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INTRODUZIONE
Nel presente lavoro si rifletterà sulla valenza del “Sistema Preventivo”
di don Bosco, quale proposta pedagogica per educatori e, nella
fattispecie, per educatori di ragazzi a rischio di devianza.
Don Bosco fu un prete dell’ottocento che decise di dedicare tutta la
vita ai giovani e, in particolar modo, agli ultimi, a quelli che erano soli
al mondo e pertanto potenziali deviati. Egli fu impegnato nel campo
della comunicazione sociale e dell’educazione dei giovani in un secolo
caratterizzato da notevoli fenomeni migratori da parte delle
popolazioni rurali, nonché dallo sfruttamento del lavoro minorile.
Quando quest’ultimo era ancora la normalità, lui pretese delle tutele
divenendo il primo sindacalista dei suoi giovani, oltre che
un’importante figura adulta di riferimento. Applicando una pedagogia
esemplare, ovvero il sistema preventivo, riuscì a rispondere alle
problematiche sociali fronteggiando l’emarginazione umana e la
conseguente devianza giovanile, semplicemente servendosi dei tre
pilastri di tale sistema: la Ragione, la Religione e l’Amorevolezza. Con
tale sistema egli puntava alla formazione globale della persona del
minore in quanto comprese che le cause della devianza minorile vanno
ricercate, in parte, nella formazione della personalità dell’individuo. Le
cause della devianza, infatti, sono conseguenti ad un’inadeguata
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socializzazione che determina un imperfetto funzionamento del super-
ego e quindi un disadattamento che conduce il soggetto ad essere
deviante.
Nel primo capitolo si metterà a fuoco la vita di don Bosco ed il suo
Sistema Preventivo, che verrà descritto nei suoi punti salienti. Il
Sistema Preventivo non si configura come un manuale d’istruzioni per
l’uso ma, innanzitutto, come attenzione alla persona. Don Bosco,
infatti, conseguentemente alle proprie esperienze di vita, aveva
interiorizzato l’importanza e la necessità di applicare tale pedagogia
perché metteva al centro la persona dell’educando, ma probabilmente
anche perché era come se tale sistema fosse parte integrante del suo
dna. Ecco perché si comprende la pedagogia di don Bosco, quando si
comprende lui.
Nel secondo capitolo si tratterà il contesto attuale, nonché le
problematiche relative ad un processo formativo-educativo che un
educatore del XXI secolo deve fronteggiare. In particolare si
evidenzieranno le problematiche che un educatore di minori a rischio
di devianza si trova ad affrontare in un territorio ad alta densità
mafiosa, come quello siciliano, nonché le strategie che pone in essere.
Nel terzo capitolo ci si soffermerà sulle figure dell’educatore e
dell’educando oggi : due mondi che entrano in relazione attraverso un
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processo formativo-educativo arricchendosi vicendevolmente. In
particolar modo, si evidenzierà come, il Sistema Preventivo di don
Bosco possa essere “strumento motivante e d’apprendimento” per
educatori e per educandi.
Infine, in appendice, si riporteranno due esperienze personali tra di
esse correlate: quella del tirocinio universitario presso la Casa
Circondariale di Trapani e quella lavorativa presso il CAG (Centro
d’Aggregazione per minori) della Caritas diocesana di Trapani. Tali
esperienze si pongono come esempi di come sia possibile sperimentare
ancora oggi il modello educativo di un uomo dell’ottocento le cui idee
risultano attuali più che mai.
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Capitolo I
DON BOSCO ED IL SISTEMA PREVENTIVO
Nelle pagine seguenti a partire da un breve cenno biografico su don
Bosco si delineerà, nelle linee generali, il Sistema Preventivo, ovvero,
la metodologia pedagogica con la quale si approcciò a ciascuno dei
giovani che educò.
