciascun prodotto deve essere venduto in grandi volumi e
rimanere in produzione per molti anni. Esempio di questa logica è il modello T di
Ford che per primo la applicò arrivando a milioni di automobili vendute rimaste in
produzione per decenni. Tutto questo col risultato di avere costi più bassi degli
altri prodotti concorrenti (sunk-costs).
Se la domanda esprime una varietà-variabilità che contrasta con la logica del
prodotto unico e permanente, allora tale varietà può espandersi a basso costo se la
Capitolo primo
standardizzazione (e dunque la progettazione-programmazione della produzione)
prende come riferimento non il prodotto finito, ma i suoi principali componenti
che vengono combinati in modo da ottenere i prodotti richiesti dal mercato.
Sembra un cambiamento di poco conto e invece è fondamentale per segnare il
passaggio al post-fordismo. Nel momento in cui la divisione del lavoro non è più
organizzata per linee di prodotto, ma fa capo a singole fasi di lavorazione, a
singoli componenti, si rompe la logica dell’integrazione verticale del ciclo.
Questa indipendenza delle catene di lavorazione rende possibile scomporre il ciclo
verticale in fasi autonome, ciascuna delle quali è un business a sé, con la
conseguenza che:
• ciascuna fase a monte può contribuire a molti processi e prodotti a valle,
alimentando anche settori diversi;
• le diverse fasi possono essere svolte da imprese diverse (outsourcing);
• ciascuna fase si trova in condizioni di interdipendenza non solo rispetto al
programma di lavorazione interno, ma anche con i concorrenti e i clienti
esterni.
Questa deverticalizzazione implica un’organizzazione della produzione dove ogni
impresa si concentra su un core business e ricorre a produttori specializzati esterni
per tutte le altre. Di conseguenza anche i suoi clienti saranno collocati in un
mercato più ampio e diversificato.
Si ha così la ripresa della divisione del lavoro tra imprese diverse, ciascuna
specializzata in base alle competenze specifiche del core business; in parte così si
torna all’interdipendenza di mercato, governabile con la già citata qualità
mercantile. In parte però occorre ricorrere a strumenti diversi quali: catena del
valore, rete, qualità post-fordista. E’ necessario quindi creare delle relazioni
privilegiate che permettano alle imprese di avere un’efficacia comunicativa e
transazionale migliore di quella ottenibile attraverso il mercato o la gerarchia.
Queste “catene del valore” che sono assistite da canali preferenziali di
comunicazione-transazione possiamo chiamarle reti: esse sono prima di tutto reti
di fornitura che legano tra loro gli specialisti collocati ai diversi livelli di una
catena del valore (centri di ricerca, imprese di progettazione, componentisti,
produttori di macchine, terzisti, assemblatori, distributori, centri di assistenza e di
La Qualità: evoluzione, prospettive future e nuove visioni strategiche
servizio al cliente, ecc.), ma possono anche comprendere imprese concorrenti
impegnate in un progetto comune (joint ventures, accordi, cooperazioni) o più
semplicemente dotate dello stesso linguaggio. Possono riferirsi anche ai distretti
industriali in cui molti produttori comunicano e scambiano preferenzialmente tra
loro avvalendosi delle economie della contiguità territoriale. Ci possono quindi
essere reti diverse ma in tutti i casi, esse servono una divisione del lavoro che
specializza le diverse competenze, alimentando un pool di conoscenze e di
capacità unitario, accessibile a tutte le imprese della rete .
Anche la rete ha bisogno di un suo concetto di qualità che permetta di gestire
l’interdipendenza trasversale che unisce imprese diverse, potenzialmente
utilizzabili per un certo progetto o prodotto. Il contenuto di informazione
necessario è di gran lunga superiore a quello proprio del mercato e non sono in
questo contesto molto utili standard di qualità merceologica prestabilita, che
arrivano in ritardo rispetto alle innovazioni; né è decisiva la garanzia della libera
concorrenza, che tenderebbe a recidere il legame tra produttori ed utilizzatori. E’
necessario invece rinsaldare il legame tra produttori ed utilizzatori, facendolo
nascere già in sede progettuale (co-projecting), quando si tratta di formulare
insieme un disegno di innovazione che sarà realizzato poi secondo un programma
comune (co-makership) (Rullani, 1995).
