Presentazione
3
studente, che costituisce il virtuale referente finale di questo scritto, potrebbe
riscontrare alcune difficoltà. Per prima cosa, questi testi riassuntivi danno per
scontata una minima conoscenza dell’argomento, giacché nella maggioranza
dei casi essi si rivolgono al mondo degli specialisti del settore; in secondo
luogo, sono volutamente abbastanza ridotti nelle dimensioni, rimandando per
approfondimenti alla copiosa (e preziosissima) bibliografia, spesso
conosciuta dagli altri storici a cui ci si rivolge, visto che verosimilmente
hanno contribuito alla crescita della stessa; ne risulta, in terzo luogo, una
presenza di studi tendenzialmente settoriali, come dirò più sotto; in ultimo, le
prospettive d’analisi dei vari storici sono ovviamente molte e una panoramica
sulle voci che mi sono sembrate più significative, nello scenario storiografico
preso in considerazione, propone a mio parere una stimolante coralità di
vedute.
Le domande, come è ovvio che sia, non hanno tardato a sorgermi
spontanee e a spostare la mia attenzione dagli intenti, alla metodologia da
seguire. Come pretendere infatti completezza all’interno di una tesi
universitaria con riferimento allo studio di un settore, quell’agricolo
mezzadrile, che per sua stessa natura ha interessato e coinvolto così
capillarmente un’intera società, in tutti i suoi ambiti, per tanto tempo? Difatti,
già a un primo spoglio bibliografico notai, come detto sopra, che la quantità
di ricercatori che si erano dedicati sino a quel momento all’argomento era
significativo; e non mi stupiva che molti di questi professionisti certosini, per
adottare un’analisi che tendesse all’esaustività, avessero focalizzato
l’attenzione ora su un aspetto nell’evoluzione del sistema mezzadrile, ora su
una ristretta area geografica o temporale, ora su di un autore ottocentesco in
materia agronomica, e così via. Quale poteva essere il discrimine tra ciò che
dovevo considerare più utile e ciò che potevo relegare ai margini della ricerca
o escludere direttamente? E soprattutto come individuarlo all’interno di
Presentazione
4
quella ridda impressionante di ricerche storiografiche? E infine, come
ponderare tutta questa quantità di studi? Gradualmente mi sono formato il
mio piano di lavoro. Quasi totalmente digiuno dell’argomento, ho cercato
all’interno degli studi di storia agraria locale, ma non solo, testi che potessero
da subito incorniciare gli orizzonti del mondo a cui mi stavo avvicinando. E
qui è più che giusto che io incominci subito a pagare il mio debito di
riconoscenza ad un grande studioso di storia economica in ambito adriatico:
il prof. Sergio Anselmi, scomparso nel 2003, conosciuto tardivamente solo
attraverso alcuni suoi studi.
