Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
4
ascesa, la previdenza complementare con le sue aspettative di tutela sociale ed imprenditoriale
verso i propri utenti (lavoratori e datori di lavoro), con le difficoltà opposte dagli Stati membri
nel conciliare i parametri richiesti dall’Unione Europea con le situazioni interne e nell’attuare
quindi le direttive emanate seppur con la consapevolezza delle condizioni di estrema
eterogeneità normativa. Lo scopo non è perciò quello di porre le fondamenta di un nuovo
sistema pensionistico ideale rispetto al quale proposito esistono già a tutto oggi studi e
ricerche di eminenti giuristi ed economisti di fama internazionale ma si vuole solo rendere
conto di una realtà complessivamente ancora in fieri e magari poter trarre, con opportuni
strumenti di comparazione tra i sistemi nazionali, un common core di disciplina, date anche le
recenti tendenze ed iniziative provenienti da singole organizzazioni internazionali e rivolte
alla costituzione di nuovi soggetti giuridici paneuropei e all’esportabilità delle cosiddette best
practices. E’ questo dunque il mio tempo, quello per essere se stessi e per capire che si può
costruire veramente una solidarietà nella differenza, l’Europa.
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
5
CAPITOLO PRIMO
NOTE INTRODUTTIVE ALLA “STRUTTURA A PILASTRI” DEI
SISTEMI PREVIDENZIALI AFFERMATISI NEGLI STATI
DELL’UNIONE EUROPEA
1. Previdenza sociale ed integrazione europea.
«L’EUROPA È’ STATA PER SECOLI un’idea, una speranza di pace e comprensione. Oggi
questa speranza si è avverata. L’unificazione europea ci ha permesso di raggiungere pace e
benessere. È stata fondamento di condivisione e superamento di contrasti.[…] La ricchezza
dell’Europa è racchiusa nelle conoscenze e nelle competenze dei suoi cittadini: è questa la
chiave per la crescita, l’occupazione e la coesione sociale.». Con questi brevi stralci tratti
dalla Dichiarazione di Berlino resa da taluni rappresentanti delle Istituzioni Europee nel
marzo 2007 in occasione della celebrazione del cinquantesimo anniversario della firma dei
Trattati di Roma, si è ufficializzato l’impegno da parte dell’Unione Europea a riprendere il
percorso di integrazione e coesione comunitaria, interrottosi temporaneamente nel 2005 per la
mancata ratifica della Costituzione Europea da parte di alcuni Stati a seguito degli esiti
negativi dei referendum indetti al riguardo. Tale travagliato processo è infine confluito nella
Sommario: 1. Previdenza sociale ed integrazione europea 2. Direttive d’indagine. 3. Nozioni di base.
3.1. Previdenza complementare. 3.2. Fondo pensione. 3.3. Valutazioni conclusive sull’attuazione della
direttiva EPAP. 4. La struttra a tre pilastri.
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
6
firma del Trattato di Lisbona nel dicembre 20071, il quale modifica (e non sostituisce) sia il
Trattato sull’Unione Europea sia il Trattato istitutivo della Comunità Europea2. Non è per una
semplice formalità che nell’affrontare ora l’esame dell’evoluzione della previdenza
complementare in ambito comunitario, si è inteso riferirsi proprio a quest’ultimo significativo
evento. L’adozione, infatti, del Trattato non mira a creare una suprema democrazia
sovranazionale (una sorta di “Superstato” che rappresentava invece il principale pericolo
paventato dall’implementazione di una Costituzione) ma vuole rafforzare la legittimazione ed
il controllo su base democratica dell’Unione sia attraverso l’attribuzione di un ruolo più
significativo al Parlamento sia mediante una più chiara ripartizione dei poteri nei confronti
degli Stati membri. Omettendo per il momento una compiuta disanima del testo normativo
sulla materia oggetto d’indagine, si può osservare opportunamente fin d’ora come sia stato
recepito integralmente il modello sociale europeo già vigente. Il rinvio infatti espresso alla
Carta dei Diritti Fondamentali (Nizza 2001) divenuta atto legislativo vincolante e
l’inserimento di una “clausola sociale” secondo la quale nell’attuare le varie politiche UE
bisogna considerare gli aspetti sociali rispecchiano nel complesso la chiara volontà di
procedere al mantenimento e allo sviluppo delle conquiste in materia già realizzate
1
Per un quadro riassuntivo del percorso post –costituzionale, del ruolo e del contenuto del trattato di revisione
che dovrà entrare in vigore il 1° gennaio 2009 (cioè pochi mesi prima delle elezioni del Parlamento Europeo), si
veda Commissione Europea, La revisione dell’Europa per il XXI secolo, Parere della Commissione europea del
13 luglio 2007 conformemente all'articolo 48 del Trattato sull'Unione europea, in merito alla conferenza dei
rappresentanti dei governi degli Stati membri convocata per la revisione dei trattati; numerose altre informazioni
ed i testi dei principali documenti che hanno segnato le varie tappe fino alla firma del Trattato sono ricavabili dal
nuovo sito predisposto ad hoc, http://europa.eu/lisbon_treaty/index_it.htm dove è possibile scaricare anche il
testo del nuovo Trattato.