C’è bisogno per gestire questo tipo di interdipendenza di una qualità che:
• garantisca l’efficacia delle comunicazioni e dei contratti;
• incentivi la fiducia reciproca, prevenendo eventuali tentazioni opportunistiche
attraverso una condizione di stabilità dei rapporti e dei contesti in cui i
rapporti si pongono.
La qualità non può essere più “incorporata” in un bene fisico (qualità mercantile)
o in una procedura (corrispondenza al progetto-programma prestabilito), ma si
riferisce ad una condizione virtuale: all’utilità che l’utilizzatore potrà trarre dalle
conoscenze e capacità che sono in possesso del produttore. La definizione
dell’utilità virtuale non può essere compiuta efficacemente se le parti non
possiedono un linguaggio della qualità che finisce per stratificarsi nei sistemi
territoriali, nei rapporti di fornitura della catena del valore, nelle reti costruite ex
novo intorno a nuovi progetti, a nuove tecnologie, a nuovi linguaggi.
Capitolo primo
La qualità post-fordista è qualcosa di molto più complesso della qualità mercantile
o di quella fordista anche se non può però limitarsi alle consuete massime
giapponesi sul “miglioramento continuo” o sul “servizio al cliente”.
La nuova qualità ha, prima di tutto, una base comunicativa: è fondamentale poter
esprimere al meglio il valore potenzialmente producibile da un offerente a
vantaggio di un utilizzatore. Occorre, quindi, unificare gli standard e le
attribuzioni qualitative riferibili ai prodotti o servizi; occorre che il cliente capisca
le potenzialità dell’offerente e viceversa. Di qui l’importanza del “lavorare
insieme”, ma anche di quelle imprese che fanno da ponte tra produttori ed
utilizzatori collocati in contesti diversi; ed anche l’importanza dei linguaggi
codificati che possono standardizzare la comunicazioni tra soggetti che non si
conoscono direttamente.
La socializzazione degli standard di qualità consente, infatti, delle economie nei
costi di produzione delle informazioni da parte di ciascuna impresa che aderisce a
tali standard. Per effetto di meccanismi di apprendimento by networking,
attraverso processi di benchmarking o semplicemente di osservazione delle
soluzioni realizzate da altri, i costi di produzione dell’informazione a livello di
sistema tendono a presentare costi marginali decrescenti; questo in quanto tali
costi tendono a configurarsi come costi di riproduzione dell’informazione
codificata già prodotta a livello di rete. La condivisione di standard di qualità tra
le imprese, quindi, può essere interpretata anche come una fonte di economie di
esperienza per gli stessi attori (Gaio e Zaninotto, 1998).
La qualità post-fordista, dunque, consegue il coordinamento degli attori
soprattutto attraverso la comunicazione (Compagno,1999). E’ necessario che le
parti condividano uno stesso linguaggio codificato e le norme ISO 9000 sembrano
supportare efficacemente questa base comunicazionale.
In generale la qualità può essere considerata come una modalità di governo e
coordinamento delle tradizionali variabili organizzative: struttura, meccanismi
operativi e cultura organizzativa. Di conseguenza la gestione del sistema qualità
non può avvenire per via gerarchica ma per linee orizzontali, dove si presuppone
la moltiplicazione e il miglioramento della comunicazione organizzativa che può
La Qualità: evoluzione, prospettive future e nuove visioni strategiche
realizzarsi attraverso relazioni interpersonali, condivisione di contesti di
esperienza e di linguaggi della qualità.