Essi mi sono stati di enorme aiuto e costituiscono di fatto la linea guida
di questo mio scritto: e ciò non solo per quanto concerne i molti suggerimenti
che le sue indagini storiche possono dare ad un giovane ricercatore, ma
anche perché tali lavori sono una vera e propria miniera di indicazioni
bibliografiche. E’ stato poi attraverso i rimandi incrociati tra i vari testi dei
quali venivo pian piano a conoscenza che ho poi potuto cominciare ad
orientarmi, individuando così quelle opere che si possono considerare dei
veri e propri classici del settore. Così da Anselmi, sono passato a Sereni,
Giorgetti, P, Sabbatucci, Sori, solo per citarne alcuni; questi poi mi hanno
introdotto alla conoscenza di altre numerose fonti, la cui reperibilità
rappresentava per me un ulteriore problema. Infatti una perlustrazione
personale degli innumerevoli archivi sparsi nella regione alla ricerca di fonti
storiche attinenti il periodo analizzato (conti, libri mastro, documenti
catastali, atti notarili, cronache del tempo, dettami di agronomia, inchieste, ed
altro ancora), avrebbe comportato prima di tutto un lavoro anche pluriennale
di indagini, per ottenere quel quadro complessivo che qui si vuole dare; e, in
ogni caso, con risultati sommari. Inoltre sarebbe stato un atto di presunzione,
non approfittare del grande lavoro presente nelle nostre biblioteche, come
evidenziato poc’anzi. Ciò tuttavia non vuol dire che in questa sede abbia
Presentazione
5
trascurato totalmente le fonti storiche primarie propriamente dette,
basandomi esclusivamente su di una sintesi dei vari lavori evidenziati nel mio
primo approccio bibliografico; ho preso anzi questi come un’utile guida per
individuare quelle fonti maggiormente interessanti per il loro valore
esplicativo del tema trattato nei vari capitoli - si vedano i contratti, capitolati
ed altri documenti inseriti nelle appendici -. A tal proposito, è imprescindibile
il riferimento alla biblioteca comunale di Senigallia, la cui vastità in merito
alla bibliografia del tema di questa tesi, mi ha permesso di operare con molta
tranquillità e senza limitazioni di sorta, anche per quanto ha riguardato la
reperibilità di alcune delle fonti presentate nelle appendici di questa ricerca.
Tali appendici, inserite alla fine di ognuno dei capitoli pertinenti l’Ottocento
ed il Novecento, costituiscono un’imprescindibile integrazione ai singoli
periodi cronologici trattati, nell’evidenziare l’evoluzione del sistema
mezzadrile marchigiano. Queste le precisazioni che mi premeva dare per
inquadrare senza alcuna ambiguità questo lavoro; gli intenti e l’approccio che
vi soggiacciono.
Ora, nella conclusione di questa presentazione, voglio passare ad
illustrare brevemente il perché della scelta di questo tema e, cosa più
importante per comprenderne la prospettiva utilizzata, il perché dei due
vincoli da me posti a questa ricognizione storica: le Marche come campo di
indagine geografico e gli ultimi due secoli di vita della mezzadria.
Per quanto concerne il tema, una tesi di storia agraria mi è sembrata
un’ottima opportunità per guardare alla storia da un’angolazione diversa.
Un’angolazione che inquadrasse la cosiddetta “piccola storia”, che poi
piccola non è assolutamente, visto che solo essa può dare la vera cifra del
terreno su cui poggia quella cosiddetta “grande”, le cui tessere che la
compongono sembrerebbero le uniche degne di fregiarsi del titolo di eventi,
relegando la vita, quella vera, nell’ombra di una quotidianità non meritevole
Presentazione
6
di essere raccontata. La storia dell’umanità che ne uscirebbe, se così fosse,
sarebbe solo una lunga descrizione di avvenimenti che ci direbbero infine
poche cose sulla conoscenza dell’uomo nel corso del suo cammino storico.
Fino a non molti anni fa l’agricoltura è stata sicuramente l’attività umana più
diffusa nelle varie società presenti ai quattro angoli della terra, e anche quei
ceti che non potevano essere collegati direttamente ad essa ne furono
sicuramente condizionati, seppur con sfumature molto diverse a seconda dei
casi, per il semplice motivo che quella rappresentava il settore vitale
all’interno di società legate fortemente alla natura ed ai suoi capricci. Non
bisogna scordarsi che l’agricoltura è stata uno degli strumenti che hanno
contribuito a fare dell’uomo un essere assolutamente distinto su questo
pianeta; un essere in grado di controllare la natura ed affrancarsi in qualche
modo da essa, seppur lentamente, e porre le basi per “l’invenzione” del
commercio prima e dell’industria poi, attorno o dentro le città, in una
crescente emancipazione dalla natura stessa che ancor oggi molte persone
avvertono come segno distintivo dell’uomo “civile”
1
. Ecco il perché
dell’agricoltura come interessante angolazione da cui osservare l’uomo.