2
Una precisazione: quando si nominano i Trattati CE ed UE in tale capitolo, si fa riferimento alla versione
consolidata con le modifiche apposte dal Trattato di Atene del 2003, pubblicata in Gazzetta Ufficiale
dell’Unione Europea C 321 E/2 del 29 dicembre 2006.
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
7
salvaguardando tuttavia le peculiarità delle singole realtà nazionali3. La conciliazione di
queste due finalità è, dunque, l’obbiettivo dichiarato che le istituzioni comunitarie intendono
realizzare e che era emerso già dai Consigli di Lisbona (marzo 2000) e di Göteborg (giugno
2001)4 nonostante lo scenario paradossale attuale che caratterizza l’ambito: mentre i sistemi
statali di previdenza di base formano oggetto di una apposita e dettagliata disciplina
regolamentare secondo il metodo del coordinamento, la previdenza complementare che pure
rappresenta indiscutibilmente uno dei capisaldi della protezione sociale, si sottrae de iure et
ab origine a questa previsione normativa5. Tale situazione vulnera inevitabilmente il principio
d’effettività della libera circolazione dei lavoratori, impedendo l’applicazione di tutte quelle
3
In effetti, al fine di conseguire una “protezione sociale adeguata” attraverso una modernizzazione dei sistemi
sociali stessi, l'Unione e gli Stati membri agiscono tenendo conto della diversità delle prassi nazionali, in
particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell'economia
dell'Unione. […] una tale evoluzione risulterà sia dal funzionamento del mercato interno, che favorirà
l'armonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle procedure previste dalla Costituzione e dal ravvicinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri. (art. 136 primo e secondo comma
Trattato CE).
4
Nel Consiglio Europeo di Lisbona e in quello successivo di Stoccolma (marzo 2001) è stato indicato come
obiettivo prioritario, l’integrazione dei servizi e dei mercati finanziari nell’Unione, fine raggiungibile anche
attraverso l’abolizione degli ostacoli agli investimenti nel settore dei fondi pensione. Ciò permetterebbe d’attuare
una maggiore sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici e di fronteggiare i problemi connessi
all’invecchiamento, l’aumento del tasso di occupazione, in particolare quello dei lavoratori di età più avanzata.
Nel Consiglio di Göteborg sono stati approvati poi i tre principi guida per la modernizzazione dei sistemi
pensionistici: assicurare la sostenibilità di lungo periodo, garantire l’adeguatezza (in termini assoluti e relativi)
delle prestazioni erogate, soddisfare le mutevoli esigenze della società e degli individui. Si stabilisce, inoltre, che
i singoli Paesi includano nei Programmi di Stabilità e Convergenza le strategie per fronteggiare gli effetti
dell’invecchiamento della popolazione. In questo modo è stato introdotto un monitoraggio periodico
dell’evoluzione dei bilanci previdenziali.
5
L’art. 1, lett. J, del regolamento 71/1408 CE (relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai
lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità) stabilisce che il termine
«legislazione» indica, per ogni Stato membro, le leggi, i regolamenti, le disposizioni statutarie e ogni altra
misura di applicazione, esistenti o future, concernenti i settori e i regimi di sicurezza sociale di cui all'articolo 4,
paragrafi 1 e 2. Questo termine non comprende le disposizioni contrattuali, esistenti o future, che siano state o
meno oggetto di una decisione dei pubblici poteri che le renda vincolanti o estenda il loro campo di
applicazione. Tuttavia, per quanto riguarda le disposizioni contrattuali che servono all'applicazione di un
obbligo d’assicurazione derivante da leggi o da regolamenti di cui al comma precedente, questa limitazione può
essere tolta in qualsiasi momento mediante dichiarazione fatta dallo Stato membro interessato in cui siano
menzionati i regimi di tale natura a quali il presente regolamento è applicabile. L’unica ipotesi residuale di
applicazione della normativa sul coordinamento alla previdenza complementare riguarda i regimi complementari
sostitutivi di quelli legali.
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
8
regole (totalizzazione dei periodi contributivi ed esportabilità delle prestazioni) e dei vantaggi
derivanti da fonti derivate che lo esplicitano. Occorre tuttavia fare un po’ di chiarezza al
riguardo. Gli attuali sistemi previdenziali che si sono affermati nel dopoguerra in molti dei
Paesi europei6, scontano evidenti limiti economici e sociali che si sono accatastati nel corso
degli ultimi decenni: l’invecchiamento della popolazione7, la progressiva riduzione dei tassi
d’attività, il rallentamento del tasso di crescita dell’economia, nonché una sempre maggiore
tensione nel cosiddetto patto intergenerazionale hanno, difatti, concorso a determinare da un
lato il convincimento dell’insostenibilità di un modello di Welfare State basato principalmente
su una previdenza pubblica e dall’altro, la necessità di adattare i meccanismi di finanziamento
delle pensioni, onde evitare un’implosione del sistema previdenziale stesso (fenomeno che si
6
La dottrina sociologica suole classificare i regimi di Welfare state in modelli o “configurazioni istituzionali”.
