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INTRODUZIONE.
Questa tesi si propone di effettuare una panoramica sul danno non patrimoniale,
in primis sulla sua evoluzione storica nella dottrina e nella giurisprudenza, per
poi sviluppare un’analisi approfondita delle sentenze delle Sezioni Unite del
novembre 2008, che hanno inciso fortemente sul sistema del risarcimento di tale
voce di danno.
Seguirà uno sguardo sulle conseguenze che, le sentenze in questione, hanno
prodotto a livello dottrinale e giurisprudenziale, nell’individuazione,
configurazione e risarcibilità del nocumento non patrimoniale.
Va premesso, che la storia della responsabilità civile è caratterizzata dal
progressivo estendersi delle ipotesi di danno riconosciute meritevoli di
risarcimento e, nel contempo, dall’esigenza di delimitare l’ambito del danno
risarcibile.
La “linea di delimitazione” delle ipotesi di danno risarcibile, nel quadro di una
tendenza favorevole al risarcimento del danno non patrimoniale, non è stata
tuttavia tracciata in esecuzione di un piano coerente ed unitario, ma sovente in
base a suggestioni ed esigenze derivanti dal singolo caso.
Le incertezze della giurisprudenza, e le soluzioni a volte divergenti, non sono
dipese soltanto da diverse valutazioni, della meritevolezza degli interessi, ma da
un cumulo di retaggi storici e di preoccupazioni di ordine economico.
In molti casi il diniego del risarcimento, basato formalmente sul carattere non
patrimoniale della perdita subita dall’attore, è stato giustificato soprattutto in
base a ragioni di policy, richiamate al fine di impedire un onere sociale.
Da molte decisioni emerge, infatti, una consapevolezza del fatto che, nonostante
il costo del risarcimento gravi inizialmente sul responsabile o sul suo
assicuratore, si determina comunque un costo sociale, derivante ad esempio dal
conseguente aumento del premio dell’assicurazione e dal pericolo che per questo
motivo molte persone preferiscano non stipulare il contratto o, più in generale, da
un aumento della litigiosità.
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I dubbi relativi alla risarcibilità del danno non patrimoniale hanno impegnato le
Corti di molti paesi, ma, l’esperienza italiana si caratterizza, nel contesto
europeo, per diversi motivi.
Il più rilevante è certamente rappresentato dal peculiare sistema costituito dagli
artt. 2043 e 2059 c.c., con i noti limiti previsti nel secondo, per quanto concerne
il danno non patrimoniale, e dai tentativi di superarli, nei diversi momenti storici,
riconducendo alcune fattispecie di danno nell’ambito delle fattispecie dell’art.
2043 oppure forzando i tradizionali confini dell’art. 2059 c.c.
Degna di menzione, altresì, la grande attenzione da parte della dottrina italiana a
tutte le fattispecie di danno che riguardano la persona umana e il suo benessere.
Diverse scuole, basti ricordare quella di Genova, Pisa, Trieste, hanno profuso un
impegno straordinario sotto il profilo dell’approfondimento teorico
accompagnato da una non frequente capacità di influenzare gli orientamenti
giurisprudenziali.
Il processo evolutivo del sistema risarcitorio, nella giurisprudenza della Corte di
Cassazione e della Corte Costituzionale, risultava essersi sviluppato per gradi,
attraverso operazioni di continuo ritocco ed aggiustamento, tramite le quali i
giudici si proponevano di non intaccare alle fondamenta equilibri consolidati da
decenni.
Il progressivo succedersi di cambiamenti aveva finito, tuttavia, per produrre un
panorama disciplinare talmente frastagliato ed ambiguo da rendere
indispensabile un intervento chiarificatore.
La situazione era così complessa da rendere impraticabile qualunque tentativo di
revisione solo parziale del sistema; tali e tante erano le dissonanze e le
contraddizioni presenti al suo interno, d a r e n d e re improrogabile una
ristrutturazione di carattere radicale circa l’assetto risarcitorio in materia di danni
non patrimoniali.
In questo quadro si colloca no le decisioni delle Sezioni Unite del novembre
2008, le quali muovendo dalla constatazione di un contrasto giurisprudenziale,
rilevano che negli ultimi anni si sono formati, in tema di danno non patrimoniale,
due contrapposti orientamenti giurisprudenziali, l’uno favorevole alla
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configurabilità, come autonoma categoria, del danno esistenziale , inteso com e
pregiudizio non patrimoniale, distinto sia dal danno biologico che dal danno
morale soggettivo, in quanto non attinente alla sfera interiore del sentire, ma alla
sfera del fare areddituale del soggetto.