In particolare l’esperienza giapponese testimonia come l’impresa organizza la
divisione del lavoro insieme ad un processo di circolazione delle idee e delle
esperienze che offre un contesto comune agli specialisti. Ciò accade all’interno,
con le squadre interfunzionali e la circolazione programmata delle persone per
diverse funzioni e livelli interni; e accade con i fornitori, i distributori e in genere
con la catena del valore, in cui l’impresa giapponese sviluppa il modello
dell’apprendere lavorando insieme. Quindi la caratteristica del modello
giapponese è il ricorso alle capacità di auto-organizzazione e di comunicazione di
chi sta in ciascun punto della linea (Rullani,1992).
La qualità diventa la chiave per avere un’impresa più orizzontale, o, come è stato
detto (Baccarani, 1991), più armonica. Il potere della qualità è in mano a chi
agisce nel contesto della linea operativa, a chi ha i rapporti con il cliente. Il centro,
la gerarchia, si allontanano dalle decisioni operative: al centro non potrebbero
essere in alcun modo gestiti i problemi mal definiti. Si tratta quindi di far
funzionare l’impresa e i rapporti tra uomini attraverso la mediazione di linguaggi
formali, non diretti. Questa codificazione è resa necessaria da due grandi
trasformazioni dell’economia industriale: l’automazione e la globalizzazione. La
prima introduce sistemi dotati di una propria capacità di gestire la complessità
(macchine “intelligenti”), che sono necessari per soddisfare le esigenze
dell’economia globale che richiede una rapida trasformazione delle conoscenze e
delle esperienze.
Le imprese italiane si trovano, invece, a dover scegliere tra due concetti di qualità:
quella giapponese (condivisione dei contesti di esperienza) e quella codificata, che
rimanda ai linguaggi formali (Rullani,1993).
La prima è praticata nei distretti industriali dove si rivela utile rafforzare i legami
di fornitura entro la catena del valore. Esiste tuttavia un limite, per le imprese di
piccole dimensioni, alla divisione del lavoro che è possibile governare
espandendo il contesto di esperienza: quello che è stato possibile fare nei distretti
non può essere replicato in catene del valore che si allargano territorialmente a
paesi diversi e lontani. Le piccole imprese italiane devono, dunque, attrezzarsi
Capitolo primo
anche per la seconda soluzione e dal momento che il sapere, anche quello
codificato, proviene dall’esperienza, risultano significativi percorsi di
apprendimento fatti in direzione:
• dell’intelligenza artificiale;
• dell’internazionalizzazione.
1.3 QUALI PROSPETTIVE PER IL FUTURO?
E’ sempre difficile azzardare previsioni in un contesto strutturale di cambiamento
continuo e ad accelerazione crescente, ma può essere utile ragionare sugli scenari
possibili, tenendo conto dei fattori favorevoli (opportunità) e sfavorevoli
(minacce) in relazione all’evoluzione della qualità, intesa sia come sviluppo
culturale sia come estensione delle relative prassi ai rapporti di scambio di tipo
economico (qualità delle transazioni di mercato) e rapporti di tipo sociale (qualità
della vita).
Oggi disponiamo di conoscenze che ci permettono di capire parecchio riguardo ai
fattori che rendono le organizzazioni capaci di generare qualità e quest’ultima, nei
suoi aspetti più rilevanti, sarà fattore di differenziazione.
Gli attuali modelli Tqm faranno probabilmente sorridere fra vent’anni ma oggi
rappresentano un patrimonio ricco e solo in piccola parte sfruttato. Molte delle
loro implicazioni non sono ancora pienamente percepite e molte ipotesi riguardo
alla dialettica fra gli attori (stakeholder) dovrebbero essere sottoposte a verifica;
inoltre bisognerebbe valutare fino a che punto si è disposti a cambiare le
tradizionali architetture organizzative e mappe del potere. Tutto questo lascia
aperto un dibattito fondamentale, che troverà sicuramente risposte diverse nel
corso degli anni, ma che non dovrà essere sottovalutato dato che le organizzazioni
sono sempre più parte di sistemi che dilatano le loro relazioni, che tendono a
divenire planetarie con l’avanzare della globalizzazione e che si confronteranno
non solo sui prodotti ma su come gestiscono le proprie relazioni con clienti e
stakeholder.