Ma nel titolo di questo mio lavoro non parlo di agricoltura, bensì di
mezzadria; cioè di quella particolare organizzazione economica-sociale,
potremmo dire culturale in senso lato, che ha rappresentato il più diffuso
modo di fare e vivere l’agricoltura all’interno di una determinata area (che
per il momento mi limito qui a circoscrivere alle regioni centrali dell’Italia),
nel corso di molti secoli.
Veniamo più d’appresso quindi ai due vincoli di cui si è detto. La
scelta delle Marche all’interno dell’area mezzadrile è stata una scelta non
solo, diciamo, affettiva, ma anche di carattere strategico: tramite essa ho
1
Non si pretende certo dare qui un excursus della storia umana. Quello presentato è ovviamente un quadro
tanto generico che ben si adatta a mio avviso alle molte civiltà e società umane presentatesi nel tempo, al di
là delle moltissime variabili in gioco e risultati diversi prodottisi nel corso della storia dell’uomo.
Presentazione
7
potuto trovare tutto il materiale di cui abbisognavo in loco, avvalendomi tra
l’altro di una tradizione storiografica molto radicata nel territorio. Un
discorso a parte merita invece la scelta del periodo storico entro cui mi sono
mosso: gli ultimi due secoli della mezzadria marchigiana. Devo specificare
però che l’analisi di questo scritto verte principalmente sul periodo che va
dalla costituzione del regno italiano fino alla scomparsa “ufficiale” di questo
contratto negli anni ’60 del novecento (un secolo quindi); il discorso si
allargherà tuttavia inevitabilmente per necessità di completezza agli inizi
dell’800 e ad una incursione negli ultimi decenni del ‘900, per osservare qui,
con rapida occhiata, cosa è venuto a generarsi dall’humus mezzadrile
marchigiano.
Precisato ciò, per quanto concerne la giustificazione della scelta
temporale ‘800-‘900, come campo di indagine su di un argomento con una
storia plurisecolare, ben oltre quindi il vincolo qui dato, incisive sono le
parole di P. Bevilacqua
2
legittimando una scelta simile anche se in un’ottica
nazionale. Egli fa notare infatti che è in epoca moderna che si producono quei
consolidamenti e quelle trasformazioni che formano, nel bene e nel male, la
fisionomia del sistema agricolo italiano, ereditato dall’età contemporanea
(così è anche, aggiungo io, per quanto riguarda la mezzadria marchigiana).
Importantissimo quindi il periodo secolare che occupa tutto il basso
medioevo e l’età moderna, ed un richiamo ad esso nel corso della trattazione
è quindi inevitabile. Ma oggi, ed è qui il punto più importante sollevato da
Bevilacqua, quella società in cui l’agricoltura costituiva un fattore
importantissimo nella sua esistenza non esiste più:
l’Italia non ha più al suo interno una ‘ questione contadina ’ […]
Anche nelle nostre campagne gli addetti dell’agricoltura sono
2
PIERO BEVILACQUA, Presentazione, in AA.VV., Storia dell’agricoltura italiana. In età
contemporanea.
Presentazione
8
andati rapidamente assottigliandosi, mentre […] La
meccanizzazione capillare delle campagne, i sistemi sempre più
sofisticati di irrigazione, le concimazioni diffuse, la selezione e
ibridazione delle sementi, hanno prodotto negli ultimi trent’anni,
anche da noi, una rivoluzione agricola senza precedenti.[…]
Ora è proprio la scomparsa, più o meno completa, di tutto
un vecchio mondo[…] a rendere necessari e incalzanti alcuni
quesiti che costituiscono l’oggetto centrale della riflessione
sottesa a quest’opera [e tale riflessione risulta importantissima
anche all’interno di questa mia tesi in riferimento al mondo
mezzadrile marchigiano]:con quali caratteri originali,
peculiarità regionali, strutture sedimentate nel lungo periodo,
l’agricoltura italiana ha fatto ingresso nel mondo
contemporaneo?[…] quanto e come questo settore[…] ha
contribuito alla trasformazione complessiva della società
italiana e alla plasmazione della sua attuale fisionomia?