1. La vita di don Bosco
Giovanni Bosco nacque il 15 agosto 1815 nel Monferrato, a
Castelnuovo d’Asti, da Margherita Occhiena e Francesco Bosco. Con
la nascita di Giovanni la famiglia era costituita da otto persone: la
nonna paterna, i tre figli e due garzoni. Il peso non era indifferente, ma
l’attività e l’energia di Francesco davano sicurezza e serenità a tutta la
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casa. Purtroppo quella serenità era destinata a durare poco. Ai primi di
maggio del 1817 il padre fu colpito da polmonite, malattia temibile in
quei tempi, e l’11 maggio cessava di vivere (Fantozzi, 1992: pp. 35-
39). Da quel momento la responsabilità della famiglia passava nelle
mani di Margherita, donna che ha appreso la scienza di vivere non dai
libri, ma dalla tradizione orale. In quegli anni il coraggio di Giovanni
crebbe più della sua statura. Dalla madre, ricavò il senso del dovere,
del sacrificio, di Dio (Dacquino, 1988: p.20). Come i suoi fratelli,
ricevette un’educazione cristiana nella quale il catechismo era un testo
di pedagogia alla fede. Spesso si sentì ripetere: « Dio ti vede ». Questo
non era un annuncio di terrore, ma un avvertimento reverenziale, come
quando una mamma richiama l’autorità del padre in famiglia
(Fantozzi,1992: p.52). Il rapporto profondo tra madre e figlio ebbe un
ruolo determinante nella vita di don Bosco. Per tutta l’esistenza lo
accompagneranno non soltanto le sue parole e il suo esempio, ma
soprattutto la fiducia primaria costruita nel rapporto con lei.
Giovannino, nonostante il grave lutto, crebbe forte e sicuro. Grazie alle
figure paterne sostitutive (zii materni e una serie di sacerdoti), sviluppò
una personalità estroversa e, per questo, era molto amato dai coetanei,
ma anche molto temuto.
Un giorno, al termine della santa Messa, incontrò un sacerdote, don
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Calosso. I due parlarono a lungo e, alla fine, Giovanni motivava così la
sua volontà di abbracciare lo stato ecclesiastico: - «…per avvicinarmi,
parlare, istruire nella religione tanti miei compagni, che non sono
cattivi, ma diventano tali, perché niuno di loro ha cura…»(Dacquino,
1988: p.27) - Rimasto colpito da quel ragazzo, don Calosso fu il primo
vero padre buono per l’adolescente Giovanni. Grazie a quell’uomo
iniziò a studiare, pur dovendo alternare lo studio e la zappa. La
sventura, però, ancora una volta, bussò alla porta di Giovanni. Il 21
novembre del 1830, don Calosso morì, ma grazie a mamma
Margherita, poté proseguire gli studi. L’anno successivo iniziò i corsi
regolari presso la scuola pubblica della città di Chieri, in provincia di
Torino. Durante quegli anni, si mantenne agli studi facendo umili
mestieri quali si approcciò: sarto, barista e pasticciere. Giovanni spesso
studiava la notte, ma non era un problema: mamma Margherita
l’aveva abituato a dormire poco (Dacquino,1988: pp. 23-32). Nel
1835, ormai ventenne, Giovanni prese la decisione più importante
della sua vita, entrare in seminario. Trascorsero altri sei anni di studio
e, nonostante le difficoltà, Giovanni visse serenamente. Come negli
anni appena trascorsi, ebbe a suo favore una portentosa memoria e i
suoi sogni.
Il 5 giugno del 1841, anche grazie al suo benefattore e direttore
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don Cafasso, Giovanni Bosco venne consacrato sacerdote in eterno.
Alcuni minuti dopo, celebrò la sua prima Messa. Quella sera mamma
Margherita gli disse: «Ora sei prete, sei più vicino a Gesù. Io non ho
letto i tuoi libri, ma ricordati che cominciar a dir Messa vuol dire
cominciare a soffrire. D’ora innanzi pensa soltanto alla salvezza delle
anime, e non prenderti nessuna preoccupazione di me» (Bosco, 1999:
p. 10). E fu questo quello che decise di fare. Subito dopo l’ordinazione
gli vennero offerti sicuri posti di cappellano, ma egli, consigliato da
don Cafasso, rimase a Torino a perfezionare i suoi studi di teologia.