Secondo la più nota partizione, tre sono i regimi identificati in Europa: quell’anglosassone o liberale, un regime
nordico ed infine un regime continentale o bismarckiano. In proposito, Esping – Andersen G., I fondamenti
sociali delle economie postindustriali,ed. Il.Mulino, Bologna 2000, p. 127 ss. Altra parte della dottrina ritiene
invece che siano quattro le famiglie geosociali europee riscontrabili: quella dei Paesi Scandinavi, quella
anglosassone, quella dell’Europa centrale (Germania, Francia, Benelux, Austria, Svizzera) ed infine quella
dell’Europa meridionale (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia). Al riguardo, Ferrera M., Le trappole del Welfare,
ed. Il Mulino, 1998 p. 79 ss, Zoli M., I sistemi di welfare state nei paesi dell’Unione Europea, Luiss Lab on
European Economics (LLEE) Working Document n. 1, 2004 p. 1ss.
7
Numerosi contributi in materia rilevano come l’andamento demografico nell’Unione Europea è orientato
sensibilmente verso un rapido incremento della popolazione anziana non attiva, a fronte di una diminuzione della
popolazione adulta attiva, prospettiva che rischia di essere peggiorata dall’ingresso dei 10 nuovi Paesi candidati.
De Sanctis G., Il futuro demografico della Nuova Unione Europea, in “Diritto ed economia dello Stato Sociale”,
2003 p. 53 ss; Peracchi F., Demografia, mercato del lavoro e spesa per la protezione sociale nei sei maggiori
paesi dell’Unione Europea, a cura di Peracchi F. Le pensioni in Italia e in Europa, ed. Ediesse 2000, p. 29 ss.
Per quanto concerne le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione sugli equilibri finanziari, sulle
performance economiche e sul mercato del lavoro in Europa si consideri Dipartimento Competitività e Giustizia
Sociale - CGL, Effetti finanziari dell’invecchiamento della popolazione in Italia e in Europa e analisi delle
politiche di riforma nei più recenti documenti della Commissione Europea, 2002, disponibile in www.cgl.it. In
merito alle supposte conseguenze cagionate dall’avvento dell’Unione Monetaria sui sistemi nazionali di
sicurezza sociale, si consideri invece Traversa E., Le conseguenze dell’Unione Monetaria Europea sulla
contrattazione collettiva e sul diritto del lavoro e della sicurezza sociale, in “Il diritto comunitario e degli scambi
internazionali”, 1999 fasc. 4 p. 678 ss; in particolare l’ Autore ritiene non apprezzabile in base a prove
scientifiche un effetto diretto e matematicamente quantificabile, particolarmente negativo dell’Unione monetaria
sul livello di protezione sociale offerto (ai cittadini) e sulle spese che essa (protezione sociale) genera. Di
diverso avviso, Lindbeck A., La dinamica del welfare state, in Il welfare state in Europa: la sfida della riforma,
Buti M., Franco D., Pench L. R. (a cura di), ed. Il Mulino, 1999 p. 128 ss.
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
9
accompagnerebbe peraltro ad una rottura in seno al sistema produttivo)8. Perciò giustamente
si è affermato che le riforme previdenziali devono essere concepite come un grande obbiettivo
– opportunità per lo sviluppo9 da perseguire in conformità alle indicazioni delle istituzioni
comunitarie ed internazionali, favorendo in concreto il radicamento della previdenza
complementare in ciascun ordinamento interno. Questa dunque è la meta cui ciascuno Stato
membro dell’Unione deve guardare con rinato ottimismo dopo il periodo di riflessione
addotto dalla mancata ratifica della Costituzione e la successiva adozione del Trattato firmato
a Lisbona, il tutto entro un’ottica d’insieme circa le scelte effettuate dai singoli Legislatori
nazionali.