3
Così, come è ovvio, anche per la mezzadria nelle Marche, peculiarità
sociale, economica, culturale di quell’insieme più grande che è l’agricoltura
nazionale italiana. Addentrarci nei suoi sviluppi all’interno dell’età
contemporanea, vedere più d’appresso con quale sostrato culturale la regione
marchigiana si è presentata ai giorni nostri e quanto questo retaggio sia
ancora presente nella nostra cultura, è l’obbiettivo di questo studio.
3
P. BEVILACQUA, op. cit. p. XXII
Capitolo 1. Origini e linee di sviluppo del sistema mezzadrile
9
Capitolo 1. Origini e linee di sviluppo del sistema mezzadrile
Mi è sembrato interessante oltre che utile, proporre, in via preliminare,
una sommaria storia dell’evolversi nei secoli dell’istituto mezzadrile
marchigiano.
Per quanto concerne la ricerca delle radici dell’albero genealogico
mezzadrile bisogna arrivare fino al basso medioevo ed in particolare al secolo
XIV nel quale compare per poi diffondersi largamente, il contratto
mezzadrile nella sua forma peculiare, fatte salve “deviazioni” date dagli usi
locali:
un proprietario o affittuario terriero (concedente) assegna
al socio colono [sottolineatura mia] un podere già idoneo alla
produzione agricola e dotato di casa per la residenza stabile del
coltivatore [ricevente] e della sua famiglia, di necessità
proporzionata alla misura del suolo a lavorare; il colono si
impegna a lavorarlo e partecipa, in uno con i familiari a lui
moralmente e legalmente subordinati, alle spese di gestione e
agli utili in ragione del 50%.
1
È un patto bilaterale di durata più o meno lunga, ma
tacitamente rinnovabile e annualmente disdettabile.
2
1
SERGIO ANSELMI, Mezzadria e mezzadri in SERGIO ANSELMI, Chi ha letame non avrà mai fame,
p.264.
2
SERGIO ANSELMI, Una storia dell’agricoltura marchigiana in SERGIO ANSELMI Agricoltura e
mondo contadino, p.35.
Capitolo 1. Origini e linee di sviluppo del sistema mezzadrile
10
Esenzione dei contadini da ogni onere reale e personale.
Nel tempo, poi, le cose cambieranno.
3
Tale contratto si diffonderà prevalentemente in quella che può appunto
essere definita area mezzadrile, per quanto concerne la forte presenza di tale
contratto al suo interno almeno fino al secondo dopoguerra, area
comprendente Toscana, Umbria, Marche e parte della Romagna
4
. Esso sarà
poi nei secoli seguenti lo strumento capitale adottato dalle singole città sui
rispettivi contadi, principale forma di rapporto contrattuale contadino-
padrone e tipologia gestionale dei poderi preferita nelle campagne delle
regioni sopra indicate.
Il contratto mezzadrile, al di là delle sue varianti localistiche che non
inficiano le sue peculiarità basilari, rappresenta l’evoluzione dei vari contratti
di colonìa, tramite i quali si realizzò quel processo di riconquista delle
campagne, specchio della rinascita urbana tipica del periodo basso
medievale. Per ovvie necessità di approvvigionamento alimentare, infatti,
man mano che le città si ingrandivano, queste, per sopperire in primis al
fabbisogno alimentare, estendevano il loro dominio su porzioni di terreni
sempre più ampie, dilatando il proprio potere su un contado, il cui confine era
diametralmente sempre più distante dalle mura urbane. Le campagne
venivano quindi lentamente ripopolate e strappate alla decadenza alto
medievale, secondo le direttive della città di pertinenza
5
.