Le pronunce esplicitamente si collocano nel solco tracciato dalle sentenze
gemelle n. 8827 e 8828/2003, esplicitando alcuni punti e correggendo la rotta su
altri.
Dopo la svolta costituzionale della primavera del 2003, infatti, la giurisprudenza
ha sbandato tra tentazioni esistenzialiste e fedeltà alla lettura costituzionale,
cosicché non poteva essere più procrastinata l’elaborazione di un nuovo statuto
del danno non patrimoniale risarcibile; ciò viene fatto, redigendo un vero e
proprio manifesto, completo ed articolato, della categoria del danno non
patrimoniale.
Le attese sentenze delle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, n. 26972-26975,
si muovono su più fronti: il primo di eliminare dal novero dei danni risarcibili
quelli bagatellari; poi di aprire al risarcimento dei danni non patrimoniali
nell’area contrattuale; infine di riaffermare il risarcimento del danno non
patrimoniale per i diritti costituzionalmente tutelati, escludendo l’autonomia
della categoria del danno esistenziale.
Le Sezioni Unite, riportano p o i , il sistema della responsabilità aquiliana
nell’ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno
patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.). Superata
la stagione in cui si trattava di affermare la risarcibilità dei danni non
patrimoniali all’integrità psico-fisica, e travolto perciò il tabù dell’irrisarcibilità,
per un verso sembrava non vi fossero argini sufficienti a contrastare il dilagare
delle nuove figure di danno, per l’altro erano molti i punti rimasti in ombra,
meritevoli di chiarimento.
Si rendeva opportuna, una delimitazione di campo, un regolamento di confini
che tracciasse limiti rigorosi alla risarcibilità e chiarisse, al contempo, i rapporti
tra le diverse categorie di danni nel frattempo affermatesi, in particolare tra
danno biologico, danno morale e danno esistenziale.
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Si potrebbe trattare, come definito da parte alcuna dottrina, di sentenze c.d.
“politiche”, nel senso che tra i suoi motivi ispiratori vi è quello di dare risposta al
contrasto derivante dagli effetti (ingolfamento della giustizia, proliferazione delle
liti bagatellari, moltiplicazione indebita dei risarcimenti), da mol t i addebi t at i
all’ascesa del danno esistenziale; ma è anche una s e n t e n z a “ c r e a t i v a ” , n e l l a
misura in cui, interpretando l a f u n z i o n e n o m o f i l a t t i c a d e l l a C a s s a z i o n e ,
assegnata ai sensi dell’art. 374 c.p.c., n o n s i l i m i t a a d a s s i c u r a r e l ’ e s a t t a
osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, ma definisce le linee del
sistema di riferimento, talvolta modificandone i tratti e apportando innovazioni
significative.
La risposta delle Sezioni Unite non si limita ad illustrare un modo di intendere il
danno non patrimoniale, ma include importanti aspetti propositivi, che sembrano
destinati a produrre significative novità nell’ambito del d a n n o a l l a p e r s o n a
risarcibile.
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CAP. I. LA NOZIONE E LA FUNZIONE DEL DANNO NON
PATRIMONIALE.
1. INQUADRAMENTO SISTEMATICO DEL DANNO NON
PATRIMONIALE: CARATTERISTICHE GENERALI.
Il sistema tradizionale del risarcimento del danno da responsabilità
extracontrattuale è incentrato sulla distinzione tra danno patrimoniale, sempre
risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. e danno non patrimoniale, risarcibile in
forza dell’art. 2059 c.c
1
.
L’art. 2043 c.c. pur non definendo il danno, utilizza due volte tale termine,
assegnando allo stesso un duplice profilo di rilevanza: il primo, in cui lo stesso si
qualifica come evento lesivo, attiene al requisito dell’ingiustizia (danno
ingiusto); il secondo concerne invece la determinazione del contenuto
dell’obbligazione di risarcimento (danno risarcibile).
Il danno non è dunque la lesione in sé di un interesse, bensì la conseguenza
pregiudizievole prodotta dalla lesione; ciò significa che la sussistenza e l’entità
del danno non possono ritenersi presunte ed implicite nella lesione dell’interesse,
ma devono essere allegate e provate dal danneggiato
2
.
Il danno non patrimoniale è la lesione di un interesse protetto dall’ordinamento
avente ad oggetto utilità per le quali non esiste un mercato.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha definito il danno non patrimoniale
come quello “determinato dalla lesione d’interessi inerenti alla persona, non
connotati da rilevanza economica”.
Quando si parla di risarcimento e delle voci di danno che spettano al soggetto
danneggiato, si entra in un delicato ambito del diritto civile, che ha vissuto nel
corso della sua storia un destino altalenante.
