Il sistema produttivo lecchese: identità perdute e animal spirits
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sociale ed economico, nazionale e internazionale; la seconda parte si concentra,
invece, sullo studio del “sistema Lecco” così come oggi si presenta, sia da un
punto di vista numerico-oggettivo sia secondo una prospettiva problematico-
qualitativa che, sulla base degli spunti di riflessione emersi durante i colloqui con
i protagonisti, cerca di mettere in evidenza le criticità del modello imprenditoriale
locale, tanto d’origine endogena, cioè frutto del comportamento degli operatori,
quanto esogena, ossia riconducibili alla più generale questione della
competitività del territorio.
Dopo un primo capitolo ripercorrente l’evoluzione del sistema produttivo locale
dagli albori dell’età moderna sino alla seconda guerra mondiale, e finalizzato a
dare una rappresentazione della consistenza quali e quantitativa anticamente
maturata dall’industria lecchese, la trattazione entra nel vivo cercando di
descrivere le caratteristiche soggettive della “Lecco che fu”: ciò avviene mediante
l’approfondimento delle vicende che portarono all’affermazione di alcune realtà
produttive che, proprio partendo dalla sponda orientale del Lario, seppero
“conquistare la vetta” dell’industria del Paese. Anche qui valgono le
considerazioni svolte in precedenza circa l’impossibilità di dar conto di tutti,
cosicché aziende d’assoluto valore quali la Sae o la Forni & Impianti Ing. De
Bartolomeis, non hanno avuto uno specifico approfondimento. La prima parte
della tesi si chiude poi con un capitolo che, riprendendo il discorso cominciato nei
paragrafi introduttivi, studia le modificazioni strutturali intervenute, nel tessuto
socio-produttivo lecchese, a seguito dei continui stravolgimenti economico-politici
che hanno tormentato tutta la seconda metà del Novecento.
Il quarto capitolo dà inizio alla seconda parte della trattazione: lo fa sviluppando
una robusta analisi quantitativa del tessuto socioeconomico lecchese, spaziante
dalla valutazione di aspetti di tipo socio-demografico all’approfondimento della
configurazione strutturale e delle relazioni commerciali con l’estero. Essa
costituisce la base su cui s’innesta il capitolo immediatamente successivo che,
finalizzato a descrivere i tratti peculiari del modello imprenditoriale così come
sono emersi dalle interviste, rappresenta il cuore di tutto il lavoro: è solamente
attraverso l’osservazione diretta dell’azione dei soggetti economici, infatti, che è
possibile apprezzare se e come la Storia sia in grado di determinare i risultati (e
di influenzare i futuri sviluppi) dell’area lecchese.
Dall’esperienza degli interlocutori sono inoltre scaturiti gli stimoli per la stesura
del sesto e ultimo capitolo, il quale, movendo proprio dalle preoccupazioni
espresse da imprenditori e manager, concentra l’attenzione sui principali fattori
Prefazione
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che ostacolano il rafforzamento della giovane provincia di Lecco, non
disdegnando, laddove opportuno e con la massima umiltà, di suggerire la strada
da percorrere affinché tali vincoli possano essere al più presto rimossi.
Per chi si trova particolarmente a proprio agio con i numeri e per tutti coloro che
sono interessati ad avere maggiori informazioni in merito all’attività delle Società
oggetto dell’indagine sul campo, è stata predisposta una ricca appendice, nella
quale i lettori potranno soddisfare parte delle curiosità che (almeno spero!) il
testo avrà loro suscitato.
Nell’augurare a tutti una buona lettura, è altresì doveroso rimarcare che la
responsabilità d’ogni singola e distinta parola componente la tesi è mia e soltanto
mia; anche l’inserimento di espressioni virgolettate o la riproposizione di pensieri
altrui, è esclusivamente esito della libera ricostruzione da me compiuta.
Le persone che, a vario titolo, hanno contribuito alla predisposizione di questa
tesi, sono davvero moltissime e una loro elencazione comporterebbe unicamente
il rischio di tralasciare qualcuno. Desidero, in ogni caso, manifestare la mia più
sincera gratitudine a tutti gli interlocutori per avermi concesso un po’ del loro
prezioso tempo e dico grazie a coloro che mi hanno aiutato ad organizzare le
interviste; esprimo, altresì, la mia riconoscenza alle tante persone che mi hanno
agevolato nella ricognizione delle fonti, aggiornandomi prontamente della
disponibilità di nuovo materiale.
Ringrazio sentitamente il Professor Enzo Pontarollo per la pazienza e la simpatia
dimostratemi durante l’intero percorso di studi.
Con l’elaborazione della tesi di Laurea si conclude una stagione importantissima
della mia vita: sento pertanto il bisogno di rivolgere un pensiero particolare ad
Amalia, Giovanna, Elide, Camillo e a tutte quelle persone che, anche solo con un
semplice gesto d’affetto, mi hanno incoraggiato e sostenuto nei momenti più
difficili.