3
S. ANSELMI, op. cit. p.30.
4
“Il Veneto, il termano, il Viterbese entrano[poi] nella mezzadria[…]Mezzadrie di varia pattuizione sono
altresì presenti in Piemonte e in altre aree italiane, ma senza i caratteri e la compattezza culturale [delle
regioni sopra menzionate] in S. ANSELMI, A proposito di mezzadria e transizione in S. ANSELMI, op. cit.
p.349.
5
Questo è ovviamente uno schema molto generico per illustrare brevemente le linee capitali di un processo
ben più complesso. Quando parlo della politica di “conquista” di un contado da parte di una città, non si
deve certo pensare solo ad un’entità politica assolutamente omogenea che agisce compattamente verso
l’obiettivo fissato. Il dominio urbano sulla campagna si realizza più verosimilmente tramite due tipologie di
azioni. La prima, che potremmo chiamare istituzionale, portata avanti da un governo cittadino che disciplina
ed orienta le azioni dei singoli (basti pensare all’impulso dato nel tempo dalle città alla creazione dei catasti,
al fine di rendere più chiara la situazione delle varie proprietà). Le azioni individuali rappresentano poi la
Capitolo 1. Origini e linee di sviluppo del sistema mezzadrile
11
Questo processo di “riconquista” non inizia nel tardo basso medioevo
ma secoli prima, tramite contratti come l’enfiteusi. Fin dall’alto medioevo,
infatti, si innesca un lento meccanismo di parcellizzazione delle grandi
proprietà fondiarie in mano ad abbazie, chiese o feudi. Solo dall’ XI secolo in
avanti, però, tramite questi tipi di contratti e non solo, si vedrà in seguito, si
andrà definendo una vera e propria corsa alla terra che è caratteristica del
tempo
6
e di tutta Europa. Tramite tali contratti le grandi istituzioni
proprietarie di fondi che non erano in grado di controllare direttamente, li
concedevano ad meliorandum per lunghi periodi, che spesso includevano più
generazioni, o addirittura in perpetuo, dietro pagamento di un canone che
poteva essere anche in natura. Le proprietà andavano così smembrandosi e,
all’interno di una economia sempre più monetizzata e cittadina, il sistema
sociale, economico e politico cambiava come cambiava la fisionomia di un
mondo sempre più antropizzato. Siamo in piena rivoluzione commerciale e
urbana, queste le due definizioni con cui spesso gli storici indicano questo
periodo di forte fermento economico, che traghetterà poi l’Europa,
consentendo il nascere della temperie umanistica, dal medioevo al
Rinascimento.
Anche se gli storici più attenti a ricostruzioni il più verosimili
possibili, mettono giustamente in guardia dal creare svelte e facili tesi
interpretative troppo lineari, che mal si adattano alle vite reali degli uomini
succedutisi sul palcoscenico storico, mi sembra lecito affermare che il basso
medioevo, prima della grande depressione trecentesca, possa essere
schematizzato come una vittoria della città e del suo sistema economico-
culturale su quello curtense feudale. Sintesi lecita solo laddove il lettore ne
seconda tipologia, apparentemente più “disordinata”, per chi voglia coglierne l’indirizzo, in quanto dettata
dai singoli interessi. Sono anche queste, e forse soprattutto, le azioni concrete che determinano il flusso
dell’agire cittadino sulle campagne, al di fuori di una linea unilateralmente logica (comunque non sempre al
suo interno) e all’interno invece di un mondo definito da interessi spesso contrastanti e particolaristici.
6
S. ANSELMI, op. cit. p. 26
Capitolo 1. Origini e linee di sviluppo del sistema mezzadrile
12
tenga conto come di una tendenza dietro la quale è normale scorgere riflussi,
soste, accelerazioni tipiche dell’agire umano.
