13
INTRODUZIONE
Se è vero che ogni epoca ha le sue sfide è altresì certo come esistano sfide attuali
in ogni epoca, inossidabili al trascorrere del tempo.
L’uomo, da quando conosce il vivere associato, ha sempre avvertito e
riconosciuto l’esistenza di un legame capace di trascendere la dimensione
individuale, e accomunare, in una certa misura, il destino di ciascuno a quello dei
suoi simili, facendo trovare riflessa nello specchio la risposta alla domanda “per
chi suona la campana?”.
Ma se il quesito, o il problema, si ripresenta annualmente identico nella sostanza,
a mutare devono essere azioni e soluzioni. La previdenza sociale è infatti la
risposta moderna ad un problema antico.
Sarebbe però una lettura distorsiva tentare di rinvenirne esempi già nel mondo
greco e romano, dove il lavoratore in quanto tale non era nemmeno ancora
riconosciuto come soggetto di diritto. Iniziative a favore degli individui più
deboli, seppur evidentemente presenti e con lo scopo medesimo di sollevare dal
bisogno, erano piuttosto riconducibili a forme di assistenza sporadicamente
pubbliche ma, più soventemente, di natura privata.
Assodata quindi la previdenza sociale come un prodotto tipicamente moderno,
nato in un suo specifico contesto storico, si è provato, nei primi tre capitoli del
presente lavoro, di tracciare una sorta di fenomenologia del sistema pensionistico,
eminentemente in ambito italiano, dopo la sua progressiva emersione
dall’indistinto mare dell’assistenza e dalla beneficienza pubblica, fino al
riconoscimento della sua piena autonomia giuridica e sociale.
14
Come accennato, degli aspetti predetti si occupano essenzialmente le prime tre
sezioni.
La prima ha il compito di fornire le coordinate generali di riferimento ed iniziare
la narrazione dai tempi più remoti per terminare la descrizione degli eventi sul
finire degli anni 2000: un periodo estremante ampio rispetto all’arco temporale
coperto dai capitoli II e III. Tuttavia, è qui raccontata l’intera fase di espansione
dell’apparato pensionistico e previdenziale, sospinto da un’accecante “furia del
presente”
1
, tale da scacciare qualsiasi preoccupazione collettiva per l’avvenire,
impedendo di valutare in prospettiva ciò che stava accadendo: l’idea dominate era
quella di una crescita economica illimitata, non percependo neanche, sul piano
demografico, quale impatto, dopo il breve baby boom post bellico, avrebbe avuto
la diminuzione delle nascite sul futuro del Paese.
La sezione seconda continua l’esposizione dei fatti da dove si era interrotta la
prima, optando però, questa volta, su un focus tematico preciso costituito dalla
riforma Monti-Fornero. Radicale, contestata, attuale, e il naturale punto di
partenza per ogni discussione avente ad oggetto il nostro sistema pensionistico,
rappresentando di fatto il testo fondamentale della vigente disciplina, cui sono
succeduto modifiche unicamente nella forma di eccezioni e deroghe temporanee,
ma nessuna sostanziale modifica.
A concludere la prima parte della tesi è posto il terzo capitolo contenente gli
sviluppi più recenti della disciplina, molto spesso dovuti alla persistenza degli
effetti della l. n. 214/2011 e alla ricerca di un nuovo difficile equilibrio d’insieme
da rintracciare tra esigenze ed interessi spesso contrapposti.
1
ALLEGRETTI UMBERTO (2014), Storia costituzionale d’Italia. Popolo e istituzioni, Il Mulino,
Bologna, p. 177.
15
Al termine di questo trittico retrospettivo, da leggere con organica unità, sono
poste due ulteriori suddivisioni alle quali è affidato l’ingrato compito di gettare un
ponte verso il futuro individuando il punto di approdo di un viaggio, in una
dimensione intrinsecamente dinamica e dialettica, che si scopre e si realizza nel
suo divenire.
Il quarto capitolo accoglie così la trattazione della previdenza complementare ed
integrativa nei suoi aspetti normativi e funzionali, evidenziandone sviluppi,
potenzialità oltre a lati oscuri meno noti e spesso ignorati.
La quinta ed ultima partizione è quella dei traguardi impossibili. La stessa
titolatura rimanda programmaticamente ad eventi successivi, e per noi futuri, di
ostica individuazione. Ecco spiegata la scelta espositiva di procedere per nuclei
tematici, cercando non tanto di prevedere le sorti del sistema in sé, quanto
piuttosto di analizzare questioni, attuali o destinate a diventarlo, assolutamente
cruciali per la determinazione degli scenari a cui andremo incontro. In questo
senso il riferimento va ad argomenti quali: il patto intergenerazionale; il problema,
perché di questo ormai si tratta, demografico; la galassia del lavoro marginale.