2. Direttive d’indagine.
Nell’analizzare l’evolversi della previdenza complementare in ambito europeo, essenziale
alla detta indagine è l’adozione di un approccio comparatistico che consenta quindi di
fotografare i sistemi previdenziali nella loro interezza e varietà, non soltanto sotto un profilo
8
Invero, da uno studio dell’INPDAP sull’evoluzione della spesa per la protezione sociale nei Paesi dell’Unione,
emerge come in Italia tale indice, in termini di PIL, si colloca su valori costantemente al di sotto della media
europea. In particolare nel 2001, la spesa sociale complessiva era pari al 24,6%, inferiore rispetto alla media UE
(26,4%) di ben 1,8 punti percentuali ( v. tabelle 1 e 2 ). In base alle statistiche EUROSTAT su cui si fonda detto
lavoro, tra le voci incidenti sulla spesa pensionistica italiana per la vecchiaia è stato incluso anche il Trattamento
di Fine Rapporto ( TFR ), conteggiato interamente ed indipendentemente dall’età del beneficiario. Il TFR
tuttavia non costituisce in realtà una prestazione pensionistica in quanto viene erogato ad ogni interruzione del
rapporto (mediamente ogni sette anni) e non soltanto quando il lavoratore va in pensione. Tale scelta da parte
dell’ente statistico comunitario porta perciò ad un’evidente distorsione nella lettura dei dati, tanto più che
l’ammontare di tali prestazioni costituiscono circa l’1,8% del PIL. Direzione Centrale Studi e Iniziative
Editoriali – Ufficio Studi, La protezione sociale in Europa e in Italia, ottobre 2004 ed. INPDAP p. 4 ss.
9
Manghetti G., Relazione al Convegno Industria e Assicurazione “Fondi Pensione e Sviluppo economico”, in
Atti e Studi, Editoriale Generali,Trieste 2002 p. 17 ss.
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
10
prettamente giuridico ma data l’ampiezza dell’apporto dottrinario in merito, anche dal punto
di vista economico – finanziario10. Lo si desume nettamente da due ordini di motivi:
• La strutturazione del “Pilastro” complementare è necessariamente il frutto del modello
più generale di Welfare adottato, come di una lunga sedimentazione storica della
rispettiva normativa che ne ha così determinato l’evoluzione nel contesto dell’autonomia
privata. L’immagine pertanto che ne deriva è particolarmente diversificata, sia per ciò che
riguarda gli aspetti quantitativi (ad esempio il peso degli enti e degli strumenti
previdenziali integrativi), sia rispetto alle caratteristiche qualitative (articolazione del
sistema, tipologia tecnico- operativa).
• L’Unione Europea, nell’ultimo ventennio, si è particolarmente adoperata attraverso
un’attività promozionale e legislativa (comunicazioni, dichiarazioni, relazioni,
conclusioni nonché da ultimo con due direttive, la 98/49 CE e la 2003/41 CE) per il
mantenimento di pensioni adeguate e sostenibili attraverso la realizzazione di un possibile
coordinamento dei sistemi previdenziali e nella ricerca quindi di soluzioni unitarie in
10
La necessità di osservare i sistemi previdenziali secondo un’ottica comparata, è sostenuta particolarmente da
Candian A. D., Previdenza complementare e fondi pensione: modelli europei e prospettive di policy, ed. Giuffrè,
Milano 2000 (provvisoria) p. 4 ss., criterio peraltro basilare ed incentivante di un attività di legal implementation
a livello comunitario; per una dettagliata tematizzazione dell’uso di tale metodo scientifico, considerato come
momento irrinunciabile per la costruzione dello stesso diritto comunitario sia nella fase di produzione, sia in
quella di interpretazione e di applicazione dello stesso da parte della Corte rilevano le osservazioni di
Bennacchio G., Diritto privato della Comunità europea. Fonti, modelli, regole, ed. CEDAM, Padova, 2004 p. 34
ss. Altrove si afferma che per parlare esaustivamente della previdenza integrativa occorrerebbe essere almeno
uomini rinascimentali, dovendosi toccare questioni economiche, sociali, attuariali, oltre che questioni afferenti a
varie discipline giuridiche italiane e comunitarie. Avio A., La previdenza integrativa: cenni al quadro europeo,
in “Lavoro e Diritto” fasc. 4 1991 p. 652. Circa la natura anfibia, ambivalente della previdenza complementare,
si è sostenuto che essa viene in rilievo sia come secondo (e, in ipotesi, anche come terzo) pilastro del sistema
pensionistico – almeno in prospettiva e negli auspici delle stesse istituzioni europee(ma talvolta anche nelle
effettive dinamiche di taluni ordinamenti nazionali)- sia, al contempo, come elemento cardine, per lo meno in
potenza, di un mercato finanziario che, conseguito il traguardo della moneta unica, stenta tuttavia a
raggiungere una piena integrazione. Giubboni S., Fondi pensione e competition rules comunitarie, in Carinci F.
e Bessone M. (a cura di), Commentario di diritto del lavoro- Previdenza complementare, ed. UTET, 2004, vol.
IV, p. 111.