1
P. Cendon, La prova e il quantum nel risarcimento del danno non patrimoniale, in Il diritto
privato nella giurisprudenza, Torino, 2008, p. 458-459.
2
AA.VV. Diritto privato, tomo II, 2^ edizione, Torino, 2009, pp. 666-667.
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Da una riduttiva considerazione iniziale, si è giunti a porre le questioni
risarcitorie al centro d’ogni ragionamento giuridico, richiedendo un particolare
sforzo interpretativo a tutti gli operatori del diritto
3
.
L’impianto risarcitorio è retto, nel nostro ordinamento, dalla disposizione
dell’art. 2043 c.c., contenente la clausola generale del neminem laedere,
disposizione che identifica gli elementi compositivi della fattispecie aquiliana.
A tale norma di rilievo centrale si aggiunge quella dell’art. 2059 c.c, che
costituisce il secondo pilastro portante nel sistema risarcitorio della persona.
La crescita di importanza di tale disposizione è andata di pari passo con
l’interpretazione evolutiva cui essa è stata sottoposta negli ultimi decenni, e con
la corrispondente estensione dell’area del danno non patrimoniale risarcibile.
Per risarcire il danno non patrimoniale, sulla base dell’iniziale e restrittiva
portata dell’art. 2059 c.c., era richiesta la presenza e la qualificabilità del fatto
illecito quale fattispecie di reato, proponendo un legame forte con l’art. 185 c.p.,
quale caso determinato dalla legge.
Il danno risarcibile era, inoltre, identificato con il solo danno morale subiettivo,
inteso come sofferenza fisica o spirituale, subita dalla vittima di reato.
Soltanto il dolore transitorio riceveva considerazione dall’ordinamento, mentre le
ricadute del torto di natura non patrimoniale, non identificatesi con la sofferenza
interiore, sfuggivano ad ogni possibile riparazione.
In conformità a quest’interpretazione dell’art. 2059 c.c. si escludevano dalla
risarcibilità lesioni di diritti della personalità che non avessero incidenza
reddituale
4
.
Tale impostazione, inadatta ad accogliere quelle poste risarcitorie che sarebbero
emerse con grande impeto nel corso degli anni, è stata criticata dagli operatori
giuridici per la sua inadeguatezza e solo in epoca recente, tali riflessioni
dottrinali e giurisprudenziali, hanno trovato riconoscimento in varie decisioni dei
giudici di legittimità.
3
L. D’Apollo, C. Vendon, Il nuovo danno alla persona, Macerata, 2009, p. 55.
4
G. Annunziata, Responsabilità civile e risarcibilità del danno, Padova, 2010, p. 80.
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Con una serie di decisioni è stata proposta una lettura costituzionalmente
orientata della predetta norma, capace di includere nel novero dei danni
risarcibili anche le lesioni d’interessi e di diritti inviolabili della persona di rango
costituzionale, restando in ogni modo impregiudicata la concezione dell’art.
2059 c.c., come norma di rinvio, e il presupposto della risarcibilità del danno non
patrimoniale rimane sempre l’esistenza di un fatto illecito in tutti i suoi elementi
costitutivi descritti nell’art. 2043 c.c.
5
.
Il risarcimento del danno non patrimoniale postula, pertanto, la verifica della
sussistenza degli elementi nei quali si articola l’illecito civile di cui all’art. 2043
c.c, che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di
danno, caratterizzato, quest’ultimo, dall’ingiustizia determinata dalla lesione
d’interessi meritevoli di tutela
6
.
La legislazione ha, inoltre, introdotto numerose ipotesi d’espresso
riconoscimento della riparazione del danno non patrimoniale, anche al di fuori
delle ipotesi di reato
7
.
La nuova interpretazione si fonda sul rilievo che in un sistema imperniato
sull’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, il danno
non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva d’ogni
ipotesi d’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona umana,
costituzionalmente protetto, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di
valutazione economica.
8
.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con quattro pronunce d’identico contento,
depositate tutte l’11 novembre 2008, hanno nuovamente ridisegnato l’assetto del
danno non patrimoniale, ricostruendo la fattispecie in modo unitario e
comprensivo delle precedenti figure (biologico, esistenziale, morale).
5
V. Scalisi, Danno alla persona e ingiustizia, in Rivista di Diritto Civile, 2007, p. 2286.
6
M. Nuzzo, Introduzione alle scienze giuridiche, Torino, 2009, pp. 310-311.
7
M. Paradiso, Danno esistenziale e danno non patrimoniale, in Rivista di diritto privato, 2008, p.
1885.
8
M. Nuzzo, op. cit. , pp. 312-313.