Sono secoli in cui si affaccia nelle piazze delle città “gente nuova” che
“costruisce patrimoni. La rivoluzione commerciale crea anche il signore-
mercante, ma è del tutto ragionevole pensare che il trasferimento delle terre
abbia interessato più vasti strati di popolazione.”
7
Questa conquista si
realizza, come detto, con la sistematica acquisizione di fondi concessi in
enfiteusi. Questi erano spesso terre disagevoli o addirittura foreste, vere e
proprie res nullius. Ecco il perché dell’obbligo del miglioramento: infatti, si
trattava al principio di vere e proprie opere di disboscamento e poi di messa a
coltura. I singoli terreni venivano per lo più concessi a persone che
risiedevano in città e che non coltivavano direttamente la terra. Questi
“imprenditori” parcellizzavano a loro volta le terre avute in enfiteusi (o con
altro contratto quale il livello) e le affidavano a dei veri e propri agricoltori-
pionieri tramite il contratto di pastinato-parzionaria. Questo contratto
prevedeva che il contadino ponesse a coltura (pastinare) la terra avuta in
concessione e una volta trasformata in podere (ossia in un terreno atto ad
essere lavorato, con i suoi fossi da tenere sempre efficienti, gli alberi da legna
e da frutto, e in generale tutte quelle componenti produttive necessarie al
mantenimento e sfruttamento del fondo), questo veniva diviso in due parti
uguali, una al colono che diventava piccolo proprietario diretto coltivatore e
una all’”imprenditore” che diventava proprietario non coltivatore residente
per lo più in città. La parte di questi veniva quindi affidata ad un colono, che
poteva essere il contadino pastinatore stesso, con un contratto di colonìa
parziaria. Questo contratto prevedeva che il colono, non proprietario della
terra che coltivava, lavorasse il fondo avuto in concessione e desse una parte
del raccolto al padrone (si parlerà di colonìa al terzo, al quarto , al quinto, ora
7
ELISABETTA ARCHETTI, Alle origini dell’insediamento rurale sparso e accentrato nell’alta Marca tra
X e XV secolo cit. in S. ANSELMI op. cit. p. 30
Capitolo 1. Origini e linee di sviluppo del sistema mezzadrile
13
a vantaggio dell’una o dell’altra parte contrattuale); il contadino era inoltre
gravato da diversi oneri e imposte dovute al concedente.
Eccoci quindi al contratto da cui deriverà quello più propriamente detto
di mezzadria classica definito a inizio capitolo, non corretto dai distorcenti
della colonìa parziaria almeno nelle sue forme iniziali; con un impegno
globale della famiglia del mezzadro e la presenza fissa di questa sul podere
da lavorare. Ancora una volta, tuttavia, quando si parla di uomini, è bene
mettere in guardia da schematismi troppo veloci. Dunque, anche illustrando
l’affermarsi e l’evolversi della mezzadria, bisogna usare le dovute cautele e
non dimenticare che, come fa notare G. Giorgetti
8
in un suo studio specifico
sui contratti agrari, data una forma di contratto, “parlare di tipicità è poi
particolarmente pericoloso […], poiché la loro veste giuridica e il loro
contenuto economico sono sempre stati piegati dagli uomini, con fantasia
inesauribile, alle esigenze e alle situazioni più disparate, fino a dar vita a
forme ibride e particolarmente complesse, attraverso le quali la ricchezza
della realtà si prende gioco di ogni schema scolastico.”