17
CAPITOLO I
STORIA DEL SISTEMA PREVIDENZIALE
ITALIANO
“Non c’è epoca che non sia apparsa moderna a se stessa”
~ Walter Benjamin
Gli istituti di previdenza sono da sempre storicamente e socialmente chiamati ad
assolvere il soddisfacimento di bisogni specifici riconducibili, nell’ottica
dell’analisi ormai divenuta classica proposta da Maslow, a quelli relativi al campo
della sicurezza, gerarchicamente immediatamente successivi solo alle necessità
fisiologiche.
In generale, il bisogno è avvertito nella forma di mancanza oppure privazione
soventemente, come nel nostro caso, derivante da rischio o situazione sfavorevole.
All’interno di siffatto schema, “se di bisogno stimolo li trafigge”
2
, gli uomini
hanno variamente tentato di arginare le ansie e le avversità discendenti da questa
inclinazione deterministica intrinseca alla loro natura attraverso, in primo luogo,
l’aggregazione con i propri simili.
Già Aristotele individuava nel bisogno il motore all’origine di tutte le comunità
(la famiglia, il villaggio ed in ultimo lo Stato), le quali “si costituiscono in vista di
2
Dante Alighieri, Commedia, Purgatorio XXV, 6
18
un bene”
3
: ecco spiegato il motivo per cui ogni società si tutela attraverso apposite
norme (per quanto sfuggenti possano essere le modalità di traduzione fattuale del
processo), giacché il suo stesso fine escatologico ed esistenziale va ricercato nella
perpetuazione di sé attraverso la conservazione degli individui, la quale è
possibile solo se le necessità di questi sono in qualche misura soddisfatti.
All’interno della disomogenea moltitudine di bisogni che attanaglia l’uomo è
opportuno distinguere, pur in presenza di effetti medesimi, cause diverse, ovvero
procedere all’identificazione dei rischi quali scaturigine degli eventuali stati di
privazione. Tra questi, la prominenza di alcuni è tale da trascendere la dimensione
individuale per essere assurti a rilevanza in una sfera superiore.
La sublimazione a rischio sociale è subordinata al verificarsi di precise condizioni
ovvero: il sensibile impatto delle condizioni di alcuni sulla stabilità dell’intera
compagine sociale, l’impossibilità di assicurare alcune circostanze, il pubblico del
merito di tutela.
Senza la pretesa di esaminare in questa sede le soluzioni sviluppate nelle varie
epoche e pur limitandoci all’esempio italiano, pareva doveroso offrire al lettore
fin dalle prime battute scopo, obbiettivi e aspettative nutrite nei confronti dei
soggetti protagonisti di questo scritto: i sistemi previdenziali moderni non saranno
infatti altro se non emanazione del Welfare State, ovvero lo Stato capace e
desideroso di assumere la responsabilità di coprire i grandi rischi sociali per la
generalità della popolazione.
3
Aristotele, Politica I, 1, 1252a
19
1.1. Dalle origini agli anni Novanta
Nelle società antiche la famiglia rappresentava il primo e principale baluardo
contro le incertezze e le avversità dell’esistenza assolvendo funzioni che oggi
definiremmo previdenziali, assicurando attraverso, soprattutto, la numerosità della
stessa un sostegno economico e morale a tutti i suoi membri secondo un’idea non
del tutto scomparsa nemmeno in tempi moderni, in particolar modo all’interno dei
sistemi di welfare cosiddetti “mediterranei”.
L’avvento della prima rivoluzione industriale, tra 1760 e 1840, con l’annesso
fenomeno dell’inurbamento, determina irrimediabilmente la rottura di quella rete
solidaristica basata sui rapporti di parentela cui abbiamo accennato poc’anzi,
amplificando i rischi (quali povertà e malattia) di quelli che oggi definiremmo
lavoratori subordinati, il cui salario rappresentava l’unica fonte di sostentamento
anche per prole e coniuge: nel caso in cui questo reddito fosse venuto meno
l’unico argine all’indigenza era rappresentato dalla filantropia o dalla carità degli
enti religiosi.
All’interno di questa mutata condizione sociale nascono come risposta ai bisogni
della classe proletaria (e non solo) le società di mutuo soccorso, associazioni in
cui determinati gruppi professionali decurtavano una quota dal proprio salario
destinandola ad un fondo comune, costituito su base volontaria volto ad erogare
rendite in caso di inabilità, vecchiaia o secondo i casi contemplati nelle previsioni
statutarie; alla benevolenza dei singoli si aggiungevano fondazioni locali per i
poveri sebbene la loro misura fosse ridottissima. Ben presto emersero però i limiti
di questo sistema, innanzitutto per via dell’assenza di una precisa correlazione
attuariale tra i premi pagati e le prestazioni erogate, determinando la tendenza dei
20
più giovani a costituire nuove mutue, interrompendo così il vincolo di solidarietà
intergenerazionale indispensabile in ogni esperienza previdenziale.