Abbraccio i miei genitori, con la speranza che l’impegno profuso per il
raggiungimento di questo sospirato traguardo possa ricompensarli
dell’impagabile amore con cui mi hanno cresciuto.
Ed infine ringrazio Te, che pur non avendomi mai conosciuto, mi sei sempre
stato vicino…
Antonio Battazza
PRIMA PARTE
Capitolo 1
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CAPITOLO 1
L’economia lecchese dalle origini alla seconda guerra mondiale
1.1 Introduzione
Cercare di dar conto dell’evoluzione economica di un territorio attraverso i secoli
è impresa ardua, tanto più se ciò si colloca nell’ambito di un lavoro che ha come
obiettivo quello di portare in superficie la linea di congiunzione tra il presente del
tessuto produttivo locale e le sue origini storiche, e specialmente se questo
avviene con l’idea, certamente ambiziosa, di porre l’attenzione su quei tratti,
peculiari e ricorrenti, che in chiave evolutiva ne hanno determinato il successo.
Ciononostante, in questo primo capitolo si ripercorreranno le tappe principali
dello sviluppo economico lecchese lungo un ampio arco temporale, e lo si farà
attraverso una lente che sappia evidenziare tanto il radicamento plurisecolare del
sistema, quanto le specifiche difficoltà che ne hanno accompagnato lo sviluppo
fino al termine della seconda guerra mondiale. L’analisi, però, non scenderà mai
nel dettaglio delle singole vicende: questo, non soltanto perchè, come è
certamente vero, la maggior focalizzazione richiederebbe strumenti tipici
dell’analisi storico-economica, ma soprattutto, in quanto essa distoglierebbe
l’attenzione da quella visione di lungo, lunghissimo periodo, cui la tesi si
richiama.
1.2 L’industria lecchese dalle origini alla metà del XIX secolo
Le genti che nel corso dei secoli hanno popolato i territori di Lecco e di quella
che oggi costituisce la sua provincia, hanno saputo contraddistinguersi per una
laboriosità ed una capacità d’intrapresa economica di molto superiore rispetto ai
“canoni” medi del tempo cui, di volta in volta, ci si riferisce.
La spiccata vocazione produttiva nasce storicamente da una lunga tradizione di
attività non agricole e manifatturiere. L’industria principale, quella cioè che in
termini sia occupazionali sia produttivi, ha caratterizzato il territorio, soprattutto
negli ultimi due secoli, è rappresentata dalla lavorazione del ferro
1
’
2
. La
trasformazione del metallo nei villaggi intorno a Lecco, di cui si trovano tracce sin
1
Basti pensare che le prime testimonianze di questo genere d’attività risalgono al periodo
romano e che, in seguito, seppero suscitare l’interesse e gli studi di Leonardo da Vinci.
2
Una premessa è doverosa sin d’ora: storicamente le industrie predominanti nel lecchese
sono la lavorazione del ferro e il tessile. Poiché è il settore metallurgico-meccanico quello che
più si è mantenuto e sviluppato fino ai giorni nostri, già a partire da questa prima parte della
tesi, di impronta storica, le considerazioni inerenti l’industria tessile, in particolare serica,
avranno solo carattere marginale.
Il sistema produttivo lecchese: identità perdute e animal spirits
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dal ‘200, veniva praticata con assiduità già nel ‘500, grazie all’utilizzo del
minerale proveniente dalle vicine valli bergamasche, dalla Valsassina e dalla
Valvarrone. La vicinanza geografica di Lecco con la Valsassina è un elemento
centrale per comprendere lo sviluppo dell’industria del ferro nel Lario orientale, a
motivo del fatto che, per molti secoli, le miniere e i forni localizzati nella valle
costituirono il naturale bacino di approvvigionamento di combustibile e materia
prima da trasformare per le officine metallurgiche lecchesi
3
. Pur non venendo
mai totalmente meno questo storico legame, l’industria lecchese seppe operare
scelte che le permisero di svincolarsi dalla dipendenza dalla siderurgia valliva. E’
negli anni della Restaurazione, infatti, che in area lariana si intensificò l’impiego
del “ferro rotto”. Come ben evidenzia Cortella [1988], questa tendenza ebbe sulla
struttura produttiva lecchese e sui suoi destini futuri due effetti di particolare
rilievo: primo, le nuove necessità di fornitura spinsero i produttori locali a
sviluppare una fitta rete di relazioni e interscambi sia all’interno della Lombardia
sia nel resto della penisola; secondo, ma non certo meno importante, l’utilizzo del
ferro da recupero determinò la specializzazione produttiva dell’area, adattandosi
particolarmente alla produzione del filo di ferro e di tutti gli altri derivati della
vergella
4
.