Riassumendo quindi, dalla riconquista di terre coltivabili al mondo
forestale e curtense da parte delle città vengono a crearsi due tipologie di
proprietà agraria: quella piccolo coltivatrice non più servile, che avrà poca
diffusione, in quanto si frantumerà o tenderà a spostarsi e a rimanere relegata
nei fondi meno agevoli e produttivi, e la proprietà facente capo a persone
residenti per lo più in città, le quali ricorrono a coloni disposti a risiedere
stabilmente sul fondo. Sarà quest’ultima la forma di proprietà maggiormente
diffusa, nella quale i vari contratti di conduzione colonica adottati in origine
si uniformeranno, come detto, nel contratto di mezzadria di derivazione
toscana. Si parlerà poi, in relazione a tale punto, della mezzadria come
strumento cittadino tramite cui si realizza l’opera di “bonifica” della servitù
8
GIORGIO. GIORGETTI, Contratti agrari e rapporti sociali nelle campagne, p.4
Capitolo 1. Origini e linee di sviluppo del sistema mezzadrile
14
curtense, decretandone la morte, ma anche della scomparsa di uomini
completamente liberi su terra di proprietà altrui.
9
Il mezzadro e la sua
famiglia con lui obbligata, dovevano infatti risiedere stabilmente sul fondo
coltivato, e la stessa struttura familiare era condizionata dall’imperativo della
massima efficienza nel rapporto braccia-bocche-ettari. A queste non piccole
imposizioni si aggiungeranno nei secoli degli obblighi nei confronti del
padrone dal sapore semi feudale che snatureranno l’originale natura del
mezzadro come colono socio del concedente, relegandolo sempre più in una
posizione subalterna. Va però evidenziato che la posizione del mezzadro
all’origine del patto era una posizione migliore di quella del colono parziario.
Questi infatti viveva in una situazione precaria legata alla condizione
“pionieristica” in cui si trovava, mentre il contratto mezzadrile nelle sue
forme iniziali difendeva il contadino da ogni forma di vessazione, soprattutto,
come dirò più avanti, nell’ambito della riconquista quattrocentesca in cui a
seguito delle pandemie del trecento, il “capitale” uomo era diventato scarso.
Arrivati quindi nel basso medioevo avanzato, le città, dopo secoli di
depressione demografica e nel generale “inselvatichimento”, testimoniato tra
l’altro da toponimi alto medievali diffusi, quali ad esempio Lupaiolo,
Oraiolo, Faggiola, Fontabeti, Fontavellana, Farneto, ecc…, riescono “ad
avvicinarsi tra loro, eliminando la ‘foresta’ che le separava e rendeva
‘forestiere’ l’una all’altra.”
10
E’ opportuno, prima di continuare in questa esposizione, soffermarsi
sull’uso che sto facendo di questa parola: città. Essa, come detto, è
sicuramente il motore del vasto fenomeno di portata europea, di
ripopolamento, riconquista e messa a coltura delle campagne dopo il
profondo abbandono seguito al collasso dell’impero romano. Per quanto
9
L. A. KOTEL’NIKOVA, Mondo contadino e città nell’Italia dall’XI al XIV secolo. Dalle fonti dell’Italia
centrale e settentrionale in S. ANSELMI Una storia dell’agricoltura… op. cit. p. 30
10
S. ANSELMI, Mezzadria e reticolo urbano nell’Italia centrale in S. ANSELMI Agricoltura e… op. cit. p.
332
Capitolo 1. Origini e linee di sviluppo del sistema mezzadrile
15
riguarda nello specifico delle Marche, però, quando parlo di città non vorrei
indurre a pensare ad un tessuto urbano composto prevalentemente da grandi
centri urbani; al contrario, durante il basso medioevo viene a formarsi e
consolidarsi un fitto reticolo di abitati forniti di mura difensive composto
prevalentemente da piccoli, se non piccolissimi centri urbani. Essi sono le
vere proprie metropoli delle campagne marchigiane, all’interno di
un’organizzazione gerarchica, tra città “capoluoghi di contado” ed i relativi
castelli, in cui il sistema poderale sempre più parcellizzato e antropizzato,
costituisce la base (e non solo dal punto di vista alimentare) del sistema
economico-sociale delle Marche nei secoli
11
. Il sistema mezzadrile adottato
infatti, porterà i possidenti a suddividere il più possibile i loro fondi in più
poderi, concedendoli a mezzadri diversi, al fine di sfruttare al meglio i singoli
terreni dati in gestione; fatta salva la dimensione minima del podere per la
sopravvivenza della famiglia mezzadrile, la quale doveva vivere della propria
percentuale di “frutti” ottenuti col proprio lavoro.