Sul finire del XIX secolo, anche in seguito all’esplosione della “questione
sociale”, le proporzioni assunte dal problema resero ormai indispensabile
l’intervento dello Stato, con l’introduzione del sistema delle assicurazioni.
In Italia sul modello della legislazione tedesca vennero introdotte l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro degli operai dell’industria (l. n.
80/1898) e la cassa nazionale per l’assicurazione (su base volontaria) contro la
vecchiaia e l’invalidità degli operai (l. n. 350/1898).
Il successo di questo modello fu tale da conoscere ben presto estensione ad altri
ambiti e vicende, ma è d’uopo ricordare come gli oneri previdenziali fossero fatti
ricadere sui soli soggetti interessati (lavoratori e datori di lavoro) all’interno di un
adeguamento, ma non del superamento, dell’ideologia liberale basata sulla
neutralità dello Stato rispetto alle esigenze dei cittadini.
Durante il Ventennio fascista il sistema conobbe una parentesi nuova
rappresentata dall’introduzione del sistema corporativo per cui le funzioni di
assistenza e previdenza furono affidate alle categorie professionali coinvolte,
mentre lo Stato si riservava il compito di coordinare ed unificare tutta la disciplina
in nome della sua rilevanza pubblica.
Nello stesso periodo, con il Regio Decreto Legge 636/1939 venne introdotto un
istituto di importanza capitale, ancora oggi presente con i dovuti aggiornamenti, e
noto come prensione di reversibilità.
La promulgazione nel 1948 della Carta costituzionale dello Stato
repubblicano ha determinato un vero e proprio cambio di paradigma della
21
previdenza sociale: le norme di apertura della Carta fondamentale affermano il
valore del lavoro e l’impegno dello Stato a rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,
oltre a configurare la protezione sociale come un dovere della collettività ed
espressione di una condivisa istanza di solidarietà sociale.
Il tema della previdenza e dell’assistenza conosce una forte costituzionalizzazione
mediante l’art. 38 Cost. il quale, al primo comma, afferma come “ogni cittadino
inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale” mentre, al secondo comma, riconosce ai
lavoratori il “diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria.”.
Tale formulazione ha dato origine ad un copioso dibattito dottrinale
4
, avente ad
oggetto l’identificazione del modello di tutela realmente accolto dall’ordinamento.
4
L’art. 38 Cost. a causa proprio per la sua ampiezza è stato oggetto di diverse ed alternative
letture, specchio di una differente sensibilità e di una varia qualificazione del concetto di sicurezza
sociale.
Da una parte sta chi, sostenendo un’interpretazione tradizionale, sottolinea l’irriducibilità del
diritto all’assistenza sociale sancito all’art. 38 Cost. al primo comma, e del diritto a ricevere invece
una prestazione previdenziale come stabilito al secondo comma, rifiutando un unico schema e ad
un'unica nozione di solidarietà sociale. In quest’ottica la Costituzione andrebbe a delineare un
modello essenzialmente dualistico, risultante dal concorso dell’assistenza sociale, finalizzata al
soddisfacimento dei bisogni dei cittadini inabili al lavoro e finanziariamente sostenuta facendo
ricorso alla solidarietà generale, con la previdenza sociale caratterizzata dall’essere una forma
obbligatoria di assicurazione sociale destinata a tutti i lavoratori, con carico finanziario gravante
principalmente sui lavoratori stessi ed i loro datori; allo Stato sarebbe così imposto solo l’obbligo
di provvedere alla istituzione e al mantenimento di tale apparato.
Agli antipodi sta la tesi, dall’ispirazione universalistica e unitaria, dovuta principalmente al
pensiero di M. Persiani ed espressa nel volume Il sistema giuridico della previdenza sociale,
tendente a figurare una reciproca complementarità di assistenza e previdenza. Secondo questo
indirizzo entrambi i commi muoverebbero verso il medesimo fine, ovvero quello di garantire la
liberazione dal bisogno. In tale prospettiva, quella solidarietà previdenziale che secondo lo schema
mutualistico verrebbe a crearsi tra lavoratore e datore di lavoro sarebbe superata da una solidarietà
coinvolgente l’intera collettività che si fa carico dell’obbligatorietà di tale sistema previdenziale. In
questo senso, l’intervento finanziario dello Stato si rende necessario, anche per i lavoratori, ogni
qual volta la solidarietà infracategoriale si rivela non del tutto sufficiente per il raggiungimento
dell’effettiva sicurezza sociale del singolo individuo.