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
11
particolare sul fronte complementare. L’idea, infatti, che si vuole imporre, è quella di
arrivare alla creazione di un modello comunitario di previdenza complementare attraverso
la cooperazione tra gli stessi fondi pensione dei singoli Paesi, risultato che offrirebbe il
duplice vantaggio di evitare scelte inefficienti sul piano della gestione del risparmio e di
importare per quanto possibile a livello nazionale i casi di successo.11
Tale criterio di costante raffronto tra una pluralità di prospettive, corretto dalle esigenze
d’intervento dell’Unione Europea nel rispetto del principio di sussidiarietà12, individua un
modello di base comune che la dottrina prevalente suole chiamare “struttura a tre pilastri”. E’
rilevante notare peraltro che allo stato attuale dei fatti, non esiste più un modello “puro” di
sistema previdenziale essendo favorita la circolazione dei modelli sia in ambito comunitario
sia a livello internazionale; si può tuttavia sottolineare fin d’ora la tendenza in atto di
pervenire ad un sistema misto o integrato, configurabile come quella situazione in cui
11
L’Associazione Europea dei Fondi Pensione (European Federation for Retirement Provision – EFRP) in
passato si è resa promotrice di una serie di iniziative nei confronti delle Istituzioni Comunitarie, in primo luogo
la Commissione. Precisamente già nel ‘99 nel proprio Activities Report, aveva avanzato la proposta di costituire i
cosidetti fondi pensione pan- europei, onde rimuovere i residui ostacoli alle libertà di circolazione dei lavoratori
e dei capitali. Secondo l’EFRP, un fondo pensione pan-europeo, residente in un qualsiasi stato della Comunità,
sarebbe stato abilitato, sulla base di una licenza unica, a prestare i propri servizi anche in tutti gli altri stati
membri, operando, almeno in prima istanza, come fondo “aziendale” al servizio di una singola multinazionale.
Tale proposta ha evidentemente inciso nel processo legislativo che ha portato all’emanazione della direttiva
EPAP nel 2003.
12
Detto principio sul quale si fondano gli articoli. 136-137 del Trattato CE (ora ridenominato “Trattato sul
funzionamento dell’Unione) in materia di politica sociale, è un fondamentale strumento regolante l’esercizio
delle competenze ripartite tra gli Stati membri e l’Unione Europea nei settori che non sono di competenza
esclusiva di questa ultima, secondo il dettato dell’art. 5 del TCE. In proposito si consideri Daniele L., Il diritto
materiale della Comunità Europea. Introduzione allo studio del mercato interno e delle politiche comunitarie,
ed. Giuffrè 2000, Milano p. 28 ss. Roccella M., Tutela del lavoro e ragioni di mercato nella Giurisprudenza
recente della Corte di giustizia, in “Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali” 1999 osserva peraltro
opportunamente che esso non potrà più essere brandito come una clava per impedire ogni volontà
d’approfondimento della dimensione sociale europea, e cioè per censurare la normativa ad, ottata.
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
12
convergono la previdenza obbligatoria pubblica e la previdenza integrativa di carattere
privato13.
3. Nozioni di base.
Prima di analizzare il modello che progressivamente si sta imponendo nell’Unione Europea,
è indispensabile chiarire alcune nozioni fondamentali in materia14. In proposito, non si può
prescindere né dai contributi dottrinari che hanno consentito l’elaborazione di piattaforme
concettuali spesso ibridate con accezioni economico-finanziarie né dalla disciplina
comunitaria che consta non solo della normativa vincolante15 ma anche di una lunga serie
d’atti (non vincolanti) espressivi di un profondo e costante dialogo tra le stesse istituzioni.
Alla legislazione si deve altresì aggiungere la prassi giurisprudenziale della Corte di Giustizia
13
Candian A. D., Previdenza complementare e fondi pensione: modelli europei e prospettive di policy, cit p. 12.
L’ obbiettivo è peraltro evidenziato dalla Commissione Europea in Supplementary Pensions in the single Market.
A Green Paper, COM(97)283 in Bollettino UE 6-1997, laddove afferma che occorre […] fare in modo che a
prescindere dalla funzione assegnata dagli Stati membri ai regimi integrativi di pensione finanziati per
capitalizzazione, questi possano svilupparsi efficacemente nel contesto del mercato unico e della libera
circolazione dei lavoratori.
14
Tale opportunità si comprende bene soprattutto se si osserva l’uso che ciascun legislatore nazionale compie
della terminologia tecnica: non sempre una parola o un’espressione utilizzata da una determinata lingua coincide
con un termine che parebbe analogo in altra lingua. Ad esempio se la parola Geschaeft che in italiano si traduce
negozio, indica la stessa cosa in entrambi gli ordinamenti, nel diritto inglese invece il termine contract non
esprime esattamente il contratto. Così in ambito previdenziale: se il fondo pensione corrisponde all’inglese
pension fund, altrove si possono individuare prodotti propri di un determinato sistema che non trova una
corrispondenza in quelli di un altro. Si pensi ad esempio agli Stake Holder Pension Scheme inglesi. Nella
definizione di una terminologia comune a fini comparativi è dunque necessario considerare e sottolineare le
peculiarità istituzionali proprie di ciascun Paese, al fine di evitare che l’uso di uno stesso termine per istituzioni
di Paesi diversi nasconda importanti differenze. Andrietti V., La previdenza complementare nell’Unione
Europea: un’analisi comparata, in Le pensioni in Italia e in Europa, A. A. V. V., ed. Ediesse, Roma 2000, p.