Questo il contesto storico in cui nasce e si sviluppa la mezzadria
classica. Nel ‘300, vi è però una battuta d’arresto nella corsa alla terra fin qui
descritta. Le pandemie di peste che colpiscono l’Europa sembrano azzerare i
progressi fatti negli ultimi secoli e tutto il continente subisce un tracollo
demografico che sembra riportarlo ai livelli dell’alto medioevo. Le colture,
non più seguite all’interno di un sistema poderale svuotato di uomini, cedono
di nuovo il passo alle foreste; d’altronde anche le città si svuotano. Il ‘400
rappresenterà tuttavia il secolo in cui si realizzerà, parafrasando le parole
dell’Anselmi
12
, una forte “ricolonizzazione” dei contadi, sostenuta da nuovi
rivolgimenti politici. Si affacceranno sulla scena nuove famiglie, all’interno
di una nuova gerarchia urbana, instaurando quelle signorie che concorreranno
11
Per un’analisi esaustiva sull’organizzazione amministrativa del sistema urbano nelle Marche pontificie in
età moderna, vedasi R. MOLINELLI, Città e contado in età moderna nella Marca pontificia in AA.VV.,
Studi urbinati B1, anno LV 1981/82
12
S. ANSELMI, Una storia dell’agricoltura… op. cit. p. 30-31
Capitolo 1. Origini e linee di sviluppo del sistema mezzadrile
16
poi con la Chiesa alla gestione del potere all’interno dell’area presa in esame.
Probabilmente, aggiunge convincentemente Anselmi, questo sarebbe stato
comunque il naturale evolvere delle cose, con o senza lo sconvolgimento
portato dalla peste, che può forse aver accelerato gli eventi. Quella che
abbiamo indicato come ricolonizzazione viene realizzata utilizzando gli stessi
strumenti visti per i secoli antecedenti la peste nera, che iniziò a falcidiare
l’Europa dalla metà circa del ‘300. In questo periodo la mezzadria si
diffonderà sempre più come modello contrattuale privilegiato e come punto
d’arrivo per la gestione colturale dei terreni, nel processo di recupero dopo la
recessione trecentesca.
Per sopperire alla forte richiesta di braccia, le Marche, in questo
periodo, si trasformeranno in terra di forte immigrazione, soprattutto slava e
albanese. Sono tempi di grande rimescolamento di uomini che porteranno,
nel primo ‘500, al recupero totale delle posizioni perdute. Il patto mezzadrile
all’inizio di questa nuova fase di ripopolamento ha condizioni vantaggiose
per il contadino, che è tutelato dalla città, la quale ha tutto il vantaggio di
incentivare sveltamente il recupero del contado alle coltivazioni. Le città,
inoltre, si daranno nuovi statuti e saranno sempre più inclini alla creazione di
catasti che possano individuare con maggior chiarezza le varie proprietà
esistenti; anche se per avere un quadro generale della situazione catastale
marchigiana, espressa con criteri omogenei al di là dei particolarismi locali,
bisognerà aspettare il secondo ‘700.
Siamo così arrivati al Rinascimento. In quest’epoca di grandi
innovazioni e rivolgimenti politici le Marche, fatta eccezione per il Ducato di
Urbino, tornano completamente nelle mani della Chiesa di Roma; anche se
poi la vita politica ed economica della regione è gestita sempre più da ristretti
gruppi egemoni di cittadini in maniera ampiamente autonoma da Roma.
Nonostante i lusinghieri resoconti fatti da viaggiatori “stranieri” in pieno ‘500