Intanto, ogni sabato, con “il prete della forca” (don Cafasso), si recava
presso le carceri. Nel corso di questa esperienza che tanto lo turbò,
iniziò a pensare a come evitare che quei giovani finissero in carcere o,
almeno, a come poter evitare che ci ritornassero una volta liberi. Don
Cafasso, ancora una volta, gli fece da guida dandogli il suo ultimo
incarico: l’oratorio. A tale scopo, si trasferì dal convitto all’ospedaletto
e al rifugio, nel quale collaborò con il teologo Borel. Stava per aver
inizio la storia dell’oratorio e di don Bosco educatore dei giovani
(Dacquino, 1988: pp. 47- 49).
Il primo dei suoi ragazzi fu un sedicenne immigrato da Asti,
Bartolomeo Garelli. Era l’8 dicembre del 1841, l’incontro avvenne
nella sacrestia della chiesa di S. Francesco d’Assisi. Il sacrestano,
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pensava fosse lì per rubare e lo cacciò a bastonate, quando intervenne
don Bosco, dicendogli di lasciarlo in quanto suo amico. Il ragazzo
rimase sorpreso da quel gesto e gli raccontò la sua storia. Fu recitando
un’Ave Maria in sua compagnia che iniziò l’oratorio. Da quel
momento, ogni domenica, arrivavano nuovi ragazzi, che svolgevano
svariati mestieri. Tale situazione era nella norma, perché dal 1838 al
1848 la città di Torino fu protagonista di un notevole sviluppo
demografico (Stella, 1979). La maggior parte di quei giovani faceva il
muratore, così, durante la settimana, don Bosco si rimboccava le
maniche e saliva sui ponti, tra i secchi di calce e le pile di mattoni, per
trovare i suoi ragazzi. Ma le sue visite non si limitavano a questo. Egli
si fermava anche a conversare con i loro datori di lavoro. In Italia fu
uno dei primi ad esigere regolari contratti di lavoro per i suoi giovani
apprendisti e a vigilare perché i padroni li rispettassero (Bosco, 1999:
p.19).
Il tempo passava e, nonostante i tanti sacrifici e gli ostacoli, il
numero dei ragazzi cresceva sempre di più e con esse il numero delle
energie richieste. Nel luglio del 1846 i ragazzi erano circa cinquecento.
Durante una delle sue intense giornate, don Bosco svenne. Era stato
colpito da una grave forma di pleurite. Per ben otto giorni, durante la
sua agonia, i suoi ragazzi, nonostante le 12 ore di lavoro, si
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alternavano perché ci fosse sempre, notte e giorno, chi pregava per don
Bosco davanti alla Madonna. Quelle preghiere furono ascoltate. Una
domenica, verso la fine di luglio, appoggiandosi ad un bastone, scese
in oratorio dai suoi ragazzi, per far loro una promessa: «La mia vita la
devo a voi. Ma siatene certi, d’ora innanzi la spenderò tutta per voi»
(Bosco, 1999: p.20). Per la convalescenza tornò ai Becchi, dalla
madre. Da quel momento non si sarebbero più lasciati. La donna,
infatti, lo seguì al suo ritorno a Torino per aiutarlo e per fare da madre
ai suoi cinquecento ragazzi.
Come aveva promesso, ai suoi giovani, don Bosco dedicò tutta la
vita. Morì all’alba del 31 gennaio 1888. Nelle sue ultime ore, il suo
ultimo pensiero fu sempre per i suoi giovani: -…dite ai miei ragazzi
che li aspetto tutti in Paradiso…- (Bosco, 1999: p.32)
2. Il Sistema Preventivo
Oggi, non è per nulla facile esprimere, in termini moderni e
scientifici, quello che Don Bosco intendeva per Sistema Preventivo
perché il termine “preventivo” era, a metà Ottocento, il termine di
moda, al quale tutti, nel mondo ecclesiale, accedevano per esprimere
situazioni di aiuto. Era un temine di impostazione cristiana usato anche
per le situazioni sociali ed era stato teorizzato dal pedagogista abate