2
rende inevitabilmente conto che le attività pubbliche hanno il
compito di fornire servizi indispensabili per l’esistenza dell’uomo.
Gli enti locali, a partire dal più grande sino a giungere al più
piccolo
3
, sono e saranno sempre di più coprotagonisti nella crescita
e nel consolidamento di una rete di servizi che con puntualità ed
efficienza risponde alle istanze dei cittadini. Dagli altri apparati
amministrativi il comune si distingue perché svolge una pluralità di
funzioni, assicura una pluralità di servizi, cura una pluralità di
interessi.
4
Sempre di più il comune viene identificato come
l’istituzione più vicina, l’ente di più facile e immediata
interlocuzione in cui gli amministratori e gli operatori non appaiono
distanti, ma hanno facce e storie conosciute, spesso addirittura
familiari. Il comune rappresenta la prima forma di governo
organizzato conosciuta nel nostro paese e assolve un fondamentale
ruolo istituzionale, in quanto primo e vero cardine
dell’organizzazione generale dello Stato. Ciò non dipende da scelte
costituzionali o istituzionali: dipende dalla storia, quella più antica,
che ha visto per secoli il comune come la sola organizzazione
collettiva del territorio, chiamata dai suoi cittadini ad assumersi
3
La pubblica amministrazione può essere rappresentata come da tre cerchi concentrici:
Organizzazione centrale dello stato,(articolata in Ministeri, Amministrazioni indipendenti,
Agenzie) Amministrazione locale(Comuni, Province, Città metropolitane) e regionale, Enti
pubblici.
4
Corso, Manuale di diritto amministrativo.
3
compiti che essi da soli non potevano assolvere
5
. Si deve risalire sin
fino all’età medioevale, ove la classe borghese fu protagonista di
uno sviluppo economico, in quanto dedita ad attività svincolate dai
rapporti feudali quali quella mercantile, notarile, di artigiani,
medici, banchieri, ai quali si unirono anche masse di servi giunti in
città dalle campagne proprio per sfuggire gli obblighi feudali e
riacquistare, dentro le mura cittadine, la libertà. Agendo
collettivamente attraverso il comune i cittadini si accorgevano di
avere maggior forza nel trattare con le autorità del tempo, il
vescovo e l’imperatore, riuscendo ed ottenere importanti
concessioni. Quindi il comune nasce come un’associazione che,
attraverso un giuramento, teneva insieme un gruppo di persone
accomunate
6
da un medesimo interesse: quello di svolgere
liberamente i propri affari. Questo chiarisce come il fine ultimo dei
comuni, al loro nascere, non fosse quello di modificare il sistema
feudale esistente, quanto piuttosto di vedersi riconosciuti al suo
interno diritti e spazi di libertà. Tracciando una linea immaginaria
di continuità dall’appena menzionato periodo storico all’art. 3
D.Lgs. n. 267/2000
7
, − il quale sancisce testualmente: “il comune è
5
Corso, Manuale di diritto amministrativo.
6
Da qui il nome.
7
D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.
4
l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli
interessi e ne promuove lo sviluppo” − nonché all’art. 13 del
medesimo D.Lgs., che attribuisce al comune stesso tutte le funzioni
amministrative riguardanti la popolazione comunale, precisamente
nei settori dei servizi alla persona e alla comunità […]; ed andando
solo per un istante a cancellare la copiosa storia affiancata da
altrettanta ed innovativa normativa intercorsa in questo
lunghissimo lasso di tempo, emerge come da sempre l’autonomia
locale in oggetto rappresenti insieme “occhi e voce ” della sua
collettività. Sarebbe a dir poco oltraggioso solamente pensare di
poter cancellare la (nostra) storia evolutiva delle autonomie locali
intercorsa fin ai nostri giorni; anzi, è bene, seppur in modo
sommario delinearne i punti salienti. Il sistema amministrativo cui
si ispirò, subito dopo il 1860-61, il nostro paese fu quello di forte
centralizzazione derivante dal modello napoleonico
8
. Ciò scoraggiò
ogni ormai flebile possibilità di una soluzione decentrata o più
atomistica; tale tipo di scelta riposa esclusivamente su motivazioni
politiche, nel senso che l’unità amministrativa svolge un ruolo
basilare per la difesa e il sostegno della fragile, in quanto giovane,
unità politica minacciata dall’eventuale recupero di peso e ruolo
8
Modello amministrativo che aveva permesso alla Francia del tempo di stabilizzare le
conquiste rivoluzionarie della capitale e di assicurarne la piena e capillare diffusione nella
periferia.