189. Del resto Guarneri A., Lineamenti di diritto comparato, ed. CEDAM, Padova, 2003, p. 14 nota che tradurre
non significa altro che penetrare nel modo più profondo in un’esperienza storico-concettuale altrui, gettando un
ponte tra tradizioni giuridiche differenti, nella consapevolezza della assoluta relatività spazio-temporale dello
strumento linguistico - concettuale utilizzato e quindi della sua pericolosità..
15
In particolare rilevano la direttiva 98/49 CE del Consiglio del 29 giugno 1998 relativa alla salvaguardia dei
diritti a pensione complementare dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi che si spostano all’interno
della Comunità Europea e la direttiva 2003/41 CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 giugno 2003
sull’attività e la vigilanza degli enti pensionistici aziendali e professionali – EPAP (nel testo inglese, Institutions
for Occupational Retirement Provision, ovvero IORP) in G. U. C. E. rispettivamente n. L. 209 del 25/07/1998 p.
46 ss e n. L. 235 del 23/ 09/2003 p. 10 ss.
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
13
CE, che assume in tal senso un ruolo efficace nell’interpretazione uniforme ed
incontrovertibile della terminologia giuridica e che sovente è stata protagonista di decisioni
che supplivano alla carenza di disciplina dovuta all’inattività degli organi istituzionali.16
3.1. Previdenza complementare.
Ad un primo sguardo, il termine “complementare” esprime un’accentuata relazione
d’interdipendenza con la previdenza pubblica17, cosicché non sempre risulta agevole
distinguere tra i due regimi18. In linea generale, in ogni caso si può affermare che nell’ambito
16
Circa il ruolo nomofilattico della Corte in materia di diritti sociali, Roccella ben evidenzia […]la peculiarità di
un apporto del diritto del lavoro al diritto comunitario generale, attraverso l’attività interpretativa della Corte,
a fronte del quale si deve necessariamente riconoscere che gran parte della costruzione giurisprudenziale che
ha dato progressivamente forma alla teoria del primato del diritto comunitario (efficacia diretta solo verticale
delle direttive, obbligo d’interpretazione conforme; affermazione della responsabilità dello Stato membro
inadempiente al diritto comunitario) è stata elaborata proprio in occasione di controversie sul cui sfondo si
agitavano problematiche lavoristiche. Roccella M., Tutela del lavoro e ragioni di mercato nella Giurisprudenza
recente della Corte di giustizia, cit. nonchè Forum. Riflessioni di Melchior Wathelet, Gunther Hirsch, John L.
Murray, Giuseppe Tesauro, G. Federico Mancini, a cura di L. Calafà e V. Di Bucci in “Lavoro e Diritto”, 1998
pp. 665 ss.. Come si osserverà a breve, l’intervento della Corte è stato prezioso anche per la precisazione della
nozione di fondo pensione nelle ipotesi in cui appaia lecito dubitare se questi operi come un’impresa ai sensi
dell’art. 81 del Trattato CE (l’attuale art. III – 161 della Costituzione Europea). In proposito si considerino Corte
Giust. 17 febbraio 1993 (CAUSE riunite C-159/91 e C-160/91), Christian Poucet v. Assurance Generales de
France e Caisse Mutuelle Regionale du Languedoc- Roussillon, Daniel Pistre v. Caisse Autonome Nazionale de
Compensation de l’ Assurance Vieillesse des Artisans in “Raccolta della giurisprudenza”, 1993 p. I-00637; Corte
Giust. 21 settembre 1999 (CAUSA C-67/96), Albany International BV v. Stichting Bedrijfspensioenfonds
Textielindustrie in Racc. Giur.1999 p. I-05751; Corte Giust. 12 settembre 2000 (CAUSE riunite C-180/98 A C-
184/98), Pavel Pavlov e altri v. Stichting Pensioenfonds Medische Specialisten in Racc. Giur. 2000 p. I-06451;
infine Corte Giust. 21 settembre 2000 (CAUSA C – 222/98) Hendrik Van der Woude v. Stichting Beatrixoord in
Racc. Giur. 2000 p. I-07111 e Corte Giust. 22 gennaio 2002 (CAUSA C- 218/00) Cisal di Battistello Venanzio
& C. Sas v. Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), in Racc. Giur., 2002 p.
I- 691.
17
Più precisamente, […] la complementarietà non evoca solamente una consonanza di fine (previdenziale)
rispetto ai sistemi obbligatori, ma anche una funzione strumentale riguardo alle tendenze di riforma dei sistemi
pensionistici obbligatori. Candian A. D., Previdenza complementare e fondi pensione: modelli europei e
prospettive di policy, cit. p. 2. Persiani sostiene inoltre che non sia corretto utilizzare il termine “integrativa”
come sinonimo di “complementare, poiché non soltanto i regimi complementari erogano prestazioni che si
aggiungono al trattamento pensionistico obbligatorio, ma a volte, erogavano anche prestazioni sostitutive, in
situazioni per le quali non v’era diritto a prestazioni o a pensione a carico del regime pubblico, Persiani M.,
Diritto della previdenza sociale, ed. CEDAM, Padova 2005 p. 41.