In generale, gli anni della Restaurazione, nonostante una politica doganale volta
a proteggere le manifatture all’interno dei confini imperiali a danno delle aree
periferiche, furono particolarmente floridi per il tessuto produttivo lecchese, che
registrò una continua crescita di iniziative di costruzione, riattivazione e
ammodernamento di fucine, magli e botteghe. E’ in questo periodo che il sistema
maturò quelle caratteristiche fondanti che si possono così sintetizzare: assoluta
predominanza del lavoro extra-agricolo, diversificazione settoriale e territoriale
delle attività manifatturiere, vocazione per l’esportazione dei propri prodotti e
conseguente ipersensibilità alle decisioni di politica doganale, differenziazione
produttiva come risposta alle dinamiche congiunturali, “individualismo di
3
L’attività estrattiva in Valsassina conobbe un forte sviluppo sotto la dominazione dei Visconti
e degli Sforza, i quali ben intuirono le potenzialità offerte dalla compresenza di fattori naturali
(quali l’abbondanza di corsi d’acqua perenni, la copiosità di foreste sviluppatesi sui depositi
morenici lasciati dai ghiacciai e, infine, la composizione delle rocce contenenti notevoli
quantità di minerali ferrosi), tanto più quando le perdite del Bresciano e del Bergamasco a
seguito delle guerre con Venezia, privarono i Casati delle materie prime per l’industria
armoraria milanese. Sopravvissuta alla dominazione spagnola, la siderurgia della Valsassina
riprese con vigore sotto il dominio austriaco. Nel corso dell’Ottocento, però, le difficoltà,
connesse in special modo all’approvvigionamento del combustibile e al progressivo inaridirsi
delle vene di minerale, condannarono alla decadenza l’industria siderurgico-estrattiva della
valle.
4
Non va inoltre dimenticato il risparmio di combustibile (30-35% in meno) consentito dal
rimpasto del rottame e dalle seconde lavorazioni cui questo era sottoposto.
Capitolo 1
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sistema”. Sono questi elementi ricorrenti anche in altri modelli di
industrializzazione diffusa lombarda ma che qui si manifestarono con enfasi
particolare, anche e soprattutto in ragione della delicata collocazione geopolitica
dell’area. Non volendo tralasciare né la dimensione temporale dello sviluppo
economico né quella concettuale espressa dai fattori elencati, l’analisi procederà
coniugando la descrizione di una serie di dati e accadimenti, utili a far luce sulle
tappe principali nell’evoluzione del sistema economico locale, con
l’approfondimento dei soprarichiamati elementi che, a ben vedere, altro non sono
se non la chiave di lettura a posteriori degli avvenimenti stessi.
Al termine degli anni ’20 del XIX secolo, quindi assolutamente in anticipo rispetto
a quanto avvenne in altre zone del paese, la vocazione per la lavorazione dei
metalli si esprime chiaramente dall’osservazione dei dati sulla ripartizione delle
manifatture nel territorio: oltre il 75% dei lavoratori operava con il rame e il ferro,
rispetto ad un 15% legato alla produzione della seta, l’altra storica industria
lariana [Colli, 1999, 19]. In sostanza, al concludersi del primo quarto dell’800 il
sistema metallurgico lecchese presentava una morfologia definita, in cui era
predominante il ciclo della lavorazione della vergella e tondinella da ferro di
recupero, per la produzione di filoferro e derivati, e “le cui fasi si trovavano
frammentate e suddivise tra una molteplicità di unità produttive all’interno di
un’area geograficamente circoscritta” [Colli, 1999, 18].
Elemento basilare del sistema produttivo erano le fucine grosse per la
produzione dei masselli
5
; questi erano poi ridotti dalle fucine piccole in verghe
tonde (tondinella), quadrate (quadretto) o piatte (regia), oppure passate ai magli
da utensili, dove si costruivano arnesi di ogni tipo o attrezzi più voluminosi. Vi
erano poi opifici specializzati nella produzione di chiodi, serrature, arnesi da
serramenti, fibbie, morsi, catename. In tabella 1.1 è riportata la distribuzione
degli opifici metallurgici, così come schematizzata dalla Prefettura Dipartimentale
nel 1819.
Gli opifici operanti nell’industria del ferro erano raggruppabili in due tipologie: le
officine di prima lavorazione del ferro e quelle di seconda lavorazione. Nella
prima categoria rientravano i forni fusori, per la trattazione della ghisa e del
rottame, e le officine di affinazione, in cui la materia prima ricevuta dai forni
veniva ridotta in vergella. Le fucine trafiliere riducevano la vergella in filo di vario
spessore, rifornendo poi la schiera di fucine di seconda lavorazione in cui aveva
luogo la produzione di svariati articoli, derivati dal filo stesso. La specificazione
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Il “massello” è un blocco non grande di metallo lavorato al maglio, alla pressa o al laminatoio.