5
delle élite degli stati preunitari, ancora forti al cospetto del neo
gruppo di dirigenti
9
. Così la scelta centralista si manifesta con la
Legge 2248/1865, con la quale si estende a tutto il Regno, con poche
e marginali modificazioni, la legge Rattazzi del 1859, costituendo il
testo base di riferimento della normativa sugli enti locali per un
lungo periodo che va dall’unificazione politica alla caduta del
fascismo
10
. Il periodo successivo si apre alla fine degli anni ottanta
del XIX° sec., con le leggi che ampliano il suffragio elettorale nei
comuni e rendono elettive le cariche di sindaco e di presidente della
provincia, e si conclude con l’avvento del fascismo. Tale periodo si
caratterizza da un intenso mutamento dei principali elementi
costitutivi della disciplina del 1865, rispondenti ad un alternarsi di:
riconoscimenti al comune − in particolare del diritto al proprio
autogoverno − e di rafforzamenti dei condizionamenti, diretti o
indiretti, del centro. A seguito delle innovazioni del sistema
elettorale, gli enti locali si trasformano da enti rappresentativi dei
notabili locali in istituzioni democratiche rappresentative delle
collettività
11
; sperimentano nuove tecniche di intervento pubblico
nei rapporti economici; svolgono attività di impresa; sono la sede
9
Cammelli, La pubblica amministrazione.
10
Vesperini, I poteri locali.
11
Periodo giolittiano.
6
nella quale fanno accesso al potere nuove forze politiche e sociali,
alternative a quelle che guidano il governo nazionale etc. Il
fascismo, invece, fa registrare un netto taglio di prospettive
evolutive in seno a tale tematica, anzi, si caratterizza per il
tendenziale progressivo assorbimento degli enti locali nell’orbita
dell’ordinamento statale. Sono compressi gli spazi di autonomia
politica da questi conquistati nel regime liberale; la loro sfera di
discrezionalità amministrativa si riduce in modo consistente; il tutto
può agevolmente sintetizzarsi nella soppressione di tutti gli istituti
democratici. La successiva fase della storia dei poteri locali in Italia
inizia nel secondo dopoguerra, con il ripristino dell’ordinamento
democratico e l’emanazione della Costituzione repubblicana del
1948
12
; quest’ultima segna un forte elemento di discontinuità sul
piano dei principi regolatori dei poteri locali, principi però, che per
vederli operanti dovrà attendersi almeno un quindicennio. I tratti
essenziali della disciplina costituzionale possono brevemente, ma
non esaustivamente, riassumersi in: art.5: che inserisce tra i principi
fondamentali dell’ordinamento quello dell’autonomia locale;
art.114: stabilisce che la Repubblica si riparte in Regioni, Province e
Comuni; gli artt.115 e 128: riconoscono questi enti come autonomi;
12
Vesperini, I poteri locali.
7
il ripristino della democrazia
13
e l’introduzione del principio del
suffragio universale. Insomma, si prefigura un cambiamento
radicale dell’ordinamento dei poteri pubblici il quale passa da un
sistema monista, nel quale gli enti locali mutuavano dallo Stato
attribuzioni e fini, ad un sistema pluralista ove assume posizione
primaria la Repubblica ripartita secondo il dettato costituzionale.
In segno di accelerata riforma si pone il ventennio 1970-90 ove
l’istituzione delle regioni e le vicende normative ad essa connesse
hanno importanti conseguenze sui poteri locali in quanto la
regionalizzazione costituisce, di per sé, fattore di espansione degli
stessi poteri. Può proseguirsi l’excursus storico sugli enti locali
attraverso la c.d. “stagione delle riforme” che, dal 1990 ci porta sino
ai nostri giorni con una tra le ultime più importanti novità, la
riforma costituzionale avvenuta con Legge 3/2001. Prima di porre
l’accento sull’ assetto di governo locale, in particolare,
sull’evoluzione del sistema elettorale che a me interessa ampliare,
− mutato attraverso la sopracitata “stagione delle riforme” − mi
sembra doveroso concludere questa mia modesta esposizione, (per
evidenti ragioni di completezza) con la legge di riforma del titolo V
13
Si ripristina l’elettività delle amministrazioni locali attraverso norme transitorie con le quali
sono richiamate in vita le disposizioni dell’età prefascista; si estende il suffragio universale
alla donne, con una disposizione che, adottata per le elezioni amministrative del 1946, viene
applicata anche alle elezioni politiche; si introduce il sistema proporzionale per i comuni
superiori ai 10.000 abitanti. Così Vesperini in I poteri locali.
8
della Costituzione che detta la normativa di principio per le
autonomie locali. Mentre si producevano gli sviluppi legislativi, che
a seguito andrò ad esplicare, proposte di riforma si rivolgevano al
testo costituzionale sul quale il legislatore del ’99, riferendosi alle
regioni, era già intervenuto con legge n. 1/1999 che ha consentito
l’elezione diretta dei presidenti delle regioni
14
e ha esteso
l’autonomia delle stesse, attribuendogli il potere di stabile con
proprio statuto la loro forma di governo e, con legge regionale il
sistema elettorale. I rappresentanti delle regioni, comuni e province
concordarono, nel settembre 2000, una serie di proposte di modifica
alla disciplina costituzionale delle autonomie. Da queste proposte il
Parlamento ha tratto impulso per pervenire all’approvazione della
modifica al titolo V della Costituzione del 1948, con la riforma che
− approvata con referendum popolare il 7 ottobre 2001 − sarebbe
divenuta la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3
15
. In sintesi, la
riforma riconosce a tutti i livelli territoriali il carattere di
componenti costitutivi della Repubblica, affermando che essa “è
costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane e
dallo Stato”, così l’art. 114 Cost. nella nuova formulazione, dal quale
si evince con evidenza che gli enti locali non sono mere articolazioni
14
Su un’impostazione simile a quella adottata nel ’93 per i sindaci e i presidenti delle province.
15
Vandelli, Il governo locale.
9
territoriali
16
, bensì elementi costitutivi della Repubblica
17
. Inoltre da
tale art. emerge una sorta di equiordinazione tra i vari livelli
istituzionali, cioè il negare che vi siano livelli sovraordinati, e come
tutte le articolazioni istituzionali vengano poste sullo stesso piano, e
anzi si cominci da quella più vicina ai cittadini, cioè il comune.
Sulla base di questo nuovo principio, non possono più essere
rappresentate le istituzioni come una piramide, al cui vertice è posto
lo Stato e alla cui base, in posizione subordinata, sono posti gli enti
locali. A fronte della riforma costituzionale possiamo rappresentarle
come una rete, in cui tutti i livelli istituzionali sono posti sullo stesso
piano e si differenziano tra di loro secondo le diverse competenze
esercitate. L’art. 118 Cost. riformato, invece, sottolinea la priorità
del comune e, quindi, degli altri enti locali nelle funzioni
amministrative: funzioni che sono riconosciute in primo luogo ai
comuni, salvo che
18
non vengano conferite a province, città
metropolitane, regioni e Stato
19
. Continuando la rassegna delle
novità introdotte dalla legge costituzionale 3/2001 emerge
l’affermazione del ruolo della regione che, secondo il nuovo art. 117,
è esteso a tutte le materie non riservate allo Stato, pur mantenendo
16
Cioè le unità in cui la Repubblica “si riparte”; così il vecchio disposto dell’art. 114.
17
Corso, Manuale di diritto amministrativo.
18
Secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione,e adeguatezza.
19
Vandelli, Il governo locale.
10
nelle mani dello stesso la funzione di “legislatore unificatore”. La
riforma introduce una novità importante per quanto concerne
l’individuazione degli enti autonomi territoriali, aggiungendo a
comuni, province e regioni la categoria delle città metropolitane;
soggetti che, previsti sin dalla legge 142/1990, vengono ora sanciti
nella Costituzione stessa, nella quale inoltre, a tutte le autonomie
locali è espressamente riconosciuta autonomia (anche) statutaria.
Altro principio, espressione dell’ideologia riformatrice operata con
la legge in esame, è quello del coinvolgimento delle autonomie
locali nelle decisioni regionali, demandando agli statuti regionali il
compito di istituire un organo rappresentativo di comuni e
province, il “consiglio delle autonomie locali”, quale centro della
consultazione tra regione e autonomie (art. 123); affiancato da una
partecipazione delle regioni e delle autonomie locali ai
procedimenti legislativi statali, attraverso la presenza di
rappresentanti di regioni ed autonomie locali alla Commissione
parlamentare per le questioni regionali
20
. Assurge a dato di fatto
che gli enti locali, dalla loro nascita ad oggi, hanno, e continuano a
svolgere un ruolo importante, se non basilare, nell’ordinamento
italiano ed emblematica è la copiosa normativa che li ha interessati e
20
Vandelli, Il governo locale.
11
che certamente continuerà sulla strada del riformismo, dato che,
l’oggetto in questione deve fare i conti con la realtà che rappresenta;
e quindi per meglio assolvere a questo compito, tanto importante
quanto “sensibile”, necessariamente deve porsi in continua
discussione ed adeguamento verso la realtà stessa. A conferma che
questo processo riformatore non è giunto al termine, vi è la c.d.
“devolution”: ulteriore riforma costituzionale approvata sia da
Camera e Senato in seconda votazione con la maggioranza assoluta
dei componenti, risalente al mese di novembre 2005, che potrebbe
essere sottoposta a referendum popolare ( secondo il procedimento
previsto dall’art. 138 Cost.
21
.)
22
.
21
Referendum sospensivo (o di revisione costituzionale) già applicato in occasione della
delibera legislativa di riforma del titolo V della Costituzione Italiana. Entro tre mesi dalla
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale di tale testo di legge costituzionale, 1/5 dei membri
di una camera, o 500.000 elettori, o 5 consigli regionali possono domandare che si proceda
a referendum popolare.
22
Vandelli, Il governo locale.