18
Caso emblematico in tal senso è il sistema britannico dove accanto ad uno schema di base statale, il Basic
State Retirement Pension (BSP), si situa un regime complementare sempre gestito dallo Stato, l’ex State
Earning- Related pension Scheme (SERPS) oggi State Second Pension (SSP) che eroga una prestazione
pensionistica collegata al reddito.
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
14
della previdenza complementare, il lavoratore costituisce volontariamente un piano
pensionistico aggiuntivo rispetto a quello obbligatorio tramite l’adesione ad un fondo
pensione (pension fund o pension schemes ) da istituirsi mediante contrattazione collettiva
aziendale o di categoria (previdenza complementare collettiva) oppure attraverso la stipula di
un contratto d’assicurazione sulla vita (previdenza complementare individuale). Secondo
questa nozione, la previdenza complementare dovrebbe quindi estendersi a comprendere
anche il risparmio previdenziale assicurativo (che come si vedrà infra occupa, però
tendenzialmente il terzo pilastro): chiaramente, si tratta di una tesi inammissibile19. In
relazione a tale dubbio, soccorre tuttavia la direttiva 98/49 CE che definisce regimi
pensionistici complementari tutti i regimi pensionistici di categoria stabiliti in conformità
delle legislazioni e delle prassi nazionali, come contratti d’assicurazione di gruppo, regimi a
ripartizione convenuti da uno o più rami o settori, regimi basati su fondi pensione o promesse
di pensione garantite da riserve contabili, o qualsiasi sistema collettivo o altro sistema
analogo, intesi a fornire una pensione complementare a lavoratori subordinati o autonomi20.
19
In effetti, risulta talvolta arduo discernere in un medesimo sistema pure tra previdenza complementare e
previdenza integrativa (o individuale): la dottrina stessa in materia lascia spesso adito ad incertezze sul piano
cognitivo. Candian rileva che se si considerano con attenzione le effettive modalità applicative delle
articolazioni del sistema previdenziale in pilastri, ci si avvede che questi sovente finiscono con il rappresentare
figure formali e astratte di variegate istanze e ruoli sociali. A conferma di ciò va adeguatamente esplicitato che
il problema non riguarda esclusivamente i rapporti tra il primo pilastro (rappresentato dalla previdenza
obbligatoria) ed il secondo pilastro (rappresentato dalla previdenza complementare collettiva – fondo
pensione), ma si estende decisamente anche ai rapporti tra quest’ultima e la previdenza individuale. Candian, A.
D., Previdenza complementare e fondi pensione: modelli europei e prospettive di policy, cit p. 15 ss.
20
Art . 3 lett, b) Capo II Direttiva 98/49 CE . E’ interessante notare che una ricognizione sistematica della
normativa presuppone la considerazione di una vasta serie di testi, nei quali spesso ricorrono espressioni come
“pensioni integrative” o “regimi pensionistici integrativi”; lo stesso Green Paper del 1997 ad esempio usa la
dizione “regimi pensionistici integrativi nel mercato unico” riferendosi poi anche ai fondi pensione senza però
definirli. Tali espressioni comunque non devono ritenersi identiche poiché non tutti i fondi pensione sono
concepiti per l’erogazione di una semplice pensione integrativa. In talune fonti peraltro, il fenomeno pensione
complementare è trattato solo latamente in relazione alla salvaguardia di altri diritti dei lavoratori, precisamente
si tratta delle Direttive 77/187 CE e 80/987 CE in materia di tutela dei diritti dei lavoratori rispettivamente in
caso di trasferimento di impresa e nell’ipotesi di insolvenza del datore di lavoro; nonché la Direttiva 86/378 CE
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
15
Da tale definizione, frutto peraltro di un’evidente analisi comparata del fenomeno rispetto alle
singole realtà nazionali (particolarmente eterogenee tra loro), bene si evince anzitutto
l’intenzione del legislatore comunitario di ricomprendere in essa tutti i regimi di prestazioni
pensionistiche lasciati scoperti dal regolamento 1408/71 che detta una disciplina di
coordinamento dei sistemi previdenziali obbligatori, lasciando un ampio margine di
interpretazione. La costituzione di uno schema pensionistico integrativo può avvenire dunque
sia secondo modalità pubbliche, sia attraverso meccanismi prettamente privatistici. In altre
parole, nel primo caso, il fondo pensione può essere costituito mediante un provvedimento
legislativo che ne stabilisce le regole di funzionamento, mentre nella seconda ipotesi, sarà un
accordo tra le parti sociali (generalmente un contratto collettivo) a dare attuazione allo schema
pensionistico nell’ambito comunque del quadro normativo nazionale di riferimento21. Ad ogni
modo, la voluntas legis qui enunciata e confermata peraltro dall’attività a monte risultante dal
dialogo interistituzionale, è quella di realizzare la sicurezza sociale dei lavoratori della
Comunità attraverso una reciproca “integrazione” e connessione fra le forme previdenziali,
pubblica e privata, all’interno di ciascuno Stato, secondo gradazioni diverse.22
relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi
professionali di sicurezza sociale. Tuttavia soltanto a partire dalla Direttiva del 98, si è deciso di dare una
nozione ufficiosa, dettagliata e vincolante di regime pensionistico complementare.
