ricerca di sistemi di controllo. Fondamentale classificazione dei controlli è quella che
distingue i controlli in interni,che l’amministrazione esercita su di sé, ed esterni,provenienti
da organismi ad essa estranei. Tra i primi va ricordato quello gerarchico, espressione del
potere di supremazia gerarchica di controllare l’azione dei subordinati, avvalendosi spesso
di appositi corpi ispettivi. I controlli esterni si presentano con forme e caratteri diversi a
seconda dei soggetti che li pongono in essere: vi rientra,ad esempio, il controllo degli organi
giurisdizionali: esso si esercita attraverso la risoluzione delle controversie tra
l’amministrazione e gli amministrati e può comportare l’annullamento o la disapplicazione
degli atti amministrativi lesivi di diritti o interessi legittimi; esterno è il controllo esercitato
dalla Corte dei Conti.
Nell’ambito dei controlli esterni si distinguono poi quelli sugli atti,in cui l’oggetto del
riesame è il singolo atto,e sugli organi,in cui è il comportamento delle persone fisiche
preposte agli uffici o la condotta dell’organo come tale ad essere oggetto del sindacato . I
controlli sugli atti si suddividono a loro volta in preventivi,esercitati prima che l’atto sia
formato o dopo, ma prima della sua esecuzione; successivi,che intervengono dopo che l’atto
ha già dispiegato in tutto o in parte i suoi effetti; di legittimità,volti a riscontrare la presenza
di vizi di legittimità,nelle forme della violazione di legge,incompetenza ed eccesso di
potere;di merito,i quali comportano un’indagine più penetrante,in quanto estesa ad
accertare,oltre ai vizi suddetti,anche quelli desumibili dalla semplice inopportunità o
inidoneità dell’atto. Una posizione a sé stante riveste il controllo sostitutivo, che consegue
all’inerzia, alla impossibilità di funzionare o al cattivo funzionamento dell’ organo
controllato e comporta la sostituzione dell’ organo di controllo o di un suo delegato nel
compimento di uno o più atti di competenza dell’ organo controllato. E’ poi antica la disputa
se ed in che misura il controllo sia compatibile con le autonomie locali. L’autonomia,anche
quando assume la massima espressione di autonomia politica ed è propria di enti a finalità
generali,rappresenta pur sempre una libertà d’azione nei limiti della legge. I controlli di
legittimità,in quanto rivolti a garantire l’osservanza dei limiti legislativi,non contrastano con
l’autonomia degli enti locali,anzi sono connaturati al concetto stesso di autonomia
2
. Diverso
è il discorso per i controlli di merito,i quali comportano un’indagine più penetrante del
controllo di legittimità. Tale sindacato attua, nella sostanza, uno spostamento di
competenze,determinando una cogestione degli stessi affari da parte dell’organo di controllo
e di quello controllato.
Allorché le scelte dall’ente locale possono essere disattese dall’organo di controllo,è
evidente che il potere decisionale non compete più al solo soggetto controllato.
Un controllo di merito così attuato non può non ritenersi lesivo dell’ autonomie locali. E
quando gli atti sottoposti al controllo di merito sono numerosi e tra i più importanti per la
vita degli enti,è necessario dubitare della effettiva esistenza delle autonomie locali. In un
sistema costituzionale come il nostro, che esalta quest’ultime, non poteva esserci posto per
un controllo del genere. Gli enti locali, ed in particolare i Comuni,hanno compiti,attività e
servizi di primaria importanza,che interessano il benessere e l’elevazione materiale e morale
della collettività rappresentata. E’ interesse di tutti, è interesse dello Stato a che gli enti
locali conformino la loro azione alle norme di legge e ai criteri di convenienza economica
per la miglior realizzazione dei loro compiti istituzionali.
Ben si comprendono, allora, i controlli tesi alla verifica di un’amministrazione che svolga
la sua attività (oltrechè in piena legittimità giuridica)nel rispetto di norme e criteri di
economicità,efficienza ed efficacia. Controllo che non riguarda soltanto gli atti (di
2
Giannini,Corso di diritto amministrativo,Milano 1970,p. 289
legittimità) e la legitimatio ad officium degli organi,ma tende ad estendersi a nuovi
aspetti,verso una visione più aziendalistica della pubblica amministrazione.
Capitolo I
EVOLUZIONE NORMATIVA DEL SISTEMA
CONTROLLI SUI COMUNI
1.- IL SISTEMA DEI CONTROLLI PRECEDENTE ALL’ATTUAZIONE
DELL’ART. 130 COST.
I controlli sugli enti locali, da sempre termometro dell’ambiguo e a volte antitetico rapporto
centro-periferia
3
, sono sempre stati assai intensi: il vizio d’origine, sin dalla legge sulla
unificazione amministrativa del 1865, fu quello di considerare i controlli non come lo
strumento per il più ordinato esplicarsi e svilupparsi delle autonomie locali, ma come mezzo
in mano allo Stato per evitare attentati all’ unità nazionale. Successivamente la situazione
non migliorò: allo scopo iniziale si aggiunse quello di utilizzare i controlli per evitare
deviazioni dall’indirizzo politico governativo ed ai controlli originari, di legittimità e di
merito, esercitati, rispettivamente, dal Prefetto e dalla Deputazione provinciale,si aggiunse
tutta un’altra serie di verifiche estese al merito su singoli provvedimenti
4
.
Il controllo in funzione d’indirizzo spingeva, di conseguenza, i controllati a ricercare il
“consenso” del controllante piuttosto che ad instaurare un contraddittorio utile e produttivo
per gli enti locali.
Per districarsi nella materia, è opportuno distinguere, nell'ambito dei controlli sugli atti, i
controlli ordinari o tipici, previsti fino dalla prima legge comunale e provinciale( legge
1865, n. 2248 All. A, c.d. legge Ricasoli) - cioè, il controllo di legittimità del Prefetto ed il
controllo di merito della Giunta provinciale amministrativa, che sostituì, nel 1888, la
3
M. Nigro, Il Governo locale-I-Storia e problemi, 1980, p. 2 ss.
4
Berti,I caratteri dell’amministrazione comunale e provinciale,Padova,1969;
Petracchi,Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano,vol. III,Venezia,1962
Deputazione provinciale -, dai controlli speciali o atipici, successivamente introdotti in
epoche e in occasioni diverse, per un ulteriore sindacato su deliberazioni particolarmente
importanti. Il controllo di legittimità del Prefetto, dalla prima legislazione unitaria del 1865
fino al 1947, ha funzionato come controllo preventivo avente ad oggetto tutte le
deliberazioni degli enti locali territoriali, che non potevano essere portate ad esecuzione se
non dopo aver riportato il «visto di legittimità» prefettizio,visto che poteva essere negato,
oltre che per “violazione delle forme prescritte”, anche per gravi motivi di interesse
pubblico. Trattasi di un sistema che rispecchiava la condizione di subordinazione delle
persone giuridiche territoriali( enti autarchici) nello Stato amministrativo accentrato. Gli
enti locali erano considerati, sulla scia della enucleazione concettuale di autarchia fornita dal
Laband
5
,” degli organi dell’amministrazione indiretta dello Stato, dotati di personalità
giuridica propria, che esplicano la loro attività principalmente nel loro interesse
e,secondariamente, anche nell’ interesse dello Stato, che coincide con il loro e non se ne
distingue.”
6
La coincidenza dell’ interesse locale con quello Statale e la capacità
riconosciuta alle persone giuridiche territoriali di emanare atti amministrativi con contenuto
ed efficacia equiparati a quelli dello Stato, implicano di per sé l’assoggettamento di tali atti
ad un esteso controllo di legittimità (vigilanza) e ad un penetrante controllo di merito
(tutela). Attraverso il sistema dei controlli, lo Stato, in ossequio al principio di unitarietà
dell’ azione amministrativa (sono atti amministrativi solo quelli emanati dallo Stato)
omogeinizzava gli atti degli enti locali equiparandoli a quelli propri. Il controllo non era
altro chela faccia speculare dell’ autarchia, ossia della capacità riconosciuta alle persone
5
Le droit public de l’Empire allemand, Paris, 1900, p. 121, in cui si sostiene che l’autarchia si profila come una
modalità di organizzazione dell’ attività statale esplicabile mediante figure soggettive, a base territoriale, distinte dallo
Stato e munite di personalità giuridica.
6
S. Romano, Principi di diritto amministrativo italiano, Milano, 1912, p. 78; da sottolineare che la concezione del
comune quale organo dello Stato risale a V.E. Orlando, Principi di diritto amministrativo, 1892
giuridiche territoriali di perseguire interessi coincidenti con quelli statali attraverso
l’emanazione di atti amministrativi.
Nel periodo fascista tale controllo assunse una maggiore estensione –l 'espressione “visto di
legittimità”, per designare l'atto di controllo, fu sostituita con “visto di esecutività” - e
concerneva tutte le deliberazioni dell'unico organo comunale, il Podestà, di nomina
governativa, che aveva preso il posto degli amministratori elettivi.
Il prefetto muniva di tale visto, le deliberazioni non soggette all’ approvazione della Giunta
provinciale amministrativa, sempre che fossero riconosciute regolari. In caso contrario
poteva pronunciarne l’annullamento per motivi di legittimità o ricusarne l’approvazione per
motivi di merito (r.d. 1934, n. 383).
Caduto il fascismo, la materia è stata regolata dalla Legge 9 giugno 1947, n. 530, rimasta
totalmente in vigore fino all'attuazione del sistema di controlli previsto dalla Costituzione.
Secondo tale legge, le deliberazioni dei Consigli e delle Giunte comunali diventavano
esecutive - quando non erano soggette a speciale approvazione - dopo la pubblicazione
all'albo pretorio per quindici giorni e dopo l'invio al Prefetto, che doveva aver luogo (a pena
di decadenza) entro otto giorni dalla data in cui erano state prese. Per ragioni di urgenza,
poi era possibile dichiarare immediatamente esecutive le deliberazioni stesse col voto
espresso della maggioranza dei componenti il collegio(disposizione, questa, già prevista
dalla legge Ricasoli).
Il Prefetto doveva pronunciare l'annullamento degli atti che riteneva illegittimi entro venti
giorni dal ricevimento; ne conseguiva, dalla non coincidenza fra il termine entro cui la
deliberazione poteva essere annullata e quello prescritto per la sua esecutività, che
normalmente l'annullamento del Prefetto interveniva dopo che l'atto annullato era divenuto
esecutivo e, quindi, tale controllo era considerato successivo. Al controllo prefettizio di
legittimità, che aveva carattere di generalità, si aggiungeva il controllo di merito della
Giunta provinciale amministrativa (G.P.A.) sopra alcune deliberazioni particolarmente
importanti e tassativamente indicate dalla legge. In particolare erano soggette
all'approvazione della G.P.A. (organo collegiale avente sede in Prefettura, presieduto dal
Prefetto e composto in prevalenza, da funzionari statali): i regolamenti; i piani regolatori;
l'istituzione di tributi; l'acquisto di azioni industriali; il bilancio preventivo e lo storno di
fondi per far fronte a spese facoltative; i prestiti di qualsiasi natura; l'assunzione di pubblici
servizi; e altre deliberazioni assoggettate al controllo sulla base del valore e della
popolazione dell'ente.
La procedura per l'esercizio del controllo di merito della G.P.A. comprendeva l'invio della
deliberazione da parte dell'ente locale ed il conseguente esame dell'organo tutorio; ma non
erano previsti, né un termine di decadenza per gli enti deliberanti, né un termine perentorio
per l'esercizio del controllo. Il controllo si doveva sempre manifestare in forma espressa; se
la G.P.A. riteneva di non poter approvare la deliberazione, doveva restituirla al Comune
enunciandone i motivi ed invitandolo a presentare le sue controdeduzioni entro un termine
assegnatogli, dopodiché emetteva la sua decisione (art. 103 T.U. 1934, n. 383).
Ampio ricorso veniva fatto, nella prassi, all'istituto dell'approvazione condizionata, ovvero
subordinata al rispetto di una condizione posta dalla G.P.A. , ammessa, con qualche
limitazione, anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato
7
.
Dalla natura di tale istituto appare particolarmente convalidata la tesi che vedeva in questo
controllo di merito l’esercizio di una potestà di amministrazione attiva,con spostamento
dell’ ordine di competenze stabilito dalla legge. Infine, in caso di inerzia degli organi degli
7
Cons .di Stato,10 aprile 1954,n. 341;Cons. di Stato 14 luglio1956 n. 513,condizione limitata ad aspetti non essenziali
dell’ atto; in ogni caso veniva riconosciuto al comune il diritto di non accogliere la condizione impostagli, previa nuova
deliberazione
enti locali, tanto il Prefetto che la G.P.A. potevano intervenire in via sostitutiva,
direttamente o avvalendosi di appositi commissari ad acta. Così, per fare un esempio, era
previsto l’intervento sostitutivo del Prefetto per l’adozione dei provvedimenti sindacali in
materia di polizia locale ed igiene. E’ poi opportuno fare un breve cenno su quegli ulteriori
controlli detti atipici o speciali, spettanti sia allo stesso Prefetto sia ad altri organi statali
centrali o locali. Tra i controlli atipici del Prefetto possiamo ricordare: l’autorizzazione
all’accettazione di lasciti e doni e all’acquisto di beni immobili; l’autorizzazione alla
licitazione e alla trattativa, in deroga all’obbligo dell’ asta pubblica per l’aggiudicazione di
appalti, forniture ecc. Particolari controlli da parte di organi statali decentrati
(Provveditorato regionale alle opere pubbliche,Veterinario provinciale) erano previsti su atti
del comune destinati all’attuazione di opere pubbliche di interesse
locale(cimiteri,acquedotti,scuole…). Infine numerosi erano i poteri di intervento
riconosciuti ad organi centrali, per lo più in funzione di controllo: da ricordare il T.U. 1934
n° 383,secondo il quale i regolamenti comunali relativi a tributi,igiene, sanità dovevano
essere trasmessi ai Ministeri competenti,per materia, che avevano facoltà di annullarli per
motivi di legittimità, sentito il Consiglio di Stato. Si evince che il sistema dei controlli nel
periodo che va dal 1865 al 1947 si connota per una sostanziale e impressionante continuità,
quasi come se esso non fosse, al pari di ogni altro fenomeno istituzionale, un fenomeno
storicamente determinato
8
. Cambiano i titoli delle disposizioni concernenti i controlli ma
rimane invariato il contenuto di questo istituto. Per completare il quadro dei controlli sui
comuni occorre ora accennare,in maniera sintetica , ai principali controlli sugli organi, che,
come si vedrà, sono sopravvissuti, seppur con dei cambiamenti, all'avvento del nuovo
ordinamento.
8
Sottolinea Di Plinio, contributo alla teoria del controllo amministrativo nell’ ordinamento regionale, 1979, p. 24, che
“il controllo amministrativo, come ogni altro fenomeno istituzionale, è storicamente determinato”.
La forma più importante di tale genere di controlli è costituita dallo scioglimento dei
Consigli comunali, che, per il T.U. 4 febbraio 1915, n. 148, compete al Capo dello Stato, per
gravi motivi di ordine pubblico o per la persistenza, nonostante diffida,nella violazione di
obblighi imposti per legge. Lo scioglimento comporta la nomina di un commissario
straordinario per i Comuni fino alle nuove elezioni.
Quando ricorrono motivi di urgente necessità, il Prefetto può disporre la sospensione del
Consiglio comunale,inviando appositi commissari per reggere provvisoriamente
l’Amministrazione. Inoltre, per gli stessi motivi pei i quali è possibile sciogliere il Consiglio
comunale,è prevista la rimozione del Sindaco da parte del Capo dello Stato e la sua
sospensione da parte del Prefetto.
2. - LE INNOVAZIONI DEL SISTEMA COSTITUZIONALE
La disciplina costituzionale dei controlli sugli atti degli enti locali minori è racchiusa
nell'art. 130, che recita: “Un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti dalla legge
della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti
delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali.
In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito nella forma di
richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione”.
La norma così formulata, nonostante le innovazioni circa l’introduzione del controllo di
merito mediante richiesta di riesame, sembra confermare la continuità con il precedente
sistema, soprattutto laddove prevede un sistema di controlli a cascata e l’ assoggettamento
generalizzato di tutti gli atti degli enti locali (non solo di quelli amministrativi). Si rimane
legati ad una concezione che vedeva i controlli “come mezzi di convalidazione degli atti
degli enti minori, anziché come procedimenti autonomi di verifica indipendente della
validità degli atti sottoposti a controllo”
9
. Si passa, secondo autorevole dottrina, da “un
asservimento degli enti locali agli interessi politici del centro a un asservimento agli
interessi politici periferici, forse aggravando gli inconvenienti del precedente sistema, che
faceva apparire i comuni e le province quasi come enti dipendenti dello Stato”
10
. Il sistema
dei controlli rappresenta, dunque, ancora una volta, lo strumento attraverso il quale lo Stato
esercita il suo dominio sugli enti locali. L’ambiguità della norma, la sua vasta latitudine
interpretativa e la sua efficacia differita nel tempo (collegata all’attuazione dell’ordinamento
regionale, e più precisamente alla istituzione degli organi di controllo) costituiscono i punti
deboli dell’impianto autonomistico sfruttati dal legislatore per riproporre un sistema ispirato
9
Benvenuti, I controlli amministrativi nello Stato e nella regione, 1972, p. 587 ss.
10
Sandulli , I controlli sugli enti territoriali nella Costituzione, p. 582
formalmente al principio autonomistico ma sostanzialmente ancora legato alla pur sempre
valida nozione di autarchia, “vera costante storica del nostro ordinamento”.
11
Dopo questa
premessa è possibile analizzare il contenuto dell’articolo 130 Cost. Tra le più salienti novità
del sistema costituzionale vi è l'attribuzione del controllo ad “un organo della Regione”. La
dottrina tradizionale aveva sempre concepito il controllo sugli enti pubblici in genere ed enti
locali in particolare come tipica funzione statale. Questa opinione dottrinale conseguiva
logicamente alla concezione che si aveva della natura dello Stato e degli enti pubblici: lo
Stato, personificazione dell'ordinamento giuridico e solo soggetto abilitato a qualificare
tutto ciò che esiste nel suo ambito; gli enti pubblici, individuabili come tali proprio in forza
della particolare relazione in cui si trovano con lo Stato. Ente pubblico, in particolare -
secondo la dottrina dominante al tempo in cui è entrata in vigore la Costituzione - è l'ente
che persegue fini che sono propri anche dello Stato, cosi che nel suo agire cura
contemporaneamente il proprio interesse e l'interesse statuale. Ne consegue che lo Stato non
può restare indifferente sia all’an che al quomodo dell'azione degli enti pubblici e risulta
chiara allora, la titolarità, da parte dello Stato, di più o meno ampi poteri di controllo, rivolti
a garantirlo dell'esercizio, legittimo ed opportuno, dei suoi compiti da parte dell'ente
pubblico.
Attraverso il controllo lo Stato recepisce nel suo ordinamento gli atti degli enti locali, cioè,
attribuisce loro l'idoneità ad esplicare i propri effetti come atti dell'Amministrazione
statale
12
. Secondo questa dottrina, l'assegnazione alla Regione del controllo sugli enti locali
operata dall'art. 130 Cost., rappresenta “una deviazione dai principi”, tale da obbligare
11
Pugliano, Il controllo sugli atti degli enti locali tra conferma dell’autarchia e riconoscimento delle autonomie locali,
Roma
12
Berti, I caratteri dell’amministrazione comunale e provinciale,1969 cap. I
l'interprete a considerare questa funzione, nonostante la dizione costituzionale, come
funzione statale esercitata dalla Regione
13
.
La funzione di controllo sugli enti locali, in quanto tipica funzione statale, non può –
secondo questa opinione dottrinale - essere esercitata dalla Regione se non per conto e
nell'interesse dello Stato. Ciò comporta delle conseguenze: evita l'errore dell'interprete di
considerare gli enti locali minori come enti dipendenti dalla Regione; permette a
quest’ultima vedersi sollevata dal relativo onere finanziario.
Peraltro, la tesi ora esposta, anche se autorevole non può essere condivisa. In effetti, il
costituente operò una scelta, per quanto rivoluzionaria potesse apparire, a ragion veduta:
dalla relazione, infatti, all' Assemblea costituente della Commissione per la riforma dell'
Amministrazione (di cui era autorevole membro lo Zanobini) è possibile notare come la tesi
della statualità del controllo, accanto a quella della sua necessità, sia stata chiaramente
prospettata al costituente, del quale non incontrò il favore, come risulta dagli atti
dell'apposita Sottocommissione dell' Assemblea (presso la quale l'unica alternativa avanzata
al controllo della Regione fu quella dell'autocontrollo degli enti locali).
E’quindi necessario pensare che la scelta operata con art. 130 Cost. si inquadri e si
giustifichi col nuovo disegno costituzionale circa la posizione e i rapporti reciproci dello
Stato e degli altri enti pubblici, disegno che ha il suo punto di forza nella solenne
proclamazione delle autonomie locali, contenuta nell'art. 5, e che trova conferma nella
nuova concezione del controllo di merito, quale risulta sempre dall'articolo 130. Ad un
sistema politico caratterizzato da uno Stato accentratore al quale si affiancavano enti
ausiliari, strumento per un'amministrazione statale indiretta, la Costituzione repubblicana
sostituisce un ordinamento pluralistico, in cui nell' ambito della “Repubblica, una e
13
Miele, il sistema dei controlli da parte degli organi regionali sui Comuni e sulle Province, 1965
Zanobini, La norma della Costituzione intorno ai controlli sugli enti locali, 1955, p. 397
indivisibile”, trovano posto accanto allo Stato, in posizione sottordinata ma non subordinata,
gli enti comunitari locali, la cui autonomia, preesistente alla realtà sociale, viene
riconosciuta e non creata dallo Stato.
Ad una struttura di tipo piramidale della pubblica Amministrazione, con una graduazione
gerarchica degli enti pubblici anche territoriali, si sostituisce un modello comunitario. Ed il
controllo in un ordinamento autonomistico non può più svolgere il ruolo di conformazione
degli atti degli enti controllati ai fini dell'ente controllore.
Ma qual è, allora, il significato concreto dell'attribuzione del controllo ad un “organo della
Regione”?
Innanzitutto tale organo deve avere sede presso l'Amministrazione regionale ed avvalersi,
per i servizi ausiliari ed esecutivi e per l'attività istruttoria, di un apparato burocratico fornito
dalla Regione; secondariamente la costituzione formale dell’organo va riservata ad un atto
della Regione; infine deve escludersi che l’organo di controllo possa essere composto in
prevalenza da elementi designati dallo Stato-persona. Non mancarono discussioni in ordine
alla natura del potere di controllo e della posizione istituzionale dell'organo deputato ad
esercitarlo.
Due erano le opinioni contrapposte: la prima è sostenuta dalla dottrina più vicina agli
interessi e alle posizioni delle Regioni, che non hanno mai cessato di rivendicare come
propria questa funzione: essa parte dalla considerazione che il riconoscimento come
“regionale” dell'organo di controllo non possa non significare implicita scelta del carattere
politico del controllo stesso; funzionale, quindi, al potere di indirizzo della Regione sugli
enti locali minori. Non si ravvisavano ostacoli nella natura propria del controllo di
legittimità, in quanto si osservava che in ogni attività di applicazione del diritto è possibile
riscontrare uno spazio in cui può inserirsi l'orientamento particolare dell'interprete. “È
certo” - si rileva
14
- “che rispetto alle singole fattispecie il controllo va esercitato con
assoluta imparzialità. Ma l'imparzialità non significa anche neutralità. Non solo in sede di
controllo di merito, ma anche in sede di controllo di legittimità esistono in ogni caso
margini di scelta (che sono poi margini di scelta politica) in ordine alla ricerca ed alla
interpretazione delle norme da adottare quali parametri del controllo”. Dello stesso segno,
in sede politico-istituzionale, era la presa di posizione della Conferenza dei Presidenti delle
Regioni, che rivendica una disciplina statale dei controlli rivolta a finalizzare “il controllo
esterno all' essenziale scopo di assicurare verifiche di coerenza degli atti fondamentali
degli enti locali agli indirizzi della Regione”
15
. La tesi opposta faceva leva sulla volontà
costituzionale di garantire ai minori enti territoriali, sia nei confronti dello Stato che delle
Regioni, una posizione di autonomia con la quale non sarebbero compatibili controlli
di legittimità politicamente orientati.
Conduceva a questa conclusione, da un lato, la concezione del controllo di legittimità come
attività indipendente e neutrale non riferibile ad alcun soggetto, ma esercitata nell'interesse
dell'ordinamento generale e, quindi, non imputabile né allo Stato-persona né alla Regione;
dall'altro, la configurazione tradizionale dell'autonomia locale - come capacità di esprimere
e perseguire nell'ambito di competenza un proprio indirizzo di politica amministrativa,
anche se divergente da quello dello Stato e della Regione - che è l'unica coerente col
complessivo disegno costituzionale
16
.
Anche la giurisprudenza, costituzionale e amministrativa, ha avuto occasione di occuparsi
della problematica in argomento. Va segnalata, innanzitutto, la sentenza n. 226 del 18
novembre 1976, che, con riguardo alla funzione di controllo della Corte dei Conti, ha
14
Cheli , Prospettive di riforma del controllo sugli enti locali nel quadro regionale, 1973,p. 392
Barbera, I controlli sugli enti ospedalieri: tendenze e prospettive, 1977, p. 56
15
Bollettino leggi e documenti regionali, 1982, p. 629
16
Sandulli, I controlli, p. 583