21
Il D. Lgs. 21 aprile 1993 n. 124 stabilisce la disciplina delle forme di previdenza per l’erogazione di
trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico, al fine di assicurare più elevati livelli
di copertura previdenziale (art. 1). Da un’analisi sistematica della normativa, si deduce bene una specifica
impronta del formante legale, caratterizzato da una rigida previsione dei possibili percorsi a disposizione del
soggetto che intende avvalersi di una previdenza complementare collettiva. E’ chiaro qui che si fa riferimento ai
fondi pensione chiusi e aperti. Candian A. D., Previdenza complementare e fondi pensione: modelli europei e
prospettive di policy, cit. p. 38
22
L’utilizzo del verbo integrare nel testo italiano e di termini, nelle altre più rilevanti lingue comunitarie, di
contenuto sovrapponibile a quello indicato nella parola italiana, porta a concludere che per il legislatore
comunitario la previdenza complementare sia ancillare alla previdenza pubblica […]. Così Sgroi A., La
trasferibilità della posizione previdenziale individuale nel mercato comune, contributo al Capitolo II (I fondi
pensionistici privati nell'ordinamento comunitario) in Carinci F. e Bessone M., (a cura di), Commentario del
Diritto del Lavoro ed. UTET, Torino 2004, p. 92. A confermare lo stretto rapporto esistente tra i due Pilastri, Il
Il Sistema della previdenza complementare nel Regno Unito.
16
3.2. Fondo pensione.
I problemi di definizione che si sono posti con riguardo alla previdenza complementare,
trovano terreno fertile anche a proposito della nozione di fondo pensione: questi, secondo una
parte della dottrina, nella sua accezione etimologica, avrebbe un significato addirittura
polisemico come del resto il più generale termine “fondo” 23. Ed, in effetti, tale istituto
rappresenta qualcosa di più di una semplice struttura giuridica utilizzata nelle varie forme di
previdenza complementare e non si può nemmeno ridurre ai minimi termini il discorso
affermando che si tratta semplicemente di un ente ( di solito un’associazione riconosciuta di
diritto privato) deputato alla gestione del risparmio previdenziale e all’erogazione di
trattamenti pensionistici, vale a dire all’attuazione di un piano o di un programma
pensionistico. La visione della questione semmai, deve essere a tutto tondo tenendo in ogni
modo presente il fatto che si tratta di un istituto che poggia le sue basi su un territorio di
confine tra due prospettive, quella giuridica da un lato e quella economico – finanziaria
dall’altro, orientamenti che stanno in costante interrelazione24. Appare inevitabile quindi
Comitato Economico e Sociale nel suo Parere in merito al Libro verde sui regimi pensionistici integrativi nel
mercato unico (in G.U.C.E. n. C 073 del 09 marzo 1998 pag. 114 ss.) sottolinea che:
a) gli attuali regimi di sicurezza sociale degli Stati membri (primo pilastro) continueranno a costituire il grosso
delle pensioni erogate;
b) i regimi del secondo (regimi pensionistici professionali) e terzo pilastro (piani pensione personali basati
principalmente su sistemi di assicurazioni vita) esaminati nel documento non sono una panacea per far fronte a
tutte le difficoltà generate dall'evoluzione demografica;
c) nel rispetto del principio di sussidiarietà, spetta agli Stati membri decidere il ruolo che desiderano sia svolto
da ciascuno dei tre pilastri nell'erogazione di prestazioni pensionistiche.
23
Così in Candian A. D., Fondo e fondi: itinerari paragiuridici tra gli usi linguistici, in “Giurisprudenza
Commerciale”, 1998 p. 158 ss. Nella lingua italiana, fondo indica, infatti, sia il terreno rustico o urbano sia più
astrattamente i fondi di previdenza e i fondi comuni di investimento nonché i cosiddetti fondi pubblici ed i fondi
CE, intesi tutti genericamente come un insieme di valori mobiliari convenientemente dematerializzati. Quindi, il
sistema epistemologico, si aggiunge, mediante il quale i giuristi sono soliti classificare ed ordinare gli oggetti
della loro esperienza costituisce esso stesso un fattore della massima divaricazione pensabile tra due concetti
che, pure, vengono designati con la medesima parola.
24
Si suole, infatti, classificare i fondi pensione in base ad una pluralità di criteri: